Capitolo 1: Il giorno prima
Verena era una ragazza che sfuggiva a qualsiasi clichè, ma
in una definizione la si poteva di sicuro inquadrare: era una che si faceva gli
affari suoi. A causa del mestiere del padre, era stata costretta a spostarsi
continuamente e quindi non aveva amici. Le occasioni per averne, a dire il
vero, non erano mancate perchè era anche una ragazza piuttosto bella, anche se
in una maniera un po’ gotica. A sue spese aveva però scoperto che la
combinazione di carattere riservato + bella faccia + nessuna amicizia era
altamente esplosiva nell’ambiente scolastico: le frequentatrici autoctone della
scuola non amavano l’intromissione di qualche sconosciuta dal fascino tenebroso
nella loro riserva di caccia e spesso la snobbavano. A volte diventavano sin crudeli senza nemmeno sapere perché…
Verena lo sapeva, invece, e quindi stava molto attenta a chi
dava confidenza. Lì al liceo Montessori, per esempio, non ne aveva data ancora
a nessuno. Non che la cosa le dispiacesse: stava piuttosto bene con se stessa,
studiare le piaceva e a casa aveva la sua chitarra e il suo computer. A che
diavolo le potevano servire oche starnazzanti o ragazzi tentacolari? A niente
di niente.
Era quindi a tutt’altre cose che stava pensando mentre
camminava lungo il corridoio del primo piano gremito di gente. Mentre passava
alcuni sguardi si giravano ancora a fissarla: d’altronde, come già detto,
Verena si faceva guardare. Era mediamente alta, sottile come un giunco, con
lunghi capelli neri, lisci e lucidi; aveva un bel viso dal mento a punta e
occhi a mandorla, scuri e decisi; quel giorno aveva deciso di infagottarsi in
una giacca militare della U.S. Navy e portava grossi scarponi da montagna abbinati
a una vezzosa cloche parigina e a una pashmina di seta indiana coloratissima.
L’effetto era vagamente inquietante, come vedere un sergente maggiore col tutù.
A Verena piacevano quegli abbinamenti: la classica divisa All Star/jeans a vita
bassa/magliettina Guru/cinturina borchiata simil-emo-punk, proprio non faceva
per lei! Le ragazze intorno la guardavano con diffidenza, chiedendosi se quella
tizia stramba fosse una potenziale superfiga o una potenziale sfigata
psicolabile. Verena stava ricambiando gli sguardi sgranando l’occhio a palla
per far propendere l’opinione generale verso la sfigata psicolabile quando la
sua attenzione venne catturata da due persone davanti alla finestra: un tizio
alto e belluino modello guardaroba quattro stagioni era chinato in maniera poco
amichevole su una figura snella e aggraziata di cui copriva quasi completamente
la visuale.
“Eddai, cocchino!” stava gorgogliando con evidente
spacconeria il tizio modello armadio “Dimmi dove l’hai messo!”
Strattonò il compagno e Verena finalmente ne vide la faccia:
era un ragazzo dal viso angelico sorprendentemente bello anche se, in quel
momento, irritato e spaventato.
“Ti dico che l’ho perso!” rispose il ragazzo con una voce
sottile e coraggiosa e Verena, suo malgrado, si trovò a studiare la scena con
maggiore attenzione.
Riconobbe nel tizio modello armadio un suo compagno di
classe, tale Scaturro Pasquale dalla faccia bovina e dall’intelletto circa lì.
L’altro ragazzo, invece, aveva in mano un bicchiere di carta il cui contenuto
era finito sul davanti della camicia, evidentemente
a opera di quel gentiluomo di Scaturro. Verena realizzò che aveva
incrociato quel tizio in mensa un paio di volte… impossibile non notarlo. Primo
perché era davvero bello, con i lineamenti minuti dei putti preraffaelliti e il
corpicino sdutto da ballerino di samba; secondo perché si conciava come un
cartone animato giapponese, coi fini capelli biondissimi sparati in tutte le
direzioni come se li avesse pettinati con i petardi, gli occhi evidentemente
truccati e con addosso striminzite camicine dagli improbabili colori pastello;
terzo perché camminava col naso per aria con una tale convinzione di essere
magnificamente osservato che era impossibile non guardarlo e condividere la sua
opinione.
A Verena era risultato subito vagamente simpatico. Certo,
odorava di checca lontano un chilometro (infatti nessuno, né maschio né
femmina, osava avvicinarsi per paura di rimanere contaminato) e dava l’idea di
avere un ego grande come l’Oceano Pacifico; però sorrideva sempre, aveva due
enormi occhi azzurri del colore del cielo in primavera e nonostante l’aria così
bizzarra da rasentare il ridicolo, la sua porca figura la faceva.
Ovviamente, non le era nemmeno passato per la testa l’idea
di rivolgergli la parola. Un eccentrico solitario è figo: due eccentrici
insieme sono l’inizio del carnevale di Rio e no, grazie, Verena Bassi non
gradiva nessun carnevale, al momento.
“Non mi fare incazzare, Cenerella” borbottò pazientemente
Scaturro, scrollando leggermente il biondino come se fosse una bambola di pezza
“O ti do una sberla che ti faccio diventare verde lo smalto delle unghie.”
Il biondino si arrabbiò: forse per l’idea dello smalto
verde, pensò remotamente Verena rallentando suo malgrado l’andatura.
“Non chiamarmi Cenerella!” strillò il ragazzo con un
convincente acuto da mezzo soprano: aveva una leggera erre rotolante per niente
fastidiosa, anzi piuttosto simpatica.
“Oh oh oh, la fanciulla si è offesa!” gorgogliò Scaturro
strapazzandolo ancora un po’ “Credi che non l’abbiano capito tutti che ti
piacciono i maschi, frocetto?”
I piedi di Verena si mossero da soli anche senza l’impulso
generato dal cervello che in quel momento era molto occupato a gestire
l’incandescente ondata di rabbia che quello sprezzante “frocetto” aveva
scatenato. Si diresse decisa verso il duo, con molta grazia e velocità tolse il
biondino dalle mani dell’armadio e gli mollò un manrovescio non troppo gentile.
Al biondino, non all’armadio: la cosa sorprese tutti,
persino lei stessa. Ancora il suo cervello non aveva elaborato del tutto la
tattica, ma c’era di sicuro una valida motivazione, pensò fiduciosa. Intanto il
biondino si era portato una mano alla guancia offesa e le aveva sgranato in
faccia due liquidi occhioni stupefatti.
“Ahio?” disse incerto, evidentemente tramortito dalla
sorpresa.
“Perché non mi hai chiamato?” tuonò con voce decisa Verena
piazzandosi bellicosa i pugni sui fianchi.
D’un tratto aveva capito dove la sua mente bacata stava
andando a parare: l’aveva visto fare in un film, l’aveva trovato piuttosto
efficace e ora lo stava applicando con una certa sicurezza, convinta che
l’armadio sciovinista e fallocrate non avesse guardato “La rivincita delle
bionde” per poter intuire la scopiazzatura.
“Eh?” domandò il biondino con un filo di voce, se possibile
ancora più stupito: forse non l’aveva visto nemmeno lui, quel film.
“Perché non mi hai chiamato” ripeté Verena con un ringhio
“Mi fai una corte spietata finché non cado tra le tua braccia, mi fai passare
una notte rovente col migliore sesso sfrenato dell’universo e alla fine non ti
degni nemmeno di sprecare dieci secondi del tuo tempo per chiamarmi?”
“Eh?” ripeté con un filo di voce il biondino: stavolta aveva
lo sguardo vagamente perso e allarmato, come se stesse valutando l’idea di
essere finito dalla padella di Scaturro alla brace di questa malata di mente
con cappello a preservativo e scarponi da minatore.
“Che cazzo stai blaterando Bassi?” si intromise in quel
momento la voce di Scaturro, doverosamente sorpresa e incazzata.
Verena lo degnò di uno sguardo di striscio come se a
malapena si accorgesse di trovarlo lì: in realtà stava cominciando a sudare
freddo e l’idea di scopiazzare la performance di Reese Witherspoon non le
sembrò più così brillante.
“Allora?” continuò tornando a guardare il biondino e
cercando di trasmettere complicità dallo sguardo: non le uscì molto bene,
probabilmente, perché il ragazzo sembrò ancora più sospettoso e allarmato.
“Ehm…” balbettò retrocedendo di un passo “Io, ah… scusa ma
non ho capito…”
“L’ho capito io, invece” ruggì Scaturro con evidente offesa
nella voce “Miss Mondo qui si crede tanto furba!”
Le lanciò un’occhiata malevola e Verena si ricordò d’un tratto
che Scaturro era uno di quelli a cui aveva dato il benservito, nei primi giorni
di assalto mediatico. Merda secca, pensò accorata senza che un solo ciglio
vibrasse sulla sua espressione altezzosa.
“Dici a me?” domandò con l’alterigia di una baronessa snob
giusto per prendere tempo.
“Dico a te” rispose Scaturro aggressivo “Chi credi di
prendere per il culo con queste scene da cinema? Funzioneranno nel mondo di Oz
da dove vieni, ma non qui in Italia, capito?”
Ops…
“Di cosa stai parlando, cervello di acaro?” si oscurò
Verena in modo davvero convincente: intanto, un discreto gruppetto di persone
si era soffermato lì intorno a godersi la scena interessato e Verena provò la
strisciante sensazione di essere stata buttata per sbaglio su un palcoscenico.
“Di te che vuoi fami credere di aver scopato con questa
violetta qui” rispose Scaturro con sublime volgarità “Non ci crederei nemmeno
se lo vedessi, perché sarebbe un fotomontaggio.”
C’erano due cose a cui Verena proprio non resisteva: un
Buondì Motta tiepido ripieno di Nutella e un’aperta provocazione. I suoi occhi
scuri lampeggiarono e, pubblico o non pubblico, si girò verso il biondino (che
continuava a guardarla come se le fossero usciti un centinaio di tentacoli
uncinati dalla schiena), lo afferrò per il bavero della camicia (color sedano e
con spumeggianti ruches sul davanti, per la cronaca), lo tirò verso di sé e lo
baciò.
Un bel bacio accessoriato di lingua che le riuscì piuttosto
bene, visto che il biondino aveva la bocca aperta dallo stupore. Dalle masse radunate
intorno a loro si levò un sommesso “Ooooh!” di sorpresa che Verena recepì
appena in lontananza. A dire il vero, la più sorpresa di tutti era lei. No,
forse era il biondino a giudicare dalla rigidità modello marmo di Carrara delle
sue membra. Ma al secondo posto c’era sicuramente Verena stessa: era un pezzo
che non baciava qualcuno e anche allora non era stata un’esperienza granché
esaltante. Il biondino invece sapeva di buono, un misto di frutta e spezie
davvero piacevole su quelle labbra morbide e arrendevoli. Quando lui le mise le
mani sulle spalle, a Verena quasi sembrò che la volesse attirare verso di sé e
meditò svagata che la cosa non le sarebbe dispiaciuta poi così tanto. Poi
realizzò che forse lui la voleva allontanare per riprendere fiato e chiamare
Polizia, Guardia Medica ed Esercito a salvarlo. Per reazione, interruppe in
fretta il bacio: ci mancava solo che arrivasse all’orecchio di suo padre la
notizia che aveva molestato sessualmente un ragazzo a scuola per completare il
suo curriculum di mean girl e farla finire dritta dritta in un collegio
militare svizzero. Va bene la provocazione del gorilla di montagna, va bene che
il biondo era carino e sapeva di more e susine, ma c’era un limite a tutto, no?
Per un attimo lei e il ragazzo si guardarono negli occhi, da
vicino: quelli del biondino erano enormi e stupefatti, con un vago sottofondo
di orrore piuttosto mortificante. Questo adesso mi sputa, pensò una parte di
Verena, esilarata: meglio concludere la faccenda finché le rimaneva un briciolo
di dignità da giocarsi, o non avrebbe potuto far altro che rinchiudersi in una
clinica per cerebrolesi per il resto dei suoi giorni.
“Tu sei un maledetto stronzo” disse al biondino mollando
sdegnosa la sua camicia “E anche se baci come un Dio e a letto sei meglio di un
maratoneta olimpico, non voglio mai più rivedere la tua faccia nemmeno in
cartolina!”
Poi, repentinamente, si girò verso Scaturro che
evidentemente aveva qualcosa da dire e lo precedette di un soffio.
“Per quanto riguarda te, Lord Scaturro, ti informo che
mentre rimanevi fermo all’età del bronzo a lucidare la tua clava, il mondo si è
evoluto, una persona omosessuale si definisce gay, non frocetto come tuo nonno,
e la gente ha il diritto di vestirsi come le pare senza che uno zappatore beduino
razzista e omofobico come te le rompa i coglioni.”
Detto questo, si aggiustò la pashmina intorno al collo come
se fosse il mantello di Zorro, puntò il naso per aria e si avviò con lunghe
falcate lungo il corridoio, fendendo la folla come Mosè con le acque. Era certa
che da un momento all’altro Scaturro le avrebbe tirato dietro qualche anatema o
un qualche corpo contundente (centrandola, ovviamente), o che il biondino
avrebbe iniziato a vomitare bile verdastra sugli astanti per reazione al suo
bacio o, peggio di tutto, che qualcuno avrebbe cominciato a ridere. Invece,
arrivò alla fine del corridoio immersa nel più religioso silenzio. Girò
l’angolo e poco lontano vide la porta del bagno delle femmine che la aspettava
come un’oasi aspetta il classico moribondo che arranca nel deserto. Si fiondò
dentro al bagno e finalmente, iniziò a respirare: il cuore le batteva a mille e
le mani le si erano trasformate in blocchi di ghiaccio artico, ma almeno aveva
scampato una figura di merda cosmica. Per stavolta, le ricordò la vocina
petulante dentro la testa.