Il dopoguerra

di Book boy
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La bambina stava seduta scopostamente sulla sedia, guardando di fronte a sè con occhi sgranati. Dondolava le gambe senza nemmeno spaere che lo stesse facendo, quasi fosse schizzofrenica. Ad un primo sguardo sembrava una bambina normale, almeno esteriormente. Il dottor John Steingh entrò nell'ambulatorio, dove vi era la bambina e un'infermiera. Quest'ultima guardò lo psicolgo e disse -Dottore, io non so cosa si possa fare...- John la guardò. PoI annuì e chiuse gli occhi pensieroso. Era giovane per essere uno psicologo, non superava i trentacique anni, ma aveva molta esperienza e se la cavava molto bene con i suoi pazienti. Da quando erano stati liberati i campi di concentramento gli psicologi e gli psichiatri avevano motlo lavoro da fare. Si sedette vicino alla bambina, su una sedia come la sua, osservandone i movimenti -Ehi, ciao...- le disse. Lei non lo degnò neppure di uno sguardo, o forse nemmeno lo sentì. Lui annotò alcune cose su un taccuino che teneva in mano, mentre nell'atra teneva una penna stilografica molto bella. La bambina teneva gli occhi fissi di fronte a sè. Il medico allora si alzò e si avvicinò ad una piccola lavagna vicino a lui, appoggiò sulla sua scrivania la pena e il taccuino, poi prese in mano un gessetto bianco -Tu ti ricordi la tua casa?- Chiese alla bambina. Lei annuì continuando a guardare di fronte a sè -Bene, allora potresti disegnarla sulla lavagna con questo gessetto, per favore?- La bambina fece dondolare le gambe acora un paio di volte, poi si alzò, si avvicinò al medico che gli porse il gessetto, lo prese in mano e osservò la lavagna per qualche attimo. Lo psicologo allora la incoraggiò -Coraggio, potresti disegnare la tua casa per me?- Lei allora lo guardò, dopo di che si voltò verso la lavagna ed appoggiò il gessetto sopra l'ardesia nera ed inziziò a tracciare dei cerchi che si accavallavano fra loro, come uno scarabocchio continuando a far girare e girare il gesetto mentre quest'ultimo si accorciava sempre di più e la polvere bianca cadeva ai piedi della bambina. Infine la piccola si voltò verso lo psicologo, guardandolo ocn occhi quasi vitrei, assenti. Lo psicologo capì immediatamente cosa voleva dire la bambina con quello sguardo: questa è la mia casa.




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