Una bambina grande

di Cohava
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Piantala.
Sei una bambina grande.
Lo specchio ti fa una linguaccia.
Pfui, specchio. Lo vedo che allunghi la mano dall’altra parte del vetro, ma non puoi più raggiungermi, non puoi più toccarmi. Mi fai solo intristire con quel tuo sguardo triste.
Sto tradendo la bambina che ero? Sto tradendo la donna che sarò?
La ragazza si getta nell’acqua a volo d’angelo, nell’acqua gelida, scaldata solo dalla luce gialla dai lampioni e da qualche, sporadica, foglia di platano caduta, ghermita dal vento.
Ridacchio come una scema. Ho bevuto, tutto mi sembra irreale. Sono euforica.
Vorrei aggrapparmi a una schiena, con due braccia che mi sostengono. Mi sfiora l’alito di un fantasma.
No, non tu.
Si apre una fenditura nell’aria, un buco nero che inghiotte tutta la luce e tutti i ricordi. E lei ci entra. Fa male, deve fare male.
Adesso voglio soltanto sparire.
Erba umida contro la schiena. Il cielo è viola, senza stelle, un cielo cittadino.
Ho paura. Mai stata così felice. Passa ‘sta canna. No, non  mettere la musica, si sta bene col silenzio-non credevo l’avrei mai detto. Rido per ogni minima cazzata, un fremito che mi si irradia dal tronco alle braccia alla punta delle dita dei piedi.
E’ pomeriggio. La luce dorata avvolge il mondo.
Io sono sola, protetta dalla ringhiera accogliente del terrazzo.
L’Isola che non c’è.
Seconda stella a destra? Ma oddio, le stelle sono sparite, resta solo un velo di fumo e il viola del cielo.





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