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Tu-tum.
Tu-tum.
Tu-tum.
Quel rumore incessante non proveniva
dal suo cuore.
Lui non ne aveva uno.
Il treno procedeva spedito
verso la sua destinazione.
Eppure,
per la prima volta,
lui desiderò che non si
fermasse.
Che non raggiungesse mai la sua meta.
Lei dormiva silenziosamente
appoggiata alla sua spalla.
O forse
non dormiva affatto.
Forse
quello era un suo disperato tentativo
di non farlo andar via.
Di farlo restare.
Ma lui doveva farlo.
Doveva andare.
Doveva portare a termine la sua
missione.
Lui l’aveva sempre fatto.
E abbandonarne una proprio adesso
non sarebbe stato da lui.
C’era così tanto
in gioco.
La sua vita.
Quella di lei.
“Ricordo che quando ero
piccola mio padre coltivava l’uva
con tanto amore. E gli ho promesso che un giorno anch’io
avrei avuto il mio
vigneto”
Così gli aveva detto.
“Bella cosa” gli
aveva risposto lui.
In quei pochi giorni, in cui erano
stati insieme,
a stretto contatto,
lei gli aveva parlato molto di
sé.
Quasi lo conoscesse da sempre.
Quasi si fidasse ciecamente.
Mentre invece
lui era stato ermetico.
Come sempre.
In fondo
lui non era nato per quello scopo.
La sua missione
era quella di ripulire il mondo
dal male.
Quella era la sua vita.
Era sempre stato così.
Fin da quando era bambino.
Un clone generato dai geni dei
più efferati criminali.
Esperto nella lotta,
nell’uso di qualsiasi arma.
Un assassino perfetto.
Lui era soltanto questo.
Un assassino.
E un assassino non prova niente.
Né gioia,
né tristezza,
né compassione,
né odio.
E nemmeno amore.
Ma da quando lei era entrata nella
sua vita
qualcosa aveva cominciato a farsi
strada dentro di lui,
lenta ed invisibile,
come un serpente.
Lui non sapeva cosa fosse.
Non l’aveva mai provato.
Perciò
all’inizio non ci aveva dato peso.
Ma col passare dei giorni questa cosa
era diventata sempre più
forte,
e ormai era impossibile per
lui non tenerne conto.
E scoprì che questa cosa
stava cominciando ad interferire
con la sua missione.
Lei
era la sua interferenza.
Per questo motivo erano su quel treno.
Lei non doveva più stare
con lui.
Lei
doveva essere al sicuro.
Questo pensava
da giorni ormai.
Appoggiò le labbra sulla
testa di lei,
per un secondo appena,
prima di sussurrare piano il suo nome.
“Nika”
Ma lei non rispose.
Sapeva
che il momento era arrivato.
Ma ancora non voleva darsi per vinta.
“Nika…devo
andare” ripetè lui.
La ragazza rimase appoggiata su di
lui.
Senza muovere un muscolo
sussurrò un debole
“Lo sapevo che non ci
sarebbe stato il lieto fine”.
Sinceramente, ingenuamente,
disperatamente Nika.
Lei era proprio così.
Ingenua, sincera.
Disperata.
Forse era questo
che l’attraeva
così tanto.
Lui non rispose, così lei
si alzò, guardandolo negli occhi.
“Non voglio che tu lo
faccia” insistette.
Era la prima volta che una persona si
preoccupava per lui.
Ciò che era stata la sua
vita fino adesso
era un portare a termine o fallire.
Se avesse fallito
a nessuno sarebbe importato di lui.
Lui finora
non aveva mai fallito.
Perché era il migliore nel
suo campo.
O forse
perché finora
non gli era importato così
tanto
dell’eventualità
di perdere la vita.
Invece adesso
lei, che gli stava davanti,
chiedendogli di non andare,
per la prima volta gli stava portando
alla mente
che se lui fosse morto
a lei sarebbe mancato.
Era importante tutto ciò?
Perché era così
preoccupata?
“Belicoff deve
morire” rispose lui, semplicemente.
La missione.
Questa era la cosa importante.
Perché avrebbe dovuto
rinunciare?
“Non mi importa
più di niente…Lascia perdere tutto”
Di nuovo le parole di lei lo
spiazzarono.
Queste frasi
lui non le aveva mai sentite.
Non andarsene.
Lasciar perdere.
No.
Nel suo vocabolario questi termini
non erano mai esistiti.
Mai nessuno
glieli aveva insegnati.
“No, se non lo ammazzo loro
non smetteranno mai di cercarti”
A queste parole Nika non rispose.
E a dire la verità
un po’ ne rimase sorpreso
persino lui.
Aveva appena detto
che il motivo per cui avrebbe portato
a termine la missione
era per salvare lei.
Il motivo
era LEI.
Nika rimase in silenzio, guardandolo
negli occhi
per quei pochi minuti che rimanevano.
E lui istintivamente portò
una mano
ad accarezzarle una guancia.
Con l’indice le
sfiorò il tatuaggio che aveva sullo zigomo.
“Perché
è l’unico punto del corpo in cui lui non mi
colpisce” le aveva risposto lei, quando lui le aveva chiesto
perché si fosse
tatuata proprio sul viso.
Gli occhi di Nika si riempirono di
lacrime
quando il treno cominciò a
frenare rumorosamente.
Erano ormai giunti in stazione.
Entrambi si alzarono senza dire
niente.
“Prendi questa”
le disse lui, porgendole una valigia “Alla
prossima stazione scendi dal treno appena si è fermato.
Muoviti tra la gente” aggiunse.
Lei annuì, fissandolo con
gli occhi lucidi e rossi.
“Non mi hai ancora detto
come ti chiami” sussurrò, la voce
rotta.
Lui aspetto un attimo
prima di risponderle.
“Dove sono cresciuto non ci
davano un nome, ci davano un
numero. Il mio era 47”.
Nika riuscì a sorridere,
tra le lacrime.
“Beh, questo spiega molte
cose…” disse, senza sapere in
realtà cosa significava.
O forse lo sapeva benissimo.
Ora capiva il perché del
suo comportamento freddo e
distaccato,
quasi inumano.
Lui era l’unico
che era riuscito a resisterle,
sebbene lei si fosse spogliata
davanti a lui,
invitandolo a fare l’amore.
Eppure era sicura
di aver smosso qualcosa
dentro quell’animo freddo e
impassibile.
“Come faccio a
ritrovarti?” gli chiese, con il cuore in
gola.
A questa domanda lui sorrise.
Era una cosa così rara.
Eppure
da quando c’era lei
gli era capitato
così spesso.
“Non preoccuparti, ti
ritrovo io” la rassicurò.
“E adesso che
farai?” chiese ancora Nika, mentre lui le
passava di fianco per scendere dal treno.
La guardò per
l’ultima volta.
“Quello che devo
fare” disse, prima di voltarsi
definitivamente.
D’ora in poi
non avrebbe più dovuto
pensare a lei.
Se l’avesse fatto,
non sarebbe riuscito a portare a
termine la sua missione.
Non avrebbe ucciso Belicoff.
E lei sarebbe morta.
I suoi scagnozzi
l’avrebbero cercata ovunque
se lui avesse fallito.
E questo non se lo sarebbe mai
perdonato.
Ora finalmente capiva.
Ciò che era diventato
importante per lui
non era tanto il portare a termine il
suo incarico.
Non era questione di soldi, questa
volta.
Ciò che importava
era lei.
Lui non sapeva il perché.
Non gliel’avevano insegnato.
Questo tipo di sensazione, di
sentimento
non era utile, per il suo lavoro.
Se n’era accorto fin troppo
bene, in tutti quei giorni.
Eppure
era sicuro
di averne già sentito
parlare.
Forse
ciò che il suo cuore
sentiva ora,
mentre si stava allontanando da lei,
era ciò che le persone
comuni
chiamano “amore”.
Ma adesso come adesso
non importava.
Fosse stato amore,
o qualsiasi altra cosa.
A 47 non importava.
L’unica cosa che davvero
contava
era poter tornare da lei
il più presto possibile.
“Gli ho promesso che un
giorno anch’io avrei avuto il mio
vigneto” aveva detto lei.
E lui avrebbe esaudito il suo sogno.
Le avrebbe regalato il vigneto
che aveva tanto sognato.
Le avrebbe donato
un’esistenza migliore
di quella che aveva avuto finora.
E quando sarebbe stato il momento,
anche lui sarebbe ritornato da lei.
Ne era sicuro.
Per la prima volta
47
sarebbe tornato
a casa.
FINE
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