centro del mondo
Questa
storia è decisamente, evidentemente e largamente ispirata dalla
canzone ''Il centro del mondo'' di Luciano Ligabue, il video clip della
suddetta canzone e una dose eccessiva di marmellata alle albicocche, la
mia preferita.
Leggete le note, per favore, sono importanti.
Ad Ale.
Vorrei essere segna di dedicarti qualcosa di lontanamente decente, ma la verità è che meriti di meglio, sempre.
Ad Ale, perché è forte nonostante tutto, e perché l'ammiro.
Ad Ale, perché a quattordici anni non si può morire.
«Sai mantenere un segreto?»
Harry
si voltò verso di lei e le sorrise. Gli si illuminarono gli
occhi, quegli occhi color verde veneziano in cui Alex si perdeva
sempre, che sembravano degli smeraldi piuttosto che delle semplici
iridi.
«Credo di sì.»
Rispose lei voltandosi in direzione del suo migliore amico.
Si
passò una mano nei capelli, quelli che un tempo erano stati dei
lucenti capelli color grano e di cui, ora, rimaneva solo un taglio
maschile, composto da ciocche rade e deboli, di un arancione spento.
«Vorresti stare da un'altra parte?»
«Dove?»
«Chiudi gli occhi.» ¹
Spinta
delicatamente da Harry si adagiò sul terreno, sotto l'albero in
cui i due ragazzi avevano inciso i loro nomi, e serrò le
palpebre. Inspirò lentamente e sentì l'aria
entrarle nei polmoni.
I
polmoni; al solo pensarci Alex rabbrividì, ma non lo diede a
vedere, camuffando la sua istintiva reazione come faceva da troppo per
rassicurare chiunque la circondasse. Si abbandonò completamente
tra l'erba verde del prato all'inglese e prese un altro respiro.
Non osò aprire gli occhi e non parlò. Le bastava l'odore dolce delle foglie sotto il suo corpo.
D'un
tratto sentì una leggera ventata arrivarle in volto e un peso
sdraiarsi accanto a lei. Harry le strinse la mano come faceva ogni
volta in cui capiva che la sua amica non era forte come voleva apparire
e che, anche lei, aveva bisogno di qualcuno accanto a lei.
Lo
immaginò con i suoi ricci ribelli, nei quali aveva il vizio di
infilare le mani fino a farlo innervosire, sparsi a terra.
Lo
immaginò sorridere e vide le fossette che spuntavano ogni
qualvolta incurvasse le labbra e per le quali si ritrovava spesso a
sorridere di riflesso.
Lo
immaginò chiudere gli occhi e assumere un'espressione beata, la
stessa che aveva mentre la domenica mattina fingeva di dormire.
Alex
rispose alla stretta con altrettanta forza e avvertì la
familiare morsa al cuore che ultimamente la attanagliava troppo spesso.
Aveva
paura, paura di morire, ma non lo dava a vedere, perché se
avesse avuto un crollo emotivo, probabilmente sua madre sarebbe morta
all'istante..
«Quando
guarirai...» cominciò Harry e si bloccò,
evidentemente per pensare a cosa dire e, soprattuto, come dirlo.
Nonostante il riccio rivelasse sempre i suoi pensieri, senza mezzi
termini o circonlocuzioni, quella volta si trovava stranamente in
difficoltà.
La
ragazza sentì già le lacrime premere prepotenti per
uscire, e ringraziò il fatto di avere gli occhi chiusi.
Nonostante i dottori la rassicurassero spesso ricordandole di come sua
madre avesse superato la stessa malattia, non credeva che quelle
inutili parole si sarebbero avverate, tuttavia ci sperava. Ci sperava
che sarebbe guarita anche quando fantasticava su come sarebbe stato il
suo funerale, su chi sarebbe venuto e sugli abiti con cui l'avrebbero
vestita. Sperava di superare la malattia anche durante la prima seduta
di chemioterapia, alla quale Harry la aveva accompagnata. Provava a
convincersi che sarebbe valsa la pena lottare, anche quando quella
volta, dal parrucchiere, aveva sentito le ciocche bionde cadere sul
pavimento e l'agghiacciante zac provenire dalle forbici metalliche che il sadico uomo stringeva tra le dita.
«Viaggeremo.» sentenziò. «E ti porterò ovunque vorrai. New York, Roma, Parigi, Madrid. Ti porterò in Asia, e anche in Africa!» continuò infervorato dalle sue stesse parole, convinto che ciò che diceva avrebbe potuto avverarsi.
Fantasie, stupide fantasie di uno stupido illuso ragazzo, convinto di poter sfidare il destino senza essere schiacciato da esso.
Harry
era anche più ottimista, e dava per oro colato le profezie di
dottori e quant'altro, senza neanche mettere in dubbio che la sua amica
sarebbe sopravvissuta. A quattordici anni non si può morire, si ripeteva spesso.
«Ti porterò in quel locale al centro di cui mi parli spesso, ti porterò al mare, su Venere, Marte e, se non gradisci l'assenza di gravità, al centro del mondo.»
Sembrava un bambino, uno splendido bambino.
«Ti
porterò ovunque, te lo giuro.» pronunciò l'ultima
frase con il tono stanco di chi è a metà fra il sonno e
dormiveglia.
Alex
fu sicura che il suo amico stesse dormendo quando sentì la
stretta farsi più flebile e un leggerò russare provenire
dalla sua destra.
«Portami dove mi devi portare.» sussurrò lei, prima che il sonno si impossessasse di lei.
Una lacrima le solcò il volto, ma ormai era troppo lontana perché potesse accorgersene.
Aprì
gli occhi e si aspettò di vedere l'albero dell'amicizia, il
cielo rischiarato da un timido sole o il cupo e bianco ospedale che la
fissava truce, ma tutto ciò che si trovò davanti fu una
larga striscia gialla e qualcosa di grigio che scorreva veloce.
Si sentì tirare indietro e vide Harry che la teneva per il polso.
«C'è
scritto non oltrepassare la striscia gialla, caterpillar.» le
scoppiò a ridere in faccia e la abbracciò.
Alex si guardò intorno spaesata, fino a quando la cosa si arrestò esattamente davanti a lei.
«Benvenuta
nella metropolitana, signorina. Volevo portarla in cavallo, ma poi il
tipo mi ha sparato qualcosa come settanta euro.» borbottò
il suo amico.
Da
quando a Londra era così caldo, da quando la metropolitana era
così sporca e soprattutto, in quale realtà parallela
nella capitale inglese circolavano ancora cavalli?
«Questi italiani.»
sentì un borbottio alla sua destra, e voltandosi trovò
Harry che osservava in cagnesco un gruppo di uomini di mezz'età,
i quali lo avevano prepotentemente superato.
«Italiani?» esclamò confusa.
«Siamo
in Italia, presumo siano italiani. Anche perché, quale folle
turista che non siamo noi verrebbe a rinchiudersi in questo sporco
buco? Pensa: un euro e cinquanta di biglietto, tre euro noi due! Una
rapina legalizzata.»
Italia? Da quando si trovava in Italia?
Nonostante
le domande vorticassero nella sua testa, non proferì parola ed
entrò nel vagone. Prese posto in uno dei tanti sedili
terribilmente arancioni e stette in silenzio tutto il tempo.
Quando
arrivò a destinazione, più confusa che mai, Harry le
afferrò una mano e la catapultò fuori da quel buco
sotterraneo.
Inspirò
e si accorse che l'aria era, rispetto a quella di Londra, molto
più afosa ma quasi inquinata allo stesso modo.
Percorsero
un viale abbastanza largo e altrettanto sporco, ai lato di cui stavano
numerosi mendicanti e presunti veggenti, e poi, con grande stupore, si
ritrovarono di fronte a quella che poteva essere semplicemente
descritta come bellezza.
Una
piazza, un'enorme piazza brulicante di persone di tutti i colori, di
tutte le nazionalità e tutte diverse tra loro.
Esattamente
davanti a loro, con lo sfondo di un cielo limpido, un edificio color
crema e un brusio allegro di lingue differenti, si stagliava una
scalinata alta quanto affollata. Le persone sedute sui gradini erano
talmente tante che neanche si capiva più se fossero ammassati
uno sull'altro o se fossero effettivamente sostenuti da qualcosa.
Il cuore le batteva così forte nel petto che neanche poteva crederci.
Stava
calpestando lo stesso suolo in cui avevano marciato i soldato Romani
millenni prima, probabilmente per avventurarsi in qualche guerra di
conquista; magari, gli stessi che si erano imbarcati e avevano
raggiunto l'Inghilterra, per poi fermarsi a quello che sarebbe stato il
confine col la Scozia secoli dopo.
Stava
respirando l'aria che Michelangelo, Raffaello e altri pittori e
scultori avevano avuto l'onore di inalare mentre dipingevano la
Cappella Sistina.
Stava
osservando il cielo nella stessa prospettiva in cui lo avevano
osservato tutti gli uomini che erano passati per la Città
eterna, tutti quelli che ci erano nati, vissuti e morti, e non poteva
che sentirsi euforica.
Quando un gruppo di turisti, forse spagnoli, si scostò, gli occhi di Alex notarono una fontana meravigliosa.
Spalancò la bocca dalla sorpresa e portò le mani davanti alla bocca.
«Questa
è Piazza di Spagna, quella è la Scalinata di
Trinità dei Monti e lì, a destra, vivevano quei due
pallosi romantici di Keats e Shelley, che se non sbaglio ci hanno anche
lasciato le penne. Questa davanti è la Fontana della Barcaccia,
non è una meraviglia?» le domandò Harry
pronunciando le parole italiane con uno sforzo sovrumano.
Alex
poté sussurrargli un grazie sentito. Un grazie dal cuore,
per tutto quello che aveva fatto. A loro non servivano prolissi
discorsi su quanto fosse bella la loro amicizia e su come non avrebbero
potuto perdersi; non erano necessari abbracci lunghi secoli o
appiccicosi baci sulla guancia. Per dimostrarsi il bene che provavano
l'uno per l'altro bastavano le lunghe ore passate a parlottare, a
passeggiare e a ridere, fregandosene di coloro che li additavano o li
scambiavano per fidanzati. ²
«Portami ovunque, portami al mare.»
Sentì un rumore dolce, quasi cullante, che tuttavia non ricordò di aver mai udito.
Mantenne
gli occhi chiusi per non staccarsi dal contatto caldo che le riscaldava
la schiena. Temeva fosse tutto un sogno e che, una volta sveglia,
quella situazione di benessere sarebbe scomparsa. Aveva paura che,
destandosi, si sarebbe trovata sul lettino bianco dell'ospedale, a
sperare che la seduta non la facesse star troppo male dopo.
Destò
le orecchie e degli schiamazzi seguiti dal rumore di passi attutiti da
qualcosa di morbido le arrivarono, disturbando leggermente la sua
quiete. Decise di non farci caso, almeno per un primo momento.
Solo quando qualcosa di incredibilmente freddo le precipitò sulla schiena, si riscosse dal suo sogno.
Si alzò si scatto e aprì la bocca per urlare, rimproverare e persino mordere, ma le parole le morirono in gola.
Il
mare, da quando non andava al mare? Probabilmente dal momento in cui le
avevano diagnosticato un tumore al polmone e sua madre, troppo
paranoica per farla solo uscire di casa, l'aveva pregata per guardarlo
solo in cartolina. Non che avesse tutti i torti, quella donna. Infondo,
il Mare del Nord non era un bel vedere e di sicuro, con le sue gelide
temperature, non giovava alla sua salute già precaria.
Eppure
il sole era troppo cocente perché quella fosse la Scozia o
l'Inghilterra del nord, e quel mare era troppo cristallino
perché lo si considerasse il glaciale mare aperto dell'Europa
Settentrionale.
«Australia!» urlarono alle sue spalle.
Si
trovò improvvisamente davanti Zayn, Louis, Liam, Niall, alcuni
amici e i secchi d'acqua che portavano appesi alle braccia.
L'acqua gelida la sommerse. Si lamentò, ma poi rise come non aveva mai fatto.
«Benvenuta in Australia.» gridarono tutti in coro.
Harry le si avvicinò e le porse una conchiglia molto piccola, ma variopinta e particolare.
«Fantastico, ragazzi, semplicemente fantastico.» sussurrò, continuando a ripetere numerosi grazie.
«Dillo che ci ami.» si vantò Zayn, alzando il mento e chiudendo gli occhi, in un gesto di pura vanità.
«Vi amo, vi amo tanto.» trillò Alex in risposta, unendo tutti in un abbraccio di gruppo.
A tutti e cinque i ragazzi importò solo della sua felicità.
La bionda si staccò da quel contattò così familiare e si voltò in direzione dell'acqua.
Le
onde, infrangendosi sulla sottile sabbia bianca, schizzavano un po' di
spuma sui granchi che, timidamente, si avvicinavano alla battigia.
«L'ultimo che si tuffa offre da mangiare» urlò fiondandosi nell'oceano limpido, seguita dai suoi amici.
«Aspettate, io non so nuotare!» urlò Zayn, ma ormai i suoi amici erano giù sotto' acqua.
«Portami dove mi devi portare, Venere e Marte, o altri locali.»
«I-I am a a ga gin an.» canticchiò un ragazzo avvicinandosi ad Alex e cogliendola di sorpresa.
Le
luci del locale le arrivavano in faccia infastidendola in un modo
eccessivo; ma diamine, quello era il Franky Buddha e per rimanere nella
discoteca più alla moda di Londra avrebbe fatto qualunque cosa,
anche sorvolare il fatto che il dj sembrasse accanito contro di lei.
«Come
ti sembra la tua festa di compleanno?» le domandò il tipo.
Posò le mani sui suoi fianchi e cominciò a ondeggiare a
ritmo di quella schifosa canzone che rimbombava nelle casse.
Alex ci pensò bene.
«Perché, è il mio compleanno?» chiese confusa.
«Bambolina,
devi esserti calata qualcosa di davvero pesante per non ricordare che
giorno è questo. Fai diciotto anni, è un traguardo
importante.» le alitò in faccia.
L'ubriaco
doveva essere lui. Lei aveva quattordici anni, non si drogava e
soprattutto non si faceva mettere le mani addosso da ventenni poco
sobri.
Scappò
dalla sua presa e si allontanò il più possibile dalla
sala, mentre la confusione si impossessava di lei. Cercò di
scovare Harry curiosando in ogni angolo, ma non lo trovò.
Incontrò
per caso anche una faccia che conosceva fin troppo bene; si chiese solo
cosa ci facesse lì la sua ex migliore amica. Frances se ne stava
impalata a osservarla da lontano, dall'alto dei suoi ventuno anni, con
un drink in mano e un vestito nero attillato.
Ricordò
tutti gli attimi passati insieme, quando aveva undici anni e la sua
amica quattordici. Nonostante la differenza di età, si erano
volute bene.
Era cambiata dall'ultima volta in cui aveva avuto l'occasione di trovarsi così vicino a lei.
I
capelli, una volta castani e lunghi fino all'osso sacro, erano
decisamente più corti e più pettinati, al contrario di
quando era un'adolescente. Il volto, sempre chiaro e ricoperto da
bolle, era ormai completamente liscio e privo di alcuna imperfezione, e
Alex non seppe dire se la causa fosse un pesante strato di trucco,
perché lei non si truccava mai. Era cresciuta di poco, rimanendo
la solita ragazza minuta, ed era dimagrita molto.
Una
cosa, una sola, non aveva subito modificazioni. I suoi occhi, sempre
quelli. Forse contornati a uno strato di eyeliner e ombretto che un
tempo non c'erano stati, forse più messi in risalto dalle luci,
ma erano esattamente come li ricordava.
Lo
sguardo verde e a volte marrone, variabile a seconda del tempo, la
fissava con la stessa espressione di sei anni prima. La stessa malizia,
lo stesso sorriso furbo, la stessa corazza di autorevolezza e freddezza
che nascondevano una persona insicura.
Alex
distolse lo sguardo da quella che era stata la sua migliore amica. Non
la odiava e non le mancava. Era ormai una persone come le altre, che
non le aveva mai chiesto come stesse quando aveva avuto un tumore e non
si era mai realmente dimostrata interessata, forse per orgoglio o per
mancanza di parole da rifilare a un'ingenua come lei.
Si
avvicinò al bancone e tentò di scacciar via quei pensieri
dalla testa. Sentiva quello sguardo intelligente quanto insensibile
bruciarle sulla schiena.
«Scusi,
scusi, scusi che giorno è oggi?» domandò a un uomo
che serviva alcolici anche a chi non avrebbe dovuto.
«Il 5settembre.» le rispose lui dandole le spalle.
«Di che anno?»
Il signore la guardò stralunato.
«Del 2017. Ovvio.»
Ovvio,
diceva lui. Peccato che lei ricordasse fosse il 2013, avesse
quattro anni in meno e accanto a lei, come ogni suo compleanno, ci
fosse Harry.
Uscì
con gli occhi spalancati dalla paura, la rabbia e la sorpresa e si
catapultò in strada. Corse a perdifiato fino a trovarsi in
centro, sentendo la milza esplodere e il cuore tamburellare nel petto.
Si guardò intorno spaesata. Dove era il suo migliore amico? ³
Persa
e insicura vagò per quella Londra che non conosceva, percorse
quelle strade pericolose e anguste, mentre un senso di impotenza si
impossessava di lei. Avrebbe voluto urlare a perdifiato, battersi le
mani in petto e azioni simili, ma non sarebbe cambiato nulla. C'era lei
nella sola compagnia di se stessa.
Controllò
il cellulare e notò che non c'erano chiamate perse o messaggi
senza risposta. Aspettava solo un misero squillo da parte di Harry, che
però non arrivò. 4
Si
guardò intorno. Sola, con un vestito troppo attillato e dei
tacchi decisamente troppo alti, che non corrispondevano ai suoi gusti
sportivi e al suo corpo un po' mascolino.
Si sedette su una panchina e stette ferma su di essa ad osservare con dolore negli occhi velati dalle lacrime.
I
ragazzi e le ragazze della sua età passavano e sembravano non
accorgersi della sua presenza. Invisibile, come era sempre stata prima
dell'arrivo di Harry, l'unico che nonostante tutto le era stato accanto.
Harry
Styles era l'unico che non l'avesse guardata con compassione, tristezza
o tenerezza, perché le voleva troppo bene e sapeva che non
avrebbe retto.
Notò
che la maggior parte di essi fumavano quelle che sembravano sigarette,
ma per quanto se ne intendeva potevano essere anche altro. Non aveva
fatto mai neanche un tiro, eppure aveva un tumore ai polmoni.
Improvvisamente
si sentì sola, sola come non mai. Realizzò solo in quel
momento che senza il suo migliore amico non era nulla.
Strinse
forte la collana che portava al colla, quella che Harry le aveva
regalato anni prima. Un ciondolo, semplice come lei, con un piccolo
cuore color ghiaccio, incastonato in una forma di argento che ne
delineava il contorno.
Pianse, perché forse lo aveva perso.
«Portami dove non serve sognare, perché
qui non è un gran posto e le speranze non ci sono più.
Portami dove a quattordici anni non si muore; portami dove più i
capelli sono rasati e più si è belli. Portami dove le
malattie non esistono.Voglio scappare.»
Trasalì
e spalancò di colpo gli occhi, ritrovandosi di fronte a un cielo
grigiastro. Sopra la sua testa, ondeggiavano i rami dell'albero
dell'amicizia, i quali sembravano poter precipitare da un momento
all'altro.
Si girò verso destra aspettandosi di vedere la testa riccioluta
del suo migliore amico, le sue gambe storte o il sorriso rassicurante,
ma non si trovò davanti nessuna delle tre cose.
Guardandosi intorno notò che il sole era quasi sparito e che probabilmente dormiva da davvero troppo tempo.
Forse era stanco.
Era stanco di lei, della sua malattia che le impediva di svolgere una
vita normale, delle sedute di chemioterapia o dei capelli caduti, i
quali si depositavano sulla tappezzeria della sua stanza. Era stanco
delle raccomandazioni dei dottori, delle passeggiate infinite in
campagna o nei boschi, dove forse c'era un po' d'aria pulita che, si
sperava, le avrebbe fatto bene.
Era stanco di Alex.
«Le persone hanno paura delle malattie.» la apostrofò una voce alle sue spalle.
Quando si voltò vide una Frances diciassettene, più
vicina alla fantasia sfocata del suo sogno che alla ragazzina un po'
grassottella che ricordava.
«Io, per esempio, ho paura che qualcosa possa divorarmi dall'interno.» le rivelò mentre si accomodava al suo fianco.
«Con me lo sta già facendo.»
Non aveva il coraggio di fissarla negli occhi, né di fare altro.
«Ti ammiro.» confessò Frances. «Ti
ammiro perché nonostante tutto sei ancora qui che combatti con
il sorriso sulle labbra. A volte penso a come sarebbe essere te e so
che non ce la farei mai a vivere nella sua stessa pelle neanche per
mezz'ora.» prese un respiro profondo, forse radunando tutte le
forze che aveva in sé. «Sono
una codarda perché non ti ho mai chiesto come stessi o detto
nulla. I nostri rapporti si erano già allentanti molto,
riducendosi solo al saluto, nel momento in cui hai scoperto di essere
malata e io non ho avuto il coraggio di riavvicinarmi a te, forse
temendo che sarei passata per quella che aveva compassione per
te.»
Alex rimase un attimo a riflettere su quelle parole e ascoltò pazientemente quello che la ragazza aggiunse dopo.
«Non
so dirti se io e te siamo mai state effettivamente amiche,
perché le amiche si dicono tutto e noi non parlavamo di niente.
Tu eri ancora una bambina e io volevo sperare di esserlo ancora e di
rimanere tale per il più tempo possibile. Volevo fuggire dalla
realtà e dalle mie responsabilità. Posso solo diti che
nonostante non sembri ti ho voluto bene.»
«Harry
è il ragazzo più dolce di questa Terra, e tu lo meriti
perché sei la più brava persona che io abbia mai
conosciuto.» concluse e si voltò per un istante a fissarmi negli occhi.
«Non
ti ha lasciata sola. È ai distributori automatici di merendine e
schifezze ipercaloriche. Twix e succo alla pesca come una volta.»
Si alzò e si voltò un'ultima volta.
«Dovresti odiarmi.» sentenziò in fine. «Io mi odierei, se fossi in te.»
«Ma tu non sei me e non puoi neanche immaginare di esserlo, perché non ne hai la forza.» le ricordò Alex.
Nessuna delle due seppe se per rimprovero o altro. Frances si
limitò ad annuire e tornò ad avanzare. Scappava, scappava
ancora quella codarda.
«Scappando da me non scapperai dai tuoi rimorsi.»
«Chi
ti dice che io ne abbia?» codarda, stronza, insensibile. E le
voleva bene, nonostante fosse una delle persone peggiore che avesse mai
avuto la sfortuna di conoscere.
«Non saresti qui altrimenti.»
«Ciò che non mi è mai piaciuto di te è che parli poco e capisci troppo.» urlò sorridendo. «Ti voglio bene.» continuò.
Avrebbe anche potuto perdonarla, un giorno.
Harry la sorprese alle spalle e la trovò sorridente.
«Quella sbaglio o è la donna dai facili costumi della tua ex migliore amica.»
Al contrario, il riccio non avrebbe mai assolto Frances.
Alex non ascoltò le sue parole.
«Prima stavamo parlando di viaggi.»
Harry riprese il discorso interrotto a causa del loro sonno. «Dove ti piacerebbe andare?»
Alex ci rifletté bene.
Pensò
ai suoi parenti e alle persone che avevano avuto un tumore e lo avevano
superato grandiosamente e si convinse che avrebbe potuto superarlo
anche lei, perché una cosa giusta la Codarda l'aveva detta. Lei
era forte.
Pensò ai dottori che le sorridevano, rassicurando a sua madre che sarebbe certamente guarita.
Pensò a suo fratello e ai suoi compiti di Inglese, quelli che
non riusciva mai a capire e che lei, astutamente, gli suggeriva di
copiare dal più bravo della classe. Lo chiamava ranocchio,
bagarosospo e microbo, tuttavia lo amava e voleva che suo fratello
crescesse con una sorella di cui andare fiero.
Pensò ai suoi capelli e ricordò che non le erano mai
piaciuti più di tanto. Sarebbero ricresciuti e di quello ne era
certa. Poi, magari, avrebbe potuto tingerli di azzurro, come aveva
sempre desiderato.
Pensò al suo migliore amico che le porgeva un Twix e il succo
alla pesca e capì che non se ne era mai andato e che non lo
avrebbe mai fatto.
Pensò che nonostante tutto la aveva sopportata in momenti peggiori e che ancora non si era stancato di lei.
Capì che c'era una possibilità per lei e che le difficoltà vanno affrontate.
«Mi hai già portata in viaggio.» fu la risposta di Alex.
Harry parve ragionarci su. Si incupì i un primo momento, poi sorrise raggiante.
«Siamo dove non serve sognare.»
Note.
1 – l'inizio
è ripreso dalla prima scena del video musicale della canzone
''Il centro del mondo''. Ci sono due ragazzi che parlano in spagnolo e
si scambiano le battute del primo capoverso, che vengono tradotte dai
sottotitoli.
2 – nella
scena ambientata a Roma (che, tra l'altro, nel video non c'è,
quindi è mia 'invenzione') i due visitano Piazza di Spagna. La
scalinata di cui parla Alex non è nient'altro che quella
stupenda scala (e molto suggestiva quando piena di persone) di
Trinità dei monti e la fontana è la Barcaccia di Bernini.
Nell'angolo destro, in cui vivono quei due 'pallosi romantici', ( io
non penso assolutamente sia così, chiariamoci) c'è oggi
una specie di museo dedicato alla memoria di John Keats, il quale
è morto nella sua residenza nel 1821, e Percy Shelley.
3 – nel
video clip questa scena si vede molto bene, anche se io l'ho
'stravolta'. Mentre nel video originale ci sono loro due a New York
che, mentre stanno per 'partire' per un nuovo 'viaggio', vengono per
sbaglio separati, nella one shot Alex riprende coscienza in discoteca,
ma Harry è già sparito.
Nel video la protagonista si ritrova nel passato mentre Alex è nel futuro, ma la sostanza è quella.
4 – ispirato alla canzone ''You Found Me'' dei Fray. Mi pare giusto citarli.
Ordunque, conclusasi questa ardua
impresa, vomitato inchiostro a volontà e successivamente
consumato i miei poveri polpastrelli, posso affermare che questa os non
mi piace.
Anche se è dedicata a una
persone importantissima, non è venuta come desideravo.
Nonostante ciò, ci tengo molto e gradirei che mi faceste sapere
che ne pensate (anche con una critica) tramite una recensione.
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