Piaceve, io sono Giovgio

di Adelaide Cris
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Si girò di scatto, convinta di aver sentito il suo nome. In realtà sperava solo che qualcuno in quella folla immensa l’avesse chiamata, ma tutti continuavano a chiacchierare tranquillamente con i propri amici e lei sentiva la sua solitudine crescerle dentro. Il cielo da poco si era coperto di grigie nuvole e a breve sarebbe caduta quella pioggia che adorava tanto, che le bagnava i capelli e il viso, che la depurava dai mali della gente. Decise di tornare a casa, quella manifestazione doveva ancora terminare, ma non le andava proprio di sentire stupidi ragazzi che si volevano mettere in mostra e che non dicevano nulla di concreto in quel chiamato ‘dibattito scolastico’. 
Lo aveva intravisto nella folla, era anche certa che lui l’avesse vista, ma non aveva nessuna intenzione di crearsi complessi mentali sul perché non l’avesse salutata.

Un buono odore si era già diffuso nell’ingresso, e le inondò il naso non appena entrata in cucina. Non ci poteva credere, i suoi occhi stavano già divorando quella pizza appena sfornata. Calda come l’amore di sua madre. Si sedette a tavola, solita routine. Era sola, loro avevano già mangiato perché come solito ‘andavano di fretta e non potevano aspettarla’.   Si vedeva che i suoi genitori l’amavano e facevano di tutto per renderla il più felice possibile (sempre nei limiti a loro concessi), ma a lei non bastava. Lei voleva di più. Ma non solo da loro! Lei pretendeva di più dai suoi compagni di classe, dai professori, perfino dal macellaio (doveva essere più veloce!). Non le andava mai bene niente e questo le creava problemi. Lei voleva di più per (o da?) se stessa.
Lui era stato IL PRIMO. Quando di nascosto le loro labbra si erano posate l’una sull’altra… lei era così imbranata allora!
Sparecchiò velocemente mentre quella che era iniziata come pioggerellina si trasformava in una pioggia fitta. Non c’era molta luce e l’aspetto triste era invitante per iniziare lo studio. Era sola a casa (come sempre). Ma la sua solitudine era diversa, era sola anche con se stessa. Come se la persona che vivesse giorno per giorno la sua esistenza non fosse lei. Come se qualcun’altra di prorompente, speciale, e perché no perfetta, non aspettasse altro che uscire allo scoperto a sradicare la vecchia se. A volte la sua doppia identità aveva momenti di libertà, ma alla gente faceva ridere quel suo ‘non essere se stessa’, ‘essere impazzita’. Loro non capivano che quella che avevano davanti gli occhi sarebbe diventata diversa un giorno, che ce n’era un’altra più nascosta che dormiva ma che era pronta ad esplodere da un momento all’altro come un vulcano che riposa e che poi improvvisamente si sveglia, distruggendo tutto con la sua lava maledettamente incandescente. 
Quella versione di latino non aveva molto senso,  decise allora di mettersi le cuffie e di spegnere lentamente il suo burattinaio (lei burattinaio di se stessa?). A ritmo la sua fantasia iniziò a galoppare verso altri mondi e un senso di nausea la invase. Perché non poteva essere veramente se stessa?
Il pensiero le volò all’anno precedente. Era tutto così diverso. Non le sembrava vero che lui, proprio lui l’avesse stretta tra le sue braccia e l’avesse baciata. Era il classico tipo donnaiolo, ma che non riesci ad odiare. Le aveva dato una grande soddisfazione essere stata sua anche per solo dieci secondi, ma le aveva dato maledettamente fastidio essere stata una delle tante, senza importanza. Senza inizio e senza fine quella serata scivolò via nel dimenticatoio (per lui!). E adesso?  Dopo mesi di completo ignorarsi e varie ed eclatanti esperienze da entrambe le parti (soprattutto nel periodo estivo) ecco che tutto ritorna. Come se niente fosse accaduto: il saluto, i ‘mi piace’, e chissà perché una strana voglia di incontrarlo.
Suonano al citofono. Testimoni di Geova. ‘ No grazie, non ci interessa’.  Sono da invidiare. E’ difficile trovare gente così fedele, e sicura della sua fede. Per lei ora mai la religione era pura e semplice fantasia. Convinta dalla scienza, credeva nel nulla dopo la morte, in un ‘sonno senza sogni’.  La religione è qualcosa che si sono inventati come consolazione alla morte, per rassicurarsi a vicenda sull’esistenza di un paradiso, per essere sicuri di non sprecare le proprie esistenze. SBAGLIATO!  E come se per non studiare qualcuno si convincesse  che il giorno dopo inizino le vacanze, ma non è così, per niente proprio. Religione vista come magra consolazione degli spiriti deboli che non vogliono accettare la realtà. Ai vostri occhi lei potrebbe essere una gran peccatrice.

Haero,is, haesi, haesum, ere. Era certa dell’interrogazione. Un presagio, un qualcosa di angosciante la convinceva che il giorno dopo sarebbe stata interrogata, e che sarebbe andata abbastanza male, soprattutto se continuava a scrivere sul quel computer… scriveva di se stessa, dei problemi che viveva. Parlava in terza persona, come se stesse raccontando di una sua amica o di una sua conoscente. Non voleva avere a che fare con lei, voleva analizzarla come un’estranea e giudicarla, spietatamente. Aveva appena diciassette anni e si sentiva pronta alla morte, pronta a poter affrontare il mondo e a vincere. 




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