Tears
on Tape
"
Scriva, scriva! Vedrà che in questo modo si
sentirà più libero.
Non scriva poesie e versi di canzoni, scriva ciò che sente
dentro di
sé e da cosa è dettato. Scriva quello che fa,
quello che pensa. Si
sentirà leggero come una piuma e capirà affondo i
suoi pensieri."
Il
dottor Kotipelto continuò a ripetermi quelle parole dopo che
per
l'ennesima volta comparvi sulla porta del suo studio decisamente
confuso. L'idea di andare da un psicanalista era stata tutta mia e mi
meravigliavo ancora di tale decisione. Avevo bisogno di sfogarmi alla
grande, ma avevo deciso che dovevo farlo con un estraneo. Come disse
qualcuno " a volte è più facile confidarsi con un
estraneo.
Chissà perché. Forse perché un
estraneo ci vede per quello che
siamo realmente, e non come vogliamo far credere di essere." Ero
decisamente d'accordo. In fin dei conti con i gli amici e parenti si
finiva per cambiare un pò i fatti narrati così da
non far
trasparire la propria debolezza. Io non volevo mostrarla e decisi di
mettermi nelle mani del dottor Kotipelto anche se non ne ero
completamente sicuro. Era un tipo abbastanza strano e io
probabilmente dovevo essere più strano di lui ad accettare
le sue
terapie.
Ma
fu l'unico a capire i miei problemi e ciò che mi
attanagliava lo
stomaco. Non mostrò nessuna fetta di ironia e di
ilarità anche per
le cose più stupide che gli raccontai. Per questo continuavo
ad
incontrarlo.
Beh
scrivere per me non era di certo difficile, ma scrivere di lei
ahimè
lo era. Il dottore mi stava chiedendo la luna in quei giorni e io
ancora non disponevo di una navicella progettata per quello scopo.
Pensare
a lei, al mio tormento, era la cosa più difficile da fare in
quel
periodo. Ogni volta che i miei pensieri si fermavano su di lei
sentivo la mia mente e il cuore bloccarsi.
L'avevo
fatta soffrire molto e non lo meritava. Come al solito rovinavo
sempre tutto e più passavano gli anni e più
capivo che sarei
diventato un vecchio arcigno, taccagno che avrebbe vissuto da solo
nella sua fottuta torre.
Ora
quel dottore mi chiedeva di scrivere. A proposito di lui, in tutte le
volte che ero stato in sua compagnia mi dimenticavo sempre di
chiedergli se era un parente del leader degli Stratovarius.
Stavo
fissando quel foglio bianco da esattamente un'ora e ancora non
riuscivo a convincere il mio cervello per una collaborazione.
"
Oh andiamo!"- sussurrai portandomi le mani fra i capelli e
chiudendo gli occhi per concentrarmi meglio. Avevo sbagliato ancora.
Chiudere gli occhi in quei momenti significava rivedere Irene e io
come ogni volta non ero pronto a rivedere tale bellezza. La dolcezza
dei suoi occhi mi avevano sempre disarmato e la sua pelle candidata
suscitava in me dei ricordi che non avrei voluto mai dimenticare.
Aprii
gli occhi e guardai di nuovo il foglio con la folle speranza che si
fosse riempito senza il mio intervento. Purtroppo ancora non
disponevo di tali poteri paranormali e il fatto stesso che si stessi
pensando mi preoccupava. Scossi la testa e decisi di alzarmi per
accedermi una sigaretta.
"
Scusi."
La
mia tosse non era di certo un modo cortese per presentarsi. Dannata,
proprio ora dovevi insistere?
Il
dottore mi guardò accigliato e io sentii il desiderio di
seppellirmi.
"
Signor Valo, io credo che lei debba iniziare a scrivere partendo dal
suo vizio prediletto."
"
E perché mai?"- chiesi confuso. Cosa centrava il mio vizio
con
il mio problema?
"
Vede, la mia terapia non prende in considerazione solo il problema
principale che lei prontamente mi ha descritto, ma anche e
soprattutto quelli secondari. Niente deve essere messo in disparte.
Tutto dovrà partecipare alla sua " guarigione". E io credo
che parlare del fumo non sia poi così male. Lo veda come un
ulteriore modo di approfondita conoscenza fra me e lei."-
concluse il dottore sorridendomi. Dove trovasse tutta quella calma
era un mistero, ma avrei pagato oro per averne anche solamente un
pezzettino.
"
D'accordo."
Non
lo feci. Non scrissi nulla riguardante il mio vizio. Era qualcosa di
troppo intimo per spiattellarlo ai quattro venti. Non ricordavo
nemmeno quando fu la prima volta che conobbi quel veleno.
Probabilmente strinsi amicizia con delle sigarette che ormai neanche
esistevano più sul mercato.
Ricordavo
invece tutte quelle che avevo fumato, perché ognuna di
quelle
sigarette a modo loro erano importanti per me. Ogni volta che gli HIM
ottenevano il successo dovuto, io festeggiavo accendendomi una
sigaretta, ripromettendomi poi che sarebbe stata l'ultima.
Scrissi
molte date importanti sui fogli in cui davo spazio alla mia vena
artistica, ognuna riguardante un'ultima ipotetica sigaretta, ma mai
quelle date coincisero veramente con la fine.
A
quell'ultima famosa sigaretta se ne aggiungeva un'altra e un'altra
ancora. Come avrei fatto a smettere del tutto ancora non riuscivo
esattamente a capirlo. Forse dovevo farlo accendendo un'altra
sigaretta.
E
fu quello che feci in quel momento.
Scrivere
richiedeva grande concentrazione e io riuscivo a trovarla solo se
aspiravo quel dolce veleno che ormai amavo da una vita.
La
sigaretta aveva un gusto più intenso quando era l'ultima. La
si
gustava con maggior passione, come se si stesse facendo sesso. Aveva
un gusto speciale diverso dalle altre, un pò come si diceva
delle
donne che riuscivano a conquistare l'anima degli uomini: quelle erano
sempre diverse dalle altre.
La
parola donne fece ricordare al mio cervello il vero motivo per cui
avevo tirato fuori penna e foglio e scostato le tende nello studio
per far entrare la luce primaverile. Quel mondo che c'era fuori dalla
mia torre e quei colori così densi erano in completa
opposizione con
quello che sentivo dentro. Anzi quasi detestavo l'allegria che
respiravo nell'aria, forse era per quello che presi l'abitudine a
trascorrere molto più tempo a casa che fuori.
Ritornai
al tavolo e mi sedetti di nuovo. Sospirai e, spinto da una forza
paranormale, iniziai a scrivere.
Cara
Irene,
E'
passato circa un mese da quando ti scrissi l'ultima lettera alla
quale naturalmente non hai risposto. Ho perso il conto di tutte
quello che ti ho mandato. Non so nemmeno se ti sono mai arrivate.
Lo
so è un pò strano che in un'era come la nostra
piena di tecnologie,
io decida di scrivere su carta come succedeva negli anni Novanta e
affini.
Lo
sai, ho sempre pensato che scrivere di proprio pugno sia un modo per
rendere più vivi i propri sentimenti imprimendoli fra gli
scarabocchi quasi illeggibili e intrappolandoli in mille parole con
un senso quasi perduto ormai.
Sono
un eterno antico, ma forse questo lo sai già. Credo di
averlo
scritto anche nelle altre lettere indirizzate sempre al tuo
indirizzo.
Le
luci di maggio mi hanno insegnato a ricordare i tuoi passi che
lentamente svanivano da questa torre dopo la pazzia che tu trovasti
al suo interno. Ancora non riesco a perdonarmi quell'ingiusto
tradimento.
Sapevo
già da allora che la zampata dell'inverno seguente non
avrebbe
tardato a cancellare il miraggio degli ultimi mesi che trascorremmo
insieme.
Ti
sorprenderà scoprire quanto poco sia cambiato il tutto. I
cambiamenti di stagioni sono quasi sempre improvvisi e che il freddo
riesce a penetrare fin dentro l'anima. Tu l'hai sempre odiato.
Continuo a chiedermi perché ti fossi trasferita qui se lo
odiavi
così tanto. Già non te l'ho mai chiesto. Ero
sempre piuttosto preso
da me stesso per darti l'attenzione che meritavi..
La
torre del faro erge sempre come una sentinella nella bruma, e la
strada che costeggia la spiaggia è ormai solo un pallido
sentiero
che si snoda verso il vuoto.
Le
rovine di quella vecchia dimora che a te piaceva chiamare " La
casa dell'Inglese" si intravedono ancora oltre gli alberi del
parco, silenziose e avvolte in un manto di pura oscurità.
Nelle
sempre meno frequenti uscite che faccio e le poche occasioni che ho
per raggiungerla, posso ancora scorgere i vetri incrinati delle
finestre che brillano come fantasmagorici segnali nella nebbia.
A
volte penso che qualcuno mi osservi da lì, ma poi penso che
è
soltanto stupidaggine. Ormai lì non c'è
più nessuno.
Ti
chiederai anche che fine abbia fatto la bella casa vittoriana vicino
al porto. Ebbene è sempre lì, isolata, sola
contro tutto il vasto
mare. Durante questo inverno un temporale ha demolito quello che
restava del piccolo pontile sulla spiaggia. Un facoltoso avvocato con
la puzza sotto al naso e cattivo come pochi, era tentato di comprarla
per una cifra assurda, ma i venti forti e l'impeto delle onde si sono
assunti il compito di dissuaderlo.
Non
ti nascondo che ieri ho preso la mia bicicletta e sono andato fino al
porto dove ho contemplato il crepuscolo e non ho fatto altro che
pensarti.
Ricordo
che una volta proprio lì ti avevo raccontato una favolosa
leggenda
di un sinistro pirata la cui nave ne è stata inghiottita in
una
notte del 1700. Ti ho mentito. Non c'è mai stato un pirata
che si
sia avventurato nelle gelide acque di Helsinki. Solo un pazzo lo
avrebbe fatto.
E'
anche vero che, passeggiando per quelle zone, mi sono sentito
più
solo che mai e ho davvero capito quanto tu mi manchi. Ma non posso
chiederti di tornare: tu non lo faresti e io me lo merito.
Sono
uno sporco bastardo, egocentrico ed egoista, che in questi anni ha
solamente pensato alle sue cose trascurandoti e rendendoti infelice.
Ti ho perso senza volerlo davvero.
Solo
quando le persone se ne vanno capisci quanto tu ci tenga a loro e
quanto siano importanti. E io l'ho capito solo ora. Credo di essere
completamente intrappolato nei tuoi ricordi e forse questa è
la pena
che devo scontare per averti spezzato il cuore.
Il
mare a volte ha questa capacità: farmi vivere di ricordi.
Stamattina
in salotto ho trovato un tuo anello. Strano, vero?
É
passato un anno da quando te ne sei andata per sempre e oggi scopro
che una piccola parte di te è rimasta in quella malvagia
torre. Sai,
non nascondo di aver pensato di tenermelo per me, aggrapparmi a quel
piccolo oggetto per sentirti ancora vicina.
Sono
stupido, lo so e mi chiedo ancora come tu sia riuscita a starmi
accanto in questi anni.
Forse
non ci crederai ma sei stata la cosa più bella che potesse
accadermi
dopo l'inferno che avevo passato.
E
ti amo.
Tuo
Ville.
Sospirai
e cercai di non piangere. Non sapevo nemmeno più come si
piangesse,
pur volendo non ci sarei riuscito. Mi passai una mano sugli occhi
assicurandomi di non avere delle perdite e mi avvicinai alla
finestra. Portai con me la lettera e insieme ad essa il dubbio che
Irene potesse leggerla.
Non
mi interessava, gliel'avrei spedita come avevo fatto per le altre.
La
speranza ancora non riusciva ad abbandonarmi.
Era
il 12 dicembre del 2008 quando lo notai per caso, quell’uomo
in
giacca e berretto, alto, scuro e di bell’aspetto. Io non ero
che
una semplice ragazza che sorseggiava silenziosa la sua tazza di
cioccolata calda con le nuove amiche ad un bar per completamente
sconosciuto. Fu un colpo di fulmine a ciel sereno. Chi
l’avrebbe
mai detto che sarebbe stato lo stesso anche per quell’uomo?
La
prima volta che incontrai Ville fu durante una festa, quando mi
strinse la mano in segno di nuova conoscenza. Sentii le gambe tremare.
Da lì iniziò la storia d'amore più
bella, ma anche
quella più difficile.
Ville era un
bell’uomo e non aveva nulla
di strano. Era un poeta: mi circondava di dolci frasi e surreali
pensieri. E quando le nostre labbra s’incontrarono per la
prima
volta, sentimmo che era amore.
Non
lo avrei dimenticato mai, nonostante il male che era riuscito a
farmi.
Una
donna quasi con aria furtiva, si avvicinò alla torre
cercando di non
essere vista. Lo sperava con tutta se stessa. Doveva fare solo una
piccola cosa e poi sarebbe scomparsa così come era arrivata.
Il
cancello era aperto e lei sperò ancora una volta che Ville
non la
vedesse.
Cautamente
si avvicinò alla porta dell'ingresso e sulle scale
adagiò una
lettera. In cuor suo avrebbe tanto voluto vederlo, toccare il suo
volto e strappargli un bacio, ma non l'avrebbe fatto.
Era
tornata ad Helsinki solo per compiere quella missione, poi sarebbe
andava via per sempre. Ville doveva capire.
Lei
lo amava, ma non sarebbe tornata. Così le consigliava la
ragione..ma
il cuore?
Quello
era di tutt'altra opinione.
Bagnò
con le sue lacrime il piccolo tappeto e la lettera e poi
scappò via,
lontana da quella torre, lontana dall'unico uomo che aveva amato in
vita sua.
Non
cercarmi più.
Ti
amo.
Per
sempre, tua Irene.
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