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IL SIGNORE DELLE OMBRE
Silenzio.
Buio.
Tutto attorno.
Non vedo
niente che si muova, nemmeno il minimo suono di un essere vivente turba questo
luogo abbandonato dalla luce. L’antico tempio di Cepheid, profanato e
trasformato, con notevole senso di ironia, in un luogo sacro a Lord Ruby-Eye,
quando ancora i mazoku spadroneggiavano su quelle terre, prima che l’avvento del
Demone del Nord cambiasse tutto.
Dappertutto
aleggiano ancora le risa di scherno dei seguaci di Dynast, uno dei quattro
demoni maggiori, rivolte alle statue decadenti e infrante del Dio Drago Oceano:
tanto impotente da non potersi opporre quando il suo luogo sacro era stato
devastato, trasformato in latrina e bordello dagli esseri subumani e umani che
l’avevano attaccato.
I miei occhi
abituati all’oscurità incontrano l’arcigno muso di un drago, intagliato nella
roccia sbrecciata, cui qualcuno aveva staccato corna e zanne. Sorrido. Quella
era stata davvero un’epoca in cui il Male era potente e poteva dominare
incontrastato sulla terra.
Un’epoca in
cui io non ero nemmeno nato, e Zelas cavalcava ancora con i suoi tre fratelli
spargendo morte, distruzione e terrore nelle terre dei draghi.
Ed ora la mia
missione mi ha portato in questo antico luogo di culto della mia specie, fra le
ombre e i fregi distrutti sulle pareti, cercando disperatamente un nemico, un
mio nemico, forse l’unico che avrebbe potuto salvarci tutti dalla distruzione di
Dark Star.
Quando, al
termine della Kouma Sensou, i seguaci di Dynast, sbandati, avevano dovuto
abbandonare questo luogo, scacciati dai draghi di fuoco di Vulabazard, crearono
una barriera attorno alle rovine, in modo che nessuno potesse entrarvi. Solo in
pochi ne conoscevano il vero motivo. Zelas era una di questi.
Lo confidò a
me, in sogno, subito prima di intraprendere questa missione.
Quella
barriera era una prigione. Al suo interno giaceva, addormentato, Moralobos, la
Stella Cadente.
Erano passati
millenni da quando, durante la guerra tra Cepheid e Lord Ruby-Eye, cadde dal
cielo qualcosa. Era un essere dalla pelle blu e dai capelli più neri
dell’ossidiana, bellissimo ma addormentato, secondo i racconti tramandati.
Pareva fosse un’incarnazione del Dio Drago Nero, Volphied, appartenente ad un
universo diverso dal nostro, e che fosse caduto qui per un motivo sconosciuto.
I seguaci di
Cepheid, convinti di aver trovato un alleato inestimabile nella loro lotta
contro di noi, cercarono di svegliarlo in ogni modo, ma fallirono sempre. Alla
fine decisero di sigillarlo in quel tempio, sperando che col tempo si sarebbe
svegliato da solo. Ma ben presto le loro deboli forze cedettero sotto la
pressione di Dynast, che corruppe quel luogo e tutto ciò che conteneva. Così se
Moralobos si fosse svegliato, sarebbe stato facile annientarlo.
E questo fu il
motivo per cui fu creata quella barriera, in modo che né i draghi di fuoco
potessero entrare, né la Stella Cadente potesse uscire. Ma ora, ad ennesima
dimostrazione dell’ironia del destino, erano proprio un mazoku e un drago dorato
che percorrevano quelle sale oscure per cercarlo e destarlo, nella speranza che
potesse opporsi a Dark Star.
Lina e gli
altri umani non avevano abbastanza potere per varcare la barriera. Io non ho
avuto problemi, invece. Ma c’era da aspettarselo. Anche Philia ha dovuto contare
sul mio aiuto per entrare e seguirmi tra le rovine, in modo che, se fossimo
riusciti a trovare e svegliare Moralobos, cercasse di convincerlo ad aiutarci,
perché quelli del suo universo hanno un modo piuttosto particolare di combattere
il male, non del tutto condivisibile dai loro simili di questo universo.
Ora lei
rabbrividisce, un passo dietro di me, e si stringe le spalle nell’alone tremulo
del Lighting. Io sorrido e mi addentro di più nell’oscurità, senza nessun
bisogno di luce per vedere.
Mi chiama, mi
intima di rallentare e non distanziarla. Che abbia paura di restare da sola in
quel luogo maledetto? Non c’è da biasimarla, l’aura malefica lasciata dai
seguaci di Dynast è ancora potente. Si sente sola, abbandonata, schiacciata. E’
naturale che abbia bisogno di me.
Un drago
dorato che vuole restare vicino ad un mazoku. Che bella sensazione. E
soprattutto che ironia.
D’un tratto
odo un grido e mi giro allarmato. Philia guarda con un misto di stupore e orrore
la punta di un ago che le sporge dal braccio. Un atroce presentimento si fa
strada nella mia mente.
La soccorro
mentre si accascia al suolo e le estraggo l’ago, portandolo subito al naso.
Impreco sotto voce.
La Notte
Eterna.
Un potente
veleno, creato con la magia, capace di uccidere un drago dorato in poche ore,
dopo un’agonia atroce. E già Philia chiude gli occhi, gemendo. Le stringo le
spalle, chiamandola a gran voce per non farla cadere nell’oblio, ma è tutto
inutile. Le sue membra, già ardenti di febbre, si rilassano fra le mie mani e si
lasciano cadere indietro. Si distende sul pavimento. Digrigno i denti. Una
trappola lasciata da Dynast, nel caso qualche drago incauto fosse riuscito a
superare la barriera. Ingegnoso, non c’è dubbio. Ma inutile.
L’effetto
della Notte Eterna può essere contrastato da un mazoku abbastanza potente. Come
sono io. Ma serve un rituale lungo e complesso, che non può essere compiuto fra
quelle mura maledette. E d’altronde, trovare la Stella Cadente con Philia in
queste condizioni sarebbe inutile. Dovrei caricarmela in spalla e riportarla
all’esterno per guarirla. Che seccatura.
Ammetto che i
suoi gemiti mi distraggono dai miei pensieri. Potrei lanciarle un semplice
incantesimo per renderla incosciente, ma l’effetto potrebbe eccedere il mio
intento…
Mi chino su di
lei, cercando di tranquillizzarla.
“Philia, stai
tranquilla, conosco un antidoto per questo veleno. Devo solo portarti fuori e
fare un incantesimo. Puoi resistere fino ad allora?”
Lei sembra
annuire. Il dolore che sopporta dev’essere atroce per ridurla in questo stato…
Reprimo con un
moto di lieve sorpresa quello che stavo provando (Pietà? Compassione?) e mi
carico la draghessa su una spalla. Credevo fosse più pesante.
Poi arrivano
loro.
Le ombre.
Me ne accorgo
prima ancora di sentire i loro sussurri e le loro risatine vili: il muro nero
davanti a me si fa d’un tratto più nero, e avverto una presenza in quel buio.
Poi un’altra.
Poi un’altra,
e un’altra ancora.
Sono
circondato.
Senza parlare
poso Philia a terra. Lei geme, non si è accorta di cosa sta succedendo. Meglio
così. I mazoku d’ombra che ci circondano cominciano a sussurrare fra di loro,
canzonandomi e indicandomi con le punte dei loro sudici tentacoli. Stupidi
esseri. Troppo lontani dalla perfezione per capire chi sono. Mi giro verso
l’interno del tempio, e scorgo qualcosa avanzare pesantemente.
“Che sorpresa,
un nostro consanguineo, e uno dei più famosi, per giunta!”
La luce del
Lighting si è ormai spenta, soffocata da tutta quell’oscurità, ma non me ne
curo. Non ho bisogno della luce per guardare nelle tenebre.
“Sono il
Custode,” si presenta la creatura, abbozzando un goffo inchino con la sua massa
sgraziata. Intorno a lui gli altri esseri sghignazzano, come se lo stessero
prendendo in giro.
Beffardo, mi
inchino a mia volta: “Salute a te, Custode. Immagino tu sappia chi sono,
creatura di Dynast.”
L’immenso
corpo dell’altro è scosso da una grassa risata: “Oh, lo so, Xelloss Metallium.
Qui, in questa trappola, nulla può entrare né può uscire, se non potenti
fratelli mazoku come te, ma io so molte cose. Io sono il Custode.”
E sei anche
il fratello mazoku più stupido che abbia mai incontrato, vorrei dire, ma non
lo faccio. Non mi sembra il caso di farlo irritare. Con fare accomodante indico
l’esterno del tempio maledetto: “La vostra trappola mi ha causato un certo
fastidio. Lasciatemi uscire, così che possa rimediare al vostro errore.”
Il mostro
d’ombra ride ancora più forte, e i suoi epigoni lo imitano grossolanamente.
“Uccidere un
drago dorato: tu questo lo chiami fastidio? Io lo chiamerei favore!”
Comincio ad
irritarmi per il fare un po’ troppo cordiale di quell’essere. Ma non lo faccio
vedere. Dopotutto, lui è il Custode. D’un tratto la sua voce torna a risuonare
nel corridoio, con una nota di contrizione: “Purtroppo, fratello Xelloss, noi
non siamo l’unica cosa lasciata qui da Lord Dynast Grouscherra. Ha fatto un
incantesimo. Un incantesimo molto potente. Una volta entrati nella trappola, non
si può più uscire.”
QUESTO Zelas
non me l’aveva detto. Impreco nella mia mente. Dynast è un mazoku troppo potente
perché possa oppormi ad un suo incantesimo. Ma, visto che di magia ne so
qualcosa, un modo per infrangere l’incantesimo c’è sempre. Si tratta solo di
scoprire qual è la chiave.
“Custode,”
esordisco, trattenendo la mia ira. “Conosci il modo di infrangere questo
incantesimo?”
“Certo, io
sono il Custode!”
“E qual è?”
Il coro di
mazoku inferiori fa salire il tono delle sue risa ad un livello cosciente. Mi
ero quasi dimenticato di loro. La loro presenza mi irrita. Che siano stati
creati con la sola funzione di far impazzire dal fastidio gli incauti
profanatori di quella tomba dei secoli?
Il Custode
rotea su se stesso.
“Vuoi sapere
qual è, Mastro Xelloss? Te lo dirò! E’ molto semplice. Serve il sangue di un
drago.”
Il mio cuore
si ferma. Forse ho capito male. Il Custode annuisce e punta una delle sue dita
verso Philia, che ancora non si è accorta di niente, malata com’è. Il suo seno
si alza e si abbassa rantolando, il suo volto è rosso e sudato. Sembra che sia
l’oscurità stessa ad avere il sopravvento su di lei, non il veleno.
“Il sangue di
un drago,” ripete ghignando, ora tutto meno che ridicolo.
No, non è
possibile.
“Non posso…
questo drago mi serve,” ribatto. Mi accorgo di un tremito nella mia voce. Come
mai?
“Mi dispiace,
Mastro Xelloss, ma questo è l’unico modo per uscire da qui. Se sei qui, è perché
devi incontrare la Stella Cadente, Moralobos, vero? E questo drago ti serve per
contrattare il suo aiuto, vero?”
Digrigno i
denti. E’ più potente di quanto faccia pensare questo suo aspetto ridicolo. Mi
chiedo se non sia un mio pari grado. Un priest di Dynast. Dimenticato in quel
luogo da migliaia di anni.
“Sei piuttosto
informato.”
“Ovvio, io
sono il Custode!”
E doveva
essere anche impazzito, tutto quel tempo insieme ai suoi stupidi sottoposti. Ma
in fondo ha ragione: se quello è il modo che Dynast ha scelto per infrangere
l’incantesimo, non c’è altro modo. Però…
“No, io non
posso ucciderla.”
“Non ci vuole
molto a trovare un altro drago da costringere a collaborare, Mastro Xelloss!”
“Non capisci…
Io non…”
La risata del
Custode riempie per l’ennesima volta l’antro buio: “Mi sorprendo, fratello!
Avevo sentito che là fuori hai ucciso draghi a centinaia, a migliaia! Cos’è un
drago in più? E poi ti serve, altrimenti non potrai mai più uscire da qui!”
Ha ragione. Ha
dannatamente ragione. Guardo Philia. Lei, incosciente nella sua febbre magica,
non sa che sto per ucciderla. Crede che la stia portando in salvo, per poi
guarirla dalla Notte Eterna e tornare a cercare la Stella Cadente. Alzo la mano
sulla sua fronte calda. Un piccolo sforzo di volontà e la mia energia può
consumarla, inerme com’è, permettendomi di proseguire la mia missione.
Consumarla, come ho consumato centinaia, migliaia di suoi simili. Senza un
dubbio e senza un’esitazione. Ma ora… non posso. Ritraggo la mano. Attorno a me
sento la vile risata dei mazoku d’ombra, subito ripresa dal loro ancor più vile
capo. Mi rialzo in piedi e lo fronteggio. I suoi tre occhi brillano giocondi nel
buio, visibili solo a me.
“Non lo farò.”
Risate. Ancora
più acute. Che mi fanno scoppiare i timpani.
“Suvvia, non
mi dirai che sei innamorato di lei!”
Ha superato il
limite! Mi sento esplodere mentre tutta la mia rabbia si condensa in un fuoco
violetto nella mia mano. Rabbia contro di lui… e contro di me. Più sorpreso che
spaventato, il Custode scompare, avvolto e consumato dalla mia ira. E così tutti
gli esseri stupidi e abietti che l’avevano servito per centinaia d’anni. Così
come tutto ciò che esisteva nel raggio di cinquecento metri. Percepisco una
presenza aliena, forse Moralobos, in fondo al tempio, che si sveglia stupita da
un sonno profondissimo solo per essere distrutta dalla mia furia.
Attorno a me
l’antico tempio di Cepheid, sopravvissuto all’invasione dei millenni, si
sgretola come polvere. La barriera scompare. La trappola scompare. Tutto
scompare. Rimango solo io. Io e la mia furia. No… Io… e Philia.
Lina e gli
altri corrono a perdifiato nell’immenso cratere che era stato il tempio
maledetto. Mi corrono incontro, preoccupati, angosciati. Guardano Philia,
riversa sulla mia spalla, gemente, febbricitante. Mi chiedono cos’è successo.
Rispondo che c’era una trappola, e che Philia era stata colpita da un dardo
avvelenato. Amelia si propone per curarla, ma scuoto il capo. Solo io posso.
La deposito
fra il pietrisco di questa zona arida. Mi inginocchio accanto a lei, chino il
capo, concentrato, e pronuncio una rapida formula inintelligibile. Nessuno osa
interrompermi. Mezz’ora dopo Philia si risveglia, sbatte le palpebre, si guarda
attorno. Mi chiede cos’è successo. Rispondo che siamo stati attaccati. Di
Moralobos nessuna traccia. Il tempio è crollato quando ho ucciso il capo dei
nostri aggressori, dei mazoku rinnegati. Non c’era altro da dire.
Philia mi
guarda sorpresa e indagatrice, e mi chiedo se non si sia accorta di qualcosa in
realtà. Sto per chiederglielo quando si alza barcollando, subito sorretta da
Lina. Mi alzo anch’io.
“Quindi
Moralobos era una falsa pista?” chiede la maga.
“O non è mai
esistito, o è morto da tempo,” rispondo. Ho mentito, ma non è la prima volta.
Poco dopo ci
rimettiamo in cammino. Non ho il mio solito buonumore. Nessuno mi chiede perché.
Philia mi guarda, un po’ incuriosita, ma non dice nulla. La guardo a mia volta.
Verrà mai a conoscenza di ciò che è accaduto quest’oggi? Non lo so. Forse.
A Wolfpack
Island, Zelas fece scomparire con un gesto della mano ferina lo schermo nebuloso
che le aveva mostrato Xelloss. Era caduto nella sua trappola, ma non ne era
uscito nel modo in cui lei aveva sperato. Scosse la testa, stizzita, e uscì
all’aperto.
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