NdR: Ho voluto scrivere questa fic in onore di una ragazza
in una situazione particolarmente difficile. Si chiama Eleonora, ma si fa
chiamare Tom. Beh, avrete capito… Io non penso che il voler essere maschio sia
una cosa anormale o da disprezzare. Le voglio molto bene e spero che con questa
storia anche voi capiate cosa si prova nella sua situazione…
‘Diversi
Per Sempre’
1. Anormalità?
- E non farti vedere mai più! -
Una manciata di ghiaia finissima
mi colpì su una guancia e la sfregiò.
- Fanculo, bastardi! – gridai,
esasperato.
Loro non risposero altro che una
risata divertita.
- Che c’è… - esordì uno dei
cinque ragazzi, appoggiati alla ringhiera della scala sul retro della scuola -
… Per caso pensi di essere alla pari di noi… uomini?? -
Trattenei un urlo di rabbia e
voltai loro le spalle.
- Uhh, guarda, Josh, se ne va,
‘la ragazzina’… -
Altre risate fecero coro alla
prima.
Cercai di non dar loro peso e me
ne andai, mentre una goccia di sangue scendeva sulla mia guancia.
Chiusi gli occhi e respirai a
fondo, sperando che il dolore al piede con cui avevo colpito il muro si
attenuasse.
Basta. Non ce la facevo più.
Era la terza volta che gli
Illinosh mi cacciavano. Erano un gruppo di ragazzi che si riuniva ogni giorno
dietro la scuola. E il loro capo era Josh.
E lui era uno contro quelli come
me.
Porca miseria, ma qual’era la
differenza tra me e loro? Cosa vedevano in me di tanto repellente? Perché gli
facevo schifo?
Solo perché non avevo un…
‘qualcosa’ che mi sporgeva dai pantaloni, anch’io ero un maschio! Tutti prima
di sapere il mio nome mi ritenevano tale.
Mi vestivo da maschio.
Avevo il taglio di capelli da
maschio.
Il mio viso era da maschio.
Persino la mia voce era maschile!
Però mi chiamavo Eleonora. Un nome
schifoso, oltre che femminile. Maledetto mio padre, che l’aveva scelto.
Lui non mi avrebbe voluto così.
Me lo diceva mia madre, di quanto era felice della sua bambina, di come sarebbe
stato fiero di me, una volta cresciuta…
Ma per qualche sfottuta ragione,
il mio cervello non si era sviluppato correttamente. Qualcosa era andato storto
e addio bella bambina! Al suo posto era rimasto uno sfigato che non poteva
definirsi né ragazzo, né ragazza.
Ma chi ero?
Raggiunsi la porta di casa,
camminando lentamente. Arrivato, svoltai sul lato, dove aprii un cassonetto di
cartone. Ne estrassi un paio di jeans che mi aveva dato Chiara e una maglia
rosa. Che orrore. Le indossai tra i cespugli, mi pettinai i capelli,
lisciandomeli e suonai il campanello.
- Arrivo! –
La voce di mia madre mi raggiunse
come una pugnalata. Era felice. Ma io le stavo mentendo.
La porta si aprì e apparve una
donna sulla quarantina, truccata vistosamente.
Non le piaceva truccarsi, ma lo
faceva per me. Per dimostrarmi che era giusto farlo, e che era così che doveva
fare una ragazza.
- Ciao, Ele! -
- Ciao, mamma. – risposi,
sorridendo falsamente.
- Uh… - spalancò gli occhi – Come
sei vestita oggi! -
Abbassai lo sguardo. Lo
interpretò come imbarazzo, ma io non volevo che leggesse le bugie nei miei
occhi.
- Già… Chiara mi ha dato
qualcosa… -
Rise leggermente. – Ha parecchio
gusto, la tua amica. –
Allargai le braccia. – Forse… -
Mia madre mi fece spazio per
lasciarmi entrare, mentre io mi mordevo un labbro sull’ennesima menzogna.
- Tuo padre non è ancora tornato,
ma non dovrebbe tardare. -
Posai lo zaino decorato con i
teschi sul divano e, dopo essermi disteso anch’io su quello, accesi la
televisione.
- ‘L’anormalità
transessuale, a quanto pare, si sta diffondendo molto tra i giovani liceali.
Abbiamo a testimonianza quattro ragazzi della scuola superiore di…’ -
Mia madre spense la televisione.
- Aiutami, Eleonora, devo
preparare pranzo. Non stare lì impalata. -
Sospirai in silenzio e mi alzai.
Proprio in quel momento si
spalancò la porta ed emerse mio padre, portando con sé i raggi del sole di
mezzogiorno.
Non lo notai subito, ma dopo mi
accorsi che era paonazzo ed evidentemente arrabbiato. Mi cercò con gli occhi
per la casa e quando mi trovò li fissò su di me con ira.
Mi raggiunse con due grosse falcate
e mi sventolò davanti alla faccia, come una pazzo, il foglio che teneva in
mano.
- COS’è QUESTA STORIA?? – gridò,
sputando saliva.
Lo fissai con occhi spalancati.
- IN QUESTA FOTO! – urlò più
forte di prima.
Gli strappai il foglio dalle
mani.
Su questo era scritto
‘complimenti, ragazzina!’. Spostai lo sguardo tremante alla foto sottostante.
Ero io. Io insieme a Chiara, mentre ci baciavamo.
- ALLORA??? -
Fissai mio padre negli occhi e
non riuscii a trattenermi.
- Cosa c’è che non va? -
I suoi occhi si allargarono più
di quanto consentito.
- COME COSA C’è CHE NON VA!! STAI
BACIANDO UNA RAGAZZA! -
La mia rabbia aumentò più del
dovuto.
- NON VEDO COSA CI SIA DI
SBAGLIATO! IO SONO UN MASCHIO! ALLORA, CHE C’è DI SBAGLIATO?-
Mio padre sarebbe stato meglio
colpito da una pugnalata al petto.
- SEI TU CHE SEI SBAGLIATA! -
Mi si mozzò il respiro. Il sangue
mi si concentrò in faccia.
Sentii mia madre scoppiare in
singhiozzi.
Ora basta. Questo era troppo.
Presi lo zaino e la giacca,
dirigendomi alla porta.
- Dove credi di andare?? – mi
gridò dietro ancora mio padre.
Non risposi, ma uscii, raccolsi i
miei vestiti nello scatolone e varcai il cancello.
Percorsi un chilometro, finché
non arrivai alla stazione. Mi feci spazio tra la gente che tornava dal lavoro,
entrai nel bagno delle donne e, chiudendomi la porta alle spalle, mi lasciai
cadere per terra.
E per la prima volta, da quando
avevo voluto diventare maschio, piansi.
Piansi perché non ero quello che
desiderava mio padre.
Piansi perché avevo lasciato sola
mia madre.
Piansi perché avevo amato Chiara
con tutto me stesso ed ora, per colpa mia, l’avrebbero umiliata e messa in
disparte.
Piansi perché, in questo mondo
crudele, non c’è spazio per quelli come me.
E nemmeno per quelli che ci sono
amici.
Finalmente avevo capito chi ero:
ero un’anormalità, come mi definivano i giornalisti, ed ero una disgrazia. Per
quelli che mi amavano. Ed ero soltanto un peso.
Ma, in un mondo dove non c’è
spazio per altre disgrazie oltre quelle già presenti, ci può essere un raggio
di luce.
Ed il mio fu un ragazzo.
- Ehi, che cosa fai lì? -
Alzai gli occhi, era mattina, ero
nel bagno della stazione e di fronte a me stava un ragazzo. O una ragazza?
Non risposi, ma mi alzai in piedi
e mi accorsi che la notte prima, nella disperazione, mi ero rivestito da
maschio e mi ero tirato su i capelli.
- Tutto bene? -
Osservai il ragazzo che mi stava
di fronte.
Avrà avuto si e no la mia età.
Sì, un quindicenne magro e alto con un viso perfetto e gli occhi marcati
vistosamente con la matita. Ma soprattutto con una chioma di capelli neri,
scalati, che gli scendevano sulle spalle.
- Credo di sì… Ma… tu chi sei? -
Il ragazzo rise.
Aggrottai le sopracciglia,
confuso.
- Beh, scusa… - si giustificò –
Non sono abituato a queste domande. -
Ma che stava dicendo? La mia
confusione aumentò.
- Sicuro di non avermi già
visto?? – mi sorrise.
Annuii.
- Beh, in questo caso… - sembrò
pensarci su – Puoi chiamarmi… Nena. -
- Ah… - sussurrai.
Come avevo fatto a pensare che
fosse un maschio? Stupido.
- E tu? -
Mi riscossi. – Ah… - dubitai: con
quel nome avevo procurato già tanti guai.
Mi feci forza. – Tom. –
La ragazza spalancò gli occhi, ma
si ricompose frettolosamente.
Mi sorrise.
- Allora, che ci facevi qui? -
Dopotutto, pensai, era simpatica.
Infondo quello di cui avevo bisogno era qualcuno che mi credesse un maschio. E
quella ragazza sembrava non avere dubbi.
Le risposi al sorriso.
Sì, poteva essere un nuovo
inizio.
Premetto che questa storia avrà
solo due capitoli.
Allora, come vi sembra? Io l’ho
trovata accettabile.
Naturalmente, quella ‘ragazza’ è
Bill. Ho pensato un po’ al nome che avrebbe potuto inventare Bill per farsi
credere femmina. E quale soluzione migliore del nome d’arte della sua cantante preferita??
Commentate. Presto posterò il
secondo capitolo.
Aki