Prima di iniziare solo un avviso: c’è uno spoiler sulla fine de “Lo
Hobbit”, quindi se non avete letto il libro e non volete sapere nulla… a voi la
scelta! J
LIKE A FALLING STAR *
“In te c’è più di quanto tu non sappia, figlio dell’Occidente
cortese. Coraggio e saggezza, in giusta misura mischiati. Se un maggior numero
di noi stimasse cibo, allegria e canzoni al di sopra dei tesori d’oro, questo
sarebbe un mondo più lieto. Ma triste o lieto, ora debbo lasciarlo. Addio! ”
Bilbo spalancò gli occhi,
respirando affannosamente. Una goccia di sudore gli scivolò lungo la tempia.
Scostò con un gesto di stizza il leggero lenzuolo, trovandolo pesante come un
macigno, e ruotò gli occhi osservando il buio che lo circondava. Sospirò, passandosi
una mano sul volto.
Era tornato dal suo
viaggio ormai da alcune settimane e la casa era ancora per metà sottosopra,
dopo che avevano cercato di venderla all’asta, ma riconobbe, indistinti
nell’oscurità della notte, i contorni in legno del suo letto a baldacchino.
Sì, era a casa.
Stancamente si alzò dal
letto, cercando a tastoni la candela sul comodino. Un brivido gli percorse la
schiena, ma non seppe dire se si trattasse del contatto con il pavimento freddo
o di quella strana sensazione che lo stava assalendo.
Luce, gli serviva luce.
Finalmente trovò
l’acciarino e accese la candela, e non appena la tenue luce sfiorò
delicatamente i contorni dei vari oggetti presenti in camera sua, Bilbo sospirò
di sollievo.
A volte, anche le cose che
ci sono più familiari, senza la luce giusta, possono apparire spaventose.
L’ hobbit passò in
rassegna ogni oggetto, ogni angolo, ogni centimetro della sua camera, ancora
scosso per via del sogno che lo aveva svegliato all’improvviso e non era la
prima volta che gli capitava, da quando era tornato.
Ormai conscio del fatto
che si trattasse sempre del solito incubo, Bilbo si fregò gli occhi col dorso
della mano: non voleva, non poteva cedere ancora, ma i suoi tentativi di
trattenersi non furono sufficienti, e presto avvertì una calda lacrima sfuggire
dall’angolo dell’occhio destro e scendere lungo la guancia.
« Oh, maledizione! »
sbottò con rabbia mista a frustrazione, prima che un singhiozzo gli mozzasse il
respiro e nella sua mentre riprendessero a danzare quelle figure spaventose che
lo tormentavano durante la notte.
Era sereno, Bilbo, da
quando era tornato. Poteva vantare di aver vissuto delle avventure niente male
per uno hobbit e, anche se non avrebbe mai pensato di poterlo affermare, era
orgoglioso di questo.
Lui era colui che
cammina senza essere visto, colui che scioglie gli indovinelli, che strappa le
ragnatele, la mosca che punge… Lui era colui che seppellisce vivi i suoi amici
e li affoga e li ritira vivi fuori dall’acqua, l’amico degli orsi, l’ospite
delle aquile, il Vincitore dell’Anello, il Fortunato, il Cavaliere del Barile, ma tutto ciò non gli impediva, quando scendeva la
notte e il sonno faceva calare le sue barriere, che i dolorosi fantasmi di ciò
che era stato bussassero alle porte dei suoi sogni.
E così rivedeva i suoi
amici, i Nani, e Gandalf.
All’inizio andava tutto
bene, procedevano per la strada sul dorso dei loro pony ridendo, cantando, un
po’ come all’inizio della loro avventura, ma poi tutto si faceva buio e sentiva
un ruggito e un vento incandescente che gli bruciava il viso, la pelle, gli
faceva mancare il respiro. Fino a quando si trovava faccia a faccia con Smaug,
che spalancava le fauci pronto ad inghiottirlo e lui urlava, chiamava aiuto, ma
nessuno rispondeva. Attorno a lui, i rumori della battaglia imperversavano e
altre grida coprivano le sue fino a quando, all’improvviso, non si trovava
nella tenda dove lo aveva condotto Gandalf al termine della battaglia. Qui
c’erano due corpi, celati alla vista da un bianco lenzuolo macchiato di sangue,
accanto ad essi due spade e un arco. Poi qualcuno chiamava il suo nome e
Thorin, morente, gli rivolgeva quelle parole con cui si era congedato da lui.
Bilbo voleva parlare, voleva dirgli qualcosa, voleva uccidere Smaug e correre
in aiuto di Thorin, Fili e Kili, ma ogni volta non ci riusciva, il sogno
finiva, e a lui non rimaneva altro che cercare in fretta una candela per
illuminare quell’oscurità colma di fantasmi che pareva la stanza al suo
risveglio.
E così fece anche quella notte.
Dopo essersi asciugato le lacrime, prese la candela e si avvicinò alla finestra
della sua camera, quindi spalancò i piccoli vetri rotondi e aprì le imposte,
lasciando che l’aria fresca della notte entrasse in casa. Chiuse gli occhi e
respirò profondamente, godendo di quel fresco che penetrava nei polmoni,
facendogli provare un senso di leggerezza.
« Stupido di un Baggins, »
si disse « ma quando imparerai? Loro sono morti, e tu non puoi più fare niente.
»
La notte era limpida e
fresca, come solo le notti di fine estate sanno essere, e in cielo un milione
di stelle occhieggiava nel silenzio. Bilbo si ritrovò a sospirare per
l’ennesima volta, rapito da quello spettacolo unico.
Aveva passato notti intere
all’aperto, ma era inutile: solo le stelle della Contea avevano quel qualcosa
di magico, che nessun’altra stella in tutta la Terra di Mezzo poteva avere.
Quelle erano le sue stelle, le stelle di casa sua.
Eppure, in certi momenti
la sua mente non poteva fare altro che
correre via, lontano, a Est, verso Bosco Atro, le Montagne Nebbiose, la
Montagna Solitaria. Ed ogni volta,
doveva fare un enorme sforzo per riuscire a tornare in sé perché, alla
fine, non era solo la sua mente che scappava lontano: il cuore stesso si faceva
trascinare via.
« Sei uno sciocco, Bilbo
Baggins! » si diceva allora « Guarda un po’ cos’ hai qui: la tua casa, i tuoi
libri, il tuo giardino. Cosa puoi volere di più? » ed era vero. Era contento di
essere a casa, e non sarebbe ripartito per niente al mondo… non nell’immediato,
almeno.
Ci aveva impiegato un po’
a comprendere quale fosse la causa di tutte quelle sue sofferenze, e si era
accorto che non era tanto la voglia di avventura quanto la consapevolezza che
dopo tutto quel viaggio, quelle difficoltà e quei pericoli, Thorin avesse pagato
a caro prezzo la temerarietà della sua impresa, e i giovani Fili e Kili con
lui.
Non che Bilbo ce l’avesse
con Dáin, anzi, egli aveva spartito il tesoro come si conveniva, ed ora regnava
sotto la Montagna, ma in fondo cosa aveva fatto lui a parte raggiungere i
tredici nani nella battaglia finale?
Mentre Thorin, beh, lui
era partito lasciando la sua casa nei Monti Azzurri, radunando i pochi nani di
cui poteva fidarsi. Thorin aveva sfidato la sorte (una sorte sputafuoco e con i
denti particolarmente aguzzi, tanto che Bilbo ancora rabbrividiva al solo
pensiero), ma soprattutto, Thorin alla fine era arrivato a fidarsi di lui, di
quello Scassinatore su cui nessuno avrebbe mai scommesso un soldo, e nonostante
ciò che Bilbo aveva fatto con quell’Archengemma (sempre e comunque per una
buona causa, sia chiaro) Thorin gli aveva chiesto perdono.
Si erano lasciati in
amicizia, ma Bilbo non poteva fare a meno di pensare che, nonostante tutto,
avrebbe voluto vedere lui, come Re sotto la Montagna, e Fili alla sua destra e
Kili alla sua sinistra.
Fatto sta, che quegli
incubi lo tormentavano, non lasciandolo dormire, e a lui non restava altro da
fare che trovare un modo per calmarsi, finché non gli tornava il sonno.
Così, quella notte Bilbo
incrociò le braccia, appoggiandole al davanzale, e fissando il cielo stellato.
« A volte ci affanniamo
tanto, » pensò « per poi dover lasciare ad altri il frutto delle nostre
fatiche. »
Il suo pensiero corse
ancora ai suoi amici, e soprattutto a Thorin, Fili e Kili.
Fu in quel momento, quando
gli occhi stavano ormai minacciando di chiudersi, che percepì un leggero calore
sulla spalla destra, come se si trattasse del lieve tocco di una mano. Si voltò
di scatto, ma non vide nessuno. Eppure non ebbe paura, era come se sapesse…
Tornò ad osservare le
stelle, leggermente scosso, e in quel momento una stella cadente attraversò la
sua visuale: era la stella cadente più luminosa che il piccolo hobbit avesse
mai visto, ed era caduta verso Est.
Bilbo capì, e una nuova
lacrima gli corse lungo la guancia, per essere poi portata via dal vento
leggero.
Da quella notte, gli
incubi non si ripresentarono e Bilbo non pianse più.
Ora lo sapeva, ne era
certo. Loro non se ne erano mai veramente andati.
Ok…
aspettate che mi riprendo…
Non
penso ci sia molto da dire. Quello che volevo dire l’ho scritto nella fan
fiction.
È
stato abbastanza difficile scriverla, perché sono partita con un’idea in testa
un po’ diversa. Poi è andata a finire così. Volevo aggiungere un altro pezzo
alla fine, ma poi ho pensato che avrei allungato troppo la storia, che forse
era più significativo concluderla in questo modo.
Magari
quell’altra parte che avevo in mente la userò per un’altra fan fiction.
Spero
solo che questa vi sia piaciuta! J
Tre
piccoli appunti per concludere: le due parti in corsivo sono prese dal libro
dello Hobbit. Quella all’inizio è la famosa frase di Thorin… mentre l’altra è
ciò che dice Bilbo a Smaug. Bilbo è fantastico… lo adoro! XD
Secondo, personalmente considero il rapporto tra Bilbo e
Thorin come una profonda amicizia, ma niente di più. Quindi non volevo
rappresentare altro con questa storia.
Infine,
la fan fiction è stata in parte ispirata da una fan art, che se riesco
inserisco qui sotto, ma siccome sono una capra in certe cose (con tutto il
dovuto rispetto per le capre)… XD vi dico che è una fan art in cui c’è Bilbo
anziano, Fili, Kili e Thorin sono dietro di lui e quest’ultimo gli appoggia una
mano sulla schiena.
Ok,
detto questo torno a singhiozzare disperatamente in un angolino, e forse sarà
anche meglio che riprenda a studiare per gli esami! :/
A
presto! J
Eowyn
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Questa
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