Canzone del mattino
Canzone del mattino
Non lo faceva nemmeno apposta.
Però mi feriva. Così in profondità che, pensai, mi avrebbe trapassato il petto
con quelle scosse violente. Nemmeno io lo facevo apposta, ed ero così triste,
così triste, che continuavo a bere sulla spiaggia per sentirmi ancora peggio e
forse dimenticare quella strana fitta di gelosia lancinante. Finché non fui
abbastanza devastato da lasciarmi cadere sulla prima sdraio libera, mentre
attorno a me la mia festa – la nostra festa, continuava coi suoi ritmi ossessivi
e la gente che andava e veniva ballando senza sapere nemmeno come ci fosse
arrivata.
Tutto sommato sarebbe stato
bello. Ma quel brindisi, no. No alla nostra lunga amicizia, no, non voglio
brindare con te. Stai pensando che te ne andrai. Forse mi lascerai indietro.
Forse semplicemente prenderai una strada diversa dalla mia, perché stasera si
festeggia la fine di un’era, l’epoca in cui ci alzavamo tutte le mattine
all’alba e facevamo la strada insieme per andare a scuola e ci vedevamo tutti i
giorni almeno per sei ore al giorno, e io ti guardavo con la coda dell’occhio
sperando sempre ogni volta di stupirti, di farti sorridere, di farti –
innamorare. Lo so che non sono stato leale fino in fondo, ma questo era
necessario, o il momento della separazione sarebbe stato molto più tempestivo, e
irruente, e tu te ne saresti andato sbattendomi in faccia la porta, immagino.
Per cui, alla fine, un po’ l’ho fatto per noi due. E un po’ per me, per
continuare a godere quei momenti bellissimi insieme, così vicini, così
semplicemente vicini. Che. Mi. Faceva. Male.
Sono ubriaco.
“Sono completamente ubriaco.”
Gli dissi quando mi prese il viso tra le mani. “Non sono mai stato così ubriaco
e così triste tutto insieme.”
“Perché sei triste la nostra
festa?”
“Perché era l’ultima festa. E
l’ultimo brindisi. E l’ultimo giorno forse e la mia ultima possibilità, e un po’
mi vergogno, un po’ soffro, un po’ ti odio e odio anche me e non me lo ricordo
nemmeno più, ma so che sto male e c’è il motivo così dentro il mio stomaco in
questo momento…”
“Stai dicendo cose senza
senso.”
“No.”
“Sì.”
“Sei tu che non le capisci.
Diciannove anni. Venti tra poco. Insieme. Io non voglio vedere la fine.”
“La fine di cosa?”
Fu allora che scoppiai a
piangere. Come non mi succedeva da una vita, così improvvisamente, tremando come
un bambino. Mi portai le mani sul viso, volevo coprirmi gli occhi ma le lacrime
scendevano ed erano così grandi e calde e tonde che mi sembravano quasi l’alcol
che avevo appena bevuto.
“Sei un deficiente,” Mi disse.
“Non devi preoccuparti di nulla.”
Lo guardai negli occhi per un
attimo lunghissimo. Verdi. Talmente verdi che brillavano chiari anche nel buio
della notte fonda. Glielo dico. Tanto sono ubriaco. Tanto è tutto finito, quindi
glielo posso dire. “Vorrei essere la tua ragazza, credo.”
Sorrise lievemente. “Lo sapevo
già. Lo credo anch’io.”
“Ma sono un maschio.”
“Già.” Già. Lasciò appena
cadere questa piccola parolina nel vuoto, rotolata nel mare rumoroso davanti a
noi e completamente rattrappito nelle profondità della notte. Poi sorrise.
“Sei ubriaco anche tu!”
Esclamai.
“Non così come te, stupido.”
“Mi odio per essere un maschio
e per essermi innamorato così stupidamente di te e che sei il mio migliore amico
e da domani sarà tutto diverso e queste cose, sai… mi fanno girare la testa. Mi
fa male la testa. Lo dico perché dovevo dirtelo prima o poi e così è davvero più
facile.”
“Non è mai facile.”
“Ma sei ancora qui.” Sorrisi,
alzando lo sguardo al cielo per un secondo. Vertiginoso. “Sai, in questi ultimi
anni ho cercato in tutti i modi di rendermi il più femminile possibile. Non
perché ci sperassi. Ma invidiavo tutte quelle ragazze bellissime. Le ho guardate
e volevo avere quei capelli lunghi, quelle mani curate, quei vestiti sempre a
posto e la loro gentilezza che capisce le cose e le ripete in silenzio,
delicatamente. Però non importa. Se dici che sarei la tua ragazza, ti credo.
Sarei felice.”
“Sì, credimi. Stupido. Siamo
perfetti insieme. La natura è stata crudele con noi.” Mi prese la mano per un
attimo.
“Non possiamo neanche
provarci?”
“Mi dispiace.”
“E’ un sì o un no?”
“Ora sei troppo ubriaco.”
Sabbia. Sabbia ovunque. Sabbia
sotto i miei piedi nudi e freddi per il vento che ogni tanto si alzava a folate
dal mare facendomi rabbrividire.
“Dov’è la mia morosa?” Mi
chiese. Perché lo faceva? Lo odiai.
“A ballare. Con la mia e tutte
le altre.”
“A ballare. Sì?”
“Sì. Ho detto loro che venivo a
cercare le sigarette. Le ho perse prima. Non so dove. La spiaggia era bella e
tranquilla e deserta e non girava così velocemente.”
Si guardò indietro un paio di
volte. Ma non c’era nessuno, quasi, che arrivava nella nostra direzione. Solo io
su una sdraio, lui davanti a me e la mia ubriacatura triste.
“Se ora ti bacio, domani te lo
ricorderai?”
Sorrisi. Scossi la testa.
“Baciami lo stesso. Puoi sempre baciarmi domani un’altra volta.”
Non mi ricordo quasi nulla di
quel bacio. Ricordo vagamente che mi piaceva, e che poi io mi sono ritrovato
seduto sulle sue ginocchia e volevo davvero fare l’amore con lui, ma mi diceva –
quando sarai sobrio. Allora ne mancava di tempo. Su quel letto antico, quello
alto, a casa sua, col baldacchino e le coperte ricamate a mano, e la finestra
socchiusa per fare entrare di notte il profumo dei fiori e di giorno i raggi del
sole. Ricordo questi dettagli così intimi. Eppure niente del nostro primo bacio.
La sera dopo è stata di nuovo
una notte bianca. Non so bene perché. In quei giorni mi ero lasciato andare
all’alcol per la disperazione. Lei e lui. Così belli insieme. Anche in spiaggia,
l’uno accanto all’altro, passeggiando sul lungo mare, che mi sono chiesto per un
giorno intero cosa stessi cercando di fare. Poi era arrivato il buio, e col buio
la tristezza, e con la tristezza il vino.
Questa notte me la ricordo
molto meglio. Ero ubriaco ma non al punto da dimenticare le cose. Siamo rimasti
sulla spiaggia noi due, la sua ragazza e i nostri amici. Ricordo che non avevamo
il costume da bagno perché il resto della serata l’avevamo speso in discoteca,
che non avevamo gli asciugamani per tutti ma solo due coperte, e che non avevamo
davvero più soldi. Ero andato a comprare le birre e il vino al supermarket per
risparmiare e in una pasticceria avevo speso tutto quello che avanzava per una
bottiglia di limoncello. Ma andava bene così. Da bere ce n’era per tutti,
avevamo ben un asciugamano e due coperte e il bagno lo si poteva fare nudi,
tanto era estate.
Le ragazze avevano acceso il
falò con il nostro vecchio libro di francese che qualcuno aveva ancora nel
bagagliaio della macchina e ora si divertivano a bruciare Hugo e Flaubert e
Stendhal. Nessuno voleva bruciare i poeti.
“Facciamo il bagno?” Mi disse.
“Non ho il costume.”
“Spogliati. Non avrai
vergogna?”
“No, certo che no.”
Avevo molta vergogna. Ma
l’acqua era nera come il cielo e a parte il falò e un lampione lontano sulla
strada non si vedeva alcuna luce.
In un certo senso era davvero
bello, era fantastico galleggiare su quella superficie tanto scura da sembrare
densa, completamente libero, lontano. I miei pensieri in alto mare agitati dal
limoncello. Stavo così bene, sarei potuto rimanere in acqua per l’eternità a
guardare con la testa alta il cielo e le stelle luminose e la luna calante.
E alla fine non c’era più
nessuno. Tranne io e lui. Che mi prese e mi disse: “Nuota un po’ di qua.” Dietro
gli scogli, dove nessuno poteva vederci.
“Ti ricordi nulla di ieri
sera?”
“Vagamente.”
“Lo sapevo.” Stai sorridendo?
Forse preferiresti se ti dicessi che non ricordo nulla, che non è successo
nulla. Non so per quanto tempo è rimasto lì a fissarmi. Doveva essere passata
mezz’ora da quando ero entrato in acqua e stavo morendo di freddo, ma sarei
rimasto lì assiderato piuttosto che lasciare andare il suo sguardo per una volta
così intimo e penetrante ed eloquente.
“Hai freddo?”
Annuii. Mi abbracciò. Non un
abbraccio da amici, lo riconoscevo. La sua ragazza diceva che i maschi non si
abbracciano mai in maniera tenera, tranne quando sono ubriachi, e così era anche
per noi. Solo che in quel momento, tra l’acqua gelida e il vento e l’ora non lo
eravamo più nemmeno lontanamente.
“Allora non ti ricordi che ti
ho baciato?”
“Sì, un po’ – ma puoi farlo di
nuovo.”
E lo fece di nuovo. Tra la
spalla, e il collo, e la guancia, e poi dentro la mia bocca, e mi sentivo
sciogliere, avevo dimenticato il freddo, il vento, le onde, l’acqua; la testa mi
girava ancora ma per un motivo molto più interessante. Mi stava toccando in
punti in cui non ero mai stato toccato da un maschio, sul torace, sul dorso,
sulle cosce. Tra le gambe. E io le aprii, le gambe, per accomodarlo, per farlo
entrare dentro di me.
Allora interruppe il bacio.
“Non si può. Qui.”
“Cosa?”
“Non è ancora ora.”
E tornò indietro sulla
spiaggia.
Era quasi l’alba. Le sei e
mezza del mattino e io non avevo chiuso occhio per colpa di tutti i pensieri
confusi che si agganciavano alla mia testa e mi lasciavano come stordito. Stava
albeggiando. Sarebbe stata una brutta giornata, immaginavo dalle nuvole. E io
avevo freddo per i vestiti e i capelli ancora bagnati e perché l’asciugamano era
fradicio e le coperte coprivano altre persone. Così mi alzai.
“Vado a cercare un forno che
apra. Volete qualcosa?”
Qualcuno mugugnò sotto le
coperte. Andai lo stesso. Lui mi bloccò sul lungomare, appena messo piede fuori
dalla spiaggia. “Vengo con te,” Disse solo.
Camminammo in silenzio – non
avevamo mai camminato in silenzio per molti anni. E non era il silenzio della
persone che non hanno niente da dire, perché dovevamo parlare, e anche molto,
piuttosto il silenzio di chi è imbarazzato.
La panetteria più vicina,
l’avevo vista quel pomeriggio, era in fondo alla prima via a sinistra del
lungomare. Ne avevamo di strada. Era aperta. Chiesi al panettiere se poteva
venderci qualcosa, e lui disse di sì, ma solo focaccia normale. Appena sfornata,
fragrante.
Lui mi guardò e tirò fuori il
portafogli dalla tasca dei jeans. Venti centesimi. Trenta. Trentacinque.
Cinquantacinque. Arrivava a un euro e ventisette e io a settantacinque
centesimi. Pazienza. Speriamo che qualcuno abbia i soldi per l’autostrada o
torniamo a casa in autostop.
Mi sedetti su un gradino
qualsiasi e cominciai a mangiare la mia metà della focaccia ancora calda.
“Non hai niente da dirmi?”
“Vorrei dirti molte cose.
Vorrei chiederti cosa vuoi da me e non so se mi piacerebbe la risposta. Ma ti
prego, non comportati in questo modo.”
“Ti ho solo detto che non è
ancora ora.”
“Perché ci sarà mai l’ora?”
Finì di mangiare e si accese la
sigaretta. L’ultima.
“Fai un tiro che non ho i soldi
per comprarmi un pacchetto nuovo.”
“Povero ma felice.”
“Io sono molto felice, sai.”
“E di cosa?”
“Di sapere tutti questi tuoi
segreti. E sono felice che riguardino me.”
Sorrisi. “E’ bello, vero? Credo
di non essermi mai innamorato così – intensamente. E mi dispiace che sia
complicato.”
“Non è più complicato. Ci ho
pensato davvero, e, sai, è tutto nelle nostre teste. Almeno, all’inizio. E ora
sono passati anni.”
Spense il mozzicone di
sigaretta sotto la scarpa e si alzò. “Andiamo Principe Azzurro?” Mi porse la
mano. Era calda. Quasi tremava. Lui era caldo, come pervaso da un’eccitazione
crescente. Lo seguii fino alla porta di casa e su per le scale, e poi appena
chiusa la porta dietro le nostre spalle cominciò a spogliarmi con irruenza, con
passione. E’ arrivata l’ora.
[Aubade]
Quel mattino lasciammo la
finestra socchiusa. Come mi sarebbe piaciuto. Dopo mi addormentai quasi subito,
mentre lui era sceso per cercare un tabaccaio perché aveva trovato dei soldi
nella tasca di un paio di jeans, ma le macchinette si spengono alle sette e i
negozi aprono alle otto. Quindi niente fumo tra le sette e le otto. Puoi venire
a dormire con me. Lo sentii rientrare piano, spogliarsi e scivolare sotto il
lenzuolo. Mi baciò la fronte.
“Ho incontrato gli altri. Ho
detto che potevano anche andare a casa stamattina se volevano. Ho scroccato sei
euro per l’autostrada e tre sigarette che devono bastare.”
“Mm.”
“E ho lasciato la mia ragazza.”
___
E' una
fic un po' strana... L'ho scritta quest'estate al mare coi miei amici.
Fondamentalmente è successo tutto ciò che è descritto, bagno escluso, ma il mio
character doveva provare un po' di vergogna. Ovviamente, la mia *emh emh*
capacità a leggere ogni rapporto sociale maschile in chiave yaoi ha fatto il
resto. Soprattutto la prima parte ha qualcosa di frammentato e vago - volevo
scrivere una sintassi ubriaca. Da quando ho letto i modernisti non riesco
più a scrivere coerentemente. Ogni tanto si infilano pensieri, cambio
interlocutore a caso...
Il
titolo è in riferimento a una poesia di Larkin. E' una poesia molko angosciante,
la mia è una vera Aubade ^_^, c'è il mattino, c'è il letto, c'è l'amore... in
realtà, è la seconda di due one-shot che ho scritto quest'estate riguardo allo
stesso tema, cioè la fine di un periodo della mia vita -il liceo- che per me ha
comportato la fine di inevitabile di molte amicizie. Ero un po' depressa, volevo
pensare che non sempre le amicizie finiscono semplicemente perché si cambia
vita.
Ringrazio in anticipo chiunque leggerà e magari chi lascerà un commento.
Kisses,
Love-in-idleness
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