Underworld

di Dimeck
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La penna di Thomas cadde nuovamente sul banco provocando un rumore secco.
Aveva compiuto 14 anni appena il giorno prima e la sua vita non era cambiata affatto, eppure molte persone gli avevano raccontato di come la sua vita sarebbe cambiata non appena avesse raggiunto quell’età: che avrebbe cominciato a guardare le ragazze e che magari avrebbe lasciato perdere quei dannati videogiochi.
Ma la sera prima l’aveva passata al computer cercando di superare l’ultimo sfidante della Lega Pokèmon, sotto gli occhi demoralizzati della madre.
Ma aveva rinunciato a parlare con lei.
La campanella della fine delle lezioni attraversò i suoi pensieri risvegliandolo dal torpore tipico dell’ultima ora.
Lanciò un ultimo sguardo al professore di Inglese, era uno dei suoi prediletti. L’uomo ricambiò sorridendo.
Probabilmente Thomas non l’avrebbe più rivisto, stava uscendo da quella scuola per l’ultima volta, l’anno successivo si sarebbe trovato alle superiori, con nuovi compagni, nuovi professori, nuovi ambienti; ma aveva un’estate intera per abituarsi al nuovo inferno che avrebbe dovuto subire.
La strada che legava la sua casa alla scuola non era molto lunga, non gli ci vollero più di dieci minuti per percorrerla a passo lento.
Accennò appena un saluto a suo fratello che giocava in giardino, era arrivato prima di lui perché non era andato a scuola quella mattina; James gli aveva detto che voleva che il suo ultimo giorno di scuola fosse un giorno qualunque e non uno fatto di addii e feste, gli sembrava qualcosa di troppo programmato.
Thomas certe volte non lo capiva davvero, ma la madre aveva acconsentito,pur di non vedere James piangere, probabilmente; anche lui avrebbe cambiato scuola l’anno successivo, avrebbe fatto il suo ingresso alle scuole medie.
Entrò in casa e salì velocemente le scale per non farsi vedere dalla madre che lo avrebbe di certo tempestato di domande sulla scuola. Non era proprio il caso.
Entrò nella sua camera e si stese sul letto sospirando, accese il Game Boy e ricominciò a giocare dove si era fermato il giorno prima.
Quando giocava ai videogame si dimenticava del mondo, si immedesimava talmente tanto nell’eroe del suo gioco che pensava di star vivendo lui quelle avventure e se per caso la situazione si rendeva troppo difficile gli bastava spengere la consolle e andare a dormire. Desiderava ardentemente usare quel potere anche nella vita reale.
Si addormentò senza quasi accorgersene, l’ultima cosa che vide fu una mano sporca di terra spuntare dal suo giardino, ma si convinse che fosse solo la sua fantasia.




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