Genere: drammatico, sovrannaturale,
romantico
Tipo: one shot
Personaggi: Thomas Anthony Ford, Etrom
Coppia: yaoi
Pairing: EtromXThomas
Rating: PG-17, arancione
Avvertimenti: slice of
life, angst, tematiche delicate, death-fic
PoV: prima persona
Disclaimers: i personaggi
sono frutto della mia fantasia, personaggi ed eventi in questo racconto sono
utilizzati senza scopo di lucro.
Etrom
Non ho mai avuto problemi a svolgere il mio
lavoro. Quella volta esitai.
Sono passati molti anni da quel giorno,
eppure soffro ancora.
Io che dovrei essere insensibile e, soprattutto
imparziale, mi sono lasciato travolgere dai sentimenti.
Significa questo essere innamorati? Vivere e
struggersi nel ricordo di una persona che non c’è più? Che ha lasciato questo
mondo con il volto e l’animo sereno di chi comprende ed accetta il suo destino,
non con rassegnazione, ma con la tranquillità di chi conclude un viaggio?
Il vento mi scompiglia i capelli, ricordo
quel giorno come fosse ora.
Dovevo svolgere il mio incarico, come sempre:
arrivavo e conducevo il soggetto designato via con me.
Lo avevo fatto sempre, per lunghi anni, senza
ripensamenti o intoppi.
Quella volta dovevo portare con me un
ragazzo, il quale non aveva ancora compiuto vent’anni, ma l’età non mi ha mai
condizionato, ho accompagnato con me bambini appena nati e con loro, a volte,
madri molto giovani.
Era una bellissima giornata di sole, nel
parco molte persone trascorrevano in modo diverso quel sabato pomeriggio:
intere famiglie, gruppi di ragazzi che giocavano a pallone, madri che portavano
a spasso i loro bambini, giovani che si allenavano, coppie di innamorati che passeggiavano
tenendosi per mano. Un giorno qualunque, in una città qualunque.
Un ragazzo correva, solo, sulla pista adibita
alla corsa, quando si fermò a prendere fiato. Si tolse gli occhiali dalla
leggera montatura e si passò la maglietta sul viso detergendosi il sudore.
Alto, forse un po’ troppo magro, i capelli corvini
portati un po’ lunghi. Mi avvicinai a lui con passo deciso. Subito si accorse di
me, mi osservò sorridendo.
In quel momento, in un solo istante, compresi
di aver perso me stesso, perduto in quegli occhi neri e profondi, per sempre.
“Ci conosciamo?” mi chiese.
“No.”
Non potevo esitare, dovevo portare a termine
il mio dovere, subito!
Si portò una mano alla fronte piegandosi in
avanti, ed io, istintivamente, lo sostenni.
“Tutto bene?” domandai, sapendo bene che non
era così. Chi meglio di me poteva comprendere?
“Sì, ora passa” mi rassicurò con voce flebile,
ma sicura.
Lo feci sedere sull’erba ed andai a prendere
dell’acqua. Perché stavo facendo tutto ciò? Mi interrogai, ma non seppi subito
darmi una risposta o, forse, non volli.
“Grazie. Da qualche giorno mi vengono degli
improvvisi mal di testa e violenti capogiri. Devo decidermi ad andare dal
medico” spiegò, con la confidenza che si riserva ad un amico di lunga data.
“Come ti chiami?” domandai anche se possedevo
molte informazioni lui.
“Thomas Anthony Ford e
tu?”
Aprii la bocca per rispondere poi la richiusi,
Thomas reclinò il viso di lato in attesa.
“Etrom” mormorai quasi con timore. Nessuno,
fino ad ora, mi aveva mai posto questa domanda.
“Etrom? Che razza di nome è?”
“Un nome come un altro” ribadii ridendo. Quel
giorno non lo portai con me.
Il mattino seguente lo incontrai ancora,
deciso e risoluto a portare a termine il mio incarico, ma non lo feci e nemmeno
il giorno dopo e quello dopo ancora. Continuavo a rimandare, perché?
Più lo conoscevo e più… non sapevo cosa
pensare, cosa fare, come comportarmi. Ero confuso e inquieto.
Passò così un mese nel corso del quale ci incontrammo
quasi tutti i giorni. Thomas era espansivo e dolce, mi raccontava di sé, della
sua famiglia, degli studi e dei progetti futuri.
Io, invece, creavo menzogne su menzogne di un
passato fittizio, di legami mai esistiti.
Ci frequentammo, ci conoscemmo, ci
innamorammo.
Non potevo credere a quello che stava accadendo,
mi sembrava un sogno, ma ero ben conscio che, tutto ciò, non poteva perdurare,
dovevo mettere fine alla nostra relazione; non potevo oppormi a Destino, non
potevo indugiare ancora, non mi sarebbe stato permesso, già troppo spesso ero
venuto meno al mio dovere, qualcun altro avrebbe svolto questa incombenza.
Non potevo permetterlo. Dovevo essere io, io
soltanto a condurlo via.
Quella sera cenammo insieme, a casa di Thomas.
Mi aveva invitato poiché che i suoi genitori erano fuori città per tutto il
fine settimana. Aveva cucinato per me.
Finito di sistemare la cucina, Thomas mi
baciò e mi condusse nella sua stanza al piano superiore.
Lo baciai, rimandando ancora una volta la mia
missione.
Ci amammo quella notte, fino al mattino, ci
fermammo solo quando i nostri sensi ed in nostri corpi furono appagati.
Quella notte conobbi l’essenza della
felicità, dell’amore, della vita.
Sì, mentre i nostri corpi si univano e si fondevano
in un unico essere, un’unica anima ed un’unica mente, sentii la vita palpitare
in me, in lui più forte e luminosa che mai.
Fu un’esperienza nuova, violenta,
travolgente: irripetibile.
Però, più si approssimava l’alba, più sentivo
dilagare dentro di me l’angoscia. Dovevo dirgli la verità, lo avevo ingannato
troppo a lungo. Sapevo che, nel momento stesso in cui gli avessi rivelato la
verità, lo avrei perduto per sempre.
“Thomas, ti devo dire una cosa importante”
iniziai, la mia voce risuonò tremante ed insicura alle mie stesse orecchie.
I suoi occhi neri si fecero attenti e
curiosi.
“Ti ho mentito.”
“Non mi ami?” domandò allarmato. Era questo,
dunque, ciò che temeva di più.
“Sì, più di me stesso, questa è l’unica
verità che ti ho detto, ma è giusto che tu sappia chi sono in realtà.”
“So chi sei” mormorò sorridendo dolcemente,
lasciandomi senza parole, sistemandosi sopra di me.
“Non sai quello che dici” mormorai, eppure
lessi nei suoi occhi scuri che conosceva la verità da molto tempo, forse fin
dal primo giorno.
“Etrom non è il tuo vero nome, tu sei…”
Posai le dita sulle labbra. No! Non ero pronto.
Lo sarei mai stato?
“Non dirlo!” gridai “Non dirlo altrimenti…”
lo ammonii disperato, ma Thomas scostò la mia mano dal suo viso posandola sul
petto all’altezza del cuore che pulsava lento e regolare.
“Morirò” concluse, con una calma ed una
serenità che mi raggelò. Le lacrime mi salirono agli occhi e piansi.
Piansi per la prima volta nella mia lunga e
solitaria esistenza.
Mi asciugò le lacrime con le labbra, infine mi
baciò con dolcezza racchiudendo in quel gesto tutto l’amore che provava per me.
“Sai, sono stato dal medico, due settimane
fa, mi ha diagnosticato un tumore al cervello. Secondo lui è un miracolo che sia
ancora vivo. Non c’è molto da fare, un intervento è impossibile e le cure mi
allungherebbero la vita, ma non di molto, soffrendo…”
Mi scostò i capelli scuri dal viso.
“Facciamo l’amore un’ultima volta.”
Non seppi dirgli no. Così ci unimmo in un
amplesso lungo, travolgente, colmo di passione, tristezza, amore, dolore.
“Sono felice di averti conosciuto” mormorò
accarezzandomi le labbra con le dita.
“Non ho paura di morire, perché sei tu a
condurmi via.”
Scossi la testa, mai incarico fu per me così penoso
ed ingiusto, ma ero già venuto meno ai miei ordini troppo a lungo, dovevo
essere imparziale, ma con lui mi era impossibile.
“Ti amo, Morte…” alitò sulla mia bocca.
Sentii la vita scivolare via dalle sue
membra, la sua anima scorrermi tra le dita come sabbia dorata.
Rimasi ore a piangere con il corpo esanime di
Thomas stretto al petto, ripetendo il suo nome e quanto lo amavo.
Venni rimproverato e punito da Destino per la
mia negligenza, ma non mi importava, se mi avesse condannato all’oblio eterno
ne sarei stato più che felice, ma così non fu.
La mia punizione è questa: continuare a
esistere, ricordare, soffrire… amare.
Solo questo mi resta.
Solo questo per l’eternità.
Ho conosciuto l’amore, l’ho vissuto
intensamente e l’ho perduto.
Ogni anno vengo in questo cimitero, davanti alla
lapide che porta inciso il nome dell’uomo che ho amato ed amo ancora. Il solo.
Thomas A. Ford
15 dicembre 1985 - 15
maggio 2004