The stranger.
17 marzo 1975;
Seattle Center
Coliseum, Seattle.
- It's been a
long time since
I rock and rolled, it's been a long time since I did the Stroll!
Folla.
Una folla immensa
al loro cospetto. Seattle bruciava dietro la voce e le parole di
Robert, Jimmy
dietro di lui misurava il palco saltando e correndo, mentre Jonesy e
Bonzo
trascinavano tutti nel loro ritmo incalzante fino a portarli
all’apice
dell’adrenalina.
Robert
continuava a
cantare e nel frattempo con lo sguardo fotografava ogni singola
espressione dei
volti che componevano il grande pubblico di fronte a lui. Canzone dopo
canzone
sentiva l’eccitazione montargli addosso fino a bruciargli il
petto nudo,
iniziando così a sudare.
Non
era nemmeno iniziata The Rain Song
che ebbe un sentore, un
allarme; c’era qualcosa, o qualcuno, di maledettamente
familiare nel pubblico.
I
suoi occhi presero a
scrutare felini tra la gente fino a quando non si soffermarono alla
loro
destra, dove una nuvola di fumo si alzava leggera
all’estremità delle prime
file.
Lo vide.
Lo
fissava con interesse, quasi stesse analizzando la sua performance, con
una
canna tra le labbra e gli occhi turchesi stretti in uno sguardo
concentrato.
“Non posso crederci, che cazzo ci fa qui?”
pensò continuando a
cantare, anche se la sua voce era diventata improvvisamente nervosa,
tesa.
Sentì gli occhi di Jimmy sulla propria nuca, poteva quasi
vedere il suo sguardo
turbato nonostante gli desse le spalle. Cercò di darsi una
calmata,
concentrandosi sulle parole e lasciandosi rubare dal ritmo.
Il
concerto andò avanti e
si concluse tranquillamente; Robert aveva dato ogni fibra di
sé anche quella
sera, nonostante lui lo fissasse
come
se fosse una specie di leopardo che punta la preda. Non lo aveva
imbarazzato,
anzi. Effettivamente, esso stesso non riusciva a ritenersi una persona
timida.
Guardò un’ultima volta verso la platea, ma
quegl’occhi azzurri erano già scomparsi,
chissà dove.
Si erano incontrati per caso. Lui,
biondo e magro, era
ancora un roadie preciso e amante della chitarra. Se ne stava
silenzioso a
guardare e ad accompagnare quattro giovani di Cambridge, come lui,
immersi
anima e corpo nella scena psichedelica degli ultimi anni sessanta.
Robert, invece, era riuscito ad
infilarsi nel
backstage per godersi lo spettacolo da più vicino. Non che
ammiccasse a quella
psichedelia, che invece sembrava infuocare gli occhi neri del bel
giovane che
cantava sul palco, ma quei testi lo affascinavano e lo spingevano a
godere da
ascoltatore di quella musica così
“celeste”.
“Hey, che ci fai qui?
Nessuno può entrare nel
backstage!”
Plant si voltò verso il
roadie con sguardo innocente.
“Ce l’hai con
me?” chiese indicandosi il petto.
Il giovane dai capelli color grano
gli si avvicinò;
Robert credeva lo avrebbe cacciato fuori a pedate. Non che fosse
più alto di
lui, ma di certo era un po’ più robusto e
abbastanza forte da prenderlo a calci
in culo. Non sapendo che fare, sfoderò un sorriso
ammiccante. Magari gli andava
bene. Quando gli fu vicino, vide che il ragazzo non era per niente
arrabbiato;
anzi sembrava che lo stesse supplicando con lo sguardo.
“Ti prego, non mettermi
nei guai. Se vuoi stare qui
non fare casino, altrimenti ci cacciano entrambi a calci nel
sedere!”.
Robert sorrise trionfante. Gli era
andata meglio di
quanto avesse previsto.
“Fidati di me!”
disse, dando una generosa pacca sulla
spalla dell’altro, che nel frattempo aveva tirato fuori un
pacchetto di
sigarette.
“Vuoi?”
“Grazie!”
esclamò Robert, afferrando una sigaretta dal
pacchetto del ragazzo. “Lavori da molto con loro?”.
“Sì!”
rispose il roadie buttando fuori la prima nuvola
di fumo: “Io e Syd abbiamo anche frequentato la stessa scuola
… è il cantante!”
precisò, notando lo sguardo interrogativo
dell’altro.
“Ha talento!”
disse Plant sincero.
“Già!”
confermò l’altro abbassando lo sguardo per
fissarsi le scarpe.
Robert non se lo fece scappare.
“E tu? Cosa sai
fare?”
“Suono la chitarra. Sia
classica che elettrica. Da quando
ho lasciato la scuola, è diventata il mio pane quotidiano.
Sono andato anche a
Parigi, vivendo come artista di strada. Lo stesso ha fatto
Syd.”
A bocca spalancata, Robert fissava
ammaliato il
ragazzo.
“Parigi?”
“Sì”
confermò l’altro: “È
meravigliosa! Tu invece che
fai? Oltre a imbucarti ai concerti, ovviamente!”
“Canto e sono determinato
a farmi sentire fino alla
fine del mondo.”
“Ambizioso!”
“Tanto. Tu non lo
sei?”
“Io sono un
sognatore.” disse il roadie sorridendo
dolcemente. “Oh, cazzo, hanno finito! Credo sia meglio che tu
vada via!”
“Perché?”
“Oh, ti prego!”
insistette il biondo, iniziando a
spingere Robert verso l’uscita del backstage. Ci
riuscì, aprì la porta che dava
sul parcheggio e uscì fuori tirando l’altro con
sé.
“Scusami, ma dovevo
farlo, altrimenti mi cacciano. Ora
devo tornare!”
“Aspetta!”
Robert lo afferrò per un
braccio, lui gli rivolse uno
sguardo confuso.
“Come ti
chiami?”
“David.”
“Oh!”
sussurrò Plant avvicinandosi “Grazie per avermi
fatto vedere il concerto, Dave!” e così dicendo,
gli diede un bacio a stampo
sulle labbra carnose. Si allontanò correndo, la chioma
riccia che ondeggiava
nell’aria notturna.
“E tu? Come ti
chiami?”
Arrestò la corsa.
“Robert Plant!”
urlò, ormai lontano di qualche metro: “E,
vedrai, un giorno sentirò parlare di te!”
“E io di te!”
Robert sorrise fiero e riprese a
correre, mentre David
rientrava nel backstage.
“Ho sentito dire che
pubblicherete a Settembre!”
“Esatto!”
Robert
si bloccò nel
corridoio che portava al backstage.
“Cristo, è qui!”
“E
come si chiamerà l’album?”
stava chiedendo Jimmy, la voce gracchiante di chi ha la gola secca.
“Veramente
abbiamo solo
qualche canzone, non so se si possa ancora parlare di album. Comunque
abbiamo
un pezzo che potrebbe funzionare anche come titolo per
l’album, Wish You Were Here.”
“Hmm, bel titolo!”
Sì,
era David, e a Robert
non era sfuggita la nota amara che aveva attraversato la voce del
chitarrista
nel dire quel titolo. La storia dei Pink Floyd non era un mistero per
nessuno,
ormai, quindi poteva comprenderne le ragioni. Prese fiato e si decise
ad entrare nel backstage.
Lì,
tra groupies,
organizzatori e roadies, ritrovò i suoi compari, tra cui
Jimmy che parlava tranquillamente
con Dave, seduti su un divanetto davanti a parecchie birre gelate.
“Salve,
Dave.”
David
alzò lo sguardo
verso Robert, il quale gli rispose con un sorriso venato di malizia,
come lo
era stato il suo saluto. Il chitarrista sorrise dolcemente da dietro la
folta
barba che gli ricopriva guance e mento, si alzò e gli porse
la mano. Il
cantante la strinse con forza e decisione, spazzando via ogni traccia
d’incertezza
che aveva caratterizzato il loro incontro di qualche anno prima. Nel
frattempo,
Jimmy osservava la scena in silenzio mentre Bonzo afferrava una birra
dietro l’altra
e Jonesy andava a parlare con Peter che si trovava dall’altra
parte della
stanza. Page non aveva più fiatato, semplicemente aveva
piantato le sue iridi
verdi nel volto di Plant per capire da dove saltasse fuori quella
malizia e confidenza
rivolta a David.
“Sai,
Jimmy. Io e Dave ci
siamo conosciuti quando ancora eravamo degli sconosciuti”
annunciò Robert
passando un braccio attorno le spalle di Gilmour. Aveva notato la
faccia
interrogativa e leggermente contrariata di Jimmy e di certo non si
sarebbe
fatto sfuggire l’occasione di stuzzicare entrambi i
chitarristi. “Lui era il
roadie dei primi Floyd, mentre io ero un ragazzetto innocente, in cerca
di
fortuna, che s’imbucava ai concerti.”
Il
cantante concluse il
racconto rivolgendo una risata radiosa a David, il quale si
grattò la testa
imbarazzato, lo sguardo di uno che sta cercando una scusa per poter
scappare
via dalle grinfie di una persona appiccicosa.
“Ma
che incontro
fortunato!” esclamò Jimmy con una punta di
sarcasmo, afferrando una birra e
innalzandola alla loro salute. Robert ne afferrò due in
fretta, ne porse una a
David e i tre brindarono alla musica.
“Beh,
io dovrei andare a
fare una telefonata. C’è un telefono da queste
parti?” chiese David dopo aver
svuotato la sua bottiglia.
“Nel
corridoio che porta
ai camerini” disse Jimmy indicando l’uscita che si
trovava di fronte a quella
che portava al palco. Così, si congedò con i due,
si alzò e si diresse verso le
groupies, sedendosi in mezzo a loro, mentre David lasciava Robert
dirigendosi
verso il corridoio.
Ritrovandosi
da solo,
Robert ebbe il tempo di realizzare il fatto che David fosse davvero
lì.
Improvvisamente gli ritornò alla mente quel bacio innocente
che aveva lasciato
su quelle labbra pochi anni prima. Gli sembrò quasi di
poterne sentire il
profumo di sigaretta e la morbidezza di rosa. Si guardò
intorno: Jimmy era come
se non ci fosse, immerso tra le grazie delle ragazze, Bonzo era
incollato alle
birre e Jonesy parlava ancora con Peter. Decise di parlare con lui.
“Hey
John, se mi cercate,
sappiate che sono andato a cambiarmi.”
“Oh,
ok Robert!” gli rispose
Jonesy, prima di tornare a parlare con Peter.
Robert
si avviò verso l’uscita
e, prima di lasciare la stanza, diede l’ultima occhiata a
Jimmy, il quale lo
stava fissando con uno sguardo vuoto, freddo, per poi girargli
definitivamente
le spalle.
Plant
sospirò, poi si
buttò nel corridoio alla ricerca di David. Lo
trovò dopo aver girato l’angolo
che portava ai camerini, poggiato al muro che parlava al telefono a
bassa voce.
Si avviò verso di lui, il quale lo guardò con
sguardo
acceso, poi gli fece un cenno di
saluto e lo superò. Quando gli fu alle spalle,
notò che il suo petto, per un attimo, si era allargato e sollevato in un sospiro di sollievo. Era teso, e la cosa piacque
particolarmente al cantante, che si mordicchiò le labbra con
gusto, prima di avvicinarsi
alla schiena di David.
“Sì
Ginger, tesoro. Domani
torno in Europa.” stava sussurrando alla cornetta con
dolcezza, prima di
sussultare silenziosamente appena avvertì la presenza di
Plant alle proprie
spalle e il suo naso esploragli il collo.
“Non è nemmeno
iniziato il tour e già mi manchi, amore
mio!”
“A-anche
tu, cara.” rispose
David, mentre Robert aveva preso a baciargli dolcemente la mascella.
“Amore mio, non ti
stresserà troppo tutto questo
lavoro?”
“Chi?”
sussurrò con
trasporto, mentre una mano di Plant scivolava pericolosamente lungo il
suo
basso ventre e avvicinando le labbra andava a sussurrargli
nell’orecchio libero:
“Mmmh, tesoro torna
a casa!”
“Come chi Dave? Mi
senti?”
“S-si,
ti sento.” provò a
dire mentre la mano di Robert ormai si stringeva spudorata contro il
rigonfiamento del suo cavallo. “S-sto bene, niente
stress” aggiunse, mentre
prese a guardare disperatamente il corridoio pregando che
improvvisamente non
arrivasse qualcuno.
“Lo spero tesoro, anche
perché abbiamo i preparativi
per il matrimonio.”
“S-si,
il ma-matrimonio.” balbettò,
la mano che ormai si muoveva avida tra le sue gambe.
“Riattacca!”
ordinò Robert
sussurrando all’orecchio di Dave, il quale annuì
come in trance.
“Chiamami prima di
partire.”
“S-si.
Tranquilla. Ora
devo andare.”
Ginger
non fece nemmeno in
tempo a salutarlo con un “ti amo”, che David aveva
riposto il telefono con
violenza, girandosi di scatto contro Robert, il quale rise trionfante.
“Che
cazzo ti passa per la
testa, Plant?” disse infervorato, rosso di rabbia ed
eccitazione, mentre
inchiodava il cantante contro il muro.
“Beh,
non mi è sembrato ti
dispiacesse, Gilmour!” rispose provocante, mentre con le mani
insisteva a
volergli accarezzare il sedere. David, mani al muro e volto a pochi
centimetri
da quello di Robert, combatteva tra la sua voglia di fiondarsi affamato
sul
quel corpo fremente sotto il suo e il senso del pudore. Chiuse gli
occhi, come
un assetato che finalmente ha trovato l’acqua e ne gode a
ogni sorso, cedendo
ai tocchi esperti di Plant che ormai gli metteva le mani ovunque. Li
riaprì e
con uno scatto incollò il suo corpo infuocato contro quello
dell’altro,
premendo le proprie labbra contro quelle del cantante e
schiudendogliele senza
tante cerimonie. S’insinuò con la sua lingua nella
bocca dell’altro,
assaggiandone il sapore, dando inizio a una danza affamata fatta di
tocchi,
morsi, scontri.
“Ti
facevo più timido,
Dave!”
“Mi
fai salire il sangue
al cervello quando mi chiami così” rispose, prima
di zittirlo nuovamente con
altri baci.
Robert
sentiva l’eccitazione
crescere momento dopo momento. Spostò le labbra contro il
collo del
chitarrista, leccandone ogni singolo centimetro di pelle.
“Te
lo dissi che avrei sentito parlare di te!” gli
soffiò a pochi centimetri dal
suo pomo d’Adamo, prima di mordicchiarglielo con gentilezza.
“Anche
io ho sentito parlare di te, Plant” rise David, facendo
scivolare una mano tra
i capelli di Robert, mentre l’altra andava a posarsi lieve
sulla sua erezione
ancora fasciata nei pantaloni a zampa d’elefante:
“Ma non solo come cantante!”
Robert
si bloccò e guardò interrogativo Dave che invece
gli sorrise beffardo prima di
stringere con forza la propria mano sul rigonfiamento crescente
dell’altro, che
strizzò gli occhi e spalancò la bocca in cerca
d’aria.
“Chissà
se sono vere queste voci.” sussurrò malizioso.
“Vuoi
provare, Gilmour?”
Angolo della demente:
Salve.
^^’
Ora
vi chiederete, chi è sta deficiente che prima scrive boiate,
le pubblica e poi
se ne vergogna?
Io!
*sventola la manina*
Lo
so, non sono normale. Però sì, una spiegazione su
come e da dove sia nata
questa cagata, la meritate.
Bene
il “come” è questo: sono fan sia dei Led
che dei Floyd (ma va?).
Il
problema è il “dove”: non so in quanti
di voi conoscano la leggenda attorno a
questa foto:
In
molti hanno sempre sostenuto che fosse una foto che ritraeva, appunto,
David,
Paul e signora al concerto dei Led Zeppelin. Da qui è nata
l’idea malsana di
questa storia.
Poi,
mi sono informata meglio riguardo la foto, che è stata
scattata il 21 agosto
del 1976.
Beh,
il 1976 vi dice nulla?
Ecco,
in realtà David, Paul e Linda stavano assistendo a
un’esibizione dei Rolling
Stones al Knebworth Fair, una specie di Woodstock che aveva luogo nel
Regno
Unito.
Però,
da sempre, la leggenda vuole che in realtà il trio si stesse
godendo i Led
invece che gli Stones. Inoltre, vi sono in giro per il web svariate
foto
recenti che ritraggono David e Robert insieme.
Quindi
mi sono detta, perché non fantasticare?
Chiedo
davvero tanto, tanto perdono per questa boiata. Spero solo che vi abbia
lasciato un sorriso sul viso, tutto qui. ^^
Addio!
:D
Franny.
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