Capitolo 1.
Niente è prevedibile.
La solita scuola mi avrebbe accolta tre quarti d'ora dopo il mio
risveglio. La routine mattiniera aveva avvolto e soffocato ogni
studente nella mia classe. Mi svegliai, come ogni mattina, alle 7.30.
Feci colazione, m'infilai sotto la doccia, ficcai dei jeans ed una
maglietta e sparì da casa. Quest'ultima non era una delle
più belle che si potessero desiderare, certo; la mia
famiglia era piuttosto benestante, ma umile come poche. Soprattutto mio
padre, che non aveva mai voluto un Matisse originale per far mostra di
sè, appeso al muro del salone, mentre mia madre aveva le
solite manie. Il Matisse originale l'avrebbe voluto, eccome.
Comunque sia, alle 8.10 mi ritrovai catapultata nella
realtà che ogni adolescente desidererebbe evitare. Sei ore
filate passate ad ascoltare gente parlare dell'unica materia che sapeva
alla perfezione, ora algebra, ora filosofia. I professori di arte,
notai col tempo, erano tutti strani, nessuno escluso. Il nostro, in
particolare, era più strano degli altri. Pretendeva che noi
sapessimo a memoria le cattedrali senza averne mai parlato in classe;
avrebbe dovuto frequentare qualche centro di recupero delle
abilità mentali, a dirla tutta. Ricordo ancora un episodio
accaduto due anni fa, in secondo liceo. Sesta ora, arte, materia
tranquilla. A quanto pareva prima degli eventi. Era l'inizio del'anno,
ed il professore dell'anno prima si era ritirato a miglior vita
(parliamo di pensione, non di morte). Ci informarono, quella stessa
mattina, che il sostituto dell'anno sarebbe stato il professor Barone.
Niente di speciale. Entrò in classe come un "normale"
quarantenne sposato. Prese subito confidenza con noi, ci disse che
eravamo simpatici. Scostò la sedia della cattedra, e
cominciò a piangere, e a raccontarci della sua vita
infelice. Continuò così per tutta l'ora, senza
darci il minimo spazio in cui avremmo potuto esprimere la nostra
opinione riguardo le faccende che lo riguardavano. Ovviamente, a noi
non importava un fico secco dei suoi film mentali, ma erano pur sempre
migliori di un'ora passata ad ammirare la foto della cattedrale di San
Coso.
Come l'anno passato, il mio posto di banco era vicino a
Chiara, la mia migliore amica. L'unica persona in grado di non seccarmi
dopo dieci minuti di conversazione era seduta accanto a me. Inutile
dire quanto ridemmo della sceneggiata patetica di Barone, di cui
neanche i familiari sapevano il nome. Quel giorno, Chiara mi aveva dato
un'impressione diversa dal solito; il suo sorriso era
diverso, come costretto da qualcosa, o da qualcuno. Ma non le dissi
niente, pensando che forse non avrebbe voluto parlarne. Non brillante
per la sua altezza, castana, con occhi verdi, era l'unica con cui mi
fossi veramente divertita. Anche nelle cosiddette giornate "fiacche",
riuscivamo sempre a trovare un argomento per cui valeva la pena ridere.
Il resto della giornata trascorse normalmente. L'indomani, a
scuola, avremmo dovuto consegnare un tema assegnato la settimana prima
come compito a casa. Non starò qui a spiegare la traccia,
non interesserebbe a nessuno. Scostai la sedia, mi sedetti, ed aspettai
Chiara. Arrivò alla solita ora.
<< Sento che sto per scoppiare >>
mi disse. La cosa mi incuriosiva, ma allo stesso tempo, mi preoccupava
leggermente. Continuò, senza darmi il tempo di
rispondere, unica aspetto del carattere che mi dava, seppur
pochissimo, sui nervi. << I miei non capiscono me
nè il fatto che non cambierò mai il mio carattere
solo perchè deve piacere a loro, e non alla sottoscritta,
cosa abbastanza naturale, direi. Abbiamo litigato, ieri sera.
>>
<< Di nuovo? Chiara, litighi con loro ogni
giorno, per qualsiasi cosa. Possibile che nessuno molli la presa, che
non riusciate a trovare un punto d'incontro? E' davvero così
difficile cedere, per una volta? Rischiate di rovinare il rapporto
genitori-figli. >>
<< Sì, fidati. Lo è. Tu
li conosci bene, i miei. Sai che non mollano, devono spuntarla fino
alla fine. >>
<< E per quale motivo avreste litigato?
>> proprio in quel momento entrò Barone, che
per fortuna, vedevamo solo il martedì ed il
mercoledì, un'ora alla volta. Anche perchè
nessuno di noi avrebbe sopportato due ore di fila nelle sue grinfie.
<< Te lo racconto dopo. Se ci sente parlare,
sopratutto ora che siamo in prima fila, ci sbrana. >>
sussurrò. Cominciò la lezione, e dopo venti
minuti di chiese, ci ritrovammo a parlare di sua moglie, e di quanto
fosse brutta la sua vita.
L'ora successiva avremmo avuto la lezione di storia, guidata dalla De
Mauri. Più o meno rientrava nella categoria degli insegnanti
normali.
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