Davanti al
portone della Vince Academy stavano una direttrice molto irritata e una
donnina bruna vestita di azzurro che si torceva le mani.
Teresa
parcheggiò e Elizabeth compì il tragitto tra
l'automobile e le braccia della donna in una frazione di secondo,
neanche avesse avuto le ali. Teresa e Patrick si scambiarono uno
sguardo eloquente: a volte fare quel lavoro era decisamente bello.
Teresa si
avvicinò alla direttrice e alzò gli occhi verso
di lei, fissandola con fervore nonostante dovesse guardarla dal basso
verso l'alto.
- Abbiamo chiuso il
caso, miss Vince. -
- Ho saputo. - Rispose
freddamente la donna. - Non avrei mai immaginato un esito simile. -
- No, certo. Lei
sperava che tutti cascassimo nel suo meschino tentativo di far cadere
la colpa del delitto su una studentessa innocente. - Intervenne Patrick.
- Io non le
permetto... - Disse la donna, alzando un indice in tono ammonitore.
- No, signorina Vince.
Sono io
che non le permetto di usare questo tono con il mio consulente.
Sarà indagata per complicità in omicidio e
intralcio alle indagini. - Disse Teresa.
- Speriamo che questo
non vada a discapito del buon nome della scuola, naturalmente. -
Completò Patrick, dando voce ai pensieri di Teresa con un
sorriso sornione.
La signorina Vince,
pallida e rigida, aveva le labbra strette in una espressione di
disappunto e gli occhi che lanciavano lampi da dietro le lenti. Teresa sostenne il suo sguardo
fino all'ultimo, quando la direttrice abbassò gli occhi,
fulminò madre e figlia con il pensiero e rientrò
nell'Accademia sbattendosi violentemente la porta alle spalle senza
nemmeno salutare. Teresa
sorrise tra sè, fiera di aver potuto ottenere giustizia, e
fece per allontanarsi. In quel momento Virginia Nardi sciolse
dall'abbraccio Elizabeth e si avvicinò all'agente,
stringendole una mano tra le sue, minute e ruvide.
- Non ha idea di
quanto le sia grata, agente. - Disse - La mia bambina è
tutto quello che conta, per me. Non so cosa farei, senza di lei. -
Allungò un
braccio e si strinse la figlia al cuore.
- Noi siamo una
famiglia. Io e te, mamma. - Disse Elizabeth, ricambiando l'abbraccio. -
E non mi importa cosa i Fontaine potranno offrirmi adesso che sono
rimasti senza pupattole da viziare: io voglio rimanere con te. -
Madre e figlia si
guardarono con gli occhi colmi di un tale affetto che a Teresa si
strinse il cuore: c'era più amore in quell'unica occhiata
che in tutti i pacchetti di Natale che avevano occupato la sua calza
negli ultimi venti Natali.
- Grazie, grazie
davvero. - Disse Virginia con trasposto.
- Abbiamo fatto solo
il nostro mestiere. - Disse Teresa, a disagio. - Stia bene. -
- Anche lei, agente. -
Teresa e Patrick erano
già arrivati alla macchina quando la voce di Elizabeth
attirò la loro attenzione:
- Buon Natale! -
Con un groppo in gola,
Teresa non ebbe il coraggio nemmeno di tentare un sorriso. Si
voltò ed entrò in macchina il più
velocemente possibile, chiudendosi bruscamente la portiera alle spalle.
Patrick alzò un braccio in segno di saluto e poi si sedette
in macchina.
- Potevi anche
ricambiare gli auguri. -
- Quali auguri? -
- Non sei capace di
mentire, te l'ho già detto. -
- Non me ne sono
accorta, davvero. Ci hanno fatto gli auguri? -
- Certo. Potresti
farmi scendere al prossimo semaforo? -
- Perchè? -
- Ho voglia di fare
due passi. -
- Jane. -
- Davvero,
è una così bella serata che è un
peccato andare subito a casa. E ti devo ancora comprare un regalo per
Natale. -
- Non voglio ricevere
nessun regalo. Ne abbiamo già parlato. -
- Tu non lo vuoi
ricevere, ma io te lo voglio fare. -
E, approfittando del
semaforo rosso che aveva costretto Teresa a fermarsi, Patrick
aprì la portiera e scese, sparendo tra la folla che si
affrettava sul marciapiede prima che Teresa potesse dire o fare
qualunque cosa.
Mentre viaggiava da
sola nell'automobile silenziosa, Teresa si ritrovò a
combattere contro i suoi stessi pensieri. La mente la riportava di
continuo alla famiglia di Scarlet e Susan, che aveva tutto ma aveva
perso entrambe le figlie nel giro di una settimana, per di
più l'una per colpa dell'altra. E poi pensava a Elizabeth e
sua madre, alle difficoltà che le avevano legate e a quella
frase di Elizabeth.
"Noi siamo una
famiglia. Io e te, mamma."
Riportare quella
ragazza a sua madre era stato uno dei regali più belli che
avesse mai fatto, pensò Teresa con un vago sorriso.
Chissà quante bambine vivevano in quella scuola e non
avevano occasione di vedere mai i loro genitori.
Dieci minuti
più tardi stava parcheggiando al CBI, dove l'attendevano i
fascicoli degli ultimi dieci casi del mese, ancora da vistare e
archiviare. Mentre spegneva l'auto, la sua attenzione fu attirata da un
angolino bianco che spuntava dal cassetto del cruscotto.
- Ma che... -
Mormorò tra sè, senza capire cosa potesse essere.
Si allungò
e aprì la ribaltina, afferrando il foglio piegato in quattro
prima di vederlo atterrare sul tappetino.
Lo aprì e
la luce dorata dei lampioni appena accesi inondò il disegno,
facendo scintillare d'oro la strada gialla, l'abito rosa della fata e i
ricci biondi del mago vestito di verde. Gli occhi le si riempirono di
lacrime e dovette posare una mano sulla bocca per impedire alle labbra
di tremare: cosa ci faceva il disegno di Dorothy nel cruscotto? L'aveva
lasciato sulla sua scrivania al CBI, ne era certa: era ben nascosto
sotto altre carte, per impedire agli occhi di chiunque - e ai propri -
di vederlo.
Forse la giornata
faticosa appena trascorsa, forse il commovente incontro tra Elizabeth e
sua madre, forse il sentimentale mix tra la luce d'oro dei lampioni e
la filodiffusione di carole di Natale che si spandeva nell'aria
tiepida... ma in quel momento Teresa decise di non combattere contro i
suoi sentimenti.
Posò il
disegno sul sedile del passeggero e rimise in moto l'automobile,
diretta alla casa famiglia.
Mezz'ora
più tardi Teresa aspettava davanti alla porta, impedendosi
di dare retta alla insistente voce che nella sua mente le gridava di
tornare indietro e non cedere alla voglia irrefrenabile di
riabbracciare quella bambina.
Quando la porta si
aprì la luce chiara del corridoio disegnò un
rettangolo d'oro sull'asfalto e Claire Andrews, in scamiciato scozzese
e golfino rosso, le sorrise luminosa.
- Miss Lisbon,
buonasera! - Esclamò allegramente.
- Buonasera. Senta, so
di non aver telefonato per avvertire ma... -
- Non si preoccupi,
non si preoccupi. Venga, venga pure. - Le disse allegramente
l'assistente sociale, facendole cenno di entrare. - Quando il suo
collega mi ha telefonato non mi aveva specificato quando sarebbe
passata, ma immaginavo che l'avrebbe fatto a breve, così mi
sono affrettata a preparare tutto! A Dorothy non ho ancora detto nulla,
volevo essere certa, sa... -
Teresa seguiva il
fiume di parole della ragazza capendone solo metà,
più confusa che mai.
- Il mio collega? -
Domandò.
- Ma sì, il
suo affascinante collega biondo, quell'uomo sempre elegante.
È passato più o meno due settimane fa per
chiedermi di prepararle tutti i documenti per l'affido, dato che lei
non aveva tempo nemmeno per respirare. -
Teresa si
fermò in mezzo al corridoio: la sensazione che provava era
molto simile a quella che aveva provato quando le avevano sparato, ma
stavolta a bruciarle non era la spalla, ma un posto molto
più vicino a dove doveva esserci il cuore.
- I documenti... -
- Sì,
esatto... Si sente bene, Teresa? - Disse Claire, vagamente preoccupata,
avvicinandosi all'agente con gli occhi di chi temeva di vederla svenire
da un momento all'altro.
Teresa scosse il capo,
cercando di snebbiare i pensieri e asciugare gli occhi, dominando
meglio che poteva il battito furioso del suo cuore, che le impediva di
sentire la voce dell'assistente sociale ma anche di ragionare
lucidamente.
- Sto... sto bene. -
Disse, fingendo un sorriso.
- La accompagno da
Dorothy, alla burocrazia possiamo pensarci più tardi. -
Teresa fu guidata per
un lungo corridoio su cui si aprivano molte porte che davano su locali
colorati e in disordine, pieni di ragazzini che coloravano, correvano e
giocavano sorvegliati da ragazzi e ragazze spesso poco più
grandi di loro.
- Eccoci. - Disse
Claire, avvicinandosi a una porta. - Laggiù. -
Teresa fece un passo
nella stanza, dove un paio di bambine giocavano con una vecchia casa di
bambole e un gruppetto di maschi giocava su un lenzuolo colorato.
In fondo alla stanza,
seduta a un tavolino bianco coperto di fogli e pastelli a cera
colorati, stava una bambina bruna. Le dava le spalle, ma Teresa
l'avrebbe riconosciuta anche se fosse stata bendata. Anche se fosse
stata cieca.
Fece un passo verso di
lei, senza farsi sentire, e si rese conto che non era necessario stare
attenta a non fare rumore: Dorothy era talmente intenta a togliere un
nastro verde da una scatola decorata da vivaci decorazioni natalizie
che non l'avrebbe sentita in nessun caso.
Si fermò
alle sue spalle, decidendo di aspettare il momento migliore per
attirare la sua attenzione, e la vide aprire con impazienza il
coperchio. Un istante di ricerca tra la carta velina e poi tra le mani
di Dorothy apparve un bellissimo paio di ballerine di vernice rossa. La
bambina scostò bruscamente la sedia, facendola cadere
all'indietro, e posò le ballerine per terra, togliendosi le
scarpe da ginnastica con un calcio e infilando in fretta le scarpine
nuove. Teresa la vide alzarsi in punta di piedi, stringere forte le
mani a pugno e battere tre volte i tacchi delle scarpette.
- Dorothy... - La voce
di Claire ruppe la magia del momento e Dorothy si voltò.
La prima cosa che i
suoi occhi neri videro fu Teresa, ancora un po' confusa dalla scenetta
a cui aveva appena assistito. Appena riconobbe il volto
della donna, l'espressione della bambina cambiò
improvvisamente e Dorothy si precipitò verso di lei
abbracciandola con una tale foga da farle quasi perdere l'equilibrio.
- Lo sapevo! Lo sapevo
che avrebbe funzionato! Lo sapevo, lo sapevo, lo sapevo! -
Gridò. Poi si allontanò quel tanto che bastava
per guardarla in faccia. - L'ho capito quando ho visto le scarpe!
Sapevo che saresti arrivata tu per portarmi a casa! -
Esclamò, con il viso acceso da una tale gioia da impedire a
Teresa di fare qualunque commento.
Claire posò una mano sulla spalla di Teresa e l'altra sui
capelli di Dorothy:
- Vai a
raccogliere le tue cose. - Disse - Io e Teresa dobbiamo firmare qualche
noiosa scartoffia, poi potrete finalmente andare a casa. -
L'albero di Natale brillava di lucine e palline rosse e oro nel
salotto, splendendo nella stanza buia come una piccola stella. L'odore
dell'arrosto che sfrigolava nel forno permeava la casa e, nonostante
Teresa si fosse opposta alla musica natalizia nello stereo, il clima
era il più festoso che quell'appartamento avesse mai visto.
Era la vigilia di Natale e per l'occasione Teresa aveva deciso di
lasciar perdere take-away e cibi surgelati per tentare qualcosa di
più audace: con l'aiuto di quella esuberante bambina che le
riempiva le giornate aveva fatto la spesa e seguito i consigli di uno
chef televisivo per cucinare il suo primo arrosto di Natale.
Mentre lei finiva di riporre le stoviglie Dorothy si era seduta per
terra - incurante di rischiare di sporcare il bellissimo vestito di
velluto rosso che le aveva regalato Grace - e osservava l'arrosto
cuocere con il naso vicinissimo al vetro.
- Cuoce anche se non lo guardi, Dorothy. - Disse Teresa con un sorriso.
- Lo so. - dopo un istante di silenzio, la bambina alzò gli
occhi verso di lei - Sono contenta che tu abbia deciso di venirmi a
prendere. Claire dice sempre che nessuno dovrebbe essere da solo, a
Natale. -
Teresa rimase per un istante immobile, colpita dalla intensa
verità di quelle parole. All'improvviso si voltò
verso Dorothy:
- Va' a prendere una busta. La più grande che trovi. -
Lo svogliato agente alla guardiola del CBI era troppo scocciato dal
pensiero di dover trascorrere la notte di Natale di guardia per notare
la strana coppia che aveva appena messo piede nel quartier generale. Se
avesse guardato il portone d'ingresso e non lo schermo del suo
cellulare avrebbe visto una donna dagli occhi verdi con indosso una
camicetta rosa e un cappotto nero e con una grossa busta tra le
braccia, e accanto a lei una bambina vestita di velluto con ai piedi un
paio di ballerine di vernice.
Teresa prese Dorothy per mano quando arrivarono al grande atrio,
sentendo i propri passi echeggiare nei corridoi vuoti e silenziosi,
innaturalmente quieti, e guidandola verso i grandi ascensori.
- Siamo arrivate? - Domandò Dorothy quando arrivarono al
sottotetto.
Invee di rispondere, Teresa posò la busta per terra ed
alzò la mano per bussare. Prima di farlo, però,
ebbe un istante di esitazione. Forse non era una buona idea.
Anzi, pensandoci meglio non era affatto
una buona idea.
Ritrasse la mano, facendo un passo indietro e voltandosi verso Dorothy
per darle una vaga spiegazione del suo repentino cambiamento di idea,
quando la porta di alluminio si aprì sferragliando e un
Patrick dall'espressione molto stanca comparve sull'uscio.
- Lisbon? - domandò incredulo.
Teresa aprì la bocca, con gli occhi pieni di sgomento per
quella situazione sfuggita al suo controllo, ma Dorothy fu
più rapida.
- Patrick! - Esclamò Dorothy allegramente, abbracciandogli
le ginocchia di slancio.
- Cosa ci fate qui? -
- Ti abbiamo portato un regalo! - Trillò Dorothy, indicando
la busta. - Arrosto e budino di Natale! -
Patrick guardò Dorothy, poi alzò lo sguardo su
Teresa, guardandola negli occhi senza dire niente. L'aria sul
pianerottolo sembrava densa, piena di parole non pronunciate e pensieri
inespressi: nessuno dei due sembrava voler spezzare quel momento di
silenzio, finchè Dorothy non incrociò le braccia
sul petto ed esclamò:
- La cena si raffredda! -
Teresa sbattè le ciglia, distogliendo lo sguardo e
chinandosi per prendere la busta da terra. Superando un Patrick ancora
troppo stupito per reagire, entrò nella soffitta e
posò la borsa sulla scrivania, liberandola dai fogli per
poter appoggiare l'arrosto e i piatti e i bicchieri portati da casa.
Dorothy si era arrampicata sul davanzale e guardava fuori con le mani e
il naso premuti contro i vetri impolverati.
- Mettiamo anche noi sul balcone le lucine come quelle che ha messo
Patrick sul suo? - Domandò all'improvviso.
Teresa alzò gli occhi per rispondere, ma fu Patrick a
intervenire.
- Quelle non sono lucine di Natale. Sono le luci dei tetti della
città. -
- Sono ancora più belle delle lucine di Natale! E le puoi
vedere tutto l'anno! - Esclamò allegramente la bambina, con
gli occhi neri che luccicavano di entusiasmo.
Patrick non rispose, limitandosi ad avvicinarsi al tavolo e scostare
una sedia, invitando Dorothy a sedersi. Poi prese uno sgabello per
Teresa e uno per sè, avvicinandosi al tavolo senza dire
nient'altro. I suoi occhi incontrarono quelli di Teresa per un solo
istante, e l'espressione commossa e malinconica dipinta nelle sue iridi
azzurre era così intensa che Teresa gli sorrise prima ancora
di rendersene conto.
Dorothy sembrò accorgersi di quello che stava provando
Patrick, perchè si inginocchiò sulla sedia e
posò la mano su quella dell'uomo.
- Non sei triste che siamo venuti, vero? Claire dice che nessuno
dovrebbe essere da solo, a Natale. -
Patrick scosse la testa.
- No, Dorothy, non sono triste. - Disse, accennando un sorriso alla
bambina e poi alzando gli occhi sulla sua collega.
Teresa sapeva di avere gli occhi azzurri di Patrick posati su di
sè e sapeva anche che il suo era uno di quegli sguardi con
cui amava dirle tante cose... ma aveva la netta sensazione che non
sarebbe riuscita a sostenere una delle loro conversazioni silenziose,
in quel momento. Si alzò e affondò il coltello
nella carne per iniziare a metterlo nei piatti senza ricambiare lo
sguardo.
E mentre mangiava arrosto tiepido in una soffitta disadorna e piena di
polvere e cartacce, alla sola la luce di una lampadina e delle
luminarie perenni dei balconi di Sacramento, con come unico sottofondo
musicale quello delle chiacchiere di due adulti e una bambina, Teresa
pensava che non aveva mai ricevuto in dono un Natale migliore.
E la nostra storia giunge al termine.
Anche se il caso era stato risolto nel capitolo precedente
ci tenevo a pubblicare anche questo finale:
molto spesso nel telefilm l'ultima scena è particolarmente
dolce (o triste)
e ho pensato che, dopo un caso fatto di famiglia e discorsi su regali e
Natale,
ci stava bene un finale speranzoso. Dopotutto è Natale, no?
Spero di non essere uscita troppo dai personaggi, in questo finale
e che l'amarezza dovuta alla fine della storia scorsa
sia stata ripagata da questo finale decisamente positivo.
Grazie per aver seguito la storia, pur nella sua difficoltà
e lentezza,
e spero vi sia piaciuto leggerla quanto a me scriverla.
Attenderò la sesta stagione di The Mentalist e i suoi
sviluppi,
ma magari, nell'attesa, tornerò a scrivere ancora in questo
fandom...
Grazie ancora a tutti, davvero, di cuore
Flora
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