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Avvertimenti: un
bambino viene leggermente ferito in questa storia, ci tengo ad
anticiparlo nonostante sia appena accennato. Se la scena può
toccare la vostra sensibilità, vi prego di non andare oltre.
L'ombra
sul muro
"Il
potere è una cosa curiosa. È un trucco, un'ombra sul muro."
IL TRONO DI SPADE
Lo
ami tanto, più di ogni altra cosa al mondo.
Jocelyn
scostò la tendina candida
della culla con una mano che tremava, ripetendoselo come tutte
le altre volte, i denti serrati fino a quando la mascella non
iniziò a perdere sensibilità.
Esattamente
come tutte le altre volte, per quanto avesse tentato di trasformare
quella falsa convinzione in un sentimento sincero, la donna
mentì a sé stessa.
Spinse
il sottile drappo di seta da un lato in modo che la luce della candela
illuminasse
il viso di quel bambino che non riusciva a chiamare suo, di Jonathan
che
piangeva lacrime dense e nere come cera; erano dello stesso colore
degli occhi da cui colavano, occhi con iridi troppo diverse da quelle
della madre.
Jocelyn
fissò per un po' il viso
di quella creaturina, sfigurato da un pianto che sembrava demoniaco,
poi richiuse la
tendina, lasciandolo singhiozzare. Rabbrividì quando
Valentine le
puntò addosso il suo sguardo peggiore, un misto di disgusto
e
delusione.
«Sei
sua madre, Jocelyn. Sua
madre. Jonathan
ha bisogno di te,»
sussurrò, il tono tanto basso quanto feroce,
costringendola a prenderlo in braccio.
«Piange
sangue e pece!»
«Quello che
vedi non è reale, Jocelyn. Finiscila.»
Nemmeno
quella sera, però, stretto tra le sue braccia,
mentre
Jocelyn teneva le palpebre abbassate per non guardare, il bambino smise
di dimenarsi. Alla fine, in preda alla disperazione, la cacciatrice lo
rimise nella culla
e fuggì in camera da letto, premendosi il cuscino sulle
orecchie.
Valentine,
nelle notti in cui Jonathan piangeva tanto da far fatica a
respirare, si sedeva in camera del piccolo con le candele spente. Lo
prendeva in braccio, senza tradire apparentemente alcuna emozione, e
gli sfiorava le
guance con il dorso di un dito, rinfrescando la pelle arrossata con il
metallo gelido dell'anello dei Morgenstern. Lasciava che la manina di
Jonathan, quella che sua madre vedeva ricoperta da capillari violacei,
tentasse di stringersi attorno al suo palmo troppo grande; in qualche
occasione Jocelyn - che li spiava spesso - aveva perfino visto le sue
labbra tendersi verso l'alto,
fiere di tanta forza.
E
Jonathan in quei momenti non piangeva più, e i suoi
occhi tornavano a brillare come quelli degli altri bambini, e sul suo
viso sbocciava una risata infantile.
Quella
sera, quando scese di nuovo il silenzio, Jocelyn si costrinse a
sgusciare fuori dalla
porta: li trovò come sempre, il padre che con l'indice
disegnava trame immaginarie sulla fronte del figlio per farlo
divertire. Jonathan sembrava felice, e Jocelyn avrebbe venduto la
propria anima pur di far parte di quell'istante di perfetta armonia:
tese le braccia verso l'uomo che amava di più al
mondo
e verso il bambino che voleva disperatamente amare, ma il piccolo
la vide e ricominciò a gridare, e sua madre a piangere.
«Lo hai
spaventato» si
giustificò Valentine, spazientito.
«Con te non
aveva paura.»
«Sono suo
padre.»
«E io
sua
madre, lo hai detto tu.»
Ma
Jonathan non la smise fino a quando lei non sparì di nuovo,
raggomitolandosi nel letto e tirandosi i capelli per lo sconforto.
Tutti
i bambini piangevano a richiamo della propria madre, tutti tranne
il suo, ma lei non
era nemmeno sicura che Jonathan lo fosse, un bambino.
***
La
sera seguente Jonathan disse la sua prima parola, e la sua
prima parola fu per Valentine. Il cacciatore lo prese in
braccio,
ridendo tanto forte che a Jocelyn
sembrò che si stesse prendendo gioco di lei.
Hai
visto?
dicevano, è
un bambino più precoce degli altri, degno figlio di suo
padre.
Jocelyn
ricacciò indietro le lacrime con tutta
la
dignità che le era rimasta dopo che il dottore personale dei
Morgenstern l'aveva definita vittima di una depressione post partum.
Era questa la
causa, secondo lui, di tutte le visioni che la tormentavano. Si
avvicinò, sorridendo a sua volta, senza toccare Jonathan.
«Di'
mamma,
Jonathan.»
Il
bambino continuò a tormentare la maglia di suo padre senza
nemmeno degnarla di uno sguardo.
«Avanti,
guerriero,» lo
apostrofò Valentine, «quando si
tratta di farmi vedere quanto sei forte, non ti tiri indietro.
-
Jonathan
le rivolse un'occhiata fredda come quella di un neonato non
avrebbe mai dovuto essere, poi
tornò a dedicare la sua attenzione alle rune sul collo
dell'uomo.
«Dagli
tempo.»
Jocelyn
annuì, lasciando che Valentine le toccasse uno
zigomo umido prima di uscire per una riunione del circolo.
«Non
aspettarmi sveglia»
E
lei annuì di nuovo, in procinto di andarsene a dormire,
perché con suo marito non
si poteva fare altro.
***
«Mamma.»
Jocelyn
spalancò gli occhi nel buio.
«Mamma.»
Fece
scivolare una mano sul letto, accarezzando l'assenza di Valentine
ancora fuori per chissà cosa. Un misto di euforia e
inspiegabile
paura le diede la forza di alzarsi nonostante la debolezza fisica e
mentale, come se qualcuno avesse disegnato sulla sua pelle diversi,
piccoli Iratze, ridandole la tanto agognata energia. Scese
dal materasso morbido in punta di piedi, senza sapere cosa la frenasse
dal precipitarsi da suo figlio.
«Mamma.»
ripeté Jonathan, con un'intonazione diversa.
Jocelyn
accelerò il passo, il cuore che
martellava contro la cassa toracica quasi a voler uscire fuori per
precederla. Se Valentine fosse stato lì, avrebbe potuto
dimostrargli che per quanto fosse
dura sopportare un crollo nervoso come quello che stava vivendo, la
voce di Jonathan era ancora una melodia piacevole per lei. Forse la
famiglia che avevano sognato di costruire non era una completa utopia.
«Mamma!» Jonathan
rise, battendo le mani, e Jocelyn si
arrestò di colpo.
I
bambini parlano da soli molte volte, ma Jonathan non si abbandonava
ad eccessi di gioia se Valentine non
riusciva a divertirlo. La donna trattenne il respiro quando un suono
inquietante echeggiò dalla cameretta di suo figlio.
Le
stelle che pendevano sopra la culla del bambino, volute da Valentine
per ricordare lo stemma della sua famiglia, ondeggiarono, tintinnando.
Nella casa, però, le finestre erano chiuse e non passava un
solo spiffero
d'aria
che potesse farle muovere, ma allo stesso tempo erano troppo in alto
perché
Jonathan arrivasse a toccarle da solo.
Il
bambino rise ancora. Jocelyn afferrò di soppiatto un
candelabro sulla
credenza nel corridoio, impugnandolo a mo' d'arma prima di sporgersi
oltre la porta.
«Mamma?»
Jonathan
tendeva le mani verso una figura incappucciata di
fumo. Da quel manto di vapore ceruleo, dei
serpenti scivolavano nella
culla a fare solletico al bambino, strisciavano sul pavimento, sotto i
mobili, ovunque.
L'ombra
tese la mano a sua volta, facendo gocciolare la stessa sostanza
di cui erano fatte le lacrime di Jonathan dalla punta delle dita
fino ai capelli del
bambino, lisciandogli le ciocche diafane. Sui muri della stanza si
moltiplicavano le
sagome di quella creatura di tenebra: ombre dell'ombra.
Jocelyn
si rese conto di urlare solo quando quattro occhi identici
si puntarono su di lei, due spaventati, quelli di Jonathan, e due
orrendi, furiosi, inumani.
«Chi diavolo
sei!?»
gridò.
«Mamma! -
rispose Jonathan, e Jocelyn sentì di essere
impazzita del tutto.
Scagliò
il candelabro contro la culla, facendola ribaltare,
e
l'ombra proruppe in un suono tanto agghiacciante da rompere i vetri e
farla rovinare a terra, in ginocchio. Poi il suo sguardo
catturò solo immagini di vipere e sangue, mentre del fumo
nero l'avvolgeva. Un sibilo acuto e
prolungato come di
unghie sul muro le perforò il cervello, quasi volesse
aprirlo a metà.
«Se
tocchi ancora mio
figlio ti uccido.»
«Se tocchi
ancora mio figlio ti uccido!»
Quando
Jocelyn riaprì gli occhi, la testa che
bruciava e Valentine la teneva per i capelli. La culla di
Jonathan era ancora per
terra, ma tutt'intorno regnava l'ordine. La spinse via, ributtandola
sul pavimento, poi
corse da Jonathan che si agitava convulsamente e gridava, scosso dai
singhiozzi. Del sangue macchiava
la testa del bambino e Valentine, troppo sconvolto per usare la giusta
delicatezza, gli premette una fascia della sua camicia sulla tempia
fino
a fargli ancora più male.
«Io..»
«Tu hai
cercato di ucciderlo!»
«C'era
qualcuno con lui.»
Jocelyn
si avvicinò ai due, carponi, la testa che doleva
per
la caduta, guardandosi intorno in cerca di serpenti che non c'erano.
«Tu hai
fatto questo disastro, tu, folle!»
Per
un momento, guardando la mano di Valentine agitata da spasmi d'ira,
Jocelyn credette che l'avrebbe colpita e quasi desiderò che
lo facesse. Forse l'avrebbe risvegliata da quell'incubo,
perché non poteva che trattarsi di un brutto sogno.
«Io l'ho
vista. Lei.
Quella che lui chiamava mamma.»
«Tu sei
completamente pazza, hai avuto una delle tue stupide crisi e
hai quasi ucciso nostro figlio, Jocelyn. -
«Lui non
è figlio mio!»
Jonathan
si
strinse di più a Valentine, fissandola dall'alto della sua
fortezza sicura. Lo sguardo era quello giocoso di un piccolo principe
seduto sul suo scranno personale, fatto della presa salda di
suo padre.
«Hai
ragione,»
sussurrò
Valentine, e per una volta a
Jocelyn
sembrò di cogliere nella sua voce una nota di dolore.
«Lui
è solo figlio mio.»
Valentine
scavalcò il suo corpo steso a terra senza
aggiungere
altro e scomparve dietro la porta con Jonathan in braccio. Il bambino
aveva iniziato a ridacchiare, quasi avesse ricevuto un bel regalo.
La
donna, ormai
abituata all'idea di aver perso il senno, non poté fare a
meno
di pensare che nessun bambino umano, dopo tanto orrore, avrebbe reagito
in
quel modo.
Jonathan
aprì la manina per salutarla: dal pugno
schiuso scivolò la minuscola testa di una serpe.
Note: I know,
è orribile e senza senso e probabilmente sparirà
presto. L'ombra a cui si fa riferimento è chiaramente
Lilith, la madre-demone di Jonathan-Sebastian. Il "mio" Valentine
voleva almeno un po' di bene a suo figlio; mi scuso se sembra OOC, ma
non ce lo vedo totalmente senza cuore. Lui vede quello che vede
Jocelyn, solo che non lo dice perché altrimenti verrebbe
scoperto. Il tutto si svolge ante Città di Ossa. Grazie a
chi segue le mie storie e spende un po' di tempo per commentare.
Lettori silenziosi, io vivibì,
però farebbe tanto piacere ricevere un parere anche
(soprattutto!) se negativo. Viò, questa è tutta
per te visto che ami Jonathan come lo amo io! Se odiate il personaggio
di Sebastian vi invito a riflettere, cliccando qui.
Un bacio a tutti, Nimue.
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