Note:
non
sono
(purtroppo) di mia proprietà. Non ci guadagno (purtroppo)
(naaah, scherzo) (è
bello così :D) un penny bucato. E tutto ciò
è falso come l’apprezzamento di
Benedict nei confronti del termine “Cumberbitches.”
Gli
occhi di John-
Incorretto:
gli occhi come quelli di John, simili a quelli di John, ma non
propriamente gli
occhi di John. Omogenea distribuzione del fenotipo nei due fratelli.
Una
sorta di graziosa ruvidezza. Espressione aperta, amichevole, forse
sfacciata.
Androgina
cura nel vestire.
Capelli
corti, mossi, acconciatura trattata con il gel per
l’occasione.
Una
mano piccola dalle unghie mangiate. Ha smesso di bere: converte il
bisogno
nell’onicofagia.
“Tutte
le belle ragazze sono già state prese.”
Sfacciataggine,
decisamente.
“E’
questo il suo usuale modo di presentarsi a chi non conosce?”
Sorriso.
Malizioso. Divertito. Sicuro di sé.
“No. Sono i
matrimoni, sai. Tirano fuori il
peggio dalle persone.”
Sorrisi.
Stranamente sinceri, stranamente rivolti a me. Apprezzamento. Forse
commozione.
“Sa
ballare? Non è mio desiderio espormi al ridicolo. Il partner
dev’essere
altezza.”
Balla
con la
sorella. Il migliore amico, e la sorella. Che cosa carina.
“Tesoro,
la pista da ballo è la mia seconda casa. Ci ho passato tutti
gli anni ottanta.”
Un
sospiro – il mio. Fruscio del tight contro la sedia di
plastica.
Elettrostatica. Fastidiosa.
“Questo
non fa ben sperare.”
Una
risata. Breve, energica.
“Un
gentiluomo. Proprio come John ti descrive.”
Dati
non pervenuti. Ignoranza rispetto a ciò che John dice di me
alla sorella.
Alzarsi.
Stringere più forte quella mano, piccola e calda. Guardarla
negli occhi:
disturbante.
Non
sono gli
occhi di John. Ricordarsene.
“Comunque
io sono Harriet. Harry, per gli amici.”
Camminare
verso il centro della pista. Farsi strada fra i sorrisi invadenti delle
coppie
che ballano già. Irritante felicità diffusa.
Mary
e suo padre ci fanno ciao con la mano vicino al palco
dell’orchestra.
Infantili.
Ridicoli. Felici.
Fastidio
in gola.
“Sherlock
Holmes.”
Un
valzer.
“Lo
so, tesoro. Ti ho detto che John mi ha parlato di te.”
Brillante:
Verdi. Vago ricordo di un film visto a casa, prima che Mycroft andasse
all’università.
Mia
madre che riavvolge la cassetta, per guardare all’infinito la
scena del ballo.
Stupida.
Sentimentale.
“Vuole
condurre?”
Schema
dei passi apparentemente divenuto automatico. Impossibile da rimuovere.
“Vuoi
scherzare? Conduce il più bravo. E tu non dici sempre di
essere il più bravo?”
Un,
due, tre. Un, due, tre. Un, due, tre.
Sorrisi,
sorrisi, sorrisi.
Cuore,
gambe, gola incomprensibilmente divenuti centri di dolore.
“Io
sono il più bravo.”
Contatto
visivo. Un sorriso: diverso.
Diverso
da quello di John, ma- Il sorriso di John.
“Sì,
non sei male. Mi guardano tutte invidiose.”
Non
porta un vestito. Indossa un tailleur pantalone. Quando la faccio
girare gira
solo lei: niente gonna.
Strano,
peculiare, visto di rado. Piacevole.
“Anche
John. Lui è sempre stato un disastro a ballare.”
Non
guardarlo. Fidarsi. E’ una Watson: fidarsi è
semplice.
John
è invidioso. Sono bravo.
Suono
uno strumento. Ho il senso del ritmo.
“A
proposito, mi chiedo quando avrà il coraggio di farsi avanti
e invitare la
sposa a-”
“Aspetta
il lento. Più facile.”
Una
risata. Capisce. Lei capisce. Lei lo conosce.
Buona
postura. Corretta posizione delle mani. Inclinazione giusta del capo.
All’altezza.
“Lei
ha fatto lezioni di danza da ragazza.”
Giravolta.
Un occhiolino.
“Brillante
deduzione, detective. Ma se mi dai ancora del lei ti pianto una Jimmy
Choo a
spillo nel piede.”
Una
smorfia.
“Sono
sopravvissuto a peggio.”
Silenzio.
Interruzione del contatto visivo. Unghie nella mia spalla.
Capisce.
Lei lo conosce.
Qualcuno
fischia, un “bravi!” dalla fonte non individuabile.
Pare che la coreografia soddisfi
il pubblico.
“Ah,
patetico.”
Cambio
di argomento, cambio di mani. Si gira in senso antiorario.
“Sta
facendo finta di cercare il papillon per prendere tempo.”
Altra risata:
affettuosa. “Anche se, non so… Magari non lo trova
davvero. Ha bevuto un po’. E
John sa essere così cieco a volte.”
Lei
lo conosce.
Lei
capisce.
La
musica rallenta. Fine vicina.
“Così
cieco.”
Uno
sguardo triste. Uno sguardo triste rivolto verso l’alto- un
metro e
cinquantotto, quarantasei chili, taglia trentasei, io sono un metro e
ottantotto, settancinque chili, taglia irrilevante, i miei abiti sono
su
misura.
Lo
sguardo triste di John.
No,
non di John.
“Mi
dispiace, Sherlock.”
Il
tempo rallenta. Il tempo del valzer. Il tempo.
Un
ironico casquè per evitare di prenderla sul serio. Una sua
idea.
“Non
dispiacerti. Sei stata brava.”
Lei
capisce.
Applausi.
Note:
il
valzer è il "Valzer brillante"
di
Giuseppe Verdi, usato nel film “Il Gattopardo” di
Luchino Visconti, che io
amo amo amo. <3
La
fic invece è il mio tentativo di zoom
sull’infamous marriage che tutti temiamo.
Sherlock è una palla di angst in tight, Harry è
pucci e sensibbbile.
*cries*
Spero
vi sia piaciuta. :*
|