Lei, però, non
aveva capito niente e guardava il proprio mazzo pensando alla prossima mossa.
Rimase senza parole quando, pronta a scartare un tris di nove, si rese conto che
la partita era stata chiusa.
“Sembra che tu
abbia perso un’altra volta, Asuka.”
“Accidenti!”
sbottò lei, gettando in malo modo le sue carte e sbuffando fragorosamente
“Signor Kaji, non é che lei mi frega? Sta per caso barando?”
“Se stessi
barando te lo direi?”
“Non capisco,
io gioco benissimo, non è colpa mia se sono sfortunata…!”
“Non é una
questione di sfortuna, Asuka, ma di prevedere.”
“Mi sta
dicendo che lei é un veggente?”
“Ahah, no, non
esattamente. Ma non faccio mai nulla senza pensare a cosa potrebbe accadere
subito dopo. Vaglio sempre qualunque possibilità e scelgo sempre l’opzione che
comporta meno rischio.”
“Che bello,
signor Kaji!” esultò Asuka, in amore “Lei é così riflessivo e intelligente...!
Non lo accetterei da nessun’altro, ma se é lei a battermi sono felicissima!”
Kaji si grattò
la testa e tirò un sorriso sgembo. Conosceva Asuka da abbastanza tempo da
essersi ormai abituato a quel tipo di uscite, ma nonostante sapesse che lei era
poco più di una bambina, ogni volta lo imbarazzava sentirsi oggetto di tanta
adorazione.
“Ma no, é una
cosa che s’impara crescendo, credo.”
“Lei é così
adulto, infatti!” insistette la rossa.
Kaji sospirò:
“Non sono così adulto come credi, Asuka. Sono solo predisposto per un certo tipo
di cose, mentre ne devo imparare ancora molte altre, ed altre ancora forse non
le imparerò mai. La vita é così. Devi giocartela con quello che hai in mano.”
“Come per la
scala?”
“Esattamente
come per la scala.”
“Non lo so,
signor Kaji, certamente ha ragione lei, ma io credo comunque che lei sia
perfetto così com’é.”
Adesso non era
forzatamente allegra, non c’era leziosità nella sua voce. Era tranquilla.
Sincera.
Erano quelle
le occasioni in cui maggiormente si sentiva in imbarazzo.
Quando per un
istante, ed uno solo, s’affacciava alla sua mente l’idea che quella ragazzina
facesse sul serio.
L’ipotesi,
perché nasconderlo, lo spaventava.
La portata
della sua ammirazione per lui, lo spaventava.
Lo spaventava
perché più Asuka diceva di adorarlo, più lui sentiva sulle spalle il peso della
sua fiducia, ed era terribile.
Asuka si
fidava di lui. Solo di lui.
Se ne rendeva
conto e questo rendeva ogni cosa più difficile; Kaji era sempre stato abituato a
pensare per se stesso, a provvedere unicamente del proprio benessere. Non era
mai stato capace di compiere una scelta per il bene di qualcun’altro, neppure
quando sarebbe stata la cosa giusta da fare, neppure quando sarebbe servito a
preservare l’amore di chi amava. E così aveva sempre perso tutti, uno dopo
l’altro.
Tante persone
che conquistava, altrettante persone che lasciava indietro, preso dal desiderio
di camminare veloce, sempre più veloce, di arrivare dove doveva arrivare prima
che fosse troppo tardi, e qualunque tempo sarebbe stato troppo tardi.
Non si
riteneva una cattiva persona, ma nei rapporti umani era così, sconsiderato,
avventato, predisposto a fare il pappagallo indagatore ma poco incline a
mettersi in gioco seriamente. Ogni cosa dicesse e facesse assumeva
involontariamente i connotato d’uno scherzo, cosicché non sembrasse mai prendere
nulla sul serio.
Sicuramente,
Ryoji Kaji era una creatura egoista.
Aveva tanto
come pro che quanto contro un’incredibile entusiasmo, quel modo di correre
incontro a quello che si desidera senza guardarsi attorno, travolgendo cose e
persone col poco riguardo di un ragazzino.
Sicuramente,
Ryoji Kaji era una creatura infantile.
E quando le
persone troppo si legavano a lui, quando lui sentiva che troppo si stava legando
alle persone, tendeva a sciogliere i nodi.
Si conosceva.
Conosceva i suoi limiti e sapeva.
Sapeva che
sarebbe sempre stato fonte di dolore per chi condividesse la sua vita.
In quel modo
aveva perso Misato e Ritsuko, perché le amava, ma amava troppo se stesso per
amarle come avrebbe dovuto fare.
Sicuramente,
Ryoji Kaji era una creatura inaffidabile.
Ma quando
quegli occhi blu dal taglio così sfacciatamente occidentale lo fissavano colmi
di fiducia, qualcosa gli impediva di scappare.
Asuka Soryu
Langley era solo una ragazzina. Ma l’ascendente che aveva su di lui lo
sorprendeva.
Sapere che
Asuka si aspettava qualcosa da lui lo faceva sentire in dovere di corrispondere
a quelle aspettative. Con la fiducia lei lo legava a se più di qualunque altra
donna avesse fatto col sesso.
Avrebbe dovuto
essere lui a tenerla sotto controllo, e invece chissà da quanto era lei a
controllare lui.
Ryoji Kaji
pensava di essere una
creatura furba, invece si
era fatto incastrare dal più vecchio dei ricatti: l’aspettativa
I know I said that
I'd be standing by your side
But I...
Asuka cresceva
bella ed esasperante in egual misura.
Agli occhi
della gente non era altro che una mocciosa viziata, convinta che il mondo le
ruotasse attorno; ogni volta che sentiva qualcuno parlare di lei in quei termini
Ryoji doveva frenare l’impulso di parlare della sua fame di attenzione, dei suoi
bisogni così soppressi ma così urlati, della sua fragilità e della sua immensa
forza.
Quella che per
gli altri era una monocromatica macchietta fastidiosa, per lui era un iride di
colori.
Questo non
significa non vedesse Asuka per quella che era: squilibrata, facile all’ira,
orgogliosa fino all’ottusità, rumorosa e autoritaria, piena di rabbia.
Ma proprio
perché lui la conosceva così bene non tollerava venisse odiata e spesso si
trovava ad intonarla di questi ritornelli: “Se non impari ad essere un po’ più
disponibile e tranquilla, Asuka, finirai per ritrovarti sempre sola.”
“Sola?” aveva
chiesto lei, sbattendo i gradi occhi “E tu, signor Kaji? Stai dicendo che
intendi andartene anche tu?”
Non poteva
rispondere ad una simile domanda, non in modo troppo sincero, troppo insincero,
troppo articolato.
Non poteva
dirle che un giorno lui avrebbe anche potuto non esserci più, perché l’avrebbe
ferita, le avrebbe fatto sentire d’aver riposto male la fiducia faticosamente
tirata fuori, un’altra volta.
L’avrebbe
distrutta. Un’altra volta.
Ma non poteva
neppure dirle di si perché non voleva illuderla, non voleva farle credere che si
sarebbe sempre occupato di tutto lui, che la briga di crescere ed imparare ad
adattarsi le sarebbe stata risparmiata.
Proprio perché
l’amava non sapeva se ai suoi dodici anni fosse giunto il momento di cominciare
ad allontanarla o stringerla più forte.
“No, Asuka.
Per adesso io non me ne andrò, e spero di non doverlo fare mai.”
La ragazzina
sorrise. Fuori casa non sorrideva mai.
Aveva sempre
lo sguardo duro, durissimo, era scura, saccente ed arrogante e fissava le
persone negli occhi con disprezzo.
Asuka
sorrideva solo a lui.
“Allora finché
ci sarà lei, signor Kaji, io non ho assolutamente bisogno che tutte le altre
persone del mondo non mi trovino antipatica.”
Ryoji dovette
accettare, a quel punto, quello che da tempo era ormai chiaro: era sua la colpa
se Asuka credeva di andare avanti, ma invece restava sempre ferma.
Your path's unbeaten
and it's all uphill
And you can meet it but you never will
And I'm the reason that you're standing still
But I...
Lentamente,
delimitò il confine fra loro.
Impossibile
dire quanto difficile fu cominciare.
Non sapeva se
fosse dovuto alla vicinanza o semplicemente alla natura, ma lui ed Asuka erano
affini.
Non simili,
quella cosa che teoricamente dovrebbe unire ma invece divide sempre, no, erano
semplicemente affini.
Dove finiva
uno cominciava l’altro, su un’unica linea.
Una linea che
era il momento d’interrompere
Si era
convinto di doverlo fare per lei, ma non era completamente vero, doveva farlo
soprattutto per lui.
Prendersi cura
di qualcuno, esserne il modello e portarsi così sulle spalle il peso di gran
parte della sua crescita, pensare a quel qualcuno senza trascurare te stesso
perché questo deluderebbe quel qualcuno, ecco, soprattutto, deluderlo, convivere
ogni giorno con la paura di deluderlo era troppo, un peso troppo grande per lui.
Aveva ragione
Misato: era immaturo.
Lo era di
carattere e lo sarebbe sempre stato.
Non sarebbe
cambiato solo perché per lavoro doveva sorvegliare una ragazzina problematica.
Non sarebbe
cambiato solo perché le voleva bene.
Allontanarla
era un modo per staccarsela di dosso, per riappropriarsi della propria libertà,
del diritto di badare solo ed esclusivamente a se stesso.
Dopotutto,
Ryoji Kaji era fatto così.
Poi, quel
giorno, andò a prendere Asuka a scuola.
Di solito
s’incontravano infondo alla strada, all’angolo, ma in quell’occasione andò prima
e si fermò davanti al campus.
Ragazzi e
ragazze molto più grandi di Asuka parlavano fra loro muovendosi in gruppi e
coprendo la distesa d’erba come macchie.
Lei uscì dopo
un po’.
In linea
teorica non avrebbe dovuto essere sola, aveva qualche compagno di massimo un
paio d’anni in più nel corso avanzato che frequentava, tuttavia era
comunque…beh, sola.
Non parlava
con nessuno e col passo svelto e fiero che la contraddistingueva avanzava fra la
gente, urtando qualcuno e non chiedendo mai scusa. Non aveva nessuno da
salutare. Nessuno che la salutasse. Ryoji ingranò la retro e, prima che lei lo
vedesse, si appostò all’angolo per attenderla.
Asuka si
precipitò in macchina attaccando a raccontare quanto bene fosse andata la
lezione, quanto gli insegnanti gli avessero detto che era brava e quanto tutto
fosse perfetto.
Vedendola così
improvvisamente allegra al suo fianco, Ryoji provò un enorme senso di tristezza.
Forse era
proprio vero che non lo faceva per lei.
I wish I could say
the right words to lead you through this land
Wish I could play the father and take you by the hand
Wish I could stay
But now I understand
I'm standing in the way
I wish I could lay
your arms down and let you rest at last
Wish I could slay your demons but now that time is past
Wish I could stay here
Your stalwart standing fast
But I'm standing in the way
I'm just standing in the way
Due anni dopo
erano ancora in salotto, la notte, con fuori il temporale.
Solo due sere
dopo sarebbero partiti per il Giappone, ma Asuka non sembrava impaziente come
avrebbe dovuto essere, al contrario, si lagnava di continuo per vaghezze, era
più irritabile del solito ma, soprattutto, metteva ancora più bronci, quelli che
faceva quando voleva costringerlo a fare qualcosa.
In quell’anno
era riuscito, gli sembrava, a marcare maggiormente quel confine tra di loro, ma
ogni tanto aveva l’impressione di aver strappato le radici solo su di un lato.
Asuka, però,
sembrava entrata nell’ottica che lui non era suo padre, non era eterno e non era
l’uomo più bello e perfetto del mondo; la sua adorazione sconfinata sembrava
aver assunto le dimensioni di una più banale cotta adolescenziale.
Questo lo
sollevava, ma un po’ lo amareggiava, anche se è stupido a dirsi.
Mentre stavano
giocando, Asuka si sporse a cambiare canale al televisore, ed involontariamente
gli mostrò le sue carte.
Ryoji guardò
le proprie e vide che sarebbe bastato scartare un due di fiori per farle
chiudere la partita.
Pensò che
doveva essere quella la sensazione degli uccelli che buttano giù i piccoli dal
nido.
Con un gesto
rapido, per non cambiare idea, buttò la carta che subito Asuka raccolse e scartò
insieme alle due in suo possesso
“Lo sapevo che
sarei riuscita a batterti, prima o poi, signor Kaji!!”
L’uomo sorrise
“Stai diventando grande, Asuka. Tra un po’ non avrai più bisogno di me.”
“Ma che dice,
io avrò sempre bisogno di lei...!”
In cuor suo,
la guardava Asuka con una punta di fierezza.
E’ solo una
ragazzina, si disse, eppure è riuscita a stupirti.
“Ti va una
fetta di torta?”
“Volentieri..”
Kaji si alzò
ed andò in cucina.
Certa di
essere rimasta sola, Asuka tirò fuori il sette di quadri che aveva nascosto
sotto al cuscino.
Sicuramente,
Asuka Soryu Langley era una creatura capricciosa.