Questa
fanfiction s'ispira ad una celebre poesia-insegnamento di un profeta
di nome Kahlil Gibran, dalla quale o tratto anche il titolo della
fanfiction; pertanto tutto ciò scritto in corsivo non è
stato scritto da me, ma dal citato, e né mi appartiene.
Avevo
in mente una cosa praticamente diversa, ma quello che ne è
venuto fuori è ciò che segue. Mi scuso per le mie
prolungate assenze, vogliate perdonarmi.
Spero
sia di vostro gradimento!
Be
Mine
Sul
Matrimonio
Allora
Almitra di nuovo parlò e disse: "Che cos'è il
Matrimonio, maestro ?" E lui rispose dicendo: "Voi
siete nati insieme e insieme starete per sempre. Sarete insieme
quando le bianche ali della morte disperderanno i vostri giorni. E
insieme nella silenziosa memoria di dio..." *
Il tuo ossessivo senso del
giusto e dello sbagliato ti induce a credere di essere sempre nella
ragione: mi chiedo spesso il perchè.
Quando infatti mi hai
domandato se ti avrei mai sposato, avrei voluto tanto sapere quale
per te era la risposta più sensata: si o no.
Naturalmente scelsi quella
sbagliata.
No, non l'avrei mai fatto.
Perchè io sono
realista.
Perchè sono
schietto e duro.
Perchè non ho
aspettative per il futuro.
E, in quel momento,
vederti in lacrime è stato il segnale che mi ha fatto capire
quanto fossi un mostro, quanto la guerra avesse sbriciolato quel
minimo di umanità che la natura mi aveva donato: naturalmente
lo capivo perchè ero innamorato.
*
Il letto era così
vuoto e freddo da provocargli brividi su tutto il corpo, e
soprattutto alle braccia. Si strofinò gli occhi, come un
bambino, passandosi poi entrambe le mani tra i capelli; le ginocchia
al petto e i gomiti su di esse, il viso rivolto alle cosce coperte
dal lenzuolo di cotone, nonostante fosse dicembre inoltrato.
Il freddo divorava tutta
la stanza, e lo stesso fuoco del camino soffriva e stentava a
mantenersi in vita.
Tra poco
sarebbe morto.
Gli ultimi carboni ardenti
emettevano un fumo grigio sottile e inodore, il quale saliva piano
lungo la canna fumaria.
Il rumore dell'acqua che
schioppava al suolo feriva l'udito tanto era forte, ed ogni tanto
grosse gocce penetravano dalla canna stessa.
Ordinava al suo corpo di
muoversi e scendere da quel letto, ma la prospettiva di ciò
che poteva aspettarlo in altre stanze di quell' abitazione lo metteva
tremendamente in agitazione.
O meglio, di
ciò che poteva anche non aspettarlo.
Nulla è
necessità assoluta, quando si è convinti che non lo
sia.
Così Edward avrebbe
potuto benissimo allontanarsi da lui, se avesse voluto: ciò
avrebbe significato perderlo per sempre, naturalmente.
Perchè dipendere
l'uno dall'altro è la cosa più negativa che in questo
mondo possa accadere.
Pensava ciò, ma non
sapeva chi tra Edward ed egli stesso dipendesse di più l'uno
dall'altro.
Per un attimo si abbandonò
a questo pensiero, riflettendo sulla sua vita e su come sarebbe stata
senza avere quel piccolo raggio di sole ad illuminarla.
Immaginò un
bicchiere di scotch del ‘76 e una bettola in periferia; puttane
un po’ dappertutto e puzza di piscio, benché non ci
fossero cessi lì intorno. Si sarebbe mosso un po’,
portando il capo al petto, accorgendosi del fetore di vomito che
l'appestava.
Probabilmente dopo sarebbe
andato via con una di quelle donne e avrebbe provato a farsela...
provato, perchè con molta probabilità sarebbe crollato
dopo cinque minuti a causa dell'alcool: e così, la mattina
dopo si sarebbe ritrovato nudo, senza vestiti né portafoglio,
costretto a chiamare qualcuno al quartier generale inventando chissà
quale stratosferica bugia...
Almeno quelle, sapeva
dirle bene.
A quale scopo poi
continuare a lottare per un sogno che non puoi condividere con
nessuno?
Perchè combattere
per un mondo che ti rifiuta a tal punto?
Perchè cercare di
essere migliori?
Solo e triste, senza
ambizioni, senza motivazioni: per cosa vivere?
E per cosa morire
d'altronde?
Tutto è così
orrendamente squallido quando nessuno conta per te e tu non conti per
nessuno!
Aspettò
che il cuore si fermasse un poco, che tutte le funzioni del suo corpo
ritornassero normali, poi scese dal letto e si rivestì: gli
abiti erano ancora sul pavimento.
*
La cucina era ancora una
volta divenuta il suo rifugio: forse per questo sentiva suo il ruolo
di donna più di quanto lo fosse in realtà.
Per niente lo era, tranne
che per quel minuscolo particolare: preferiva gli uomini.
All'inizio solo Roy, poi
si cresce e ci si guarda un po’ intorno, ovviamente... ma il
suo colonnello era l'unico ad averlo avuto davvero.
Iniziava a pensare che ciò
non fosse stato un bene totale.
Si era alzato alle cinque
-minuto più minuto meno- e aveva preparato la colazione.
Tutto come se nulla fosse
successo, sebbene la delusione che provava e la luce smorta nei suoi
occhi tradissero le apparenze: il taisa questa volta gli aveva fatto
molto male.
In fondo, anche se solo
per illuderlo, per dargli una speranza,
AVREBBE POTUTO DIRGLI DI
SI.
Ma di certo Roy Mustang
non era un uomo accondiscendente: non ne voleva sapere di legami
stretti, anche se con lui forse un pochino si era lasciato andare.
Quella mattina sarebbe
volentieri corso via da quella casa; l'orgoglio però gli e lo
impediva: quella era casa sua, o meglio, era casa loro.
S'immaginava il suo futuro
senza certezze e soprattutto senza nessuno da amare, perchè
era questo che la vita gli prometteva senza Roy Mustang al suo
fianco: un lungo periodo di stasi e indifferenza, un'agonia continua
e ripetuta; vedere suo fratello sposato con una bella donna e dei
bambini felici che giocano nel verde prato della loro casa in
campagna. E Winry! Lei accompagnata da Alphonse sull'altare, dove il
suo grande amore l'aspetta estasiato.
E tra le fantasticherie,
sua madre che l'osserva con occhi severi rimproverandolo:
"Cos'hai fatto
Edward?!"
Non l'aveva mai fatto.
Non l'aveva mai guardato
così.
Sentì un rumore
provenire dalla zona notte: un cigolio, una porta che si schiude.
Dei passi iniziarono a
causare piccole scosse sul pavimento abbastanza percepibili: pregava
dio affinché stesse solo immaginandoseli.
Ma non era così.
Roy, ritto di fronte a
lui, lo guardava con aria perplessa: il suo pigiama di tre taglie più
grande, che poco prima aveva visto riverso sul pavimento, lasciava
scoperto il collo, e quei tre bottoncini blu come la fantasia a rombi
mostravano quanto bianca fosse la pelle del torace.
Già lo sapeva,
però.
I suoi occhi erano
concentrati sul toast ricoperto di marmellata alle more che mangiava;
già erano pieni di lacrime...la sua arte del far soffrire il
prossimo era ampiamente riconosciuta ormai, come quella di regalare
le più vive e vere emozioni.
E la felicità.
Roy era una persona
ambigua: era la sua più atroce sofferenza e l'unica ragione di
vita.
Ma adesso non poteva
guardarlo negli occhi, perché altrimenti migliaia di lacrime
sarebbero cascate giù, e non voleva questo. Assolutamente no.
Arresosi all'evidenza che
quella mattina non meritava nemmeno un'occhiata fuggiva, si avvicinò
al frigo e prese la bottiglia col latte; poi ancora aprì un
mobile e prese dei biscotti.
Poggiò tutto sulla
tavola e si sedette di fronte a lui: nulla era diverso dalle altre
mattine, tutto era imbandito a perfezione.
Latte e biscotti per lui;
un toast e del succo per Ed: molto era diverso fra loro, a partire
dai loro gusti circa il cibo; c'era sempre stato un qualcosa a
ricordargli quanto fossero opposti e per questo distanti nel
contempo.
Come la luna e il mare
separati dal destino: così diversi, tanto da amarsi fino alla
follia, perchè l'uno rappresenta una parte inscindibile
dell'altro.
Ma né luna, né
mare possono mai incontrarsi, perchè distanti.
Sarebbero mai stati
felici, allora?
*
"...Ma
vi sia spazio nella vostra unione, E tra voi danzino i venti dei
cieli. Amatevi l'un l'altro, ma non fatene una prigione d'amore:
Piuttosto vi sia un moto di mare tra le sponde delle vostre
anime. Riempitevi l'un l'altro le coppe, ma non bevete da
un'unica coppa. Datevi sostentamento reciproco, ma non mangiate
dello stesso pane. Cantate e danzate insieme e state allegri, ma
ognuno di voi sia solo, Come sole sono le corde del liuto, benché
vibrino della stessa musica. Donatevi il cuore, ma l'uno non sia
di rifugio all'altro, Poiché solo la mano della vita può
contenere i vostri cuori. E siate uniti, ma non troppo vicini;
Le colonne del tempio si ergono distanti, E la quercia e il
cipresso non crescono l'una all'ombra dell'altro."
*
-Edward...-
Edward alzò lo
sguardo, e un lacrimone non poté far altro che scender giù
pesantemente.
Roy continuò a
guardarlo fisso, poi vista l'umidità del suo viso, volse lo
sguardo alla sua sinistra.
-Pensavo... non è
che tu... vorresti... sposarmi?-
Sgranò gli occhi.
Ed lasciò cadere la
fetta di pane abbrustolita sul pavimento e gli corse in grembo,
stringendo forte il tessuto morbido del pigiama tra le dita e
poggiando il capo sul suo collo.
E pianse sorridendo,
mentre Roy lo stringeva forte a sé.
Perchè anche se per
un istante, anche se per finta, senza un motivo vero e proprio...
ANCHE SE PER ILLUDERLO,
aveva proposto di amarlo per sempre.
E questo era ciò
che contava.
Sarebbero stati insieme
per sempre.
---FINE---
Le
note mi sembravano d'obbligo: naturalmente nella società
descritta dalla Harakawa è impensabile un matrimonio tra due
uomini, o almeno risulta una cosa scandalosa.
E'
una cosa impensabile (sempre per la società descritta, etc,
etc), e per questo, sotto certi punti di vista, tragica: non poter
coronare completamente il proprio sogno d'amore, intendo.
Spero
che con questa ff io abbia chiarito il mio punto di vista: ossia, che
ci può essere di più di tutto ciò; per me il
matrimonio è la morte dell'amore, perchè si cade nella
monotonia.
Ho
voluto vedere il futuro successivo all'avvenimento narrato come
un'eterna luna di miele...ma ciò non toglie che non ci si
possa stufare pure di quella!
Confido
in una amore che possa spezzare ogni forma di routine, e che quello
tra Ed e Roy sia uno dei tanti.
C'è
ancora chi crede nell'amore eterno?
LOL
Be
Mine
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