Oh, what did you see, my blue-eyed son?
I saw a newborn baby with wild wolves all around it
Kakashi vedeva solo da un occhio: il destro.
Questo perchè, quando si scopriva il sinistro, era come aprire una finestra
tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti.
Ed Obito guardava attraverso quell'occhio.
Sempre. Sempre. Sempre.
Così, Kakashi aveva preso l'abitudine di portarlo coperto e di usarlo solo
se strettamente necessario.
In fondo, era soltanto un modo più semplice per convincersi che Obito era
morto.
Morto. Morto. Morto.
Come tutti gli Uchiha.
O quasi.
Ma, in fondo, quel bambino che arrancava per strada trascinando una busta
della spesa troppo pesante per lui non si poteva definire un Uchiha, no?
In un modo o nell'altro, finiva sempre per incrociarlo.
Forse, perché aveva preso l'abitudine di passare di fronte al quartiere
degli Uchiha.
Forse, perché chiunque, nel villaggio, avrebbe riconosciuto quello stemma
sulla felpa blu del piccolo, e avrebbe scosso il capo in segno di compatimento.
Non si può essere Uchiha a soli nove anni.
A nove anni, sei solo un bambino cui dovrebbe essere permesso di frignare in
braccio alla mamma.
Eppure, Kakashi, ogni volta che osservava quello che tra sé e sé continuava
a chiamare "moccioso", si chiedeva se non fosse possibile essere già
adulti a nove anni.
Allora guardava gli occhi del bambino.
Neri, come tutti gli Uchiha.
Incendiati, come tutti gli Uchiha.
Decisi, come tutti gli Uchiha.
Kakashi, guardava i suoi occhi, poi fissava i graffi sul viso, sulle mani
troppo magre e troppo callose per essere solo quelle di un bambino.
Allora, Kakashi, doveva spostare lo sguardo sulla piccola schiena curva e sul
suo lento ansimare per la fatica di trascinare le buste, per ricordarsi di avere
di fronte solo un bambino.
Solo ed esclusivamente un bambino.
Nient'altro.
Perché, allora, gli prudeva l'occhio sinistro, mentre lo
guardava?
Ogni volta che doveva andare a fare la spesa, era un dramma.
Ostinato com'era, non si sarebbe mai fatto aiutare da nessuno.
In fondo, lui, era un Uchiha.
Tuttavia, non aveva neanche il tempo di andare spesso a
comprare gli alimenti, così, quando riusciva a ritagliarsi un'ora nel suo
programma d'allenamento (e solo se la dispensa era completamente vuota, perché
non poteva permettersi di perdere tempo.), faceva la spesa per tutto il mese.
Così, si ritrovava a trascinare buste su buste, perché non
avrebbe mai permesso a nessuno di entrare nel quartiere Uchiha, neanche se era
per aiutarlo a portare la spesa.
Sarebbe stato da deboli, e lui non lo era [debole].
Lui era un Uchiha [debole].
Avrebbe preferito trascinarsi, piuttosto che chiedere una mano.
Se non riusciva a svolgere neanche le mansioni più semplici
come avrebbe fatto a uccidere [ritrovare] Itachi [suo fratello]?
Così camminava, cercando di mantenere la postura dritta e il
viso alto; ignorando tutti gli sguardi pettegoli che si posavano sulla sua
schiena [su di lui], dove troneggiava il simbolo del [decaduto] Clan.
In fondo, lui era un Uchiha.
Anche se aveva solo nove anni.
«Quel bambino torna sempre a casa da solo.»
«Già, povero piccolo… una così grande tragedia…»
«Bisognerebbe fare qualcosa.»
«Mi chiedo perché non lo abbiano affidato a qualcuno.»
«In fondo, tutti a Konoha sarebbe onorata di accogliere un
Uchiha nella propria famiglia.»
«Un Uchiha? Andiamo, in fondo è solo un bambino. E non ha
mai neanche dimostrato particolare talento rispetto ad Itac…»
«Ssssht! Così ti sente.»
Sasuke passò oltre, non dando segno di aver sentito alcunché
e mantenendosi ben eretto, nonostante le mani gli dolessero per il peso della
spesa.
Non avrebbe dato loro la soddisfazione di aver ragione.
In fondo, bastava ignorarli.
Bastava tirare avanti, con la schiena dritta e lo sguardo
fiero di ogni Uchiha.
Bastava aspettare e sarebbe cresciuto, perché non sarebbe
rimasto un bambino per sempre.
No. No. No. No.
Per il momento, doveva solo farsi vedere forte, come ogni
Uchiha.
Bastava solo fingere di essere grande.
In fondo, le apparenze sono quelle che contano, e non il peso
delle buste della spesa, che puoi posare appena svolti l’angolo e sei sicuro
che nessuno ti guardi.
Oh, what did you see, my blue-eyed son?
I saw guns and sharp swords in the hands of young children
Ogni volta che si fermava a guardare quel giardino, rabbrividiva.
Il sangue se ne era andato, ormai, ma l'odore, l'odore!, era restato.
Impregnava l’aria e lui, incauto visitatore, non poteva fare a meno di
inalarlo.
Si chiese perché fosse tornato lì [di nuovo].
Si domandò perché avesse varcato quella soglia [ancora una volta].
In fondo, non aveva più niente da fare al quartiere Uchiha, no?
Obito era morto.
Il Clan era morto.
Tutti erano morti.
Anche quel bambino che lanciava ostinatamente shuriken contro un albero,
accanendosi contro il povero vecchio tronco che subiva la rabbia e l’insofferenza
di un cucciolo d’uomo.
Ancora una volta, si era fermato a guardarlo.
Ancora, studiava il fisico minuto del bambino, reso ancora più magro e
scarno dagli abiti larghi cui sembrava non volersi separare e che, comunque, gli
impicciavano i movimenti, rendendo la presa sulle armi incerta e goffa.
Stupido moccioso che si allenava indossando la maglia troppo grande del
fratello maggiore, illudendosi di poter diventare bravo come lui.
Allora, Kakashi scuoteva il capo e gli dava mentalmente dell’idiota.
Perché si impegnava, se ormai erano già tutti morti?
Per sentirsi vivo, no?
Sasuke aveva un programma giornaliero molto fitto.
La mattina, quando si alzava, faceva colazione, si lavava il
viso, i denti e si vestiva, tentando poi di pettinarsi i capelli ribelli.
A Kaa-san sarebbe dispiaciuto, vederlo in disordine.
Andava all’Accademia, premunendosi di essere il primo della
classe, perché era così che un Uchiha doveva essere: sempre il migliore. E lui
lo era.
Anche perché così Tou-san sarebbe stato orgoglioso di lui.
Non si fermava a giocare con gli altri bambini, dopo la scuola:
lui non aveva bisogno di giocare.
Non era più un moccioso, quindi se ne andava, fissando con
disprezzo [invidia], i coetanei che fingevano di fare i ninja.
Lui era diverso: lui era un ninja.
Non aveva tempo per i giochi.
Quindi, tornava a casa, procedendo sempre con la schiena dritta
e lo sguardo alto.
Proprio come avrebbe fatto Itachi: lui non abbassava mai lo
sguardo di fronte a nessuno. Ma proprio a nessuno nessuno!
Lì, cominciava ad allenarsi, accarezzando il freddo metallo
degli shuriken; acquistandovi familiarità.
Le piccole dita passavano sui bordi affilati, e quando fissava
le sottili strisce bianche che l’acciaio lasciava sulla pelle, si sentiva
soddisfatto di se stesso.
Allora sorrideva, con la sua bocca da gatto [cucciolo], e
cominciava ad allenarsi.
Peccato che verso sera sentisse sempre freddo, anche se cercava
di non farci caso.
Era un Uchiha, non poteva permettersi di badare alle
temperature.
Solo quando il sole era ormai tramontato e il vento gelido del
nord cominciava a soffiare, cominciava a pensare che, forse, ma proprio forse,
si sarebbe potuto permettere una maglia in più.
Quindi, saliva in camera e tirava fuori la sua felpa pesante,
lasciando però che lo sguardo cadesse su un altro pezzo di stoffa sgualcita tra
le coperte.
Lo fissava, e fissava poi la propria felpa, pronta a farsi
infilare e a scaldarlo.
La indossava, ma lo sguardo tornava sempre al pezzo di stoffa.
Usciva, ma poi indugiava e tornava in dietro, finché non si
decideva a prenderla in mano, lasciandola cadere subito dopo, come ustionato dal
contatto con la consistenza del tessuto.
Alla fine, si convinceva che quella felpa buttata sul letto era
più comoda, più calda, e che non era importante che fosse appartenuta ad
Itachi.
Si toglieva la propria e indossava quella dell’assassino [del
fratello], rigirando più volte le maniche troppo lunghe per le sue braccia da
bambino.
Dopo di che, usciva ad allenarsi di nuovo, ma era come se, con
la felpa, Itachi fosse tornato lì con lui e giudicasse con aria critica i tiri
sbilenchi che faceva, le posizioni sbagliate e il labbro inferiore che tremava
infantilmente ogni volta che mancava un colpo.
Alla fine di quell’allenamento disastroso, Sasuke rientrava.
Quel giorno era stato il primo della classe e si era allenato
duramente, proprio come il padre avrebbe voluto.
Cenava, sparecchiando e lavando i piatti; si lavava i denti
come ogni bravo bambino e si metteva il pigiama, proprio come sua madre avrebbe
voluto.
Infine, si coricava e allora, solo allora, sfogava tutta la sua
rabbia e la sua frustrazione sull’indumento che, fino a poco prima, lo aveva
scaldato, solo perché conservava, ancora!, l’odore velenoso di Itachi.
Dopo di che, si addormentava, stringendo quella stessa
maglietta, proprio perché conservava ancora l’odore rassicurante di suo
fratello.
Se ne stava tranquillamente a sfogliare le pagine di quel
libro.
Come al solito, lo sguardo scorreva sulle parole, senza
realmente vederle.
In fondo, leggere era solo un modo poco evidente di
distogliere lo sguardo dal resto del mondo.
Perché, ormai, questo non gli interessa più e la realtà
fittizia delle pagine intrise di inchostro è molto più bella di quella
esterna.
Però, a volte, non si può fare a meno di ignorare quel
fruscio di passi lenti che, con cadenza impacciata e irregolare, calpestano
l'erba.
Neanche il sordo rumore del metallo sul legno, a pochi metri
di distanza.
Kakashi alzò, a malincuore, lo sguardo.
Di fronte a lui, soltanto il simbolo del clan Uchiha,
indossato da spalle troppo fragili per sopportarne il peso.
Era lontano, quel ventaglio rosso e bianco, eppure spiccava
così tanto nel verde del fogliame che, Kakashi rabbrividì al pensiero, avrebbe
potuto distinguerlo in mezzo ai più intricati grovigli.
In fondo, gli Uchiha erano fatti per evidenziarsi tra le altre
foglie.
Peccato che, di quel maestoso albero, ne fosse rimasta solo
una che, lenta, cominciava a seccarsi.
Una decadenza che aumentava in diretta proporzione ai lanci
che colpivano il bersaglio.
«Ragazzino, dovresti essere a casa, a quest'ora.»
Sibilò, diretto al bambino che, ostinatamente, continuava a
lanciare shuriken contro i tronchi.
Il rumore lo disturbava, impedendogli di concentrarsi sulla
lettura.
«Moccioso, si presta attenzione quando un adulto ti parla.»
Evidentemente, non lo aveva udito.
Perché i colpi continuavano a rimbombare, minacciosi, nella
foresta.
«Mi ascolti?»
Allora, solo allora, il bambino si fermò.
Posò gli shuriken, voltandosi verso il disturbatore e
squadrandolo da capo a piedi, come per valutare se quell'adulto fosse o meno
degno del suo rispetto.
Lo studiò a lungo, soppesando con quegli occhi scuri e
attenti - animaleschi, pensò Kakashi - ogni dettaglio che gli si presentava di
fronte.
Per poi soffermarsi sull'unico occhio visibile del ventunenne.
«Non vedo motivo per farlo.»
Kakashi trattenne un ringhio, di fronte all'impertinenza.
Chissà perché, quella minuscola caricatura di un Uchiha
finiva sempre lungo la sua strada.
Non sopportava quel bambino.
Forse, perché non era Obito: l'unico Uchiha che mai avesse
tollerato.
Gli altri, per lui, erano invisibili.
«Dovresti essere a casa.»
Ripeté, come se quella verità sacrosanta potesse valere per
chi, la casa, è diventata soltanto un freddo cimitero.
«Tanto non c'è più nessuno.»
Apatia raggelante, nella risposta.
Un disinteresse completo verso chi lo poteva attendere tra le
mura domestiche e, allo stesso tempo, crudele dimostrazione che non era un
illuso, non era un bambino.
Era soltanto drammaticamente consapevole.
«Ma se proprio ci tieni...»
Il bambino raccolse le armi taglienti, proprio come se fossero
i giocattoli di cui era stato privato troppo presto.
Kakashi ebbe l'orribile sensazione che, quella del piccolo,
non fosse una dimostrazione d'obbedienza di fronte ad un adulto, ma soltanto una
concessione che gli faceva.
Così, fu con perplessità e attonimento che osservò
allontanarsi l'ultimo degli Uchiha.
Membro silenzioso di un villaggio che, però, faceva pesare la
sua piccola e innocua presenza.
Perché un Uchiha è sempre un Uchiha, a prescindere
dall'età.
A poco, a poco, cominciò a piovere.
And it’s a hard, it’s a hard, it’s a hard, it’s a
hard,
It’s a hard rain’s a-gonna fall
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Chiedo scusa a tutti per i ritardi
negli aggiornamenti, ma ho alcuni piccoli problemi di tempo con l'università e
con internet.
Comunque, anche questo capitolo è
andato.
Vi ringrazio tutte per la pazienza.
Ainsel: Eh, nee-chan.
Purtroppo questi due riesco ad elaborarli solo al passato. Ma se noti c'è un
sottile filo conduttore tra un capitolo e l'altro, parte la ripresa, ogni volta,
di scene di vita quotidiana^^. A te trovarlo XD!
Darkrin: Non hai mai trovato
un motivo per vederli assieme prima d'ora? O_O! Ma guardali! Sono nati l'uno per
l'altro! Sia caratterialmente che fisicamente (immagini =ççç=)! Insomma, sono
fantastici assieme ù_ù. Spero che, comunque, questo capitolo sia stato di tuo
gradimento; come puoi vedere il nostro piccolo Sasuke continua a giocare
all'adulto, purtroppo riuscendoci.
Rukia: dai, non sarai brava
a recensire, ma fa sempre piacere trovare un tuo commento XD!
Sirius: purtroppo le
KakaSasu sono più rare delle mosche bianche. Riguardo ai flash-back,
semplicemente non riesco a pensare che, con la presenza di Obito, si siano
incontrati solo quando Kakashi è diventato il sensei di Sasuke. Personalmente,
credo che abbiano avuto parecchi incontri casuali, prima: semplicemente, Sasuke
era troppo piccolo e troppo preso a fare altro per ricordarseli.
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