Storia scritta per il concorso “fandom
libero” di Writer’s Arena.
Niente di particolare, solo un breve episodio nato da un’associazione mentale
forse un po’ strampalata… lasciatemi le vostre
opinioni, buone e cattive!
Pinocchio
di Gan_HOPE326
-
Ciao.
-
Ciao.
-
Posso
sedermi? Mi fai un po’ di posto perché…
-
Oh,
sì, scusa, signore. Ecco, siediti pure.
-
Non
c’è bisogno che mi chiami “signore”. Guarda che non sono molto più vecchio di
te!
-
Davvero?
-
Davvero.
-
Che forza! Sei un bel po’ grande. Chissà se crescerò anch’io così tanto.
-
Forse.
Come mai sei venuto qui in biblioteca?
-
Per
leggere.
-
Ah…
no, volevo dire, non so. E’ strano vedere dei bambini in biblioteca, no?
-
Tu
sei qui. Hai detto che hai quasi la mia età.
-
Vero.
Ma io sono venuto per studiare. E
tu?
-
Io
leggo. Così.
-
Ti
piace leggere?
-
Mi
piacciono i libri. Sono belli. Mi piace sfogliarli, guardare le figure, quando
ci sono, e anche leggerli. Mi piace anche l’odore che fanno.
-
Sì,
hai ragione. Ricordo che i libri della biblioteca di papà avevano un buon
profumo.
-
Anche
questi ce l’hanno. Non senti?
-
No,
è che… lasciamo stare. Comunque, cosa stai leggendo?
-
E’
una favola. Il mio libro preferito.
-
Di
che parla?
-
Hmm… è una storia lunga da raccontare. Parla delle avventure di un burattino di legno. Non è un burattino qualunque, lui è
vivo. Ha… come posso dire?... un’anima, ecco. Si dice
così, no?
-
Sì.
Ha un’anima. Capisco.
-
Ecco,
questo burattino, che si chiama Pinocchio, viaggia e viaggia.
Incontra un sacco di gente, buona e no.
-
Raccontami.
-
Guarda, ti faccio vedere. Su questo libro ci sono bellissimi disegni. Allora,
ecco qui Pinocchio. Qui è appena nato, il suo papà ha finito di costruirlo.
Poi, vedi?, incontra questi due furfanti, il Gatto e
la Volpe, che lo imbrogliano e gli rubano un sacco di soldi. Questo si chiama Mangiafuoco, è il proprietario del teatro dei
burattini. Qui è con la Fata Turchina,
qui l’hanno impiccato ad un grande albero – ma non ti
preoccupare, lui poi si salva, perché è fatto di legno e mica può morire così –
e poi, ecco, viene addirittura divorato da un mostro, e dentro la sua pancia
rincontra suo papà, e dopo…
-
Avevi ragione, è una storia lunga.
-
Infatti. Mi sa che così non ci si capisce molto, eh?
-
Temo
di sì.
-
Ah,
guarda! Questo devo proprio fartelo vedere. E’ il
finale. A me piace tantissimo. Sai perché Pinocchio continua a viaggiare?
-
Me
lo stavo giusto chiedendo.
-
E’
perché lui vuole diventare un bambino buono. La Fata gli ha promesso che se smetterà di essere monello e diventerà bravo, lei lo trasformerà in
un bambino in carne ed ossa. E’ il suo sogno.
-
Il
suo sogno.
-
Sì.
Ecco, questo è l’ultimo disegno. Pinocchio si sveglia, una mattina, e si sente
diverso. Io me lo immagino, deve essere stato
stranissimo per lui. Si sveglia, e all’improvviso sente l’aria fresca sulla
pelle. O magari le lenzuola che si stropicciano quando
lui si gira nel letto. O forse una mosca che gli ronza
intorno e gli si posa sul naso. Magari la prima cosa che ha sentito è
stato il solletico! E allora si alza, si guarda le
mani, e sono vere, di carne ed ossa. La pelle è morbida, non
è più quella dura di legno. E poi, la cosa più
bella. Corre felice da suo papà, a dargli la buona
notizia, lui gli fa vedere una sedia, e sulla sedia c’è il suo vecchio corpo,
il burattino, abbandonato là e ormai senza vita. Pinocchio lo guarda un
momento, sorpreso, perché per lui è come guardarsi allo specchio; poi scoppia a
ridere, felice, ed esclama...
-
Com’ero buffo quand’ero un burattino.
Il bambino alzò gli occhi dal libro
e vide il suo nuovo amico curvo accanto a lui, che fissava rapito la pagina del
libro, e soprattutto quell’ultima riga che aveva appena letto, senza quasi più
ascoltarlo.
Che strano tipo, pensò il bambino.
Chissà perché girava con addosso un’armatura così
grossa. Forse era un soldato, o magari era solo un po’ matto. Però sembrava simpatico. Il bambino non aveva mai incontrato
un grande che si interessasse così tanto ai libri che
gli piacevano.
Dall’armatura uscì di nuovo la voce dell’uomo, o del ragazzo. Era davvero
difficile giudicare. Poteva sembrare persino quella di un altro bambino, ma era
profonda e distorta. Pareva un’eco risalita in superficie da un pozzo o da una
grotta:
-
E’
una bella storia. – disse.
-
Già.
L’armatura sollevò le grandi mani e
le portò davanti agli occhi. Gli occhi! Misteriosi e incomprensibili anche
quelli. Nei fori dell’armatura non si vedevano né le iridi né il bianco degli
occhi, che dovevano essere celati dal buio che c’era lì dentro. Però qualcosa si vedeva. Due luci, una per occhio. Il
bambino non avrebbe saputo descriverle bene – gli ricordavano qualcosa di insolito. Due stelle: ma due
stelle, come dire, due stelle tristi. Due stelle che hanno
una gran voglia di piangere. Ecco, due stelle che si
riflettono in un lago increspato da piccole onde, in una notte di luna piena.
Strano, strano tipo.
Ora aveva abbassato le mani,
l’armatura, e guardava avanti. Ma non c’era nulla di
particolare da vedere, parve al bambino, solo una sedia.
Vuota.
Ancora, vuota.
Ma sembrava che l’armatura ci vedesse
davvero qualcosa, su quella sedia.
Strano tipo, appunto.
-
Dài. – disse l’armatura all’improvviso – Raccontamela
meglio, questa storia…
FINE