Mardrömmar

di Flick Ic
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Era un grido di bambola quello che sentì.
Forte e stridulo, e la porta si chiuse.
 
Morire è una gran bella cosa, almeno così
la pensava Marie Portrait. Per questo motivo
decise che si sarebbe tolta la vita. Ma non
l’avrebbe fatto da sola, oh no. Avrebbe
portato qualcuno con sé da qualsiasi parte
si andasse dopo la morte. Fatto per cui,
nei giorni successivi alla sua decisione,
si dedicò attentamente ad osservare le
persone che passeggiavano ignare davanti
alla sua finestra, e decise chi l’avrebbe
accompagnata all’inferno.
 
Lei non credeva a questo, gli psicopatici
erano frutto della loro immaginazione. L’unica
cosa che esisteva realmente erano i muri. File
e file di muri candidi e schifosamente duri e
lucidi che sovrastavano qualsiasi pensiero le
sorgesse. Vogliamo romperli questi muri, Marie?
No, i muri sono sicuri. Sono bianchi, e sono
sempre nella medesima posizione, in qualsiasi
stagione ed anno.
In una notte di tempesta i muri cedono, come le
querce. Sembrano solidi, ma cadono.
Via, i muri. Via da tutto.
Buonanotte mia bambina.
 
 
Con la terra sopra il volto, gli occhi chiusi, otto
metri sotto terra, sussurra.
Buonanotte, mamma.

 

Note dell’autore: Ultimo mardröm, la conclusione. A dir la verità mi dispiace abbandonare questa piccola raccolta; sono passati pochi giorni, ma mi ero affezionata. Che poi, non so come io faccia ad affezionarmi a qualcosa di così intangibile come degli incubi, ma questo è un altro discorso. Marie con Farhågor finisce di sognare. Spiega il suo punto di vista, le sue intenzioni, i suoi fini; e quale conclusione migliore per un incubo dello stadio finale della paura, ovvero la morte?
--Flick





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