Mordicchiava assorta l’estremità
tonda della matita. Se ci fosse stato suo padre in quel momento, l’avrebbe di
certo sgridata, ripetendole più volte quanto fosse tossica quella specie di
vernice con cui la matita era rivestita!
Davanti a lei stava un libro
aperto.
Perché, cielo santissimo,
l’autore doveva usare dei giri di parole così lunghi e assurdi per esplicare un
semplice principio giuridico?
Era troppo complicato quel testo!
Sbuffò. Il suo piano di studio
giornaliero prevedeva che ne leggesse a fondo almeno una ventina di pagine.
“Forza e coraggio!” si disse,
risoluta. Si concentrò al limite dei suoi neuroni e lesse ancora qualche riga.
Dopodiché chiuse il tomo con fare seccato.
Oggi non è giornata, pensò. E, in
effetti, è proprio una brutta giornata, concluse, vedendo il cielo fuori dalla
finestra diventare ancora più tetro.
Sospirò e sprofondò sulla sedia
quel tanto che bastava per appoggiare la testa allo schienale. Chiuse gli occhi
per riposarsi un po’ e alla fine quasi si addormentò in quella scomoda
posizione. Più che dormire, potremmo dire che la sua mente vagava tranquilla in
contorti pensieri e il suo cervello si era completamente sconnesso dalla
realtà.
Infatti la ragazza non sentì il
portone di casa che si apriva e richiudeva subito dopo. Non si accorse
dell’entrata di qualcuno nella camera adiacente alla sua (e pensare che quei
muri sembravano fatti di carta, quanto a capacità di attutire i suoni e i
rumori!). Non si risvegliò dal suo stato, pressoché catatonico, nemmeno quando
un’imprecazione giunse forte e chiara dalla cucina.
Tuttavia non poté fare a meno di
accorgersi della porta della propria camera che si apriva di botto, quasi
sbattendo.
Saltò in piedi con le pupille
dilatate e il cuore a mille. Odiava essere “svegliata” in quel modo. Anche
perché era una che si prendeva facilmente paura per quel genere di cose.
Detestava la gente che le poggiava la mano sulla spalla, quando era girata
dall’altra parte e assorta nei suoi pensieri. In pratica detestava essere
riportata in modo brusco alla realtà in qualsivoglia maniera!
“Ehi… stai calma! Avevi la testa
tra le nuvole come al solito?” chiese con poco garbo una voce maschile.
“Fanculo, idiota! Non lo fare
più! Si bussa prima di entrare nella camera di una ragazza!” e così dicendo
afferrò uno dei mille peluche che aveva sul letto e glielo sassò contro.
Lui scartò di lato, evitando un
orso marrone chiaro, che mangiava miele da un barattolo.
“Ragazza, eh? Però hai ragione…”.
Cosa? Le dava ragione?
“Meglio che bussi d’ora in poi,
altrimenti potrebbe capitarmi di vederti in mutande! Che brutto spettacolo!”
disse, facendo una smorfia disgustata. E ti pareva che non la offendesse!
Questa volta il biondo non riuscì
ad evitare un coniglietto rosa che gli arrivò in piena faccia.
“Sei un bastardo! Vattene dalla
mia stanza!” urlò lei, adirata.
Il ragazzo la fissò per
interminabili secondi con uno strano sguardo, tant’è che un brivido percorse la
schiena di lei. Cosa cavolo voleva adesso quello stupido?
“Eh… mia cara Andrea…” le disse,
mentre si chinava a prendere il peluche-proiettile. “Dovresti essere più
femminile…” la rimproverò, sorridendole. Non mi piace, pensò la ragazza.
Solitamente Daniel gliel’avrebbe fatta pagare il doppio.
“Per insegnarti ad essere più
carina col sottoscritto, devo proprio punirti” disse, facendo lentamente dei
passi indietro.
Solo troppo tardi lei capì le sue
intenzioni.
“Non ti azzardare!” urlò prima di
corrergli dietro. Ma lui si era già rinchiuso in bagno col coniglietto e Andrea
poteva prendersela solo con la porta.
“Ti uccido se fai qualcosa a
Pinki!” lo minacciò, mentre picchiava il povero ed innocente uscio che la
separava dal ragazzo.
“Pinki? Hai quasi ventiquattro
anni e dai ancora i nomi ai pupazzetti? Cresci!” disse la sua voce, che giungeva
leggermente ovattata alle orecchie di lei.
“Ce l’ ho da quando ero piccola!
Ci sono affezionata, capito?!” gridò, isterica. Maledizione, Pinki era un regalo
di suo padre!
In quel momento il portone di
casa si aprì nuovamente. Un ragazzo ben vestito e curato si affacciò nel
corridoio che dava alle due camere e al bagno.
“Andy, vi si sente urlare dalla
tromba delle scale! Volete finirla di dare spettacolo agli altri condomini? Lo
sai che le pareti di questa casa hanno il potere di amplificare i rumori!”
sbuffò il tipo, sconsolato.
La ragazza lo fissò con
l’espressione di un cane dispiaciuto del guaio appena combinato.
“Scusami Al, ma quell’idiota mi
ha disturbata mentre studiavo e ora tiene in ostaggio uno dei miei peluche! Temo
lo stia violentando!” disse, incrociando le braccia al petto.
Il ragazzo sospirò e andò ad
appoggiare la valigetta di pelle in camera sua. La stessa camera che condivideva
con Daniel.
“Adesso ci penso io” proferì,
dopo aver buttato il cappotto sul letto. Andrea notò come il ragazzo fosse
immancabilmente vestito con semplice eleganza e buon gusto. Dopotutto aveva da
poco cominciato il tirocinio in uno studio legale; quindi era ovvio ci tenesse a
presentarsi al lavoro con un certo aspetto. Albert, Al per gli amici, era sempre
stato così, anche quando era solo una matricola.
Forse era per l’educazione
ricevuta, pensò Andrea. L’amico era nato in una famiglia altolocata, discendente
da un ceppo nobiliare, e aveva ricevuto da essa un’impronta notevole. Lo si
poteva notare quando mangiava, per esempio: non toccava mai il cibo con le mani,
qualunque esso fosse. Per essere un esponente del sesso maschile era
straordinariamente pulito e ordinato. A volte sembrava lui la “donnina” di casa,
diceva Daniel.
Proprio in quell’istante il
biondo uscì dal bagno.
“Rilassati, Al. Sono uscito da
solo” disse, raggiungendo l’amico in camera loro. Quando passò vicino ad Andrea
la urtò apposta con una spalla.
Lei stava per dargli un calcio
nel didietro, quando un braccio la bloccò.
“Ragazzi, finitela qui. Sono
stanco morto. Vi caccio di casa se non la smettete subito!”. Era raro vedere Al
irritato; quindi la ragazza si calmò un po’. Anche perché poteva sbatterli
davvero fuori dall’appartamento, dato che era di sua proprietà!
“Va bene. Scusami amico” rispose
il biondo, dandogli una pacca sulla spalla. “Mi sono permesso di disturbare la
signorina mentre studiava, per modo di dire, solo perché come al solito si è
dimentica che toccava a lei fare la spesa!”. Andrea sussultò. Acciderbolina! Se
n’era scordata!
“Mi spiace, ma quando sono uscita
dalla facoltà i supermercati erano chiusi” si scusò.
“Non ti preoccupare, prima o dopo
non cambia. L’importante è avere qualcosa da mangiare per cena. Sono solo le 17,
fai in tempo” le rispose Al, con la consueta gentilezza.
“Suvvia Conte, basta scusarla. La
vizi schifosamente! Non crescerà mai di cervello se continui ad essere così
indulgente” sbottò il biondo con arroganza. “Conte” era il soprannome di Albert
al liceo.
“Lo sai che non gli piace essere
chiamato con quel nome, scemo! Ci vado ora a fare la spesa, ok? Prima o dopo non
cambia” rispose Andrea prontamente. Daniel la guardò male.
“Se uno torna a casa stanchissimo
con la speranza che troverà almeno il suo cibo preferito ad accoglierlo, sì, fa
differenza eccome” obiettò il biondo, sfidandola.
“Scusami se non c’erano ad
aspettarti i tuoi amati cereali del Capitano Chokki!” lo canzonò lei. Al si
lasciò cadere esasperato sul suo letto.
“Svegliatemi quando tutto questo
sarà finito”.
Daniel, nel frattempo, si era
avvicinato ad Andrea in un secondo. Le era così vicino che la ragazza poteva
benissimo vedere il proprio viso riflesso negli occhi nocciola di lui. Di nuovo
quella sensazione. Quella tensione dell’animo. Quella scarica istantanea di
adrenalina che le faceva battere il cuore a mille. Sentiva le gote prendere
calore.
“Andy…” sussurrò lui. L’alito
tiepido le carezzò una guancia. “Pinki sta facendo il bagnetto a mollo nel
cesso”.
**
“Dannazione, che giornata
orribile!” imprecò, mentre si metteva il pigiama. Non solo aveva faticato tanto
per studiare, ma aveva anche preso la pioggia mentre tornava dal minimarket. E
che pioggia! Sembrava quasi che qualcuno lassù in cielo avesse aperto miliardi
di rubinetti, a giudicare da come cadeva l’acqua.
Risultato? Era tornata a casa
zuppa e prontamente qualcuno l’aveva schernita.
“Che scema! Te l’avevo detto di
prendere l’ombrello” aveva proferito Daniel, vedendola in cucina, mentre
sistemava gli alimenti in frigorifero e negli armadietti.
“Sei troppo testarda” aveva
concluso, dandole un buffetto, un po’ troppo forte per i gusti di lei, in
testa.
Maledetto, maledetto, maledetto…
ripeté Andrea dentro di sé. In quel momento era sicura di odiarlo al massimo
delle sue forze. Lo capiva dal bruciore di stomaco. Le succedeva anche da
piccola: ogni volta che qualcosa la faceva innervosire, i succhi gastrici
cominciavano a ribollire e a farsi sentire.
Sbuffò, osservando Pinki sul
termosifone. Dopo averlo lavato, l’aveva collocato là per farlo asciugare.
Povero coniglietto, vittima della quotidiana lotta tra il biondo e la
moretta.
“Don’t worry, Pinki! Ci vendicheremo!”
gli disse.
Purtroppo quel piccolo e
accogliente appartamento, che rispecchiava in tutto e per tutto i gusti di
Albert, era spesso scosso dei litigi dei due ragazzi: Daniel si divertiva
immensamente a provocare Andrea con battute e frecciatine di ogni sorta e
l’orgoglio di lei non le permetteva di non reagire. Cosa che rendeva Daniel
soddisfatto e ancor più voglioso di irritarla. Intavolavano così una discussione
in cui lui, con i suoi giri di parole e i suoi ragionamenti corretti, la metteva
in condizione di non saper più cosa obbiettare. E il ragazzo adorava metterla
verbalmente con le spalle al muro. Il suo senso di superbia veniva in tal modo
appagato.
A quel punto di solito
interveniva Albert, con la minaccia di sbatterli fuori di casa, anche se non
l’avrebbe mai fatto per davvero: ormai erano quattro anni e mezzo che conviveva
con quei due e si era abituato a loro, tanto quanto ai continui bisticci. Erano
così anche al liceo e sospettava lo sarebbero rimasti per sempre.
Eppure Albert non pensava che i
due si odiassero per davvero. D’altro canto non aveva mai capito perché si
divertissero a comunicare a quel modo. Una civile conversazione non sarebbe
stata più costruttiva?
Mentre faceva questi pensieri,
vide Andrea entrare in cucina. Indossava un pigiama con disegnato sulla maglia
un porcellino che dormiva e la scritta “I love sleeping”. Era buffa.
“Al, preparo della camomilla, la
vuoi?” gli chiese, mentre afferrava la propria tazza dallo scaffale.
“No, grazie. Finisco di leggere
queste carte e scappo da Maria”. La ragazza annuì, chiudendo lo sportello del
microonde. Un minuto sarebbe bastato per scaldare l’acqua.
“Come mai la camomilla? A te non
piace” notò lui, sistemandosi gli occhiali sul naso. Erano amici da così tanto,
che conosceva perfettamente i suoi gusti.
“Mah… mi duole lo stomaco. Mia
nonna dice che bere quella roba rilassa” rispose, svogliatamente.
Albert abbandonò la lettura.
“Sei nervosa per via di Daniel?”
le chiese, diretto. Andrea sbuffò.
Ding.
Aprì il microonde e prese la
tazza. Mise a mollo il filtro che racchiudeva i semi profumati, poi si voltò
verso l’angolo in cui stava il tavolino tondo. Guardò l’amico, scocciata.
“Ammetterai che è stressante. Mai
una parola carina. Sempre con quel sorrisino strafottente. Mi prende in giro
continuamente, senza che io faccia nulla” spiegò lei. Ora si sarebbe ripetuto lo
stesso discorso di ogni volta, pensò lei.
Mi dirà che devo essere superiore
e che devo smettere di rispondergli, così lui sarà insoddisfatto e poi starà
zitto, meditò.
“Francamente, Andy, dovresti
essere superiore a queste cose. Fai l’indifferente alle sue provocazioni. Vedrai
che la smetterà” disse Albert, non capendo per quale motivo ora l’amica avesse
assunto la tipica espressione da “lo sapevo”.
**
Mercoledì. Ore 12.30 circa.
Andrea ripose in borsa il
quaderno in cui aveva preso appunti quella mattina. La lezione era finita e
tutti si stavano alzando per uscire dall’aula.
Si guardò in giro. Sembrava
cercare qualcuno. Ed effettivamente lo stava facendo. Cercava il suo ragazzo.
Sì, perché lei lo considerava tale, anche se lui non l’aveva mai chiamata “la
mia ragazza”. Dopotutto si frequentavano ormai da un mese. Quindi era naturale
pensare che stessero insieme. O no?
Si domandò mentalmente perché
alla sua età doveva ancora avere le stesse paranoie di quando era
un’adolescente.
Assorta in quelle riflessioni non
si accorse di un biondino, da poco entrato nell’aula, che le si avvicinava.
Si rese conto che l’oggetto dei
suoi pensieri era lì, solo quando questo si chinò per darle un bacio. Al solito
lei si prese paura e schizzò in piedi.
“Harry, non lo fare più!” gli
disse, con sguardo imbronciato. Davanti a lei stava un bel tipo, di media
statura e con le spalle larghe. Gli occhi azzurri che la fissavano
divertiti.
“Va bene, Andy, non ti bacerò mai
più” disse, cercando di fare lo spiritoso.
“Hai capito a che mi riferivo”
rispose lei, allacciando le braccia intorno al collo del ragazzo.
“Mi sei mancata ieri notte,
piccola…” le sussurrò all’orecchio, facendole scorrere un brivido lungo la
schiena. La sua voce era calda e sexy, leggermente roca. La faceva
impazzire.
“Dov’eri?” gli chiese.
“In sala lettura a studiare un
po’… mangiamo insieme?”.
Andrea stava per rispondergli con
un “ma certo!”, quando si ricordò che era mercoledì. Ovvero l’unico giorno della
settimana in cui Albert tornava per pranzo. E anche lei, di conseguenza. Perché
di conseguenza? Se fosse rincasata a quell’ora il lunedì, per esempio, avrebbe
dovuto mangiare da sola con Daniel. E lui di solito aveva l’incredibile potere
di farle passare l’appetito. Mentre se c’era anche Albert, perlomeno poteva
stare tranquilla e pranzare in santa pace.
Probabilmente stavano già
cucinando e non poteva dir loro all’ultimo minuto che non sarebbe tornata.
Daniel ne avrebbe approfittato per dirle qualcosa di cattivo.
“Mi spiace, ma mi aspettano a
casa. Stiamo insieme stasera ok?” propose infine, scostandosi da Harry e
prendendo la borsa, dalla sedia lì vicino.
“Va bene, però ci sarà il mio
compagno di stanza” precisò lui. Harry abitava in uno studentato e divideva la
camera con una matricola più giovane.
Andrea gli sorrise,
maliziosa.
“Mai provato il sesso a tre?”
disse, pungente. Sapeva che quel genere di battute piacevano al ragazzo. Ed
infatti lui ricambiò il sorriso.
“Piccola, almeno facciamolo con
un'altra donna!” sbottò, regalandole quello sguardo sensuale che solo lui
aveva.
“Scemo!” disse Andrea, prima di
scoccargli un bacio ed uscire dall’aula.
**
Quando aprì la porta di casa, la
accolse un buon profumino di sugo.
“Sono tornata!” disse ad alta
voce. Poggiò le sue chiavi sulla mensola stante nei tre metri quadri che
fungevano da ingresso. Notò che ve n’ erano sopra altri due mazzi. Segno che era
l’ultima a rincasare.
“Bentornata!” disse Albert,
quando Andrea entrò in cucina.
“Che bello! Adoro quando prepari
tu da mangiare!” esultò, vedendo il ragazzo vicino ai fornelli. Osservarlo
cucinare era un piacere per qualsiasi donna. Era fisicamente di bell’aspetto,
con quei capelli neri e gli occhi verdi. Alto e asciutto. Vestito con i soliti
pantaloni ben stirati (da lui stesso), camicia e golfino con scollo a V. Roba da
far sospirare qualsiasi madre, a cui la figlia l’avrebbe presentato.
Cucinava sicuro e preciso. Andava
ad occhio per le dosi e tutto quello che faceva, fossero anche stati dei
semplici spaghetti col sugo di pomodoro, come in quel caso, risultava
buonissimo.
Con quel grembiulino, inoltre,
era ancor più uno spettacolo.
Andrea si era seduta al tavolino
e lo fissava, facendo questi pensieri, quando arrivò anche il biondo. E lei fece
un’espressione disgustata.
“Piccola Andy!” la salutò,
arruffandole i ciuffi della frangia. Cosa che lei odiava!
“Non chiamarmi piccola e nemmeno
Andy! Quello è un diminutivo che possono usare solo i miei amici!” disse,
sistemandosi i capelli.
Daniel fece un finto sguardo
offeso. Un palese finto sguardo offeso.
“Oh baby, ma tu mi spezzi il
cuore!”. E scoppiò a ridere per il tono con cui Al l’aveva guardato
accigliato.
Andrea all’inizio stava per
ribattere, ma poi si rilassò nel sentire la sua risata allegra. E si ritrovò
anche ad arrossire. Per fortuna che Daniel si era girato di spalle per
assaggiare il sughetto nel pentolino.
La ragazza ne approfittò per
sgattaiolare in camera sua.
Uffa, ma perché aveva queste
reazioni a volte? Le capitava ormai da parecchi mesi. Rossori. Battiti
accelerati. La bocca dello stomaco che si chiudeva, come stretta in una
morsa…
Conviveva con lui da anni, lo
conosceva dalle elementari e lo frequentava dal liceo, dato che appartenevano
entrambi allo stesso gruppo di amici. Perché, acciderbolina, solo negli ultimi
tempi provava questi strani effetti? In altri casi avrebbe detto di essersi
presa una cotta per lui, ma in quel caso, ciò non era assolutamente
possibile. Primo perché litigavano dalla mattina alla sera. Secondo perché lei
aveva Harry. E Daniel aveva Christina, Samantha, Charly, Veronica… e chi più ne
ha, più ne metta! Quello sconsiderato usciva con metà popolazione femminile
della città!
“Andy, è pronto in tavola” la
avvisò Al da dietro la porta di camera sua.
“Arrivo!”.
Consumarono in pace il pranzo del
Conte, guardando il telegiornale dalla piccola tv sedici pollici, acquistata in
comune e piazzata in cucina sopra un mobiletto di fortuna. Grazie al cielo
quella stanza era sufficientemente grande per mangiare comodi. Di certo i
genitori di Albert, quando gli aveva regalo quel grazioso appartamentino non
avevano pensato che lui potesse dividerlo con altre due persone. Ma all’epoca,
secondo Al, quella camera da letto era sin troppo grande per lui solo e non
usava mai la stanza adiacente, che era adibita a studio.
Così, quando aveva saputo che
Andrea e Daniel cercavano alloggio nella sua stessa città universitaria, non ci
aveva messo molto a trasformare la sua singola in una doppia e lo studio in
un’altra camera da letto.
“Ragazzi, domani sera avete
impegni?” chiese Albert d’un tratto. Entrambi lo guardarono incuriositi.
“Vedete, con Maria mi è capitato
di dirle che non vivevo da solo e…” cominciò lui.
“State insieme da tre mesi e non
le avevi ancora parlato di noi?” lo interruppe Daniel.
“Le ho parlato di voi, ma non del
fatto che abitiamo insieme” rispose prontamente il moro.
“Lascialo finire!” intervenne la
ragazza. In tutta risposta le fu lanciata una mollica di pane.
“Insomma, vi devo dire una cosa!
State buoni!” sbottò Al. “Maria vi vuole conoscere” disse tutto d’un fiato.
Preciso e diretto, proprio com’era da lui.
“Che onore” commentò Daniel.
“Non ne capisco il motivo,
sinceramente, ma non gliel’ ho chiesto” ammise Al, pensieroso.
“Cioè?”.
“Vedi, Andy, il fatto è che non
era la prima volta che vi menzionavo, ma lei non aveva mai mostrato il desiderio
di conoscere i miei amici. Quindi la cosa mi pare strana…”. Il biondo batté una
mano sul tavolo.
“Ma è chiaro!” affermò.
“Carissimo Al, meno male che hai davanti a te uno specialista della psiche
femminile” disse, gongolandosi di ciò.
Andrea alzò un sopracciglio,
alquanto scettica.
“Spiegati meglio, Daniel”.
“Amico, Maria non vuole
conoscerci entrambi. È una scusa per soppesare lei!”. E con questo prese il
mento di Andrea tra il pollice e l’indice della sua mano, come per
mostrarla.
La ragazza scostò prontamente il
viso. Altrimenti sarebbe arrossita.
“Capendo che vivi con un’altra
donna, vuole accertarsi che questa qui non sia un pericolo per lei” disse il
biondo, compiaciuto della sua intelligenza. E in effetti egli era davvero
intelligente. La sua era una mente scientifica e razionale. Doveva avere un Q.I.
molto elevato, dicevano sempre i professori del liceo.
“Ma è assurdo, noi siamo solo
buoni amici!” sbottò Andrea. Quella Maria aveva appena perso mille punti con
lei.
Albert dal canto suo aveva
finalmente capito perché tutta quell’insistenza da parte della sua ragazza per
invitare a cena fuori anche i suoi più cari amici.
“È assurdo pensare che tu sia una
minaccia reale” commentò Daniel ironico.
“Fanculo!”.
“Andy! Non sta bene per una
ragazza essere così sboccata. Daniel, finiscila una buona volta di tormentarla”.
Al faceva sempre da paciere. “Allora, ragazzi, posso contare su di voi per
domani sera?” chiese nuovamente loro.
“Io vengo. Porto anche Colette”.
Albert lo guardò interrogativo. “La sto aiutando a preparare la tesi di laurea,
eh!” disse, come se quella frase volesse spiegare molto di più.
“Sì, e intanto te la porti a
letto e la illudi, come con tutte” commentò Andrea, acida.
Daniel sorrise sornione. “Tutte
meno una”.
Prima che la ragazza potesse
ribattere, Albert la bloccò.
“Anche tu ci sarai, vero
Andy?”.
“Sì. Porto Harry, così la tua ragazza si tranquillizzerà, vedendomi già impegnata”. Ottimo, pensò Al. Sarebbe stata una bella serata tra amici e Maria non sarebbe più stata gelosa di Andrea. Due piccioni con una fava, avrebbe detto
qualcuno.