Una vita da non vivere.

di Allyy
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Come puoi descrivere gli attimi che precedono la tua morte? A cosa puoi pensare?
La risposta ad entrambe le domande è:   non lo so  .


Ho la testa vuota.
Ho la testa che scoppia.
Ho la testa. Non so per quanto ancora.

Continuo a seguire quella divisa verde militare, credo di non essere più padrona delle mie gambe. In un'altra situazione avrei elaborato frettolosamente un piano alternativo. Ora non ci riesco, sto rincorrendo, meccanicamente, senza rendermene conto, la MORTE. Il punto è che non riesco proprio a concepire l'idea di FINE. Mi hanno strappato via la famiglia, ho viaggiato in condizioni disastrose, non ho più una vita, mi hanno deformata, sto malissimo...chi sono io?
Una sagoma che barcolla, ubriaca di crudeltà subita. Forse sarebbe davvero meglio smettere di condurre una vita del genere. Ma non so come la concluderò. Verro picchiata, percossa, frustrata? Quanti minuti, ore, giorni passeranno prima che esalerò l'ultimo respiro? Con che coraggio fisserò il proiettile fatale? Quali saranno i miei ultimi pensieri?

Voglio la mamma.

Ma ho solo la penna, e stringo quella.

Il tedesco si gira di scatto con una faccia terribile.

«ÜBER!», grida, indicandomi una porticina.
Tento di aprirla, ma perfino la maniglia è diventata pesante, troppo pesante, sono debole. Mi accascio a terra priva di sensi, ancora. Non faccio in tempo a chiudere gli occhi che uno schiaffo mi colpisce in pieno volto. Mi rialzo faticosamente in piedi e seguo ubbidiente il generale all'interno della stanza. C'è un odore strano, mi guardo in giro, è pieno di morti..tutti portano sul viso ferite insanabili, alcuni gemono ancora con gli occhi spalancati, mosche luride volano in giro, senza sosta, il nero sangue mi imbratta le consumate scarpe che indosso. Ho la nausea. Vedo il corpo di un bambino di uno o due anni giacere senza vita fra le braccia di una donna.  Il piccolino stringe forte un dito della mano della madre. A questa scena non reggo, scoppio a piangere sommessamente...


«Quando sei svenuta, ho visto che avevi un penna con dettagli d'argento. DAMMELA E NON FRIGNARE!», grida il tedesco interrompendo il silenzio agghiacciante della stanza.

Ed ecco che tutte le ultime sofferenze accumulate, adesso raggiungono l'apice.


«NO!» sbotto.

Il generale appare per un attimo smarrito e sbigottito, ma subito si riprende:

«TI HO DETTO DI DARMI QUELLA FOTTUTA PENNA.»
«Perchè?!» chiedo allo stremo delle forze.
«Perchè tu sei EBREA, io sono TEDESCO, tu DEVI obbedirmi, chiaro?! Se voglio la penna, tu non PUOI opporti»

Capisco che ormai ho perso la partita, che io gli consegni la penna o meno, verrò uccisa comunque. O per aver disobbedito, o per aver mancato di rispetto a quel lurido generale. E, se devo essere sincera, preferisco morire stringendo l'unico ricordo che mi è rimasto, come il bimbo stringe il dito della madre.

«La penna è mia.» sentenzio tremando.
«Bene, pistola o coltello? SCEGLI.»




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