La ragazza di carta

di The queen of darkness
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C’era una volta una ragazza di carta.
I suoi occhi non avevano anima, erano solo biglie di vetro. Lei era convinta che la verità si vedesse nelle iridi, ma non nelle sue.
Un giorno prese una bara, vi rinchiuse dentro i suoi sogni, i suoi sorrisi, le sue risate e sigillò il coperchio con un lucchetto. Ingoiò la chiave e la spedì in fondo nella sua anima, tanto di spazio ne era rimasto fin troppo.
Quando provava a mettersi una mano nella gola per recuperarla, le ossa si chiudevano attorno a lei, i denti si facevano aguzzi. Era così che giustificava i nastri rossastri che le stringevano i polsi.
Cominciò ad esorcizzare i suoi demoni su fogli e fogli bagnati di inchiostro, sempre.
Poi, si ruppe in mezzo alla strada.
Passò qualcuno, e ne gettò via i pezzi. Essi caddero su un campo fresco fresco di sepolture, e si attaccarono voracemente ai cadaveri delle altre innocenze, ma non riuscirono ad attecchire.
Non ne sbocciò nulla, nemmeno una lapide.
A nessuno era mai importato che fine facesse, sia integra che divisa in parti neanche lontamente uguali, così rimase a soffrire in silenzio, come sempre.
Alla fine, decise di alzarsi, di rimettersi in piedi. Rompersi davanti a tutti non aveva funzionato, non succedeva mai che qualcuno si fermasse a rimettere insieme una ragazza di carta.
Quindi vomitò fuori il piccolo strumento per aprire la serratura minuscola, lo ripulì dal catrame che aveva per sbaglio ingoiato quand’era sull’asfalto e lo inserì nel feretro.
Tirò fuori i sogni, le speranze e i sorrisi, regalandoli a tutti. Quando li finì, la porpora era molto più vuota e fredda non quanto non lo fosse stata prima di metterci sopra qualcosa.
Prese un profondo respiro, e scavò una buca nel terreno, lontano dai passanti che l’avevano solo spostata da un’altra parte. Era una tana piccola, però sarebbe bastata, perché di lei rimaneva molto poco.
Si assicurò di aver tolto tutto e, in un balzo, si rinchiuse nella bara.
E fu allora che si spezzò per davvero.  




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