You
only need the light when it's burning low
Only miss the sun when it starts to snow
Only know you love her when you let her go
(Let her
go, Passenger)
Londra,
Ministero della Magia.
Ufficio Auror, Ora di cena.
Doveva trattarsi di un
incubo.
Quello oppure la situazione
che gli si era presentata davanti, a pochi minuti dal finire
quell’ennesima
giornata lavorativa, era reale e lui si trovava a dover gestire una
crisi in
piena regola.
Lanciò
un’occhiata a Ron,
l’amico di sempre, che sostava grave di fronte alla sua
scrivania. Accanto
aveva James che esibiva una ferita al sopracciglio curata malamente e
l’aria
tesa di chi avrebbe preferito trovarsi a faccia a faccia con un Troll
di
montagna che dover affrontare le conseguenze di un attacco con almeno
una
trentina di testimoni, tutti al San Mungo ad attendere di sapere se
erano stati
contagiati dalla stessa malattia dell’uomo che aveva
attentato alla loro vita.
“Cosa sapete dirmi
di questo…”
Merlino, non ricordava neppure il nome del mago ammalato.
“Price. Henry
Price.” Borbottò
suo figlio tamburellando le dita sulle gambe, guardandosi attorno con
l’evidente speranza che un meteorite si schiantasse su di
loro.
Poteva capirlo.
“Non
molto.” Aggiunse. “Bobby
ha interrogato i testimoni ed è venuto fuori che si
è iscritto all’Accademia qualche
mese fa. Non viene da nessuna scuola di Duello locale, ma è
entrato comunque
nella rosa dei favoriti per il Torneo Inter-Ministeriale che si
terrà a
Settembre.”
“Però!” Osservò Ron.
“Non succede spesso ai Signor Nessuno.”
“No, infatti… Però Dionis mi ha detto
che capitano, alle volte, i talenti naturali
e che quel tipo gli aveva detto che si era allenato in privato per
anni. Ah, ha
frequentato Hogwarts più di dieci anni fa. Niente di
eccezionale però, non è
stato né Prefetto né Caposcuola, nessuna menzione
d’onore. Grifondoro.”
“Non l’hai incrociato?”
James scosse la testa.
“Si è
diplomato prima che entrassi. Chi lo conosce dice che è un
tipo che sta sulle
sue, non è sposato, né ha figli.”
“Qualche collegamento con Howe? Con Liam?”
Le spalle di James sprofondarono impercettibilmente, ma
l’espressione smarrita
era tutta lì per gli occhi allenati di un padre.
“Nessuno … per ora.” Ripeté.
“Malfoy e Bobby stanno aspettando i permessi per perquisire
casa sua. Ma,
almeno per ora, sembra non abbia avuto nessun contatto con il sergente
e
l’americano.”
Harry si strofinò la fronte ignorando la compressione alle
tempie che
minacciava un’emicrania di tutto rispetto. “Le
persone che erano all’Accademia
… Si sa qualcosa dei risultati delle analisi?”
“È un
sacco di gente, papà.”
Sospirò. “Ho sentito Albus via Specchio Magico
… Hanno dato massima priorità ma
ci vuole tempo.” Prima che potesse chiedere, aggiunse la
risposta. “Non si sa
quanto.”
“Sören?”
Avrebbe dovuto chiamare
Nora ed informarla della situazione, perché non solo il caso
aveva avuto una
svolta drammaticamente repentina, ma quella svolta coinvolgeva in prima
persona
il suo agente.
Altra
cosa da aggiungere a quest’agenda da incubo.
Si sporse dalla porta e
cercò
lo sguardo della sua segretaria. “Grace, programma una
chiamata via Camino per
l’America tra cinque minuti.”
“Subito Signore.”
“È con gli altri.” Gli rispose James
quando richiuse la porta. “Prince, dico. Sta
bene per ora … insomma, così mi ha detto Al.
Papà…” Esitò.
“Credi che … Credi
che possa essere stato contagiato?”
“Non lo
so.” Ammise sentendosi
impotente di fronte all’atteggiamento smarrito del suo
ragazzo; Ron gli aveva
detto come avesse organizzato i soccorsi e fatto del suo meglio per
contenere
la situazione, ma ora, nell’intimità
dell’ufficio era chiaro fosse frastornato
e spaventato. Gli mise una mano sulla spalla e tentò il suo
miglior sorriso.
“Avete fatto un ottimo lavoro, laggiù. Liam
sarebbe fiero di voi.”
James ricambiò il
sorriso e si
scostò quando sentì bussare la porta. Quando
venne aperta senza chiedere il
consueto permesso, inarcò le sopracciglia.
“Mamma?” Domandò confuso
all’apparire della suddetta.
“Ginny.”
Salutò con un cenno
la moglie. “Vieni, stavo aspettando te.
Com’è la situazione al San Mungo?”
Sua moglie, che amava anche per la sua mancanza di peli sulla lingua,
scosse la
testa. “Pessima. C’è un asserragliamento
di giornalisti all’accettazione e sono
sicura che quello Snaso di Hawkins è riuscito a oltrepassare
la barriera di
infermiere per ficcare il naso un po’ ovunque.”
“Stampa? Stiamo
parlando della
stampa?” Ron
sgranò gli occhi,
impallidendo data la portata dell’informazione.
“Vuol dire che il Profeta sa
già tutto?”
“Tutti i
quotidiani magici del
paese, da quelli a tiratura di cento copie a quelli di diecimila, lo
sanno
Ron.” Replicò la sorella con un sospiro
impaziente. “Trentacinque persone, tra
staff dell’Accademia e Duellanti sono sia testimoni oculari
che probabili
vittime. Queste persone hanno dovuto chiamare i propri cari per
spiegare la
situazione … Non c’era modo per mettere a tacere
la cosa come nel caso di Liam.”
“C’eravamo solo noi auror
quand’è successo, Lils e Al … e i
pazienti dell’ala
Thickley.” Convenne James facendosi scuro in volto.
“Ma adesso…”
Harry si staccò
dalla
scrivania ed inspirò. Se c’era qualcosa da
evitare, era il panico di massa che
sarebbe conseguito a qualsiasi intervista, articolo o servizio fosse
venuto
fuori da quella giornata. “Adesso faremo
una conferenza stampa.” Proferì con una calma che
era ben lontano dal provare;
ma non era quello il punto. Non lo era mai stato da che aveva undici
anni. “Ron,
contatta la Direttrice Jones. Ginny, voglio che contatti tutti i
direttori dei
quotidiani e che tu predisponga la cosa. Credi di poterlo fare? Non gli
daremo
in pasto dei civili spaventati.”
“Gli daremo in pasto te
quindi?”
Mugugnò l’amico, che aveva sempre avuto la
straordinaria capacità di capire le
sue reali intenzioni.
Sorrise appena, stringendo
la
mano della moglie, che supportiva come sempre si era limitata ad un
silenzioso cenno
di assenso. “Beh, se non altro sono un piatto che conoscono
bene.”
****
San
Mungo. Reparto Malattia Infettive.
Sören non aveva la
minima idea
di come confortare quello che era diventato il suo primo amico su suolo
britannico dopo Lilian; Dionis marciava come un soldato di fronte alla
barriera, con le spalle ridotte ad una fune serrata di muscoli; poteva
vederlo
anche senza toccarlo.
“Roxanne
starà bene.” Esordì,
sentendosi piuttosto temerario dato che il resto degli astanti aveva
preferito
allontanarsi intuendo l’aria di tempesta.
È
un padre, ed è la nascita del suo primo figlio …
e
non può assistervi. Immagino sia frustrante.
L’altro diede
appena cenno di
averlo ascoltato. “Dovrei essere accanto a lei. Sono il suo
compagno.” Serrò i
pugni come se volesse aggredire fisicamente la barriera che li separava
dal
resto del reparto. “Invece sono qui, trattenuto come una
cavia da laboratorio!”
“È per la sicurezza stessa di tua moglie e di tuo
figlio.”
“Lo
so!” Gli venne rivolta un’occhiata di
rabbia bruciante, ma
sapeva che non era indirizzata a lui, quanto piuttosto alla situazione,
quindi
non arretrò. Lily non l’aveva mai abbandonato nel
momento del bisogno, neppure
a Durmstrang, e così avrebbe fatto lui con Dionis.
Questa
è l’amicizia, credo.
“Dovrei essere con
lei.” Ripeté
passandosi una mano trai capelli e serrando la presa sulle ciocche
corte. “So
che c’è la sua famiglia … ma ha bisogno
di me.” E c’era una sicurezza così
adamantina in quel tono che a dispetto della situazione lo
invidiò.
Dev’essere
bello esser desiderati a tal punto…
“Capisco la tua
frustra…”
“No che non capisci! Come potresti?!”
Sbottò voltandosi per fronteggiarlo e
Sören fu certo che l’avrebbe fatto se non avesse
trovato le parole giuste.
“Hai ragione, non
lo capisco.”
Replicò quieto. “Ma questo non mi impedisce di
dirti che non c’è nulla che
possiamo fare finché non arriveranno i risultati dei test.
Arrabbiarti non la aiuterà
in alcun modo.”
Il discorso con sua sorpresa
fece immediato effetto, dato che la rabbia dell’altro parve
sciogliersi come
neve al sole. “Hai … hai ragione.”
Mormorò con imbarazzo. “Mi sto comportando
come un idiota. Non volevo prendermela con te. Io
…” Esitò. “Ho usato parole
meschine. Perdonami.”
Cosa… Ah.
Scosse la testa, facendogli cenno di sedersi su una delle
poltrone che
erano state fatte Apparire per rendere più confortevole quel
soggiorno forzato,
e gli versò un bicchier d’acqua.
“Hai solo detto la
verità.”
Osservò sedendoglisi accanto. “Dubito che
diventerò mai un padre di famiglia.”
Dionis vuotò il
bicchier
d’acqua in due brevi, ma grati, sorsi.
“Perché?” Chiese sorpreso.
“Il mio lavoro.
È rischioso,
il tasso di mortalità o di ferite invalidanti è
alto. Con queste premesse non è
facile stringere legami duraturi … Una strega non vorrebbe
mai firmare un
contratto per trovarsi vedova.”
“Dovrebbe valere per ogni agente di Polizia Magica,
no?” Replicò aggrottando le
sopracciglia. “Ma non siete tutti scapoli, anzi.”
Palesemente colto in
flagrante, Sören sentì che si stavano avventurando
in un territorio troppo
personale. L’amico però aveva chiaramente bisogno
di distrarsi, ed era certo
che ogni sua confessione sarebbe stata vista come tale e dunque
custodita. “Non
sono un tipo da … famiglia.” Cominciò,
perché certe cose andavano spiegate.
“Non ne ho mai avuta una, non veramente, dato che i miei
genitori sono morti quando
ero bambino. Mio zio, come puoi immaginare, non era propriamente una
figura
paterna.” Apprezzò il lieve cenno
d’assenso dell’altro. Non voleva esser
compatito.
È
come sono andate le cose.
“Non penso che
sarei in grado
di gestirne una. Non saprei da dove iniziare.” Concluse il
braccio, teatro
degli esperimenti della Thule. Strinse la presa e sentì il
calore irradiarsi
quieto ma sempre presente. “Sarei un pessimo padre e un
pessimo marito.”
“Questo non puoi saperlo!” Ribatté
Dionis senza dismettere quell’aria sorpresa;
gli faceva piacere, ma dimostrava anche la sua ingenuità.
Nessuna persona che
lo conoscesse a fondo gli avrebbe mai affidato la sicurezza affettiva
di altre
persone. “Non puoi saperlo senza…”
“Chi mai mi
vorrebbe?”
Gli uscì prima
che potesse
frenare la lingua e avrebbe voluto Maledirsi; non voleva certo farsi
compatire
per qualcosa che aveva accettato come
una certezza, senza rattristarsi, molto tempo prima.
“No, ti
sottovaluti.” Fu la
replica seria corredata da una pacca sulla spalla: il rumeno era una
persona
che amava il contatto, con tocchi sulle spalle o strette di mano, ma la
sua
fisicità non era mai invasiva. Gli aveva sempre ricordato un
po’ quella di Lilian.
“Conosco persone che non dovrebbero neppure avvicinarsi
ad un impegno simile, eppure lo fanno e le conseguenze sono
pessime. Ma tu,
amico mio, renderesti una donna felice ne sono certo!”
Sorrise, accettando il discorso come un attestato di amicizia parziale,
perché
quello era. “Ti ringrazio.”
“Non ringraziarmi,
dico la
verità!” Sbuffò. “E comunque
una candidata già ci sarebbe.”
… Cosa?
La sua espressione fu
abbastanza esaustiva da far ridere l’altro.
“Sappiamo entrambi di chi stiamo
parlando, no?”
“Veramente
no.” Disse troppo
in fretta, dandosi del perfetto cretino. Di certo Dionis non
intendeva…
“Non facciamo
finta che il
Troll non sia nella stanza, Ren.”
Sentire quel nomignolo da labbra
che
non erano quelle della sua piccola amica inglese lo stranì a
tal punto che non
riuscì a mettere due parole in fila per negare.
Dannazione.
Quello era un ottimo
momento perché le analisi
arrivassero. Sören aspettò speranzoso prima di
realizzare che certe svolte di
trama accadevano solo nei film che Milo si ostinava a fargli vedere
ogni
venerdì sera.
“Credo tu abbia
frainteso la
natura dei rapporti tra me e Lily…”
Iniziò animato dalle più nobili intenzioni
di diniego.
“Oh no, non credo!” Replicò il rumeno
con sguardo divertito: aveva il rigore di
un soldato, ma era pur sempre un ragazzo di vent’anni ed era
naturale fosse
stuzzicato da quegli argomenti.
Non
come te, che sei un soldato fino all’ultima,
dannata, imbranata fibra del tuo essere.
Tu
ne sei agghiacciato, eh?
“Ascolta…”
Tentò.
“Ho visto come la guardi, non è amicizia quella
che provi.” Ghignò. “Lei ti
piace.”
Avrebbe dovuto esser
contento
di averlo finalmente distratto.
…
Se non fossi io l’argomento di conversazione.
“Certo che mi
piace. Provo
gratitudine, rispetto, fiducia…” Cercò
di mantenere il tono più distaccato che poté.
Una volta ne era perfettamente in grado.
Già,
una volta. Poi sei diventato una persona vera,
caro il mio Ren. Con pro e contro.
“… e le
devo la vita.” Tentò
un’ultima volta, dato che l’altro non sembrava
minimamente intenzionato a
mangiarsi la foglia. “Senza di lei non sarei mai stato in
grado di scrollarmi
di dosso il giogo di mio zio. Non avrei mai potuto essere
l’uomo che sono
adesso.”
Dionis annuì,
roteando la poca
acqua rimasta nel bicchiere. “Sì, ma tutto questo
non esclude altri sentimenti,
no?”
No.
Anzi.
Negare era inutile, e dopo
quella giornata allucinante tutto ciò che voleva era poter
abbandonare un po’
della tensione che gli si era accumulata sulle spalle. Se non poteva
avere i
risultati, allora …
“No, non li
esclude.”
Fu liberatorio.
Così tanto che
dovette inghiottire alla svelta il groppo che gli era salito alla gola.
Aveva davvero bisogno di
quei
risultati.
Si alzò,
passandosi una mano
trai capelli, chinando la testa per osservare le profondità
del pavimento. “Come
hai fatto a capirlo?”
“Non è
difficile.” Vedendo la
sua espressione, Dionis si affrettò a spiegare.
“Voglio dire, si capisce che le
vuoi bene, ma … Forse è una cosa mia, forse sia
io che te siamo stati abituati
sin da bambini a leggere oltre le parole della gente che ci circonda
per non
essere sopraffatti, ma …” Gli si
avvicinò. “È che quando sei con lei hai
tutta
un’altra espressione. Ti si legge negli occhi, sei
felice… come lo sono io
quando sto con la mia Roxanne.” Scrollò le spalle.
“Mi sbaglio?”
“No.”
Dionis sorrise. “E
comunque
credo che il sentimento sia reciproco.”
“No.”
Questa era una cosa che il suo interlocutore doveva
capire. “Lily vuole essere mia
amica. Tutto qui. Ed è mio preciso dovere rispettare questo
suo desiderio.”
“Ma come fai a…”
“È una Legimante Naturale.” Lo
fermò. “È brava … lo era
quando i suoi poteri
erano ancora grezzi e li usava senza averne cognizione e lo
è adesso che è
perfettamente in grado di captare e tradurre le emozioni altrui,
tuttavia non
ha mai capito ciò che provo per lei. Pensi che sia
perché non ci riesce, o
perché non vuole?”
Sapeva di avere ragione;
conosceva
abbastanza della Legimanzia per rendersi conto che, se solo avesse
voluto, Lily
sarebbe riuscita a penetrare le sue difese come un coltello nel burro.
Perché
per lei provo qualcosa e l’Occlumanzia è una
magia che si indebolisce con l’emotività.
“Non vi siete
rivisti da molto,
dal vivo intendo. Magari ha bisogno di tempo.”
Ipotizzò il rumeno strappandolo
dai suoi pensieri. “Magari se fossi più
chiaro…”
“Ha un ragazzo che
ama e la
sua tranquillità. Non ho alcun diritto di turbarla con i
miei sentimenti.” E
per quanto lo riguarda il discorso era chiuso.
Vide poi –
ringraziando
Merlino - una figura avvicinarsi, brumosa a causa della magia liquida
che li
separava. Neanche l’avessero chiamata, era Lilian. Dionis,
notandola, scattò in
direzione della barriera. “Lily!” La
chiamò. “Roxanne…”
“Sta bene, sta bene.” Fu lesta a rassicurarlo la
ragazza. “Ha fatto saltare i
timpani a tutte le Levatrici.” Aggiunse con un sorriso,
adesso ben visibile per
via delle vicinanza. Teneva qualcosa tra le braccia, avvolto in una
coperta
rosa e a Sören bastò vedere il sorriso enorme che
si dipinse sul volto
dell’amico per realizzare cosa, o meglio chi,
nascondesse.
“È…”
Mormorò il ragazzo
levando la mano per avvicinarla quanto più possibile alla
barriera senza
toccarla.
“ … una
bambina, caro il mio papà.”
Gli fece eco Lily con un sorriso
gemello. “Roxie non ha voluto sentir ragioni … Ha
detto che dovevi vederla,
subito.” Il sorriso sfumò in un ghignetto mentre
alzava la copertina per
lasciar intravedere un visetto rosso e minuto. “Ha protestato
tanto che gli
altri mi hanno scongiurato di
levarmi
dai piedi.”
Sören vedendo come
l’amico avesse
gli occhi lucidi fece un passo indietro, lasciandogli
un momento. Si sentiva un intruso
in una scena tanto intima.
Quindi
è così che nasce una famiglia.
Non poté fare a
meno di
osservare Lily però, che pareva del tutto a suo agio nel
ruolo di
ambasciatrice; teneva la neonata come se non avesse fatto altro per
tutta la
vita.
Ha
delle cuginette … Si sarà abituata con loro.
I
loro sguardi si incrociarono –
naturale, se fissava una LeNa con quella persistenza – e gli
venne rivolta
un’espressione confusa. “Non
ho la più
pallida idea di quel che sta dicendo.”
Sillabò muta in direzione del
giovane padre che sembrava aver perso la capacità di parlare
inglese in favore
di un fiume di parole nella sua lingua madre.
Sbuffò divertito.
“Si sta
presentando.” Riassunse.
Lily annuì.
“E tu, invece …
come stai?” Gli chiese cullando la bambina che si agitava,
forse infastidita
dalla quantità di magia che percepiva vicino a
sé.
Ha
già le percezioni di una strega … è
straordinario.
Per un momento la deriva dei
suoi pensieri notò la naturalezza con cui Lily teneva
stretta al petto la neonata,
in una rappresentazione involontaria della madre che sarebbe diventata
un
giorno.
Pensa
se quella bambina fosse sua … fosse vostra.
Serrò le labbra,
abbassando lo
sguardo sentendo un maglio artigliargli le viscere.
Sei
un cretino.
“Sto
bene.” Mentì con
disinvoltura. “Aspetto. Sai se ci sono
novità?”
“Albie
è andato a controllare
… Credo abbia il terrore che la nostra dolce cugina si alzi
dal letto e lo
strangoli con la cintura della vestaglia.”
Ridacchiò. “È stata un incubo per
tutta la durata del travaglio e mi ha quasi fratturato le dita della
mano
destra. Fortuna è durato poco, noi Weasley siamo gente
spiccia.”
“Avrei dovuto
esserci.”
Mormorò Dionis con tono dolente. “Se
solo…”
“Beh, mica vi fermerete alla prima, no?” Lo prese
in giro, per poi addolcire
l’espressione. “E Roxie lo sa, non preoccuparti.
Rimarrai comunque il suo
cavaliere dall’armatura lucente.”
Il ragazzo parve sollevato
da
quell’affermazione a quanto pare solo in apparenza scherzosa.
“Grazie. Per
averla portata qui … e per tutto.”
“Se mi lasciate decidere il nome siamo pari.”
Replicò scrollando le spalle. “E
che non vi venga in mente di chiamarla come me … non voglio
concorrenza, ci
sono già troppe Lily a questo mondo!”
Ma nessuna come te.
Lo pensò e poi l’amica, con suo sommo
orrore, voltò la testa di scatto
nella sua direzione.
Mi
ha sentito!
Il
che era impossibile; tuttavia era
una LeNa, dare per scontato che non potesse decifrare i suoi pensieri
come
decifrava le sue emozioni era … incauto.
Non
è che adesso sa leggere anche quelli?
La domanda rimase insoluta,
dato che Albus Severus arrivò accompagnato dal Capo
Guaritore del reparto, tale
Seamus Finnigan.
“Buone
notizie.” Il mago più
anziano non ci girò attorno e rivolse un sorriso agli
astanti, facendo
risuonare la voce con un Sonorus.
“Potete tornare a casa, gli esami sono risultati
negativi.”
Le espressioni di sollievo e
le chiamate via Specchio Magico ai propri cari si sprecarono mentre la
barriera
igienico - magica veniva fatta scomparire con un paio di colpi di
bacchetta.
Dionis quasi si gettò su Lily e l’altra fu lesta,
con una risata, ad affidargli
la figlia.
“Siamo arrivate
proprio al
momento giusto!” Esclamò facendogli
l’occhiolino.
“Già.”
Mosse un passo in
direzione dell’altra, ma la strada gli fu sbarrata da Albus.
Cosa…
“Dobbiamo
parlarti.” Esordì il
ragazzo.
“Perché?”
Si intromise Lily con un tono che spinse il fratello a
fare un istintivo passo indietro. La collera della sua piccola amica
era
leggendaria. “Gli esami non sono risultati
negativi?”
“È
così.” Rispose il Capo
Guaritore. “Tuttavia abbiamo riscontrato delle anomalie in
alcune misurazioni…
e speravamo, signor Prince, che potesse aiutarci a capirle.”
È il mio braccio. E la mia magia.
“Va
bene.” Annuì prendendo la
giacca che aveva lasciato stesa su un lettino ed infilandosela. Diede
una pacca
sulla spalla a Dionis che, per quanto stringesse la figlia tra le
braccia con
un’espressione di pura felicità era riuscito a
tornare sulla terra per
lanciargli un’occhiata preoccupata.
“Ren.”
Lily si mordeva le
labbra ed odiava vederle quell’espressione addosso; le si
addicevano i sorrisi
luminosi e i lazzi innocui, non labbra tirate e sguardo cupo.
“Vuoi che venga
con te?”
“No. Ti ringrazio, ma non credo sia necessario.” La
giusta distanza era
doverosa. Dionis adesso condivideva il suo segreto ma non cambiava
nulla.
Lei
non deve sapere. Ti sei quasi tradito prima … ha
visto come si è voltata? Non devi tradirti.
Era troppo stanco e troppo
deconcentrato
per usare l’Occlumanzia e senza di essa non avrebbe potuto
rivolgerlesi con la
giusta serenità d’animo.
La
giusta distanza.
“Ti
chiamo.” Fece un cenno e seguì
i due Guaritori, ignorando lo sguardo deluso che sentì sulla
schiena.
La
maledetta, giusta distanza.
****
Ministero
della Magia.
Ora di cena.
La conferenza stampa era
stata
organizzata in fretta e furia in una delle salette del Ministero, una
di quelle
in cui si poteva arrivare solo se guidati da un funzionario esperto.
Harry
stesso aveva dovuto memorizzare più di un paio volte la
piantina per arrivare
sano e salvo. Andò a stringere la mano alla Direttrice del
Dipartimento Hestia
Jones, soprannominata da molti M,
per
via della somiglianza notevole con il capo dei servizi segreti dei film
di
James Bond.
“Direttore.”
“Potter.” Lo salutò con un cenno
energico della testa, poi il viso sfumò in
un’espressione tra il divertito e il rassegnato.
“C’è da chiedersi perché mi
stupisco ancora quando succede qualche disastro con portata mediatica e
ti vedo
apparire.” Fece poi un cenno di saluto a Ron, al suo fianco.
“I giornalisti
sono già arrivati. Siete gli ospiti
d’onore.”
“E quindi ci facciamo attendere.” Sorrise
stringendosi le spalle minimamente
turbato; se la sua fama gli era mai servita a qualcosa, era stato come
trattare
con quella particolare categoria lavorativa.
Ironico
che abbia finito per sposarmene una. Anche se una
cronista sportiva forse è un, fortunatissimo, caso a parte.
Notò poi la figura slanciata e chiusa
in un completo di
sartoria di Michel Zabini, e ne rimase sorpreso. Il ragazzo, vedendolo,
si
avvicinò per stringergli la mano. “Capo-Auror
Potter, buonasera.” Lo salutò
deferente. “Sono qui per rappresentare il Ministero Americano
come funzionario
di riferimento assegnato all’agente Prince.”
Soggiunse forse captando la sua
confusione.
“Ah, ma certo.” Ricordò stringendogli la
mano di rimando. “Notizie da Sören?”
“È
ancora al San Mungo.”
Rispose senza particolari emozioni dipinte in volto; ma del resto, da
che lo
conosceva come amico di Al, lo aveva sempre visto indossare una
maschera di
indifferenza.
Albie
dice che in contesti privati non è così
… ma bisogna
ammetterlo. Certi Serpeverde sembrano fatti con lo stampo.
La sua presenza gli
ricordò però
la breve ma intensa chiamata avuta con Nora.
“Mi
fido del tuo giudizio Harry. Purtroppo al momento
Sören non può rappresentarci, manderanno il
funzionario assegnatogli dalla
Cooperazione Internazionale …” E il tono di voce
era carico di apprensione,
sebbene non l’avesse lasciata trapelare con domande o
richieste. Erano in
servizio, i sentimenti personali dovevano essere accantonati.
“Date le nuove
informazioni sulla modalità del contagio, ci metteremo
subito all’opera. Se non
altro, qualcosa di buono è uscito da questo disastro
… Potremo fare ricerche
più precise.”
Addizionato a quello,
l’amica
gli aveva spedito la biografia di Samuel Howe messa assieme dalle mani
capaci
dei giovani agenti della SAGITTA. Al momento riposava sulla sua
scrivania, ma
non appena James, Bobby e Scorpius fossero tornati dalla perquisizione
dell’appartamento di Price gliel’avrebbe affidata.
Dobbiamo
arrivare, se non ad una soluzione, almeno a
qualche risposta, altrimenti la stampa non ci lascerà
vivere…
Entrò dentro la
saletta e fu
immediatamente aggredito da una selva di flash. Distolse lo sguardo e
si
diresse con tutta la naturalezza che poté impostare verso il
tavolo delle
autorità, già rifornito di acqua e cartelline
contenenti i comunicati stampa
dell’intera faccenda.
L’ufficio
stampa del Ministero ha fatto i salti
mortali. Chissà quanta gente non ha cenato
stasera…
Si sedette e
approntò il suo
miglior sorriso da prima pagina, mentre accanto a lui prendevano posto la Direttrice e
Ron.
“Buonasera.”
Esordì la strega
dopo essersi lanciata un Sonorus.
“Il
Dipartimento desidera ringraziarvi per essere riusciti ad essere qui,
dato il
poco preavviso…”
Harry si scambiò un’occhiata con Ron, ed entrambi
nascosero una smorfia
sarcastica, forse più adatta ai due studenti ribelli che
erano stati che a due
uomini adulti, ma non per questo fu meno soddisfacente.
Come
se non avessimo organizzato tutto questo teatrino
proprio per evitare che rimanessero a casa a scrivere
spropositi…
Mentre la strega
predisponeva
una serie di frasi generiche per spiegare la situazione che si era
venuta a
creare, usando termini quali “indagini
approfondite”, “piste
promettenti”, “dispiegamento di forze e di
mezzi” e “sicurezza dei nostri
cittadini”, la mente di Harry si concentrò sulla
preoccupazione di sapere i
suoi ragazzi di nuovo in mezzo a
pericoli tangibili.
James
li investiga, Albus si è fatto assegnare alle
persone malate, e Lils …
Non
riusciva a capire perché sua
figlia si fosse infilata in quella faccenda, dato che a rigor di logica
né per
il lavoro che faceva, né per sua espressa volontà
avrebbe dovuto esser
coinvolta.
È
per via di Prince?
Non era sicuro di volersi
rispondere.
“Una domanda per
il Capo Auror
Potter!” Doveva immaginare che Richie Hawkins, la punta di
diamante della
sezione Cronaca del Profeta, nonché allievo della famigerata
Skeeter, avrebbe
approfittato della sua presenza per sputare domande come Schiantesimi.
“… il
primo caso è stato riscontrato in un turista americano,
ospite dei Tre Manici,
Samuel Howe. Dobbiamo quindi supporre che la malattia venga
dall’America?”
Piccolo,
viscido ratto…
Avrebbe
dovuto immaginarsi che la cosa
sarebbe trapelata, specie alla luce del fatto che al Paiolo vi erano
stati
testimoni, per quanto avvertiti di non parlare con nessuno.
Ma
si sa, Tom di fronte a consumazioni ripetute al suo
bancone diventa una bocca larga …
Pensò rapido ad
una risposta;
l’ultima cosa di cui avevano bisogno è che
l’opinione pubblica pensasse ad una
malattia ‘americana’.
Se
si comincia a pensare che sono gli americani ad
averci fatto ammalare …
Non voleva neanche
immaginare
le conseguenze, sia a livello ministeriale, sia a livello del mago
della
strada.
Ci
manca solo una caccia a stelle e strisce.
“Non abbiamo
certezze del
fatto che il defunto Signor Howe avesse contratto la malattia in
America.”
Iniziò. “Ogni turista in entrata e in uscita dal
nostro Ministero viene
controllato e dunque…”
“Quindi i controlli non sono stati così
accurati?” Incalzò l’uomo mentre
attorno a lui Penne Prendi Appunti scrivevano furiose.
“Il protocollo
è stato
seguito.”
“Beh, non pare
…”
Ora
gli spacco la faccia.
C’erano momenti in
cui capiva
il fiotto d’adrenalina che spesso oscurava il giudizio di suo
figlio James:
l’aveva ereditato da lui.
Incredibilmente fu il
giovane
Zabini a venirgli in aiuto. “I controlli alle frontiere
vengono presi sul serio
da entrambi i nostri gloriosi Ministeri.” Osservò
con un sorriso accattivante e
un tono misurato che lo facevano sembrare più maturo della
sua età. Al gli
aveva detto fosse in gamba, e fu sollevato dal constatarlo di persona.
Se non
altro, Malfoy non gli aveva messo trai piedi un figlio di
papà incapace.
“Naturalmente di fronte a quella che sembra essere una nuova
malattia tali
controlli possono diminuire la loro efficacia.” Soggiunse.
“Il Dipartimento di
Medimagia americano tuttavia è stato allertato e Oltreoceano
sono state prese
le dovute misure. C’è piena collaborazione e
fiducia da entrambe le parti, come è sempre stato.”
La Direttrice a quel punto
trovò opportuno intervenire e da come gli venne lanciata
un’occhiata
ammonitrice che gli intimava di non azzardarsi ad aprire bocca per
vanificare
l’intervento del giovane funzionario, lui non aveva
più voce in capitolo. “Ci
troviamo di fronte ad una malattia nuova, i normali protocolli di
sicurezza saranno
intensificati, sia in entrata che in uscita.”
Spiegò. “Ci teniamo però a
specificare che il mezzo di trasmissione non avviene per via aerea, ma
tramite
lo scambio di flussi magici. Non vi è alcun rischio
concreto, a meno che non si
ingaggi uno scontro diretto con la persona ammalata.”
Le domande e risposte
continuarono, ma Harry si guardò bene
dall’intervenire; come gli aveva
ricordato lo sguardo di M, la sua
presenza lì era esclusivamente a beneficio dei riflettori.
Non era un problema essere
il
riferimento verso cui la stampa avrebbe indirizzato teorie e eventuali
invettive. Se avessero perso tempo con lui, avrebbero lasciato liberi
di
lavorare James, Scorpius, Bobby e Sören.
Sempre
che il ragazzo non sia stato contagiato …
Avrebbe distrutto il morale
della squadra, dopo il contagio di Liam.
C’era una certa
amara ironia
nel constatare che il tedesco, che aveva collaborato gomito a gomito
con il
redivivo John Doe, adesso rischiava di esserne vittima.
Ironico
eppure già visto.
Passare dalla parte giusta
dopo aver commesso errori pareva, per chi aveva sangue Prince, una
caratteristica di famiglia.
****
Scozia,
Hogsmeade.
Casa
di Ted Lupin e James Potter.
Ted sobbalzò
quando il camino
diede un lampo improvviso seminando una buona quantità di
cenere sul pavimento;
dato che cercava di ammazzare il tempo leggendo un libro
nell’attesa che James
tornasse a casa tutto intero era un miracolo avesse scampato
l’infarto.
“Ehi bellezza!” Sul momento non riconobbe la voce
prima di realizzare che era
quella del funzionario dell’Ufficio Relazioni con i Mannari.
“Troppo tardi?”
Sì, poteva essere
solo la
bislacca ragazza che rispondeva al nome di Flynn Lin. “Flynn,
buonasera.”
Sorrise sporgendosi dal divano per guardarla apparire tra le fiamme.
“Non mi
aspettavo una chiamata via Camino … di solito non lo
usiamo.”
“Si vede, il collegamento fa schifo.”
Replicò quella senza troppi giri di
parole. “Comunque, ripeto. Troppo tardi?”
“Sto aspettando
che James
torni dal lavoro, quindi no, ero sveglio.”
Realizzò il motivo della chiamata e
si raddrizzò, posando il libro che stava leggendo accanto
alla tazza di the ormai
vuota; era la sua ricetta per avere la meglio sulle lunghe attese.
“Ci sono
novità su Lunastorta?”
Merlino,
non mi abituerò mai a chiamarlo così.
“In un certo
senso.” Replicò
sibillina. “Ti avevo parlato, no, di Moscardo?”
“Il vice
dell’attuale
Capobranco?” Ricordò. “Sei riuscita a
spiegargli la situazione?”
“Sì, ed
ha accettato di
incontrarti … ma ad una condizione.”
Non
mi piacciono le condizioni.
Tuttavia non era nella
posizione di contrattare. “Sono tutto orecchi.”
“Ha detto che parlerà con te solo se accetterai di
farlo alla Riserva.”
Ted aggrottò le
sopracciglia
perplesso. “Non c’è problema.”
Non aveva certo paura di mettervi quando per
mestiere aveva dovuto avere a che fare con Creature pericolose, se non
più,
comunque alla pari con i Mannari. “Pensi
che sia un problema?” Si corresse.
La ragazza si morse un labbro, e nonostante la pessima resa delle
fiamme,
riuscì a sembrargli incerta. “Il fatto
è che al momento Moscardo è a caccia con
i giovani, e tornerà domani mattina … Vuole
che passi stanotte alla Riserva.”
“Ah.” La
richiesta era strana,
non c’era dubbio. “E perché?”
“Lo sa
Morgana!” Sbuffò scuotendo
la testa. “Te l’ho detto no, che è una
specie di guru spirituale e palle varie
… Ha queste alzate di ingegno, alle volte. Mi ha bombardato
di domande su di
te, è parso interessato.” Si grattò il
naso speculativa. “La mia opinione?
Credo voglia vedere se riesci a sopportare una notte con il branco. Se
vali la pena.”
“Ho
capito.” In realtà per
niente, ma supponeva non fosse quello il punto. I Mannari che vivevano
nel
branco del Galles avevano, a dispetto di quel che si pensava, un rigido
codice
di comportamento: forse quella era una sorta di prova. “Dammi
una mezz’ora per
prepararmi e poi…”
“… e poi vieni da me, ti ci porto io.”
Finì per lui. “Ho una Passaporta nella
capanna di Moscardo, la incanto e sei là. Siamo
intesi?”
Lo erano. Flynn gli diede’indirizzo di casa sua,
perché vi arrivasse via camino
e si salutarono. Ted salì così al piano di sopra,
preparando uno zaino con le
cose necessarie per una notte all’addiaccio; fu rapido dato
che gli era già
capitato di dormire fuori nelle occasionali esplorazioni dei dintorni
che lui e
James facevano quando il tempo volubile delle Highlands decideva di
essere
clemente.
Jamie…
Doveva
chiamarlo e spiegargli la
situazione prima che tornasse a casa e la trovasse vuota.
Dopo
la giornata che ha avuto un biglietto e qualcosa
in caldo da mangiare non sono un
benvenuto adeguato.
Prese lo Specchio Magico e
scrisse il nome del ragazzo, sperando che avesse la
possibilità di
rispondergli. Odiava davvero lasciare biglietti.
Inghilterra,
Londra.
James sentì la
tasca interna
della giacca scaldarsi mentre parcheggiava l’auto di
servizio, data in
dotazione agli agenti che dovevano spostarsi in aree densamente
popolate da
Babbani senza dare nell’occhio.
È
un peccato che non ce le diano più spesso. Sono
fighe!
“Il tuo bel chiodo
da ragazzo
cattivo si sta illuminando, Potty, chiamata in arrivo!” Gli
fece notare
Scorpius sedutogli accanto, tutto preso a girare le manopole della
radio come
se fosse in gita ad Hogsmeade.
Lo
prenderei a calci se non avessi bisogno di sentirlo
ciarlare dopo la merda che ci è toccato ingoiare oggi.
Se
blatera è ancora tutto okay.
Estrasse lo Specchio
Comunicante e vide il nome del compagno galleggiare sul vetro. Lo
sfiorò con la
punta della bacchetta. “Ehi, Teddy. Sai che sono in servizio,
vero?”
“Sì,
scusami.” Il tono di voce
non era dei migliori, registrò. Suonava agitato, per quanto
potesse esserlo una
persona che considerava il the l’unico stimolante di cui
avesse bisogno per
alzarsi la mattina. “Come stai?”
“Meravigliosamente
di merda,
grazie. La giornata lavorativa più lunga di
sempre.”
“Hai un momento?”
“Per te
sempre.” Scrollò le
spalle, mentre gli altri due auror scendevano dalla macchina.
“Che succede?”
Dimmi
che è tutto okay o prendo a testate il volante,
cazzo.
“Nulla
… È solo che stasera
non sarò a casa.”
Eh?
“Eh?”
Ripeté a voce alta
sbattendo la portiera, prima di rendersi conto che doveva esserci un
motivo ben
preciso se l’abitudinario Ted Lupin decideva di allontanarsi
dal focolare a
notte fonda. “È successo qualcosa? Tua nonna, i
miei?” Snocciolò preoccupato.
“No, no
… Ti ricordi la
faccenda del Mannaro? Sono stato invitato alla Riserva dal vice-capo
branco. Vuole
parlarmi, e vuole che lo faccia alle sue condizioni. Lo
vedrò domani mattina.”
“E stasera devi
dormire lì?”
Quella storia non gli piaceva, ma lontano miglia poteva far poco per
convincere
l’altro a dargli retta.
Tra
l’altro, quando vuole è una gran testa di Bolide e
su questa storia si è impuntato di brutto.
Ted sorrise oltre lo
schermo,
forse intuendo i suoi rivolgimenti interiori. “Non
c’è da preoccuparsi … il
funzionario dell’ufficio intercederà per me, e
comunque non è certo la prima
volta che ho a che fare con dei Mannari.”
“Una cosa è andare ad una conferenza e stringere
le mani a gente come tuo
padre, una cosa è avere a che fare con un branco libero.” Gli fece notare,
facendo cenno a Scorpius e Bobby di
andare avanti. La villetta a due piani dove abitava Price era simbolo
perfetto
del quartiere in cui si trovavano, Brixton¹, dato che accanto
aveva un sexy
shop e un pub dall’aria sinistra. Fortuna voleva avessero
deciso di non
indossare le uniformi per il sopralluogo, dato che vennero squadrati da
un
gruppetto di ragazzi afroamericani che ciondolavano fuori dal pub, da
cui
usciva musica reggae a volume sostenuto.
“Lo so, Jamie, ma voglio chiudere questa storia una volta per
tutte.” Soggiunse
l’altro. “Ho bisogno di
risposte…”
“Sul fatto che
quel tizio si
chiamava Lunastorta?”
“Anche, e
poi…” Non finì e
James ricordò la foresta, i Centauri e il dannato sangue
sulla mani dell’altro.
Okay.
Fanculo, non fare quella faccia. Okay.
“Va
bene.” Sbuffò. “Solo …
Vigilanza costante, ah?”
Ted ridacchiò.
“Contaci.” Guardò
oltre le sue spalle, inarcando le sopracciglia. “Sento della
musica … dove
siete?”
“Nel buco del culo
di
Brixton.” Scrollò le spalle raggiungendo Malfoy
che con un solo colpo sapiente
di bacchetta aprì il portoncino del palazzo, facendo poi
elegante cenno di
precederlo. “E Malfuretto è uno
scassinatore.”
“Potty mi insulta, non ho nessun passato nella malavita!
È solo che quando devo
forzare la porta dell’appartamento della mia rosellina
perché il Signor Weasley
mi ha chiuso fuori…”
“Okay, non sto ascoltando coglione.” Lo
fermò, tirandolo dentro l’ingresso buio
e dal forte odore di spezie. “Stiamo per fare
un’ispezione.”
“Ti lascio allora.” Non poteva vedere il viso
dell’altro a causa del buio, ma
poteva sentirne la voce ed era un po’ imbarazzante esserne
così rassicurato.
“State attenti.”
“Al massimo dovremo preoccuparci di essere morsi da qualche
topo.” Gli fece
eco. “Sta’ attento tu piuttosto e chiamami se
succede qualcosa. Ho una macchina
favolosa che macina miglia.”
“Certo.” Ci fu una breve pausa. “Ti amo
James.”
Ringraziò in ginocchio – metaforicamente
perché ci teneva ai suoi jeans – la
scarsa illuminazione delle scale perché era certo di avere
stampato in faccia il
sorriso più imbecille della storia. Non si
sarebbe mai abituato al fatto che il suo cacasotto preferito avesse
smesso di
esserlo, almeno dal punto di vista emotivo.
“Anch’io.”
Sorrise prima di
salutarlo e chiudere la comunicazione. Ovviamente trovò
Scorpius ad aspettarlo
in cima alle scale con un ghigno saputo.
“Fatti i cazzi
tuoi.” Offrì
diplomaticamente, sperando che il calore sul suo volto fosse imputabile
al
cambio di temperatura con l’esterno. Là dentro si
bolliva.
“Siete così carini quando vi
scambiate tenerezze.” Sogghignò il biondo
rimediandosi un doveroso pugno. “Vi vedo già
vecchietti a raccogliere
conchiglie a forma di cuore sulla spiaggia di
Tinworth…”
“Tu hai problemi
al cervello.”
Brontolò ignorando l’immagine inquietantemente
suggestiva mentre Bobby si
occupava di lanciare incantesimi Silenzianti al pianerottolo, onde
evitare guai
con i vicini Babbani.
“Vi immagino anche
io così.”
Replicò il ragazzo di colore senza battere ciglio.
“O in una foto da rivista,
con un cane e un paio di ragazzini.”
“Quanto siete stronzi.”
Sbuffò
incrociando le braccia al petto. “Chi diavolo dovrebbe
partorire poi?”
“Punto dieci
Galeoni su di te,
mio Potty. Tanto ti è già venuta la panzetta
alcolica.”
“Ma vaffanculo,
non è vero!”
Ridere non era male quando le contingenze erano tutto
fuorché allegre.
Ringraziò comunque Merlino che il crucco non fosse presente.
Siamo
più rilassati quando non c’è.
…
o forse solo io e gli altri si adeguano di
conseguenza?
Mentre Scorpius si occupava
della serratura guardò fuori dalla finestra, dove i lampioni
lanciavano ombre
sulla strada lavata dall’ennesima pioggia estiva. Era
incredibile pensare che
un tipo che aveva quasi fatto saltare in aria un’Accademia di
Duello, e dato
filo da torcere a ben quattro agenti altamente addestrati, vivesse in
un
quartiere così poco magico. “Questo Price deve
essere Nato Babbano.” Osservò
distratto.
“Sì, ma
sa mettere barriere
anti-ladro come se lo facesse dalla nascita…”
Borbottò Scorpius chino sulla
serratura e già in maniche di maglietta. “Per
Salazar, si muore di caldo!”
“I Babbani hanno
condizionatori solo nei loro appartamenti … Non usa il buon
vicinato, pare.”
Replicò Bobby appoggiandosi al muro antistante e nascondendo
uno sbadiglio
dentro una mano. “Ma che ore sono?”
Scorpius, con la bacchetta
in
pugno e con una forcina per capelli trai denti, grugnì un
lamento. “Dieci
minuti a Mostruosamente Tardi?”
Con un rumore secco di
rottura, le barriere magiche finalmente furono spezzate e
quest’ultimo, con
un’esclamazione di trionfo passò a forzare la
serratura. Fu un attimo: un’ombra
nera balzò fuori dalla porta aperta e lo placcò
in pieno petto.
“Scorpius!”
Gridò bacchetta alla mano, mentre Bobby lo imitava
imprecando.
“Fermi!”
Esclamò l’aggredito,
cercando di districarsi dalla massa a quattro zampe che gli era
piombata
addosso. “Fermi, è solo…” Una
risata li congelò sul posto. “…
è solo un cane!”
Il suddetto, beatamente
scodinzolante, si stava adoprando per lavargli la faccia a suon di
leccate e
abbaiò entusiasta quando notò la loro presenza.
Ma
porc…
“Beh, se non altro
non è
un’Acromantula…” Mormorò
Bobby con un sorriso nervoso. “Accidenti, gente,
abbiamo i nervi tesi, eh?”
“Puoi
dirlo.” Sospirò
grattando la testa del grosso Golden Retriever che lo guardò
con canina
adorazione. “Non mangerà da stamattina,
troviamogli qualcosa da mettere sotto i
denti prima che decida che Malfuretto è gustoso.”
“Ci penso io!” Esclamò questo, in piena
simbiosi con quello che evidentemente
riconosceva come suo simile. “Ciao bello, mi dici
dov’è la tua ciotola? Chi è
un bel cagnone?”
James alzò gli
occhi al cielo,
mentre Bobby ridacchiava e lo precedeva all’interno
dell’appartamento. Inarcò poi
le sopracciglia quando riuscì a dare un’occhiata
sommaria al soggiorno, la
prima stanza che si incontrava dopo l’ingresso.
“Un bel
po’ monotematico
l’amico …” Considerò Bobby
fischiando impressionato.
L’intero ambiente
era
tappezzato da poster raffiguranti Duellanti, Duelli, momenti salienti
dei
suddetti e premiazioni. Vi erano bandiere delle principali scuole
dell’Europa
Continentale e teche contenenti foto e pezzi di uniforme.
“A questo tipo
piace proprio tanto menare la
bacchetta!” Osservò Malfoy
uscendo dalla cucina dove doveva aver lasciato il cane a giudicare dal
rumore
di mascelle ruminanti. “E dovete vedere la tabella di
allenamenti pazzesca che
tiene attaccata al frigofero.”
“Frigorifero,
scemo.” Lo
corresse dirigendosi verso una serie di foto che raffiguravano Price
assieme
agli altri allievi dell’Accademia; riconobbe Dionis in
seconda fila e anche
qualche auror. “Sono tutte foto recenti.”
Notò scorrendole con lo sguardo.
“Stessa cosa per
quelle in
camera! Non sembra si vada più in là di un
anno…” Gridò Bobby dalla suddetta,
prima di uscirne. “L’unica cosa che sembra essere
datata è la sua sciarpa di
Grifondoro.”
James aggrottò le
sopracciglia. “Assurdo. Questo tipo ha cominciato a vivere
meno di un anno fa?”
“Forse si
è trasferito da un
altro posto e ha buttato la roba vecchia.”
Ipotizzò l’altro facendo spallucce.
“C’è gente che lo fa.”
“Sì, ma
le foto dei genitori?
Amici? Non è roba che inscatoli o butti!”
“Questo posto
è un culto alla
prestanza fisica.” Osservò Scorpius sedendosi
sulla poltrona e agitandosi un
po’ per trovare la posizione giusta. “E al
presente.” Aggiunse meditabondo. “Credo
proprio che abbia sempre vissuto qui … Almeno, sia prima che
dopo.”
“Prima e dopo cosa?”
“Questa
è una poltrona su cui
si è seduto per un sacco di tempo una persona robusta.
Più grassa che robusta.”
Si dimenò ancora un po’. “Sento ancora
la forma, e credetemi, non è quella del
tipo che abbiamo affrontato oggi.”
Bobby lo guardò stranito, perché in effetti certe
uscite di Scorpius a volte
potevano esser viste come il volo di un fantasia troppo fervida.
“Potrebbe
essere un parente … un fratello?”
L’altro scosse la
testa,
intrecciando le mani dietro la nuca e reclinandosi sul sedile.
“Ho visto il
contenuto del frigo. Un sacco di roba dietetica, proteica …
il genere di cose
che comprano i Babbani quando non vogliono ingrassare. E poi la tabella
di
marcia, e la bilancia sotto il lavello? Fate due più
due.”
“Quindi era forma,
e con
questo? Dobbiamo cercare indizi che sia venuto a contatto con Howe o il
Sergente,
non quanti chili ha perso in un anno!” Gli fece notare per
riportarlo sul
pezzo. L’espressione di Scorpius però era troppo
consapevole per essere stata
una sparata fatta tanto per dimostrare le sue doti investigative.
Si strinse infatti le
spalle.
“Era solo per rispondere alla tua domanda … sul
perché non ci sia niente che
faccia pensare ad una vita passata. Price ha voluto disfarsene assieme
ai chili
di troppo. Ha senso, no?”
In
effetti.
Bobby passò
davanti ai vari
poster, dove Duellanti famosi si mettevano in posa o lanciavano
incantesimi a
beneficio dei fotografi. “Per poter iscriversi
all’Accademia serve un
certificato di sana costituzione dal San Mungo. Devi essere
allenato…”
“Non è solo questione di peso, ma anche di
capacità magica!” Obbiettò.
“Se sei
una mezza sega con gli incantesimi puoi anche diventare tutto muscoli,
ma se
non aumenti…”
Scorpius squadernò un sorriso tutto denti, trionfante.
“… la tua capacità
magica, dici? Scusa, mi ricordi qual è il sintomo
principale?”
“Merda.”
Sussurrò mentre
accanto a lui Bobby giungeva alla stessa, silenziosa conclusione data
l’espressione con cui si voltò. “Prince
aveva detto che la malattia poteva
essere un effetto collaterale successo durante un incantesimo Oscuro
andato
storto!”
“Ma come ha fatto
Price a
lanciarselo e a lanciarlo anche su Howe?” Bobby scosse la
testa.
“Possono aver
lavorato
assieme!” James guardò Scorpius mentre questo si
aggirava per la stanza, preso
da un pensiero da come prendeva libri dall’esigua libreria o
sfogliava una nutrita
pila de Il Maschio
Mago – rivista che Lily aveva ribattezzato
brillantemente Manifesto della
iper-Compensazione Maschile.
Ritornò al punto
della
faccenda. “Malfuretto, Howe secondo le nostre indagini non
è mai uscito dalla
sua stanza al Paiolo. Come diavolo avrebbero fatto ad
incontrarsi?”
“Partite dal
presupposto che
si siano incontrati di recente. E se non fosse
così?”
“Ma se si sono
ammalati nelle
ultime due settimane!”
Scorpius inarcò
un
sopracciglio come solo suo padre avrebbe saputo fare. “Scusa,
ma tuo fratello
non ha detto che il virus è capace di mutare? Che la roba
che ha il Sergente
non è la stessa che ha Price? Quindi i tempi di contagio di
Howe e Price
potrebbero non essere quelli che pensiamo.”
Bobby schioccò le
dita. “Ehi,
questo spiegherebbe perché Howe era a Londra! Si
è ammalato, quindi ha cercato
di tornare dove è stato contagiato la prima volta. Abbiamo
supposto che
viaggiasse spesso da Londra all’America per lavoro, ma se non
fosse stato per
lavoro?”
Oh,
merda.
Era stufo di pensare quella
parola. “Che diavolo stai cercando?” Gli chiese
affiancandoglisi e dando un
colpetto al giornale. “Quella roba è
spazzatura!”
“Price
è un patito dei Duelli,
ma non è come fare un po’ di palestra, ci vuole
concentrazione, sforzo e una
certa predisposizione naturale. Cerco quello che ha cercato
lui.” Cominciò sfogliando
le pagine febbrile.
Bobby prese una delle
riviste,
sfogliandola confuso. “Cosa stiamo cercando?”
La rivelazione
arrivò come un Avada a
ciel sereno. “Sia Howe che Price
non hanno pasticciato con la Magia Oscura come pensavamo …
Hanno rintracciato
chi lo facesse per loro.”
Scorpius lo
graziò di un
enorme sorriso soddisfatto e squadernò di fronte a loro una
pagina segnata da
una grossa piegatura, fatta evidentemente per non perdere il segno. Vi
era
cerchiato un trafiletto corredato da un profluvio di lettere colorate
ed
immagini di maghi dall’aria prestate. “Quello che
stiamo cercando, signori. La
versione magica di allungati il pene!”
****
Inghilterra,
Londra.
Residenza cittadina degli Zabini. Notte.
Dal punto di vista di Dirk
Zabini la venuta del fratello maggiore era un evento assimilabile solo
alle
festività. Era raro che Miki – troppo difficile da
pronunciare altrimenti – si
facesse vedere fuori dalle feste comandate, e se succedeva spariva
subito
dentro l’ufficio del comune genitore per poi prendere il
camino una volta
finito il colloquio.
Raro, occasionale, inusuale.
Erano parole difficili, ma
che
nella testa ricciuta di Dirk, cinque anni e due denti in meno, erano
sempre state
naturalmente associate al fratellastro. Parole affascinanti.
Così, quando
sentì dei rumori
provenire dalle stanze assegnate all’altro, saltò
fuori dal letto e ignorando i
richiami accorati di Tinkie, la sua Elfa domestica, corse a controllare.
E
se è un ladro?!
Era suo dovere scacciarlo:
era
l’assoluto padrone di casa quella sera, dato che i genitori
erano a teatro e
sarebbero tornati molto tardi tesoro, non
devi aspettarci alzato.
Salendo le scale che
portavano
allo studio e alla stanza da letto di Michel gli passò
però il coraggio e
quando arrivò all’ingresso dello studio non ne
aveva più una goccia.
“Padroncino, torni
a letto,
Tinkie le porterà un po’ di latte caldo,
sì?” Lo blandì l’Elfa.
“No!”
Proclamò con fierezza, e
fu più per un punto di principio che reale voglia che spinse
la maniglia ed
entrò nella stanza. “Miki?”
Chiamò.
“Dirk?”
Era la voce di suo
fratello e poté dunque tirare un sospiro di sollievo: era
vicino alla libreria,
vestito come se dovesse andare a far compagnia ai genitori da un
momento
all’altro. Era chiaramente il vestito
bello che usava per andare al Ministero.
Lavoro?
“Sei stato al
lavoro?” Sua
madre diceva che ci voleva sempre una buona domanda per iniziare una
conversazione
o si rischiava di passare per maleducati – massima onta
concepibile per persone
del loro lignaggio.
Quando Michel lo guardava
però
aveva sempre l’impressione di non azzeccarla mai, quella
domanda; non che lo
trattasse male come diceva la mamma alle sue amiche quando pensava che
non
stesse ascoltando. A Dirk pareva che l’altro non sapesse bene
come comportarsi
in sua presenza, come succedeva a lui quando capitava che gli
regalassero un
gioco di cui non conosceva le istruzioni.
Gli piaceva, Miki.
“Perché
non sei a letto? È
tardi.” Aveva un grosso libro di pelle tra le mani, ma lo
chiuse con uno scatto
secco quando vide che lo stava occhieggiando. “Tinkie, non
era a letto?” Chiese
rivolgendosi alla sua Elfa che emise un lamento impercettibile
tappandosi gli
occhi con le mani.
“C’ero
a letto, ma poi ho sentito i rumori … E ho pensato che era
un
ladro!” Rispose in vece della creaturina, sapendo bene che
era un po’ colpa sua
se sarebbe stata punita al ritorno dei suoi. Poteva cercare di evitarlo
però.
“Invece eri tu!”
“Evidentemente.” Convenne con un sospiro.
“Torna a letto, se i tuoi genitori ti
trovano alzato…”
“Ma loro tornano molto tardi!” Considerò
sentendosi molto furbo perché tra le
coperte non ci voleva tornare e doveva dunque giocare
d’astuzia. Aveva scoperto
che se cercava di parlare come i grandi
Miki era più propenso a starlo ad ascoltare. “Ed
io adesso non ho sonno! Che
fai?”
“Dirk…”
Non voleva farlo
arrabbiare, ma c’era ancora un buon margine di manovra dato
che diversamente
dagli altri occupanti della casa, Michel era più tollerante
verso i suoi
capricci. Non quanto Tinkie, ma poteva comunque essere corrotto con
qualche
lacrima ben spremuta. “Dirk.”
Tentò
ancora ma un suo scenico singhiozzo lo fece sbuffare.
“Smettila, ormai sei
troppo grande per fare i capricci.”
Questo
lo dici tu.
Completò la sua
opera sbattendogli
contro le gambe, per abbracciarne una. “Mi fai restare un
pochino?” Doveva
stare bene attento a non sgualcirgli i vestiti, perché era
una cosa che faceva
arrabbiare tutti – i suoi genitori soprattutto.
“Poco!”
Michel roteò gli
occhi al
cielo, stringendo trai denti un’imprecazione
perché primo non era elegante,
secondo era di fronte ad un bambino di cinque anni che aveva orecchie
capaci di
captare la minima esclamazione e spiattellarla di fronte al consesso
meno
adatto nel momento meno opportuno.
Ci
manca solo mi accusino di insegnargli volgarità.
“Cinque minuti e
siediti
vicino al fuoco, fa freddo.” Lo istruì dandogli un
colpetto sulla testa
ricciuta per spingerlo verso la poltrona. L’altro non parve
minimamente aver
sentito il comando perché strinse la stoffa dei suoi poveri
pantaloni tra le
dita e gli rivolse un sorriso a cui mancava un dente.
“Hai perso un
dente.” Attestò
a disagio, tanto per dire qualcosa: non sapeva mai che dire ad una
creaturina
incomprensibile come quella, che faceva le domande più
strane e assumeva gli
atteggiamenti più spiazzanti.
Ovvero
un normalissimo bambino?
“Sì, la
settimana scorsa! Vuoi
vedere il buco?” Tirò su la gengiva, afferrandogli
poi di nuovo i pantaloni con
le dita sporche di saliva. “Hai visto?”
Inspirò.
“Ho visto.” Confermò
rinunciando al proposito di posarlo su una poltrona e lì
dimenticarlo. Lanciò
un’occhiata alla lacrimosa Tinkie. “Puoi andare, ti
chiamo quando abbiamo
finito.” Quando l’Elfa sparì con uno
schiocco fu perplesso dal constatare che l’altro
sembrava essersi illuminato. “Cosa
c’è?”
“Abbiamo.”
Attestò sottolineando la parola. “Facciamo
qualcosa insieme?
Giochiamo?”
“No.” Si
affrettò a dire, ma
di fronte all’espressione delusa che ne conseguì,
si rassegnò a condividere il
motivo della sua venuta. “Devo cercare un album di fotografie
… Dovrebbe essere
qui, dove sono stati catalogati gli altri.” Indicò
la sezione della libreria
che era stata deputata ai suoi ricordi infantili: relegati dietro una
teca di
vetro nel punto meno accessibile c’erano una ventina di album
che sua nonna
aveva personalmente composto per lui. Era anni che non li sfogliava.
A
che pro?
“Ti
aiuto!” Cinguettò
dirigendosi verso la teca e abbassandosi per passare le dita tra le
costole con
una certa grazia – aveva pur sempre sangue Zabini.
“Com’è fatto?”
“L’album che cerco? Sono tutti uguali, dovrebbe
esserci scritto…” Gli sovvenne
un pensiero. “Sei in grado di leggere i numeri?”
Gli venne rivolta
un’occhiata
oltraggiata, buffa perché una perfetta, piccola copia di
quella che approntava
lui a quell’età quando Scorpius o Loki gli
proponevano un gioco sgradito.
“Tinkie mi ha insegnato!”
“Allora prendimi
il numero
nove.” Dato che il dieci già lo aveva in mano e
l’aveva sfogliato senza trovare
niente che facesse pensare che lui e il Magonò si fossero
incontrati. Aveva
ritrovato foto di lui, Scorpius e Loki immortalati nei giochi
più spericolati e
foto con la bellissima Amara Zabini che gli avevano stretto il cuore in
una
morsa che aveva subito ignorato; foto naturali, ben diverse da quelle
che
ornavano lo studio di suo padre e il suo ufficio, dove tutto ovviamente
doveva
rasentare la perfezione Purosangue.
Aveva quindi sperato di
vedervi la zazzera bionda di un ragazzino di circa la sua
età per collocare
finalmente quello che era diventato, a conti fatti, una sorta di
ossessione.
Niente.
Dirk lo riscosse porgendogli
l’album. “Ecco Miki!” Proclamò
con l’aria di aver compiuto un’impresa. Sul
serio, i bambini erano incomprensibili. “Che
cerchiamo?”
“Una
persona.”
Se il tedesco fosse
appartenuto
alla sua cerchia sociale avrebbe potuto giustificare
quell’attrazione scomoda.
Un terreno una volta comune avrebbe potuto rendere tollerabili le
reazioni
inconsulte del proprio corpo come della testa.
E
spiegherebbe inoltre perché mi è sempre sembrato
familiare.
Quando si sedette sulla
poltrona per poterlo sfogliare agevolmente Dirk fu lesto ad
arrampicarsi sul
bracciolo. Ad una sua occhiata sorpresa si esibì in
un’espressione noncurante.
“Lo guardiamo assieme! Chi cerchi?”
“ … Un
bambino. Biondo, un po’
più grande di te.” Si rassegnò a
vederlo invadergli lo spazio personale per aggrapparglisi
alla giacca nell’intento di avere un migliore accesso visivo.
Sarebbe
più semplice se fossero foto Babbane. Lì gli
immortalati non rischiano di scomparire e non si nascondono.
“Allora
se lo vedo te lo dico!” Annuì
compito.
Ennesima
carrellata di foto dunque…
Sfogliò pagine e
pagine,
cercando di notare tutte le facce infantili, purtroppo non molte; gli
unici
bambini con cui aveva avuto a che fare direttamente erano stati quelli che erano
tutt’ora i suoi più cari
amici e quelli che invece aveva solo incrociato erano persone che
adesso evitava
con piacere.
Buona
famiglia non significa necessariamente persona
decente.
“Miki!”
La voce di Dirk
rischiò di fargli saltare un timpano. “Miki
guarda, l’ho trovato!”
Era pronto a negare, dato
che
probabilmente l’altro aveva di nuovo indicato quel platinato
di Scorpius, ma
sgranò gli occhi quando vide che il fratellino gli indicava
tutta un’altra
persona; un bambino biondo che sorrideva impertinente
all’obbiettivo, capelli
color del grano e occhi castani.
Gli
somiglia. Sembra lui.
Il ragazzino si muoveva
all’interno di un salotto dall’aria ricercata, in
uno stile che ricordava il
Roccocò Babbano. Ricordava dov’era stata
scattata: era il salotto di un
conte francese che sua nonna aveva frequentato durante
l’ultima estate che
avevano passato assieme, quella dei suoi dieci anni.
“Sì,
sembra di sì.” Rispose
sfiorando con la punta delle dita la fotografia, che sollecitata parve
animarsi
di colpo; i vari maghi e streghe in mantelli sgargianti presero vita,
parlando,
e ridendo mentre prendeva posto su sedie distribuite in varie file
attorno ad
uno spazio vuoto occupato da un pianoforte e un leggio.
Un
concerto. Un concerto da camera, certo. Nonna amava
portarmici, e quel tipo ne organizzava continuamente per farci piacere.
Come se un Bolide
l’avesse
colpito in testa realizzò chi era il ragazzino, primo a
muoversi nella
fotografia rimasta inerte per anni.
Il
violinista.
Era Emil Von Houten
Meinster,
il piccolo prodigio che gli aveva rubato un bacio. Non aveva scordato
il nome,
e guardandolo entrare in scena e posare il violino sulla spalla
ricordò anche i
suoi occhi da gatto – castano chiaro
– e l’espressione irriverente – con
qualche anno in più sul viso sarebbe
diventata un ghigno eccellente.
“Miki, che
c’è?” La voce di
Dirk suonava sorpresa e poteva ben immaginare perché: doveva
sembrare un idiota
colpito da un fulmine.
Milo il Magonò e
Emil il
violinista erano la stessa persona.
****
San
Mungo.
“Vuoi un bicchier
d’acqua, un
caffè?”
Vorrei poter tornare alla locanda e
dormire.
Sören lo
pensò con robusta
frustrazione, ma scosse la testa alla richiesta; del resto non era
colpa di
Albus Severus se era ancora bloccato al San Mungo dopo quella giornata
da
incubo.
Voglio
solo poter tornare alla locanda e morire,
grazie.
Lanciò uno
sguardo ai due
Guaritori presenti nell’ufficio oltre al fratello di Lily; il
primo era
Finnigan, il Capo Reparto di Malattie Magiche, il secondo, anziano e
dall’aria
infastidita, invece gli era invece nuovo. Gli venne presentato come
Tiberius
Smethwyck, Capo Reparto di Lesioni da Incantesimo.
Un
altro?
“Di quale
chiarimento avete
bisogno?” Decise di andar subito dritto al punto. Era
evidente che qualcosa nei
suoi esami aveva attirato l’attenzione.
E
di ben due luminari. Non è un buon segno.
Fu il Guaritore Finnigan a
parlare, con uno di quei sorrisi rassicuranti che doveva aver imparato
non
appena diplomatosi. Ne aveva visti molti, durante la sua degenza
post-Nurmengard.
Non gli piacevano.
“Albus ci ha detto
del nucleo
di bacchetta che hai nel braccio. Puoi spiegarci come
funziona?”
Sören batté le palpebre confuso;
l’avevano trattenuto per una lezioncina sulla
sua particolarità?
A domanda diretta doveva
però
rispondere. “Ho un nucleo di bacchetta, compatibile con la
mia aura magica,
collegato all’arteria radiale e brachiale. Questo mi permette
di non usare una
bacchetta … esterna, per così dire. La potenza
dei miei incantesimi è maggiore
inoltre, ma è più difficile controllarli. Per
questo il Centro di
Sperimentazione Magica di Boston ha studiato il mio caso
…” Alzò la manica
della camicia per mostrare il bracciale runico che non si toglieva
neppure
quando andava a dormire. Soprattutto
quando andava a dormire. “ … Sono stati loro a
darmi il congegno di
contenimento che indosso. Tuttavia, se volete spiegazioni
più tecniche, è a
loro che dovete chiedere.”
“Stai dicendo che
hai addosso
qualcosa di cui non conosci il funzionamento, ragazzo?” Il
tono del Capo
Guaritore di Lesioni non gli piacque. Era aspro e sputava giudizi
affrettati
che non aveva né pazienza né voglia di ascoltare.
Al
diavolo.
“Ne ho una
conoscenza strumentale. A lei serve
sapere come sta
in aria una scopa per cavalcarla?” Ritorse e non fu una sua
impressione, Albus
Severus voltò la testa di scatto e represse una risatina.
Persino l’altro
Guaritore
trattenne una smorfia divertita, tornando subito serio quando
incrociò lo
sguardo oltraggiato del collega prima di rivolgerglisi.
“Scusaci Sören,
immagino che tu stia chiedendo il perché di queste
domande…” Si alzò in piedi,
abbandonando la poltrona dietro la scrivania per sedersi sulla stessa
in un gesto
di distensione che non lo distese affatto. “ … Ti
parlerò chiaramente.”
“La ringrazio per la franchezza.” Stavolta non
tentò neanche di frenare il
sarcasmo che gli solleticava invitante la gola.
Non
sono un ragazzino traumatizzato. Non trattatemi
come tale.
L’uomo
sospirò, alzando le
mani in segno di resa. “Hai ragione, ci stiamo girando
attorno e tu vuoi solo
levarti dai piedi … Il fatto è questo.”
Incrociò le braccia al petto e sospirò.
“Per come si sviluppa la malattia, per il metodo di contagio
e per
l’esposizione a cui sei stato sottoposto scontrandoti sia con
il sergente
Flannery che con Henry Price, dovresti esserti ammalato.”
“Ma non
è così.” Gli fece eco
sentendo un brivido spiacevole ghiacciargli la nuca. “Avete
detto che le mie
analisi…”
“Sono negative.” Confermò il Guaritore.
“Il fatto è che non ci spieghiamo
perché lo siano. Sei stato esposto per ben due volte, eppure
i tuoi livelli di
magia sono nella norma.”
“Fin troppo perfetti.” Soggiunse il decano di
Lesioni. “Quel tuo bracciale deve
funzionare davvero a meraviglia.”
Sören passò le dita sul metallo brunito, gelido al
tatto grazie alla magia con
cui era stato incantato. “Così pare.”
Confermò.
Visto
che la bacchetta che ho nel braccio è come una
miccia vicino ad una scatola di Fuochi Magici.
“Quello che ci
chiediamo è se
sia stato il tuo bracciale a proteggerti, il nucleo di bacchetta che
hai dentro
di te…” Si inserì il Guaritore
Finnigan. “ … o altro. Perché, fino a
prova
contraria, tu sei l’unico mago fin’ora
immune.”
Capì di colpo
dove voleva
andare a parare quella conversazione. “Pensate che possa
aiutarvi a sviluppare
una cura?”
“È
ancora troppo presto per sperare
in questa direzione, ma…” Finnigan si
passò una mano trai capelli, accennando
un lieve sorriso. “Il tuo non-contagio è la prima
notizia buona da
settimane.”
Sören
ricambiò il sorriso
perché sì, era davvero una buona notizia. Una
notizia che lo faceva respirare di nuovo.
“In questo caso mi metto a
completa disposizione del San Mungo.”
“Per stasera ti
lasciamo
tornare a casa…” Scosse la testa l’uomo
dandogli una pacca sulla spalla. “Fatti
una doccia, una dormita e ci vediamo quando sarai fresco e riposato.
Quando lo
saremo tutti.”
“Domani
mattina.” Aggiunse il
Guaritore Smethwyck. “Avremo bisogno di un campione del
nucleo della bacchetta
e di studiare quel bracciale.”
“In questo non credo di potervi
aiutare…” Quando vide la confusione e il vago
sospetto nel volto di praticamente tutti e tre i Guaritori, si
apprestò a
spiegare. “Non sono di mia proprietà, ma del
Ministero Americano, dunque non è
a me che dovete chiedere l’autorizzazione.”
“Il nucleo di bacchetta nel tuo
braccio non è di tua proprietà?”
Ripeté Albus Severus incredulo.
“Era una delle
condizioni
della mia libertà.” Spiegò sentendo il
disagio strisciargli addosso come una
brutta febbre. Se c’era una cosa che odiava era spiegare la
sua posizione nel
Mondo Magico. “Ogni oggetto magico presente sul mio corpo, o
che utilizzo, è di
proprietà del Ministero della Magia americano. Io ne ho solo
il possesso.”
“Anche della
bacchetta?”
“Esatto.”
Ero
stato condannato al carcere duro a vita. Se sono
fuori, è ovvio che lo sia a patto di avere delle
limitazioni.
Pensava
che mi avessero graziato?
Il livore di James Potter
d’un
tratto acquistava tutt’altra prospettiva.
“Chiederemo al tuo
Ministero.”
Tagliò corto il Guaritore di Malattie Infettive.
“Grazie per la pazienza … ti
lasciamo tornare a casa.” Fece un cenno a Potter.
“Albus, accompagnalo.”
Fu lesto ad alzarsi. “Vi ringrazio, ma conosco
l’uscita.”
L’altro scosse la testa. “Lo faccio con
piacere.”
Non gli restò che
seguirlo;
Albus ad ogni buon conto non ci mise più di qualche passo
fuori dall’ufficio
per voltarsi a guardarlo. “Credo di doverti delle
scuse.” Esordì.
“Prego?” Era troppo stanco per ricordarsi come e
quando il fratello di Lily
l’avesse offeso.
“Pensavo
… beh.” Arrossì mordicchiandosi
un labbro; i Potter quando erano in imbarazzo assumevano tutti la
stessa espressione
di confuso disagio, quasi gli sembrasse assurdo aver sbagliato.
“Pensavamo …
pensavo che ti avessero trattato come una specie di testimone
privilegiato.”
“In un certo senso
è così.” Ammise
seguendolo verso gli ascensori. A quell’ora di notte
l’intero edificio appariva
deserto e silenzioso. “Ho avuto accesso ai capitali della mia
famiglia … dei
Prince, non dei Von Hohenheim.” Chiarì.
“Ho una casa ed uno stipendio, ma la
mia posizione giuridica è quella di un minorenne.”
L’altro lo guardò stralunato. “Mi stai
dicendo che hai la Traccia?”
“Ovviamente. I
miei
spostamenti devono essere individuabili.”
Dopo quel breve scambio di battute scese il silenzio finché
l’ascensore non si
fermò al piano terra. A quel punto Albus si voltò
di nuovo verso di lui. “Sono
contento che tu non sia stato contagiato.” Disse, e poi gli
porse la mano.
“Buonanotte Sören.”
Cercando di non fargli notare la sua sorpresa, gliela strinse.
“Anche a te,
Albus.”
“Non sono ancora
così vecchio
da essere chiamato Il Bianco.”
Lo
corresse con una smorfia. “Al.
Chiami
Al e basta, okay?”
Sören si
accomiatò sentendosi un
po’ meno stanco e amareggiato da quella giornata; lui e Albus
– no, Al – non
erano certo diventati amici, ma
perlomeno sembrava che l’altro avesse cambiato opinione su di
lui.
Un
passo per volta.
Appena uscito dal perimetro
dell’ospedale, mentre respirava l’aria fresca della
sera, sentì la tasca della
giacca trillare insistentemente di mille suoni argentini. Come sempre,
ci mise
più di qualche attimo per capire che quella sinfonia
proveniva dal suo
telefonino.
Scorse le icone colorate e
trovò un messaggio. Da Lily.
‘Tutto
okay? Sono preoccupata, fammi sapere!’
Sospirò. Avrebbe
avuto bisogno
di qualcosa da bere prima di poter rispondere.
Possibilmente, forte.
‘Sto
bene, non c’è bisogno che ti preoccupi. Ti spiego
quando ci vediamo. Buonanotte, Lily.’
E
questo sarebbe un messaggio tranquillizzante?!
Lily represse
l’impulso di
scagliare il suo smartphone – perché lì
chiamavano intelligenti, se erano
ambasciatori di risposte stupide? – contro il muro della
stanza da letto, e si
trattenne solo perché Scott si stava infilando sotto le
lenzuola di fianco a
lei e non sarebbe stato carino colpirlo in piena fronte.
“Piccola,
cos’è quel muso?”
Aggrottò le sopracciglia preoccupato. “Brutte
notizie?”
“No, pessimo il
modo in cui mi
vengono date.” Borbottò accoccolandosi contro
l’altro, che ligio al dovere la
circondò con le braccia e la attirò a
sé. Quando le passò una mano lungo la
schiena, in una carezza rilassante, si sforzò davvero di
sciogliere i muscoli
contratti.
Scott non meritava il suo malumore.
“Sören
sta bene?”
“Okay, siamo
sicuri che non
sia tu il LeNa?” Mormorò contro la sua clavicola,
trovandola interessantissima.
“Sono inquietata.”
Scott ridacchiò. “Beh, non ci vuole un potere
particolare per fare due più due
… Ne abbiamo parlato per tutta la cena, e controllavi
ossessivamente lo
Specchio e il cellulare. Ha risposto?”
Lily si
mordicchiò un labbro.
“Scusa, ho monopolizzato gli argomenti
stasera…”
Scott si strinse nelle spalle. “Un tuo amico è
finito al San Mungo, è ovvio che
fossi preoccupata. E poi, è meglio parlarne che tenersi
tutto dentro. L’ha
detto la Patil, giusto?”
Lily captò il
sottotesto e la
lieve frecciatina. Sorrise appena. “Giusto.”
Ci stava davvero provando a
farlo,
e per quanto amasse quel serio ragazzone, aveva ancora delle
difficoltà
spaventose. Non a fidarsi…
…
quanto piuttosto a lasciarmi andare.
Aveva il terrore che
affidandogli
le proprie fragilità avrebbe finito per rimetterci, in
qualche modo.
E
non un'altra volta. La prima ha fatto davvero un male
cane.
Continuava, in un certo
senso.
Ancora adesso Sören era capace di premere i punti giusti e
farli dolere.
Non come allora, ma comunque…
Non voleva che con Scott
fosse
lo stesso.
È
solo essere prudenti, tutto qui.
“Il messaggio di
risposta … è praticamente
una comunicazione amministrativa.” Spiegò,
passandogli il cellulare per
farglielo leggere. “Penso mi stia mentendo.”
Scott scorse lo schermo con
lo
sguardo e poi, razionale come sempre, sospirò.
“È solo un messaggio, Lils. Non
tutti sono bravi a mettere i propri sentimenti dentro un paio di frasi
scritte.”
Non Ren. Ren sa
scrivere. Quando vuole scrive cose meravigliose. Mi ha scritto per
dovere, non perché ne aveva voglia.
“ … non
hai tutti i torti.”
Disse invece.
Non
è solo il messaggio comunque.
All’ospedale
l’amico gli era
sembrato distante, come se avesse tentato di mettere una barriera tra
di loro –
oltre quella già presente. Certo, ricordava che quando si
sentiva messo
all’angolo dalle contingenze la sua difesa migliore era
prendere le distanze
emotive …
È
comprensibile. Ma non è quello. Non mi voleva lì,
ne
sono sicura.
Scott posò
l’aggeggio malefico
sul comodino, voltandosi verso di lei con un sorriso che non nascondeva
una
certa impazienza. “Vogliamo parlare d’altro
adesso?”
Eh,
mi sa di sì.
Qualcosa
le diceva che era meglio non continuare
a parlare di un altro ragazzo quando era a letto con il suo fidanzato.
Il
mio senso di donna sta pizzicando…
“Assolutamente
d’accordo, ragazzone.”
Gli allacciò le braccia attorno al collo e lo
tirò a sé per lambirgli le labbra
con un bacio appena accennato, sottolineando come fosse un preludio a
ben
altro. “Vogliamo parlare di quanto tu sia un perfetto
fidanzato comprensivo?”
Milo si accorse che
Sören era
tornato al Paiolo Magico quando percepì una nuvola nera
investire l’ambiente
altrimenti festoso, dato che si stava tenendo un’energica open session² di musica
tradizionale in cui si era lasciato ben
volentieri coinvolgere.
Come
musicista si rimedia sempre da bere gratis.
Concluse il set
e poi salutò gli altri musicisti, finendo
con un sorso l’unica birra che al momento riusciva a
tollerare senza che le sue
robuste papille tedesche si ribellassero.
Questa
Belhaven scozzese è la meno pisciosa.
Poi si diresse con la calma
atta ad aggirare una belva ferita verso il proprio datore di lavoro,
che seduto
al bancone, si era fatto portare una bottiglia di Ogden Stravecchio e
un
bicchiere.
“Giornata da lascia pure la bottiglia?”
Iniziò affiancandoglisi
e appoggiando il violino sulla porzione meno lercia.
Sören
sobbalzò, lanciandogli
uno sguardo sorpreso. “Non stavi suonando?”
“Non se
l’hai notato, ma non
c’è musica al momento.”
Replicò divertito, notando come l’altro avesse
fatto
scivolare il proprio cellulare nella tasca dei pantaloni come un ladro
colto
sul fatto. “Mandi messaggi a Zenzero?”
“Solo per dirgli
che sto
bene.” Borbottò vuotando il bicchiere con un
allenato colpo di polso.
Milo si sporse sullo sgabello e tirò a sé la
bottiglia, ignorando l’occhiataccia
che gli venne lanciata. “La requisisco per il tuo
bene.” Lo informò. “Sei un
peso morto da riportare a letto e questo è il mio giorno
libero.”
“Di nuovo, non lo
è.”
“Di nuovo, devo essermene dimenticato.”
L’altro non ribattè contemplando un punto
indefinito di fronte a sé. “Prima …
non eri male.” Mormorò dopo un po’.
“È la prima volta che suoni musica
tradizionale?”
“Irlandese? No, te
l’ho detto,
ho suonato ovunque e per chiunque. È un po’
ripetitiva, ma di impatto.” Si
strinse nelle spalle. “È divertente suonarla
assieme e qui c’è una grossa
tradizione in tal senso.” Lo guardò di sottecchi e
poi chiese. “Stiamo parlando
di questo per non parlare d’altro?”
“Forse.”
Gli concesse sorprendentemente.
Doveva essere davvero uno straccio se si lasciava andare a simili
confessioni.
“È troppo.” Se ne uscì
fissandosi le mani come se vi potesse trovare una
soluzione pratica. “Non ce la faccio, devo allontanarmi da
Lilian.” Appena lo
ebbe detto assunse la faccia tipica di chi si era appena accoltellato
all’addome. “ … Non abbandonarla,
solo…”
“Sì, lo so.” Lo fermò per poi
ripassargli la bottiglia, perché adesso ne capiva
la presenza. “E perché, di grazia?
L’unica cosa buona della tua venuta qui, mi
pare, era vederla…”
“Sono innamorato
di lei.”
Grandi confessioni stasera!
“Gliel’hai
detto?”
“Non essere
ridicolo.”
Ci mancherebbe. Solo amori tragici e mai
confessati per Sören Prince.
Gli riempì il
bicchiere fino
all’orlo e subito venne vuotato di nuovo come se fosse acqua.
Sören si voltò
poi nella sua direzione, con un’espressione che gli sarebbe
valsa un abbraccio
se fosse stato meno duro di cuore.
Sono
un cuore di pietra, io.
“Suona qualcosa
per me.”
Milo si alzò in
piedi, annuendo.
“Agli ordini.” Tornò alla musica,
perché non c’era modo migliore per aiutare un
cuore malandato a non sentirsi tale. Almeno fino alla fine della
canzone.
I’m killing and
I’m drinking my blue
heart to black
But
I swear, oh Lord, I’ll never sin again if you bring her back
****
Note:
Direi basta. XD
Capitolo enorme, ma dovevo finire la giornata. Spero non sia troppo
pesante!
Per quanto riguarda la
faccenda del violinista e di Michel, per chi non l’avesse
chiara, si ricollega
a questa
shot, nella parte dedicata a Michel. ; )
Ci sono un po’ di
canzoni che
mi hanno aiutato nella stesura. La prima è questa
perché anche se avevo deciso per i Bastille, l’ho
sentita e bam! canzone capitolo.
Il brano della session è questa
e quella per Sören è questa bella robetta allegra
qua.
Qui
per chi vuole vedere il piccolo Dirk. Penso proprio che nella storyline
di Milo
e Mike avrà una sua parte.
1. Brixton:
è uno dei quartieri più conosciuti di Londra, nel
bene e
nel male. Situato nell'immediato sud, nel quartiere di Lambeth, è caratterizzato
da un'alta migrazione di origine
caraibica (soprattutto giamaicana) e africana. Negli anni ’80
è stato teatro di
tensioni sociali e scontri con la polizia e tutt’ora,
nonostante la progressiva
gentrificazione, è considerato uno dei quartieri meno sicuri
della capitale.
2. Session:
sono degli incontri informali in cui delle persone suonano
musica irlandese tradizionale. Normalmente in una session un musicista
comincia
un brano e chi lo conosce gli va dietro. Una buona regola è
che non si dovrebbe
suonare se non si conosce il brano; piuttosto si aspetta o si comincia
un brano
che si conosce. L’obiettivo di una session non è
quello di divertire un
pubblico passivo di ascoltatori, principalmente la musica è
per i musicisti
stessi. Qui
per info.
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