Nubi dall’aspetto poco rassicurante coprivano lo
spicchio di luna che avrebbe dovuto illuminare l’area circostante, rendendo il
lavoro più complesso e allo stesso tempo più sicuro.
Nessuno si sarebbe sognato di entrare in quel lugubre
luogo, tantomeno per cercare una decina di uomini senza valore.
«Perché ancora non mi uccidi come hai fatto con i
miei compagni?»
Il nero mantello avvolgeva la figura seduta comodamente
sul corpo di un cadavere. Non guardava il suo interlocutore, né scrutava con
attenzione il luogo circostante alla ricerca di una qualche minaccia.
Si calcò meglio il cappuccio sulla testa,
proteggendosi il volto dal freddo della notte.
«Non vedi che sto mangiando? Quando avrò finito con
la mela finirò anche te, non temere».
La terra era dura sotto al corpo lacerato, penetrava
nelle carni aperte bruciandole dall’interno senza alcuna premura. L’uomo tentò
di alzarsi, ma una gamba gli era stata tagliata di netto e dal braccio destro
fuoriusciva il bianco dell’osso.
«Per gli dei! Mangi con tranquillità in mezzo ad una
carneficina! Chi diamine sei? Di quale stirpe fai parte cavaliere senza onore?»
Il frusciare lento del pesante mantello fece
intendere all’uomo che il suo aguzzino si era alzato e gli stava andando
incontro. Alzò il volto per scrutare quello dell’assassino, ma l’oscurità
pareva aver divorato ogni tratto umano di quella bestia assetata di sangue.
«Cavaliere? Offendi il mio nome uomo di Bramdy,
tuttavia oggi mi sento di umore magnanimo e risponderò alla tua futile domanda,
anche se già il fatto che tu non abbia riconosciuto il mio ordine esplica
magnificamente il grado del tuo intelletto».
Con lentezza quasi studiata l’assassino estrasse la
spada della sua vittima e la studiò.
«Lama carina, quasi decente, ma si vede che è stata
fabbricata in questo posto dimenticato dagli dei. Dimmi piuttosto, se qui tutto
fa schifo, anche i frutti dei vostri spogli alberi, posso azzardare che almeno
il vino e le donne siano di qualità?»
L’uomo di Bramdy lanciò un’occhiata furiosa all’indirizzo
dell’estraneo e prese quelle poche forze che restavano nel suo corpo sputò a
terra, colpendo gli stivali neri del suo assassino.
«Non si fa, non è educato, sai? Bisognerà che lavi
quest’affronto con del sangue, o rischio che il tuo puzzo mi rimanga addosso».
Un calcio diretto al volto fece ribaltare il corpo a
pancia in su. Poteva guardarlo nella sua interezza, un uomo che ancora uomo non
era, con appena un accenno di barba a sottolineare la mascella poco marcata.
«Peccato, eri un bel bambino».
La lama affondò senza pietà nel collo esposto e non
un singulto uscì dalla gola recisa, solo fiotti di sangue che sporcarono le
guance dell’aguzzino. Con un gesto secco estrasse la spada dalle carni e la
buttò sopra al cadavere. Si pulì il volto con una mano guantata, lasciando che
il poco vento che alitava scostasse il cappuccio e mostrasse agli alberi il suo
volto di donna.
«Per rispondere alla tua domanda: non ho una stirpe né
un re da seguire, la mia famiglia è il gruppo di mercenari di cui faccio
parte». Guardò il corpo senza provare alcun sentimento di rimorso «Dimenticavo
che ormai non puoi più sentirmi. Peccato, mi toccherà scoprire da sola i pregi
di questa terra arida e inospitale».