GOCCE DI MEMORIA
A
volte ci voltiamo indietro cercando il nostro passato, cercando quelle orme
testimoni dei nostri passi e che qualcuno ci ha sottratto percorrendo il nostro
cammino.
Le testimonianze
di una vita sembrano tanto lontane quanto irraggiungibili, distanti da un
futuro che vorrebbe volare ad ali spiegate ma che inconsapevolmente è legato a
quelle ombre buie che ancora tormentano il cuore.
Trish
è alla continua ricerca del suo essere.
Tanto
bella quanto altera, si imbatterà nel cuore solitario di un giocatore a cui il
passato ha tolto la gioia più grande: amare.
Riuscirà
il tormento di Holly a sciogliere il cuore di ghiaccio di Trish?
Riuscirà
Trish a riacquistare la sua identità nel nome di un grande amore che attende
solo di albeggiare su un mare di sentimenti?
Scandros
CAPITOLO 1
Ricordi di un passato
Barcellona.
Era seduta all’ombra di un grande albero vicino un edificio
circondato da strutture utilizzate per le attività sportive. Sembrava un
complesso scolastico e forse lo era. All’improvviso, sentì i rintocchi dell’orologio
e si alzò velocemente. Doveva correre. Era in ritardo per quell’appuntamento.
Le nubi basse e nere rendevano tetro il paesaggio. Il cielo plumbeo sembrava un
peso insormontabile sulle sue giovani spalle. Correva sempre di più lungo
quella strada: sembrava infinita. Sentiva i tuoni echeggiare nell’aria e una
voce che la chiamava. Continuava a correre insistentemente lungo quella strada
mentre la pioggia copiosa cadeva giù dal cielo. Tutto accadde all’improvviso.
Un fulmine si schiantò sull’asfalto illuminando a giorno la strada. L’odore
acre dello zolfo persisteva nell’aria. Il suo corpo era riverso sull’asfalto
umido ed elettrizzato dalla carica del fulmine. Sotto di lei, una macchia di
sangue continuava ad ingrandirsi al ritmo dei secondi che inesorabili
trascorrevano.
- Dottoressa Hamilton! Dottoressa! - disse l’infermiera
cercando di attirare l’attenzione della donna presa completamente dai suoi
pensieri.
- Ehm…sì, scusami Carmen, ero assorta nei miei
pensieri. - rispose cercando di giustificare la sua momentanea
estraniazione.
- Beh, l’avevo notato. Tutto bene? - chiese Carmen
interessata all’atteggiamento del medico.
- Ma certo, non preoccuparti. - rispose accennando un
timido sorriso.
- Bene. Sta arrivando un’ambulanza. Giovane di circa
ventisei anni vittima di un incidente con la motocicletta. Pare sia stato
scaraventato sul marciapiede da un’auto in folle corsa. - informò Carmen
porgendo alla dottoressa Hamilton il camice sterile e i guanti.
Entrambe corsero verso l’entrata riservata all’ambulanza
nell’attesa che arrivasse il ferito.
Quell’attesa era interminabile. Una fitta la colse all’improvviso.
Ancora quei suoi mal di testa. Doveva decidersi a parlarne ad uno specialista e
fare forse degli accertamenti per appurare che non si trattasse di nulla di
grava. Sentiva i battiti del cuore accelerare all’improvviso. Proprio come
quella notte…esattamente come tutte le volte che quell’incubo tornava
incontrastato a tormentarle il sonno. Forse aveva bisogno di un analista o
chissà di una vacanza rilassante.
I paramedici entrarono velocemente spingendo la barella all’interno
del pronto soccorso.
- Frattura scomposta del perone destro con probabile
distorsione del ginocchio, abrasioni e lesioni su entrambe le gambe e sul
braccio destro. Perdita di conoscenza dovuta all’impatto con l’asfalto,
escoriazioni superficiali sul volto e l’addome. Fortunatamente indossava
il casco integrale. -
- Sappiamo come si chiama? Avete già contattato i
parenti? -
- Ha 27 anni e si chiama Oliver Hutton…porca miseria ma
lui è il centravanti del Barcellona. Dottoressa non vorrei dirle come fare
il suo mestiere ma penso che sia meglio contattare prima la squadra. -
- Di cosa parli Quan? - chiese la dottoressa Hamilton
rilevando i battiti cardiaci.
- E’ un calciatore, dottoressa, uno dei più famosi. Fu
una rivelazione già ai campionati mondiali under 18…
- Ok, ok, non m’interessa la sua carriera agonistica.
Era cosciente quando siete arrivati? Ha detto qualcosa prima dello
svenimento? - chiese informandosi su eventuali dettagli che sarebbero
occorsi per ricostruire la dinamica dell’incidente.
- Beh sì, qualcosa l’ ha detto…un nome: Patty.
Continuava a ripeterlo insistentemente fino a quando non ha perso
conoscenza. -. Ebbe un fremito, un brivido che le percorse la schiena. La
stanza era riscaldata. Non vi erano correnti d’aria eppure ebbe la
sensazione di freddo.
- E l’auto che l’ha travolto? - domandò cercando di
scacciare quella strana angoscia che continuava a seguirla come un’ombra.
- Pare essere sbucata dal nulla ad alta velocità e poi
si è dileguata. Almeno, così sostengono dei testimoni. -
- Okay, portiamolo in sala 4. - disse poi a Carmen e al
dottor Arnau giunto in loro aiuto.
- Dottoressa tenga…in questa busta ci sono i suoi
effetti personali! - le disse Quan prima di congedarsi.
Quan guardò la dottoressa e sorrise. Oramai la conosceva da
qualche anno, da quando aveva cominciato a fare il tirocinio presso di loro. Era
uno degli interni migliori e da voci di corridoio aveva saputo che stava facendo
domanda per l’assistentato in chirurgia plastica d’urgenza. Non si tirava
mai indietro se c’erano doppi turni oppure turni di notte. Era sempre seria e
competente sul lavoro ed estremamente affascinante nonostante non facesse nulla
per far risultare la sua bellezza..
Si girò e andò via verso l’ambulanza richiamato dal suo
collega.
Intanto, in sala emergenza 4 la dottoressa Hamilton e il
dottor Arnau cercavano di rimettere in sesto il calciatore prima di mandarlo in
chirurgia per un eventuale operazione.
- Carmen, per favore controlla tra gli effetti personali
se c’è un numero di telefono da contattare in caso d’emergenza. Poi
vieni qua e fai il prelievo per l’emocromo e gli esami di routine. Luis
come va? - chiese al collega mentre suturava le abrasioni che il calciatore
si era procurato nella caduta.
- Qui tutto okay. Tra un po’ ho finito. Ma ci pensi,
stiamo curando un gran calciatore! -
- Complimenti. Sembrate tutti affascinati dal personaggio
e non dal paziente. Per favore richiedi l’RX toracico e alle gambe. -
disse poi con tono quasi di rimprovero nei confronti del collega.
- Avanti Trish non capita tutti i giorni di avere un vip
tra le mani, no? -
- Dottoressa nella busta, oltre agli indumenti c’è un
cellulare che segnala otto chiamate non risposte e un portafogli. - disse
Carmen esaminando gli oggetti, - Ah, c’è anche un braccialetto con un
ciondolo, forse un portafortuna. Glielo avrà regalato un’ammiratrice! -
- Non cancellare le chiamate senza risposta. Potrebbero
essere importanti per risalire all’orario in cui è successo l’incidente.
Quel pirata è fuggito. Prova a dare un’occhiata nel portafogli per
cortesia. - le chiese mentre gli fasciava il capo.
Lo guardò in volto cercando di cogliere i segni del suo
risveglio. Da quando era arrivato non aveva ancora ripreso conoscenza. Trish
guardò l’elettrocardiogramma. I battiti diminuivano sensibilmente
probabilmente per effetto del trauma causato dalla caduta. Si portò una mano
alla fronte. Ancora quella fitta accompagnata dai battiti accelerati del suo
cuore.
- Porca miseria non ora! - pensò tra se cercando
di mascherare quel suo mancamento. Il paziente sussultò. - Maledizione,
Luis prendi il defibrillatore….i battiti sono sempre meno intensi. -
gridò cercando di destare il collega da uno strano torpore.
Luis afferrò il macchinario e lo caricò per indurre la
scossa elettrica sul petto del ragazzo.
- Dai che ti riprendi…forza! - incitò Luis mentre gli
dava la quarta scarica.
- Okay, ritmo sinusale normale, battito in aumento. Ti
abbiamo ripreso. -
- Trish penso che si stia riprendendo! - affermò il
medico guardando le dita del giovane muoversi e le labbra schiudersi.
- Signor Hutton ci sente? - chiese Trish cercando di
capire se comprendesse o no dove si trovava.
- Sta cercando di dire qualcosa! - esclamò Trish
Hamilton non riuscendo a comprendere cosa il ragazzo avesse sussurrato.
- Patty…- sibilò nell’orecchio della dottoressa che
si era chinata su di lui per ascoltarlo. Rimase atterrita. Continuava a
guardarlo cercando di capire. Il cuore le batteva sempre più velocemente.
- Signor Hutton mi sente? Sono la dottoressa Hamilton. Sa
dove si trova? -
Il giovane aprì gli occhi e fu investito dalla forte luce
della lampada che sovrastava il lettino sul quale giaceva dolorante.
- Cosa….é successo? - chiese a bassa voce cercando di
muoversi.
- Non si muova. Ha avuto un incidente con la sua
motocicletta. - asserì Luis. Carmen si avvicinò alla dottoressa con il
portafoglio del calciatore.
- Guardi dottoressa, a parte un po’ di soldi e le carte
di credito, c’è un cartoncino con dei numeri di telefono. -
- Bene, prova a chiamare questo dove c’è scritto
Julian Ross. E’ il primo sulla lista. Chiedi se conosce Oliver Hutton e in
caso affermativo di contattare i parenti e la squadra di calcio. -
- Guardi, c’è anche questa fotografia. - le disse
avvicinandosi con la piccolo foto tra le mani. Ritraeva un Oliver Hutton
adolescente, probabilmente di circa sedici anni ed una sua coetanea. Si
guardavano e sorridevano. Dietro di loro un grande ciliegio in fiore. Carmen
guardò la dottoressa.
- Lo sa dottoressa, secondo me questa ragazzina le
somiglia. -
- Ma certo, e cosa ci farei io con Oliver Hutton? - le
chiese quasi in maniera scontrosa.
- Beh…eppure..- sostenne mostrando la fotografia al
dottor Arnau.
- Carmen ha ragione. Trish questa ragazzina ti somiglia.
Perché non ci mostri una tuo foto da adolescente? Magari scopriamo che
Oliver Hutton conosce una tua sosia! - disse quasi divertito. Trish lo
fissò. La sua adolescenza. Quale adolescenza? Ne aveva mai avuta una?
Abbassò lo sguardo e continuò quello che stava facendo.
- Carmen chiama in radiologia. Si muovono a portarci l’
RX portatile? - le intimò cercando di non perdere la calma.
- A volte siamo circondati da incompetenti. - sentenziò
Luis Arnau.
- Già. -
- A che ora stacchi? - le chiese cercando di dare un tono
alla loro conversazione.
- Alle diciotto, ma domani ho doppio turno. -
- Ti va di andare a mangiare qualcosa insieme stasera?
Magari possiamo andare a degustarci un’ottima paella sotto i portici de L’Ambos
Mundos! - le chiese guardandola.
- Ti ringrazio Luis, ma vorrei riposarmi. Ieri ho avuto
una giornata massacrante e domani me ne aspetta un’altra. - rispose
abbassando lo sguardo.
Non era la prima volta che Luis le chiedeva di uscire. Di
rado aveva accettato e non si era mai mostrata troppo contenta della sua
compagnia. Luis era un trentenne alto, sempre abbronzato con i capelli castano
chiari che gli circondavano un ovale regolare. Le infermiere impazzivano per lui
e per quegli occhi di un verde scurissimo. E doveva ammetterlo anche lei che era
davvero un uomo piacevole. Eppure, non si sentiva attratta né da lui né da
altri.
Si era trasferita a Barcellona da circa due anni. Dopo aver
conseguito la laurea in medicina negli Stati Uniti aveva cominciato il suo
internato al Saint James Hospital di Chicago. In seguito aveva vinto una borsa
di studio per l’Europa. Aveva visionato più proposte, tra cui Londra, Parigi,
Mosca, Berlino ma lei aveva preferito la Spagna perché c’era il mare.
Talvolta, soprattutto la domenica mattina, quando non era di
turno, le piaceva correre lungo il mare e i giardini che costeggiavano la
Barceloneta. Restava per ore a fissare il mare, il tramonto stemperarsi sulle
onde, disperdendosi in miriadi di colori caldi. Ne assaporava le tinte, il
profumo, la voglia di libertà che le incuteva.
Luis la guardava sempre più interessato. Non solo si era
dimostrata sempre all’altezza della situazione ma era una donna estremamente
enigmatica. E questo lo affascinava. Non si scomponeva mai, agli occhi di altri
poteva sembrare superba, ma Luis era certo che dietro quella sua sicurezza si
celava una donna passionale e bisognosa di affetto. Il suo fisico era longilineo
con le curve nei punti giusti. Aveva dei lunghi capelli neri che portava sempre
raccolti in uno chignon basso. No, non ricordava di averla mai veduta con i
capelli sciolti o senza occhiali. Sembrava quasi una maschera la sua. Si
chiedeva come mai una donna così avvenente non cambiasse il suo aspetto
quotidianamente: lei sembrava aver scelto uno stereotipo da seguire, ed era
quello che faceva.
- Dottoressa Hamilton, ho rintracciato quel tale Julian
Ross. E’ un compagno di squadra del signor Hutton. Ha detto che avverte
lui la famiglia e la squadra. -
- Benissimo. Carmen avverti in chirurgia che abbiamo
stabilizzato il paziente e che lo portiamo su per terminare gli
accertamenti. Se ho ragione, a giudicare da come si è gonfiato, potrebbe
avere del liquido al ginocchio e sarà necessaria un’artroscopia. Chiedi l’ausilio
del chirurgo ortopedico! Se è vero che si tratta di un campione di calcio,
non possiamo certo trascurare la sua carriera! - dispose Trish guardando il
paziente. Aveva gli occhi aperti ma sembrava stordito dall’incidente o
forse dall’effetto degli analgesici.
- Signor Hutton. Le sue condizioni sono stabili. Adesso
la mandiamo su in chirurgia dove le sistemeranno la gamba. Probabilmente,
dopo una piccola operazione la ingesseranno e rimarrà in trazione per un po’
di tempo. - gli disse Luis Arnau. Oliver Hutton sembrava non ascoltarlo e
non distogliere lo sguardo dalla dottoressa. Lei lo guardò e prima di
risistemare le barre di protezione del lettino, gli sorrise.
- Potrò tornare a giocare? - chiese con un filo di voce.
Continuava a fissarla e lei a guardare lui. Trish si portò una mano alla
fronte. Ancora una fitta.
- Questo glielo potranno dire dopo l’operazione! -
esclamò Luis allontanandosi per chiamare l’ascensore.
- Si….sente bene? - le chiese il calciatore notando
quell’attimo di defaillance da parte del medico.
- Cosa? Ma certo! E’ stato solo un lieve giramento di
testa. Grazie…- disse prima di entrare con la barella nell’ascensore.
Luis li salutò con una mano lasciando che le porte dell’ascensore si
chiudessero.
- Signor Hutton abbiamo avvertito un certo Julian Ross
dell’incidente. Ha detto che avrebbe avvertito lui i suoi parenti e la
squadra. -
Socchiuse le palpebre in segno di assenso.
- Vedrà che dopo l’operazione si sentirà meglio. Mi
hanno detto che è un calciatore. Dovrà stare lontano dal campo di calcio
per un po’ di settimane. Ma sono sicura che il dottor Velasquez riuscirà
a rimetterla a posto in meno che non si dica. -
- Grazie,….Patty…- sibilò richiudendo le palpebre.
Le porte si aprirono e Trish, con l’aiuto di un inserviente
spinsero la barella fino all’anticamera della sala operatoria che avevano
preparato.
- Mi allontano un attimo. Vado a ragguagliare i medici
sulle sue condizioni! - gli disse. Sebbene la guardasse, il suo sguardo
sembrava assente.
Trish entrò nella stanza di sterilizzazione e ragguagliò i
colleghi circa le condizioni del calciatore.
Dopo circa un quarto d’ora, Oliver Hutton entrò in sala
operatoria.
Oramai le diciotto erano passate da un pezzo. Trish ripose il
camice e lo stetoscopio nel suo armadietto, indossò il cappottino in renna e
afferrò la borsa. Richiuse l’armadietto e cercò le chiavi di casa nella
borsa. Le afferrò e uscì dal salottino. Si avvicinò al bancone accettazione
del pronto soccorso e al telefono compose l’interno di chirurgia.
- Sono la dottoressa Hamilton, dal Pronto soccorso.
Volevo sapere se Oliver Hutton è uscito dalla sala operatoria. - chiese all’interlocutore.
Rimase in attesa qualche minuto prima che l’uomo tornasse al telefono.
- Sì dottoressa, circa venti minuti fa. E’ ricoverato
qui in chirurgia. Le sue condizioni sono stazionarie. -
- Bene. E’ venuto qualche familiare? -
- Sì, la madre è qui insieme ad alcuni dei compagni di
squadra e all’allenatore. -
- Benissimo. Grazie per le informazioni. - concluse la
conversazione uscendo poi dal pronto soccorso.
Quel giorno si sentiva tremendamente malinconica.
Piovigginava, oramai si era in autunno inoltrato e le giornate si stavano
rinfrescando. Scese dalla metropolitana e percorse di corsa i due isolati che la
dividevano dal palazzo in cui viveva. Al terzo piano di quello stabile, aveva
preso in affitto un appartamento di due vani, abbastanza grande e sufficiente
per le sue esigenze. Inserì la chiave nella serratura e la fece girare. Appena
dentro accese la luce e appoggiò sul divano la giacca e la borsa. Accese il
computer portatile sullo scrittoio ed avviò la connessione internet per
scaricare la posta elettronica. Andò in camera da letto e si buttò a peso
morto sul letto. La stanchezza stava prendendo il sopravvento. Girò il capo
verso il comodino e guardò la sveglia. Era il dodici ottobre. Qualcuno, qualche
tempo addietro le aveva detto che il dodici ottobre era il suo compleanno. Il
notifier vocale le annunciò che c’era posta in arrivo. Si alzò e andò a
visionare i messaggi..
- Trish, ciao tesoro. Ti volevamo fare tanti auguri per
il tuo compleanno. Come stai? Perché non ti fai mai sentire? Se lavori
tanto ti affaticherai. Se sei in casa per favore, rispondi. Possibile che io
non riesca ad avere il tuo numero di cellulare per poterti raggiungere,
ovunque tu sia? Scusami, non dovrei rimproverarti, so bene che sei autonoma.
Ancora auguri, tesoro. -. Chiuse gli occhi per cercare di allontanare la
voce della madre che le sembrava di aver udito leggendo quel messaggio.
Sua madre? Chissà se lo era davvero. Da circa dieci anni non
sapeva più nulla del suo passato. Ricordava solo di essersi risvegliata in un
letto di ospedale dopo quattro mesi di coma, con una donna accanto che diceva di
essere sua madre. Le avevano detto che era stata vittima di un incidente nel
quale aveva riportato un grave trauma cranico che le aveva provocato la perdita
della memoria. Da allora la sua vita era cambiata. Ricordava che quel giorno d’autunno,
quando finalmente i medici la dimisero, non andarono a casa ma all’aeroporto.
Non capiva nulla di quello che stava succedendo. Seguiva quella coppia di adulti
che dicevano di essere i suoi genitori senza parlare, senza neppure pensare a
quello che stava succedendo. Era priva di una sua identità. In fase di
atterraggio, la hostess disse ai passeggeri che stavano per giungere a Chicago.
Ed era lì che aveva trascorso gli anni prima di trasferirsi a Barcellona.
Si alzò e camminò per la casa quasi in cerca di qualcosa.
Il suo appartamento era completamente anonimo. Non c’erano ne fotografie ne
libri, ne cd musicali ne videocassette con gli ultimi film trasmessi al cinema.
Nulla, assolutamente nulla. Sospirò. Era l’ennesima crisi d’identità che
prendeva forma.
- Perché non riesco ad accettare questa mia vita?
Perché vorrei tanto scoprire chi ero prima dell’incidente? Perché i miei
genitori dicono solo che ero un’alunna perfetta, timida, introversa, a cui
non piaceva lo sport e cose del genere? Possibile che fossi così piatta
già da allora? Possibile che in tutta la mia vita l’unica cosa di buono
che sia riuscita a fare sia stato laurearmi in medicina? - sospirò
sedendosi sul divano alla penombra della luce del lume acceso in camera da
letto. Sollevò le ginocchia e le strinse al petto quasi in segno di
protezione. Di tutto quello che era successo, la cosa che meno accettava era
proprio sua madre. Sin da dopo l’incidente era diventata la sua ombra. Le
acquistava gli abiti, i testi da leggere, la consigliava su tutto,
praticamente viveva la sua vita. Fino a quando non decise di iscriversi all’università
di Chicago e di frequentare medicina. I suoi genitori erano rimasti molto
entusiasti di quella sua scelta, meno però dei cambiamenti che la figlia
stava subendo. Diventava sempre più introversa e parlava poco. Studiare
sembrava il suo unico interesse anche se la loro preoccupazione era proprio
l’assenza di dialogo. Tutto era filato nella più ipocrita perfezione fino
a due anni prima, quando Trish aveva deciso di lasciare i suoi genitori.
- Cos’hai detto Trish? - chiese suo padre drizzandosi
dalla poltrona. Il giornale gli cadde sul pavimento. Il suo viso era
adirato.
- Quello che hai sentito. Qualche mese fa ho fatto
domanda per un concorso interno. Andrò all’estero, in Europa. -. Sua
madre era pallida come un cencio.
- Non dirai sul serio. Tu non puoi partire. Non stai
bene? - le disse afferrandole un braccio.
- Io sto benissimo. Mi sono laureata in poco tempo con il
massimo dei voti ed esercito la professione medica già da quando era
studentessa. Se ho ottenuto questi risultati è stato perché ero lucida di
mente. - rispose sciogliendosi dalla presa.
- Tu non puoi andartene dopo tutto quello che è
successo, dopo quello che noi abbiamo fatto per te! -. Le parole della madre
le risuonavano ancora in mente. Forti, brutali, sprezzanti.
Fu proprio in quel preciso istante che decise che non sarebbe
più tornata indietro. Doveva rompere la campana di vetro sotto la quale l’avevano
rinchiusa anni prima.
- Vi ringrazio per l’avermi rinchiusa in una teca di
cristallo dalla quale non potevo uscire. Non solo non ricordo nulla del mio
passato, di come è accaduto l’incidente, di quelli che forse erano i miei
amici, ma da quando siamo arrivati qui mi avete soffocato con le vostre
fobie circa la mia salute. Io sto bene. Frequentando il college ho anche
fatto attività sportiva, ovviamente a vostra insaputa perché mi avreste
ostacolato anche in questo. Cosa volete da me? Il mio bene? Allora
lasciatemi vivere. Io non ce la faccio più a stare qui con voi. Mi
dispiace, ma io…devo andar via. -
- Trish ti rendi conto di quello che stai dicendo? Se tu
non avessi avuto noi…
- Ma cosa diavolo stai dicendo. A me sembra una cosa
naturale, che un genitore si occupi del proprio figlio, senza
rinfacciarglielo. Per anni mi avete ripetuto le solite cose, che dovevo
riguardarmi, che ero cagionevole di salute, che avrei dovuto condurre uno
stile di vita tranquillo senza provare particolari emozioni! Perché?
Perché io non posso vivere come le altre ragazze della mia età? Sono in
buona salute e lo dimostrano gli accertamenti medici che mi faccio
costantemente. Siete voi che mi volete come una bella statuina. Non ho
conseguito la laurea in medicina per riporla nel cassetto. Ho diritto anch’io
alla mia vita. Ho già perso il passato, lasciatemi costruire il mio futuro.
-
- Tu non puoi farci questo! - sentenziò Jim.
- E da quando ti preoccupi dei miei sentimenti? L’ultima
volta che l’hai fatto, mi hai affibbiato il figlio idiota di un tuo
superiore, solo ed esclusivamente per fare carriera! - rispose quasi urlando
puntandogli il dito contro. Sua madre continuava a guardarla quasi attonita
cercando di riordinare le idee per poter dire qualcosa. Non la vedeva così
da tanto tempo, tanto che aveva dimenticato la sua irruenza e la sua voglia
di libertà.
- Mi hai quasi fatto perdere il posto? -
- Ti preoccupi ancora di quella storia? Dovrei farlo io
visto che mi sono trovata ad essere l’oggetto di una serata piacevole tra
tre amici. Devo ricordarti che per poco non mi hanno violentata? Oppure devo
continuare a pensare che avresti voluto esserci anche tu? -
- Smettila di dire idiozie. -
- Tu non sei mio padre, quindi taci per quanto riguarda
la mia vita. - gli disse guardandolo quasi con odio. Non gli aveva mai
perdonato quell’avventura meschina che l’aveva lasciata cadere in un
baratro buio e tetro dal quale era risalita solo grazie alle sue forze.
- Se esci da questa casa non ci metterai più piede. -
tuonò Jim infervorato dalle parole di astio e odio pronunciate dalla figlia
adottiva.
- Aspetta Jim…- sussurrò sua madre cercando di sedare
gli animi e di riprendere l’autocontrollo perduto. - Trish tesoro…cercheremo
di cambiare atteggiamento…-
- Ormai ho deciso. Me ne vado…-
- Ma dove andrai? - esclamò in tono supplichevole.
- Ovunque purché sia lontano da qui…
- Ci odi fino a questo punto? - le chiese supplichevole.
- Non vi odio: voglio solo vivere. Penso di averne
diritto. Vi ho chiesto tante volte di parlarmi del mio passato. Siete sempre
stati evasivi e non ho mai scoperto il perché. Dato che il mio passato è
oscuro, vorrei far luce almeno sul mio futuro. Argomento chiuso. -
- Trish, pensaci. Ti prego. -
- Ho già deciso. - disse risoluta andando in camera sua.
Il suo risentimento era tale da spingerla ad andar via pur di non restare in
un ambiente quanto mai opprimente ed asfissiante.
Con la mente percorse i singoli attimi che avevan preceduto
la sua partenza da quella litigata con i suoi genitori. Aveva preparato i suoi
bagagli da giorni attendendo con trepidazione il giorno della partenza.
Ricordava come il giorno della sua iscrizione al concorso, leggendo le varie
destinazioni, era rimasta affascinata da Barcellona. Si era iscritta ad un corso
serale di spagnolo e si sentiva preparata a quell’esperienza che avrebbe
mutato il suo futuro. Aveva studiato con impegno e assiduità pur di coronare il
suo sogno di fuga, per mettere alla prova le sue conoscenze e le sue capacità.
Jason Mulder. Fu lui, il suo compagno di corso a darle la notizia.
- Trish, finalmente ti ho trovata. - le disse senza
fiato. Aveva corso lungo i corridoi dell’ospedale. Voleva essere il primo
a darle la notizia.
- Cos’è successo? Riprendi fiato o ti verrà una
crisi! - gli rispose incitandolo a calmarsi.
- Tu…ce l’hai fatta. - le disse regalandole il più
bel sorriso che lei avesse mai ricordato.
- Cosa? -
- Hai vinto la borsa di studio! Sei arrivata prima! -
esclamò prendendola tra le braccia e facendola volteggiare in aria.
Istintivamente la baciò con ardore e lei rispose a quel gesto affettuoso di
colui che era diventato il suo più grande amico. Dopo che anche lei si rese
conto della splendida notizia, andarono a festeggiare in una birreria
irlandese e tra una bevuta e l’altra, si risvegliarono nel letto dell’appartamento
di Jason.
- Stai andando via? - le chiese guardandola mentre si
alzava dal letto, nello splendore della sua nudità. Era successo ancora una
volta. Trasportati dalle emozioni, dall’energia del momento, dall’attimo,
si erano riscoperti amanti ma solo ed unicamente amici. Almeno per lei.
Un tuono la riportò alla realtà. Jason Mulder. Sorrise al
ricordo dell’ amico e del compagno di alcune notti. Il suo ovale regolare, i
suoi occhi scuri sempre vigile, le labbra carnose di un rosso ciliegia. Le sue
grandi e protettive braccia. A lui aveva confidato i dubbi sul passato, i
silenzi della sua vita, i progetti sul futuro. Quella era stata la loro ultima
notte. Poi era andata via lasciandogli solo una lettera nella quale si congedava
da quel capitolo della sua vita.
Chiuse gli occhi cercando di assaporare la sensazione del suo
ultimo passionale bacio scambiato prima di andar via. Gli aveva detto addio per
sempre, per ricominciare una nuova vita.
Era il giorno del suo compleanno. |