Le rose di Lakewood

di Mirae
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Disclaimer: I personaggi descritti in questo breve racconto non sono di mia invenzione, ma appartengono a Kyoko Mizuki e a Yumiko Igarashi, e alla Toei Animation. Il mio intento è unicamente a scopo ludico per il divertimento mio e di chi ha voglia di leggerlo. Buona lettura.



PREFAZIONE
:

Inanna è sempre stata una delle mie dee preferite e da tempo desideravo scrivere una storia inerente al mito della sua discesa negli Inferi. Questo contest è l'occasione giusta. Naturalmente, Candy non poteva conoscere la mitologia mesopotamica perché la maggior parte delle tavolette che narrano il poema “La discesa di Inanna” è stata rinvenuta tra il 1889 e il 1900 nella città di Nippur, nel sud della Mesopotamia. Quindi, quando si reca a Londra per studiare nel prestigioso collegio della Royal Saint Paul School, sono passati pochi anni dal rinvenimento di quei reperti peché potessero già essere oggetto di studi non accademici. Inoltre, dubito fortemente che le suore potessero insegnare discipline contrarie alla religione cristiana. Probabilmente, l'unica mitologia insegnata era quella greca e romana, dal momento che ogni sigorina di buona famiglia doveva conoscere i classici come L'Iliade e l'Odissea.

In questo racconto, immagino che Candy, vittima di un incidente, entra in coma e qui comincia il suo “viaggio negli Inferi”.


 

Inanna (dea sumera della fecondità, dell'amore e della bellezza; governa anche i raccolti e la fertilità dei campi, oltre alla guerra): Candy Candy

Dumuzi (dio pastore): Neal Legan

Ereshkigal (dea oscura relegata nel kur, il regno dell'oltretomba, sorella di Inanna): Iriza Legan

Neti (guardiano dell'oltretomba): Terence Granchester

Enki (divinità dei mestieri, del male, dell'acqua, dei mari, dei laghi, della sapienza e della creazione): Willian Albert Andrew

Utu (dio solare benefico della guerra e della giustizia): signor Legan

Kurgarra (creatura nata dallo sporco delle unghie del dio Enki): Archie Cornwell

Galatur (creatura nata dallo sporco delle unghie del dio Enki): Stear Cornwell

Gugalanna (toro del Cielo, marito di Ereshkigal): Michael

Geshtinanna (sorella di Dumuzi): Louise

Shara (figlia di Inanna): Patty O'Brien

Lulal (figlio di Inanna): Anthony Brown

Ninshubur (sacerdotessa di Inanna): Annie Brighton

I Galla (creature infernali): Sig.ra Legan e zia Elroy Andrew


 

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COMA!


 

Quando Inanna arrivò alle prime porte dell'oltretomba,

Bussò sonoramente,

Gridando con veemenza:

«Apri la porta, custode!

Apri la porta, Neti!

Entrerò solo io!»

Le chiese Neti, custode sommo del Kur:

«Chi sei?»

Essa rispose:

«Io sono Inanna, la regina del cielo,

Diretta verso Oriente».

Le disse Neti:

«Se tu sei davvero Inanna, la regina del cielo,

Diretta verso Oriente,

Perché il tuo cuore ti ha messo sul cammino

Da cui nessuno mai torna?»

Rispose Inanna:

«Per... Ereshkigal, mia sorella maggiore.

Gugalanna, suo sposo, Toro del Cielo, è morto.

sono venuta per i riti funebri.

Ora la birra dei suoi riti funebri colmi la coppa.

Così sia fatto».

Neti parlò:

«Resta qui, Inanna, voglio parlare con la mia regina.

Le porterò il tuo messaggio».

....

(trad. di F. Marano dalla versione di D. Wolkstein)


 

Finalmente era serena. A dire la verità, la parola esatta che le era venuta in mente era felice, ma anni addietro qualcuno le aveva detto che la felicità non ci doveva essere data dagli altri, ma toccava a noi costruirla con le nostre forze.

Ora che la festa era finita e Albert era tornato a Lakewood per preparare la sua presentazione alla famiglia e ai soci, e Archie e Annie erano tornati a Chicago, lei era salita sulla collina, ai piedi del grande albero, per restare sola con i propri pensieri. Poche ore prima Annie le aveva fatto leggere un articolo che parlava della separazione fra Terence e Susanna, quindi ora poteva sperare. Sperare in un futuro accanto a Terence. E finalmente sarebbe stata felice, per davvero. Sì, lo sapeva, con lui sarebbe stata felice, perché l'avrebbero costruita insieme, la felicità, giorno dopo giorno, insieme.

Dopo la festa di ingresso in società, avrebbe chiesto il permesso ad Albert di recarsi a New York.

“Buonasera, Candy”. Una voce strafottente la riportò bruscamente alla realtà.

Era così immersa nei propri pensieri che non si era accorta dell'automobile che si era fermata a pochi metri di distanza, davanti alla Casa di Pony, e non aveva nemmeno sentito arrivare lui.

Ma cosa diavolo voleva ancora?

“Che cosa vuoi?”

“Parlarti”.

“Ma io non ho nessuna voglia di ascoltarti. Quindi, se non ti dispiace...”

“Come siamo diventate superbe, eh?”

“Cosa?”. Nella luce del crepuscolo, intravide una luce maligna in quegli occhi castani.

“Scommetto che quando lo hai accolto in casa, sapevi che quel vagabondo in realtà era lo zio William e quindi hai deciso di approfittarne e plasmarlo a tuo piacere”.

“Neal, non ti permetto di...”

“Cosa non mi permetti, tu, eh? Sei solo una povera orfanella che sei stata adottata per pietà!”. Si stava avvicinando pericolosamente e a lei non rimase altro che indietreggiare, finché non si trovò con le spalle all'albero. Cercò di respingerlo, ma lui le prese entrambi i polsi e si chinò su di lei: “Non mi è piaciuta la tua trovata di piantarmi in asso alla festa del nostro fidanzamento, e neanche il fatto di aver fatto intervenire lo zio William.”, le sibilò.

“Cosa...”, non riuscì a terminare la frase perché, non appena pronunciò quelle due sillabe, Neal ne approfittò per rubarle un bacio.

A quel contatto, si sentì svenire, ma doveva reagire, non poteva cedere. Cercò di divincolarsi, ma Neal la trattenne e, anzi, la strattonò: “Dove pensi di andare, eh? Non ho ancora finito!”.

Malauguratamente, la ragazza sbattè la testa contro il tronco e cadde priva di sensi.

Giaceva immobile, di fronte a lui, il respiro così impercettibile da sembrare quasi inesistente. Neal le si inginocchiò a fianco, le mani nei capelli. Aveva paura di accarezzarla, ma doveva fare qualcosa. Non poteva lasciarla lì e scappare: presto qualcuno sarebbe andato a cercarla e avrebbero collegato il suo svenimento con la sua visita. Certo, era la parola di pochi orfani contro la sua, un Legan, però...

La prese in braccio e corse verso l'orfanotrofio: “Presto, aiutatemi, Candy è caduta dall'albero!”, mentì.

“Come è possibile che Candy sia caduta?”, Suor Maria e Miss Pony erano incredule: la loro Candy era una maestra nell'arrampicarsi, ma forse proprio perché sicura della propria bravura, poteva aver messo male un piede ed essere scivolata...

“Forse è meglio portarla in ospedale”, provò a suggerire: là, a Chicago avrebbe potuto controllarla e magari manovrarla come avrebbe voluto.

“Sì, forse ha ragione, signore”, acconsentirono le due donne. Vedere la loro bambina così ridotta, talmente pallida che perfino le lentiggini quasi non si vedevano le aveva shoccate. “Noi, però, non possiamo lasciare i bambini”.

“Non è un problema: a Chicago c'è la sua famiglia, ma ora non c'è tempo da perdere”.

“Candy? Candy, mi senti?” Col respiro appena accennato e il battito cardiaco percepibile a stento, ormai non avvertiva più nulla provenire dal mondo reale: ora si trovava in un altro luogo e altre voci la stavano chiamando...

 

“Candy? Candy, amore mio... buongiorno”. Neal, il pastore, era sdraiato accanto a lei e stava giocando con i suoi riccioli d'oro. Aveva avuto altri corteggiatori, ma i loro doni non avevano eguagliato la morbida lana che Neal le aveva offerto. E alla fine aveva scelto lui.

“Buongiorno amore”, si stiracchiò, volgendosi a guardare suo marito.

Quasi si vergognò della propria felicità matrimoniale, mentre pensava alla recente vedovanza di sua sorella. “Amore, Michael è morto ed è mio dovere recarmi da mia sorella, Regina dell'Oltretomba, a porgerle le mie condoglianze”.

“Mi mancherai moltissimo”. Smise di giocherellare con i capelli e spostò il dito verso il suo viso, spostando le sue dita verso le labbra carnose della moglie, segnandone il contorno.

“Tesoro...”

“Sì?”

“Devo...”
“Sì, tra un po'” le sussurrò all'orecchio, continuando la sua esplorazione lungo il corpo della moglie. Dalla bocca si era spostato verso il collo, e giù verso i seni, giocando con i capezzoli.

Senza riuscire a staccare i propri occhi da quelli smeraldini di Candy, entrò dolcemente in lei, senza smettere di accarezzarla...

Il sole stava sorgendo, e i suoi raggi colpirono i due amanti nel loro amplesso.

Si era fatto tardi e lei doveva recarsi per prima cosa da Annie per istruirla circa i propri doveri durante la sua assenza.

“Ascoltami bene, Annie. Michael, il marito di mia sorella è morto e io devo andare da lei per porgerle le mie condoglianze, ma non mi fido di lei. Se entro tre giorni non sarò di ritorno, devi andare da mio padre Albert e chiedere il suo aiuto”.

Temeva Iriza e la sua gelosia: Annie era sempre stata la sua migliore amica e in quel momento era l'unica di cui si potesse fidare ciecamente, l'unica che potesse aiutarla se Iriza le avesse fatto del male.

Si apprestò quindi a salutare il marito e i due figli, Patty e Anthony, poi si diresse verso la residenza di sua sorella, in una zona montuosa mai illuminata dal sole. Tutto, lì, trasudava freddezza e morte. Com'era diversa dal suo palazzo, abbracciato ogni giorno dai raggi del sole e della luna!

L'ingresso della grotta dove viveva Iriza era sbarrato da un pesante cancello. Con il cuore stretto in una morsa, si fece coraggio e bussò al battacchio. Ad aprirle un uomo con capelli e occhi scuri: Terence, il maggiordomo di sua sorella.

“Fammi entrare, Terence”, ordinò.

“E perché dovrei?”, chiese con la consueta intonazione impertinente.

“Perché sono Candy, sorella di Iriza”.

“Se sei veramente Candy, cosa ti ha spinto a venire in questo luogo dove non batte mai il sole?”

“Michael, marito di Iriza è morto. Sono venuta a porgerle le mie condoglianze. Ora apri, e conducimi da lei!”.

“Aspetta qua, vado a parlare con la mia signora!”, le rispose di rimando, lasciandola lì fuori, al freddo e al buio.

Ritornò poco dopo, con una strana luce negli occhi: “La mia signora, Iriza, tua sorella, ti sta aspettando, ma dovrai lasciare qui fuori la tua valigia”, le disse, aprendo il cancello e scostandosi per farla entrare.

L'ingresso della caverna era illuminato da torce che mandavano sulle fredde pareti di roccia sinistri bagliori; alle sue orecchie giungevano striduli lamenti. Sospirando, seguì Terence all'interno della spelonca, finché non giunsero a una porta in legno: “Aspetta qui, vado a parlare con la mia signora”, e rimase sola un'altra volta. Si guardò intorno: solo nuda roccia, nessuna decorazione ad abbellire la residenza di sua sorella, a differenza del proprio palazzo, finemente decorato con mosaici e affreschi.

Terence tornò nuovamente dopo pochi minuti, negli occhi ancora quello sguardo surreale: “Entra pure, ma lascia qui uno dei fiocchi che legano i tuoi capelli”.

Ubbidì e oltrepassò la porta di legno: una lunga scala di pietra scendeva all'interno dell'antro. Man mano che Candy si calava giù per quegli stretti gradini mal illuminati dalle torce, udiva sempre più chiaramente i lamenti.

Alla fine della discesa, un'altra porta: “Apetta qui, vado a parlare con la mia signora” e ancora una volta rimase sola, mentre il proprio cuore veniva stretto sempre più nella morsa della tristezza.

“Puoi entrare, ma dovrai lasciare l'altro fiocco”. Si slacciò l'ultimo fiocco e con i capelli sciolti oltrepassò il terzo cancello, per trovarsi di fronte ad un lago sotterraneo. Terence fu il primo a salire sulla barca e le porse la mano per aiutarla a salire a sua volta: una scossa la percorse a quel tocco. Salì, con l'animo in subbuglio, mentre Terence allontanva la barca dall'imbarcadero con un colpo di remo e si mise a vogare. “Non guardare l'acqua”, l'avvertì, ma da quelle acque sembrava sorgere una musica dolcissima e Candy non resistette a spostare il proprio sguardo laddove pensava provenisse quella melodia. Con un dito sfiorò l'acqua scura e istantaneamente braccia si sporsero fuori da quello specchio per ghermirla. Con un urlo si ritrasse, capovolgendo l'imbarcazione. Altre braccia la artigliarono, sospingendola verso il fondo. Non oppose resistenza: quella melodia era così dolce che voleva solo raggiungerla. Forse lì, da dove proveniva quell'aria, il suo cuore, così gravato da quando aveva messo piede in quella dimora, avrebbe finalmente trovato la pace.

Improvvisamente, qualcuno la strappò a quel torpore e la riportò a riva, dove un'altra porta sbarrava il cammino: “Aspetta qui, vado a parlare con la mia signora. E non guardare l'acqua”, le ingiunse.

Quella non era casa sua e lei non poteva far altro che aspettare di essere annunciata.

“Puoi passare, ma dovrai lasciare qui fuori uno dei tuoi stivali”. Si sfilò lo stivale destro e, oltrepassata la porta, si trovò di fronte un abisso: solo un ponte di corda collegava le due estemità, impedendo a chiunque volesse raggiungere l'altra parete di cadere nelle fiamme sottostanti.

“Cerca di non guardare sotto di te perché, se verrai colta da vertigini e cadrai, questa volta non verrò in tuo aiuto”, le rivolse un sorriso sghembo, “E attraversa il ponte di corda in modo deciso, senza tremare”. Era una parola. Nonostante il baratro fosse smisurato, poteva avvertire il calore delle fiamme e i lamenti sempre più forti le stringevano l'anima come non avesse mai creduto possibile. Si fece comunque coraggio e con un sospiro si avvicinò al ponte. Non fu facile attraversarlo con un piede scalzo, ma alla fine li posò entrambi sulla solida roccia: mai come in quel momento, la casa di sua sorella le sembrò accogliente. Certo, accogliente era una parola grossa, ma tirò lo stesso un gemito di sollievo, che le morì in gola quando si accorse di un'altra porta. Cosa si nascondeva questa volta oltre quel varco?

“Aspetta qui, vado a parlare con la mia signora” La compagnia di Terence la inquietava, ma detestava restare sola in quel luogo; tuttavia non aveva altra scelta. Se non altro, il calore delle fiamme le aveva asciugato il vestito!

“Lascia qui l'altro stivale” e si fece da parte per farla passare.

Si trovò di fronte a una vasta sala dove strane sculture di roccia pendevano dal soffitto, da cui cadevano rumorosamente gocce d'acqua, e altre che si ergevano dal terreno. Anche qui, man mano che si addentravano, i lamenti si facevano via via più forti. “Se aumentano ancora, impazzisco”, pensò.

Finalmente, giunsero alla sesta porta: “Aspetta qui, vado a parlare con la mia signora”. Già conosceva a memoria quella cantilena: ma non sapeva dire altro?

Dopo un po', eccolo di ritorno: “Entra pure, ma dovrai lasciare qui il tuo vestito”.

“Cosa? Dovrei... spogliarmi?”

“Sono gli ordini della mia signora, Iriza, tua sorella. Ma se non vuoi toglierti il vestito non importa, resterai bloccata qui, per l'eternità”, le sorrise subdolamente.

Candy lo sapeva, non aveva altra scelta: “Voltati”, gli impose.

“E perché mai?”

Le venne una strana voglia di strozzarlo, ma fece come le era stato ordinato, rimanendo solo con gli indumenti intimi. Si apprestò quindi a varcare la sesta soglia, sempre più preoccupata e con il freddo e i lamenti che le penetravano fin nelle ossa. Sperò ardentemente di trovarsi ormai di fronte a sua sorella, invece, ad accoglierla un'ernorme distesa di ghiaccio. E lei era seminuda!

Il ghiaccio, candido, faceva da contrapposizione al rosso delle pareti e al nero che aleggiava in forndo a quella sala.

Non ce la faceva più a camminare scalza su quella distesa, con quei lamenti perpetui nelle orecchie. Dio, stava impazzendo! E infatti, a metà cammino si accasciò, inerte, sconfitta. “Alzati! Ormai sei stata annunciata e tua sorella detesta aspettare gli ospiti. Dovresti saperlo, no?”

“Non ce la faccio più!” Grosse lacrime sgorgarono dai suoi occhi di smeraldo. “Ti prego, falli smettere!” Con le mani si tappò le orecchie e scosse più volte il capo, inutilmente: i lamenti erano sempre più forti.

Per la prima volta, lo sguardo di Terence si addolcì e, presala in braccio, la condusse fino all'ultimo uscio: “Apetta qui, vado a parlare con la mia signora”.

“Ti prego, non lasciarmi!”, ma lui era tornato a essere il freddo maggiordomo di sua sorella.

“La mia signora, Iriza, tua sorella, ti sta aspettando, ma dovrai lasciare qui anche i tuoi indumenti intimi.

“Stai scherzando, vero? Dovrei spogliarmi dinnanzi a te e presentarmi nuda davanti a mia sorella?” Era semplicemente sconvolta da questa richiesta, e per nulla propensa ad assecondarla.

“Questi sono gli ordini: o forse preferisci restare prigioniera per sempre in questa landa ghiacciata?”

“D'accordo”, acconsentì, “ma tu voltati!”

“E perdermi questo spettacolo? Per nulla al mondo”. E a Candy non restò che spogliarsi di fronte a lui.

Ora era nuda, davanti alla porta dietro la quale la stava aspettando sua sorella Iriza. Pregò con tutta se stessa che Annie facesse quanto lei aveva chiesto.

Si fece coraggio e con un soffio si apprestò a seguire Terence.

“Mia signora, vostra sorella, Candy, è venuta qui da voi per rendervi omaggio”, l'annunciò.

“Bene bene. Dunque alla fine la mia cara sorellina si è decisa a farmi visita!” infierì falsamente. “A cosa devo tanto onore?”

“Io, Candy, tua sorella, sono venuta qui da te per porgerti le mie condoglianze per la tua vedovanza”, proferì, chinando il capo in segno di rispetto.

“Quali doni rechi con te, sorellina?”, le chiese, ambiguamente, ben vedendo che Candy le si era prostrata nuda.

“Ecco... io...”. Era in preda al terrore. Sapeva quanto Iriza fosse venale, ma Terence le aveva fatto lasciare la valigia con i doni fuori dal primo cancello.

“Osi presentarti qui a me senza un omaggio degno di me? E va bene, vorrà dire che sarò io a prendermi qualcosa da te, ciò di cui hai di più prezioso: la tua vita stessa! Servitori!”. Mostruose creature si fecero avanti, artigliandola.

“No! Ti prego!” Calde lacrime le rigarono il volto.

“Appendetela a quel gancio, così che io mi possa godere lo spettacolo, mentre la ragione e la vita l'abbandonano!”. E rise, di una risata malefica.

Gelidi arti la trascinarono via e l'appesero a un gancio da macellaio.

Rivoli di sangue le scesero lungo la schiena, mentre i lamenti, che prima le rimbombavano nella testa, ora si stavano affievolendo, per divenire parte di lei. Cercò di divincolarsi, ma il dolore era lancinante. Poi, anche questo parve diminuire, mentre un inconsueto torpore si impadroniva di lei...

Intanto, a Lakewood, nel bel palazzo delle rose, non vedendola tornare, Neal, il suo adorato marito, decise di indire un ballo e di presentarsi a tutti come il nuovo proprietario del luogo. In fondo, era stata Candy che se ne era andata di sua spontanea volontà! Patty e Anthony non riuscivano a credere al cinismo di quell'uomo: la loro madre mancava da tre giorni e lui aveva deciso di promuovere una festa! Si recarono allora da Annie per raccontarle l'accaduto e pregarla di tenere fede all'impegno preso con la loro madre. Neanche lei riusciva a capacitarsi del insensibilità di quell'uomo: Candy lo aveva amato e lui, invece di preoccuparsi della sorte della moglie, pensava solo a divertirsi!

Fece perciò quanto Candy le aveva chiesto. Si diresse dunque da Albert, per chiedergli aiuto.

Anche lui rimase allibito dal racconto della giovane: “Stear! Archie! Ascoltatemi bene: Candy è andata a trovare sua sorella Iriza, ma sono tre giorni che manca da casa. Dovete recarvi da lei, e fare in modo che la lasci tornare a casa sua”.

“Bene, non sarà difficile convincerla!”Si scambiarono uno sguardo d'intesa e, presi con loro alcuni doni, si diressero a loro volta verso la residenza di Iriza. Lì giunti, videro la valigia di Candy, fuori dall'ingresso. Bussarono a loro volta: “Facci entrare Terence! Siamo Archie e Stear e veniamo a portare doni alla tua signora, Iriza”.

“Aspettate qui, vado a parlare con la mia signora”.

“Non ci provare”, ringhiò Archie. “Siamo stati mandati qui da Albert in persona, e tu sai che la sua parola è legge anche qui! Dunque, facci passare senza tante storie e conducici immediatamente da Iriza”.

“Ci scaldiamo con poco, eh?”, alzò le mani in segno di resa, canzonandolo. Ma si spostò per farli entrare. Li condusse dunque da Iriza, usando un tragitto diverso da quello fatto fare a Candy, e sicuramente più agevole.

“Ora aspettate qui, vado ad annunciarvi”.

Tornò poco dopo, spalancando la porta e scostandosi: al centro della sala, su una morbida poltrona, troneggiava Iriza, mentre su un lato, appeso a un gancio al soffitto roccioso, stava il cadavere di Candy. I due fratelli si imposero di non guardarlo, elargendo smaglianti sorrisi alla cugina.

“Archie! Stear! Che piacere vedervi! A cosa devo l'onore di questa visita?”

“Solo alla voglia di vederti, cara cugina”, esalò Stear.

“Dunque non è per volere di Albert che siete qui?” chiese falsamente. Terence le aveva riferito tutto.

“Naturalmente anche lui vuole avere tue notizie, ma era troppo impegnato per giungere di persona e così ha approfittato del fatto che noi avevamo intenzione di venire per mandarti i suoi doni”.

“Doni di Albert? Voglio vedere, avanti Stear, fammeli vedere!”, corse verso i cugini, come una bambina capricciosa.

Era proprio in questo lato del suo carattere che i due fratelli contavano.

Ogni dono era più bello dell'altro: ora un cappello piumato, ora un ricco vestito di seta, ora degli stivali all'ultima moda... E le borsette, poi... Ma il dono che apprezzò di più era un piccolo carillon dalla musica celestiale.

Iriza era davvero in un brodo di giuggiole: “Oh, ragazzi, come posso sdebitarmi? Chiedetemi qualsiasi cosa vogliate: sarà vostra!”

“Dacci il cadavere di Candy” chiesero all'uniscono.

Li guardò a bocca aperta, mentre Terence, in un angolo, sghignazzava. Di tutto si sarebbe aspettata, ma non quella richiesta. Candy era il suo giocattolino, non voleva privarsene, per nulla al mondo, tuttavia aveva dato la sua parola, e non poteva rimangiarsela.

“D'accordo, ma non capisco cosa potreste farci, con un cadavere!”, battè le mani per chiamare i servitori: “Tirate giù quel corpo, e consegnatelo ai miei cugini”. Era chiaramente indispettita.

Candy venne staccata dal gancio e il suo corpo esanime fatto cadere ai piedi dei due ragazzi.

Prima di partire, Albert aveva dato loro un'ampolla con uno strano liquido: lo versarono sulla ragazza. Subito non successe nulla, ma dopo alcuni secondi, il corpo venne scosso da sussulti e Candy riaprì finalmente gli occhi, mentre il suo cuore tornava a battere e il sangue a circolare caldo nel suo corpo, gelido.

Si rialzò, cercando di coprire la propria nudità con le braccia, ma Iriza, sua sorella, le porse un abito.

“Ho promesso che ti avrei lasciata andare, tuttavia, non puoi lasciare questa casa senza che qualcuno ti sostituisca: loro” e fece cenno a sua madre e alla zia Elroy di avvicinarsi, “verranno con te e ti aiuteranno a scegliere chi prenderà il tuo posto qui”.

“E sia” esalò Candy, chinando il capo.

Finalmente il gruppetto si diresse verso l'uscita.

A ogni porta, Candy si fermava a raccogliere la pietra che sua sorella le aveva lasciato affinché la portasse in dono ad Albert.

Quale sorpresa ebbe quando, finalmente tornata alla luce del sole, si avvide che quelle pietre erano in realtà gemme di inestimabile valore!

Voleva essere lei a consegnarle ad Albert, ma la signora Legan e la zia Elroy erano impazienti, così le consegnò ai cugini. Si diresse poi verso la propria residenza, pensando a come ingannare le due donne.

Man mano che si allontanava da quella zona, il sole tornava a illuminare il mondo e il suo animo. Come amava il suo regno! Le colline verdeggianti, i campi di grano, i pascoli delle mandrie! Finalmente era tornata alla vita, quella vera, lontano da quel luogo colmo di oppressione che invece sua sorella tanto adorava! Come erano diverse loro due, eppure uguali.

È vero, la zia Elroy e la signora Legan erano impazienti, loro non amavano quei luoghi, quella non era casa loro, ma Candy voleva riassaporare ogni secondo di vita ritrovata e si diresse verso la collina di Pony, da papà Albero.

Ah, che gioia poter arrampicarsi sui suoi rami! Da lassù poteva spaziare lo sguardo sulla sterminata pianura sottostante. Sì, amava immensamente quei luoghi, ma capiva anche come sua sorella potesse amare gli Inferi. Perché era lì che Iriza aveva eletto il proprio domicilio.

Ad un tratto, si sentì chiamare da due voci infantili: Anthony e Patty, i suoi adorati figli, l'avevano vista arrivare e le erano andati incontro. Notò l'improvviso interesse accendersi nello sguardo delle due donne.

No! Loro l'avevano aspettata, le erano stati fedeli, non li avrebbe mai sacrificati al suo posto. Avrebbe scelto qualcun altro.

Scese in fretta dall'albero e corse ad abbracciare i suoi figli.”Amori miei! Sono così contenta di rivedervi”.

“Ci sei mancata tanto, mamma. Dove sei stata?”, chiese Anthony.

“Sono andata a trovare la zia Iriza, ma adesso non ci separeremo mai più, ve lo prometto. Ma dov'è papà?”

A quella domanda, i due bambini fecero spallucce e cominciarono a giocare rincorrendosi, con Clean che saltellava felice tra le loro gambe.

“Ma che bei bambini”, fece la zia Elroy, con un tono di voce che nulla di buono faceva presagire.

“Già, proprio dei bei bambini, penso che sarebbero dei perfetti camerieri per Iriza”, rincalzò Lilith Legan.

“No! Loro no. Mi hanno aspettato. Prendete qualcun altro”.

“E sia”, risposero in coro.

“Candy! Finalmente sei tornata! Ero così preoccupata per te, quando non ti ho vista tornare...”. Anche Annie l'aveva raggiunta sulla collina.

“Oh, Annie cara, ti ringrazio per quello che hai fatto per me. Se non fosse stato per le tue suppliche verso Albert, non sarei più potuta tornare da voi”. Le due amiche si abbracciarono, i volti rigati da lacrime di felicità e sollievo.

“Beh, forse una persona adulta e dolce potrebbe servire meglio Iriza rispetto a due bambini”.

Era stato solo un sussurro, ma Candy l'aveva sentito benissimo: “No, vi prego, lei è la mia migliore amica, è grazie a lei se sono potuta tornare dai miei figli. Vi prego, prendete qualcun altro”.

Annie aveva sentito tutto e temette per la sua vita: nessuno poteva tornare indietro dalla casa di Iriza se non designava qualcuno come sostituto. Candy se ne avvide e la strinse in un abbraccio protettivo: “Non ti preoccupare, nessuno ti torcerà un capello. Ti proteggerò io... ma dov'è Neal?”

“Ecco... veramente...” farfugliò. Conosceva la sua amica, il suo grande cuore, ma come avrebbe reagito se avesse sorpreso Neal governare come se fosse stato lui il padrone?

“Ho capito. Mi sta aspettando a casa per farmi una sorpresa. Lo raggiungo subito”.

Lakewood distava alcune ore da lì, ma camminare sotto i benefici raggi del sole le piaceva e si avviò verso la propria casa, accompagnata dai bambini e dall'amica.

“Ah, casa dolce casa!” Eccolo, finalmente, il cancello delle rose.

“Bambini, vediamo chi arriva prima?”

“Sììì!” esclamarono in coro, prima di lanciarsi in corsa verso il cancello.

Appena messo piede in casa, però, un'amara sorpresa l'attese: in quei tre giorni d'assenza, Neal non aveva perso tempo e aveva fatto portare via tutto ciò che era stato suo, per sostituirlo con suppellettili di proprio gusto. Anche i domestici - soprattutto loro! - erano stati licenziati e rimpiazzati con personale a lui fedeli! Questo era troppo!

Lo cercò furiosa per tutta la proprietà, finché non lo trovò alle scuderie: il proprio magnifico cavallo non c'era più! Anche lui era stato venduto!

“Neal! Cos'è successo?”, trattenne a stento la rabbia.

“Ciao, amore. Già di ritorno?”, la raggiunse per abbracciarla, come se niente fosse.

“Non ci provare! Cos'hai combinato?”, lo allontanò di male grazia.

“Beh, credevo non tornassi più...”

“Ma ora sono tornata. Zia Elroy, signora Legan: è tutto vostro”, così dicendo gli voltò le spalle, mentre le due donne gli si avvicinarono.

In quel momento, entrò nelle scuderie Thomas Legan: “Ahem... buongiorno signore”.

Le due donne si volsero verso di lui; fu un attimo, ma tanto bastò perché Neal montasse sul cavallo e scappasse via al galoppo, subito imitato dalla zia Elroy e da Lilith Legan, lasciando decisamente a bocca aperta l'ignaro signor Legan: “Candy, puoi spiegarmi cosa sta succedendo?”

“Succede che ho consegnato il mio cuore all'uomo sbagliato. Neal non è l'uomo che credevo”.

“Ed è per questo motivo che lo fai inseguire da quelle due?”

“Sì, credo che col suo carattere sarà una compagnia gradita a Iriza, molto più di quanto lo sarei stata io”.

“Hai... detto... Iriza?”

“Sì, ho fatto visita a mia sorella, e l'unico modo per ritornare qui era cercare una persona che mi sostituisse presso di lei. Siccome Neal è stato l'unico ad approfittarsi della mia assenza...”

“Capisco”, e chinò il capo, impotente.

Candy lo guardò impassibile allontanarsi con la schiena ricurva. Gli dispiaceva per quell'uomo, era sinceramente affezionato al ragazzo, ma lei non poteva farci nulla: ogni giorno c'era gente che nasceva e che moriva.

Fu un inseguimento estenuante e alla fine lo trovarono in una grotta vicino alle proprietà di Iriza. Povero illuso, davvero credeva che non lo avrebbero cercato lì?

“Guarda guarda chi è venuto a farmi vista... il mio caro cognatino... vieni caro, penso proprio che noi due ci divertiremo insieme”, gli si rivolse con voce melliflua Iriza, non appena le fu consegnato il sostituto di Candy.

“Aspetta a ridere, Iriza. Non resterò qui molto tempo”.

“Ah no? E perché? Odi forse la mia compagnia?” chiese sempre in maniera affettata.

“Non volevo dire questo”, si mise subito sulla difensiva.

“Oh, va bene. Dite tutti così, però poi rimanete. Oh, sì, se rimanete tutti...”

Neal decise di fare buon viso a cattivo gioco. Era controproducente far insospettire quella donna, ma intanto sperava che sua sorella supplicasse Candy di risparmiarlo.

Erano passati diversi giorni da quando Candy era tornata, allorché ricevette una visita, Louise, la sorella di Neal.

“Ti imploro, mia signora, in nome dell'amore che provi per mio fratello, liberalo dalle grinfie di Iriza...”

“Già, l'ho amato, gli ho consegnato il mio cuore... e con quali risultati? Dopo tre giorni mi aveva già dimenticata...” Si era alzata dalla sua poltrona e si era diretta verso la grande finestra, inondata di luce, dandole le spalle. Non c'era acredine nella sua voce, solo delusione. Delusione per aver creduto in un amore che evidentemente era a senso unico. Tuttavia...

“Ti scongiuro...” continuò, la voce incrinata dal pianto.

Candy rimase in silenzio alcuni istanti, guardando oltre la finestra. Il sole pervadeva con la sua luce il roseto, dove i suoi figli stavano giocando a nascondino con Clean e Annie. Alla fine si decise: “E sia, ti accompagnerò da Iriza, ma non ti prometto nulla”. L'altra le corse incontro per baciarle mani, piena di gratitudine.

Si rimise in cammino, accompagnata da Louise, e dopo una settimana, giunse davanti alla residenza della sorella.

Bussò al portone e nuovamente Terence le venne ad aprire.

“Facci entrare, Terence!”, ordinò.

“E perché dovrei?”

“Perché sono Candy, sorella di Iriza, e sono in compagnia di Louise, sorella di Neal. Siamo venute a chiedere udienza a Iriza”.

“Aspettate qui, vado a parlare con la mia signora”, ma Candy lo bloccò, prima che riuscisse a voltare loro le spalle. Di nuovo avvertì quella scossa lungo la schiena.

“Non ci provare, Terence. Non abbiamo tempo per i tuoi giochetti. Conducici immediatamente da lei”, gli intimò, con lo sguardo di fuoco.

“Va bene, seguitemi”.

“Mia signora, Candy e Louise chiedono udienza”.

“Candy... è tornata?”

“Pare di sì, mia signora”.

In un angolo, Neal sogghignò: finalmente era venuta a liberarlo.

“Va bene, vediamo quali doni mi ha portato”.

Le due entrarono nella sala e si inchinarono alla regina di quel luogo oscuro.

“Iriza, sorella mia, ho portato con me alcuni doni che spero ti piaceranno”.

L'altra battè le mani come una bambina felice e corse a vedere i regali.

“Belli, davvero molto, molto belli, ma... cosa vuoi in cambio?” Nessuno dava niente per niente, neanche Candy faceva eccezione.

“Rivoglio mio marito”, non ebbe esitazioni a porgerle la richiesta.

“Oh”, ma non era sorpresa, “Sai Candy perché noi due non andiamo molto d'accordo? Ci piacciono gli stessi uomini. Tuttavia, anch'io so essere clemente, a volte, perciò concederò la libertà a Neal, a patto che al suo posto resti qui con me Louise...”

A quelle parole, Neal si mosse baldanzoso, verso la moglie, mentre Louise cominciò a tremare come una foglia: le aspettava un'eternità in quel luogo.

“Aspetta, Neal, non ho ancora finito. Come ho appena detto, a me piacciono gli stessi uomini che piacciono a mia sorella, quindi ti alternerai ogni sei mesi con tua sorella a farmi compagnia in questo luogo...”

“Cosa?”, sbiancò: per un attimo aveva assaporato la ritrovata libertà, e ora invece se la vedeva sfumare... Certo, per metà dell'anno poteva definirsi libero, ma per l'altra metà? Era vita quella?

“Hai capito bene”. Poi, rivolta alla sorella: “Candy, tu accetti?”

“Sì”. Due semplici parole.

“E sia”, e l'accordo fu siglato.

 

Aprì lentamente gli occhi, nella stanza in penombra.

“Buongiorno, signorina Tutta lentiggini, finalmente ti sei svegliata!”

“Io... cosa... dove...”, parlare le costava fatica.

“Non parlare, non devi affaticarti. Sei stata priva di sensi per diversi giorni. Vado a chiamare un medico.

E Terence uscì dalla stanza.

Un sogno. Era stato tutto un sogno, eppure era stato così reale...

Ma Terence aveva parlato di medici? Cosa ci faceva in ospedale? Cosa le era accaduto?

 

 

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POSTAFAZIONE

Dal sito Ilcerchiodellaluna: L'inno che descrive la discesa di Inanna nel regno degli Inferi è uno dei più bei miti relativi l'incontro con il lato oscuro che si trova in ognuno di noi. L'astrologia umanistica e psicologica individua in questo mito una bellissima rappresentazione del simbolismo dello scorpione. Infatti, Inanna decide di scendere negli inferi per partecipare al dolore della sorella per la morte del marito e, inconsapevole di cosa l'attende laggiù, si aspetta gratitudine e onore per il suo gesto.

Ereshkigal, invece, arrabbiata, in stato di grande sofferenza per la perdita subita, la fa spogliare completamente, la umilia ed infine la fa appendere a un gancio piantato alla parete lasciandola lì, affinché muoia lentamente per dissanguamento (l'ira dello scorpione).

In questa lunga agonina, Inanna è costretta a vedere tutto ciò che succede in quel regno, a prendere coscienza e a capire la desolazione e la morte che regnano laggiù (il nostro lato ombra).

Inanna in seguito viene salvata e il mito termina in due momenti salienti: quando le due sorelle si salutano, Ereshkigal si accorge di essere incinta, a conferma del fatto che ogni lutto racchiude in sé i semi di una nuova vita. Infine, sempre Ereshkigal, dice a Inanna di fermarsi durante il ritorno a raccogliere ciò che lei ha messo vicino alle sette porte che delimitano il suo regno, poiché questo sarà il suo personale dono da portare nel regno dei cieli. A ogni porta, Inanna trova una pietra, ma quando risalirà alla luce del sole, si accorgerà che si tratta invece di sette gioielli purissimi (i tesori di ognuno di noi che sono sepolti sotto le scorie fatte di rancori, dolore e odio, che occorre prima eliminare per poterli trovare).


 

In chiave psicanalitica, la discesa di Inanna è spiegata con la necessità della psiche di confrontarsi col proprio lato oscuro (Ereshkigal), connesso all'istintualità cieca e alla distruttività (la 'pulsione di morte' di Freud), per raggiungere l'equilibrio e la completezza. Per questo motivo ho deciso di assegnare la parte della dea degli Inferi a Iriza, perché, se da un lato ho sempre pensato che Susanna e Annie fossero dei personaggi “veri” con pregi e difetti riscontrabili nella maggior parte delle persone, così Candy e Iriza personificano le due facce della stessa medaglia: una incarna gli ideali da perseguire, mentre l'altra, nella sua totale negatività, rappresenta l'esatto contrario.





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