AN
UNPERFECT CIRCLE
Promt:
44-cerchio
Sommario:[…]"Il
signor Gazza cercava qualcuno che riordinasse questi vecchi
archivi"
continuò Piton, soave. "Sono i registri di
altri
malfattori di Hogwarts e delle loro punizioni. Dove
l’inchiostro è
sbiadito, o le schede sono state danneggiate dai topi, vorremmo che
ricopiasse i misfatti e le punizioni e, assicurandosi che siano in
ordine alfabetico, rimettesse le scatole nei contenitori. Non deve
usare la magia."[…]
Harry
Potter e il principe Mezzosangue, “Sectumsempra”
cap.24
Una
piccola digressione del sesto
libro di J.K. Rowling: e se Harry, tra tutte le vecchie punizioni,
trovasse veramente dei nomi noti, sarebbero solo quelli del padre e
di Sirius Black?
Rating:
PG 13
Pairing:
Harry/Severus
Personaggi:
Harry Potter, Severus Snape
Genere:
nessuno
Avvertimenti:
pre-slash, relazione adulto/minore
Conteggio
parole (M. word):
6265
Note
dell’autore
Voglio
solo premettere una
piccolissima nota: so benissimo che la filosofia di Nietzsche non
è
così semplice e che il concetto di ciclicità
della
storia di questo filosofo ha tenuto impegnati molti studiosi per
innumerevoli tomi, ma, sinceramente, questa mi sembra la spiegazione
migliore per una persona che di filosofia non sa assolutamente nulla.
Poi, e
questo lo devo veramente
confessare, ho sempre immaginato Piton come un uomo dalla profonda
cultura, quindi non mi sembra strano fargli parlare di un filosofo
importante come questo.
Un
ultimo avvertimento: questa
storia non tiene conto degli ultimi eventi del sesto libro,
né
del settimo episodio della saga.
Declaimer:
i personaggi e i luoghi qui descritti non mi appartengono,
poiché
sono di proprietà di J.K. Rowling. Sappiate, inoltre, che
nessuno di questi ha un collegamento con la realtà e che
ogni
riferimento a fatti o persone reali è considerarsi puramente
non intenzionale.
Questa
storia non è stata
scritta con scopo di lucro, ma solo per divertimento.
Harry
sedette davanti alle scatole e, presane una, cominciò quello
che si prospettava come un lavoro inutile e noioso, e non serviva
certo l’intuito di Hermione per capirlo.
Per
diverso tempo lesse vecchie schede , compilandole nelle parti
mancanti e sistemandole in ordine alfabetico in un monotono
susseguirsi di gesti meccanici, interrotto solo da sporadiche morse
allo stomaco quando comparivano i nomi di suo padre e di Sirius,
spesso in coppia nelle malefatte, più raramente accompagnati
da quelli di Remus e Peter.
Piton,
intanto, era rimasto immobile, dietro di lui, ad osservarlo; visto di
spalle e con quella camicia troppo grande, Harry sembrava veramente
James Potter: stessa statura, identica massa di capelli disordinati e
neri, perfino la corporatura sembrava uguale.
Si
diresse verso la scrivania e prese posto, senza riuscire a staccare
gli occhi dalla schiena del ragazzo; se avesse dato ascolto al
proprio senso del dovere avrebbe cominciato correggere i compiti del
primo anno, preparare quelli del secondo e del quarto, avrebbe
controllato lo stato degli ingredienti e del materiale per le diverse
pozioni e assolto i vari doveri che la sua carica
d’insegnante gli
imponeva… ma tutti quei doveri potevano aspettare.
Vedere
quel ragazzino insolente costretto a chinarsi su delle vecchie
scatole coperte di polvere gli dava uno strano senso di gioia, per
non parlare dei lievi sussulti che Potter si lasciava sfuggire, e che
da soli bastavano a riempirlo di un totale appagamento, in parte
dovuto anche al tendersi del cotone della camicia sulle spalle.
Si
accomodò sulla sedia, appoggiandosi allo schienale di legno
e
spingendo a lato i numerosi fogli, imbrattati dalle scritture
adolescenziali, per godersi meglio la sottile vittoria che quella
punizione gli regalava.
Il
ragazzo aveva conosciuto il padre solo attraverso i racconti
entusiasti di Black e degli altri sciocchi che in James vedevano un
eroe; per anni quel fanciullo era cresciuto nell’illusione
che
l’uomo, al quale doveva la vita, fosse una brava persona ed
un
modello da seguire. Fortunatamente era arrivato lui che, prendendo a
cuore la causa dell’insegnamento e il bene dei propri
studenti, l'aveva preso per mano e accompagnato nel lungo viaggio verso la
verità.
Più
volte nel corso degli anni aveva lanciato segnali e, in diversi
momenti, aveva rivelato episodi che
potevano sì
risultare scomodi, ma che erano assolutamente autentici. Purtroppo
queste voci erano rimaste ignorate, surclassate dalle
falsità
perbeniste degli amici.
Poi
il fato aveva deciso di imporre una svolta decisiva, servendosi di un
comune pensatoio e della naturale curiosità degli
adolescenti;
Potter aveva potuto vedere con i propri occhi le eroiche gesta del
padre, impegnato a tormentare un ‘cattivo e
spregevole’
Serpeverde senza alcuno scopo utile. E lui aveva rischiato di
rovinare ogni cosa.
Certo,
un momento di rabbia cieca sarebbe stato giustificabile per un
qualsiasi Grifondoro, impegnati come sono ad esibire il proprio cuore
sul bavero, ma non certo per Piton. Più volte si era
rimproverato per non aver conservato la freddezza e la prontezza dei
Serpeverde, ma fortunatamente questa sua sbandata era durata solo
pochi mesi, esaurendosi prima che vi fossero danni seri, prima che
Potter si rendesse conto del suo errore.
Aveva iniziato allora ad osservarlo: quell’anno sapere che
Harry
James Potter non osava guardarlo in faccia, che si vergognava del
genitore, era diventata la sua principale fonte d’estasi.
Vederlo
spaesato e senza riferimenti faceva quasi sembrare che ogni giorno
fosse Natale.
Ora
era suo preciso obbligo portare a termine quel processo che avrebbe
cambiato il ragazzo nel profondo; ancora
poche
spinte e Potter sarebbe precipitato nel baratro, e per lui non ci
sarebbe stato, oltre al professore, altro appiglio ugualmente
raggiungibile e sicuro.
Regalò
al giovane un’ultima occhiata interessata, prima di prendere
un
foglio dalla pila alla sua sinistra e cominciare a scorrerne il
mediocre contenuto.
Per
diversi minuti gli unici rumori in quella stanza furono il frusciare
delle pergamene spostate ed i
graffiare delle piume che correvano veloci sui fogli.
Quando
sentì lo sguardo dell’uomo abbandonarlo Harry
liberò
un sospiro di sollievo, concedendosi una fugace occhiata al grande
orologio dello studio.
Le
lancette segnavano le dieci e mezza, a quel ora i compagni dovevano
aver raggiunto lo stadio e la partita doveva essere già
iniziata, sicuramente erano stati
già
segnati i primi punti.
Si
chiese come se la stessero cavado Ron e Ginny; era già la
seconda volta che il suo migliore amico si trovava a dover giocare
senza di lui, se non altro dall’ufficio della Umbridge era
riuscito
a gettare delle rapide occhiate al campo, non che fosse riuscito a
distinguere i giocatori, ma almeno aveva avuto una
possibilità.
Come
se non bastasse Ginny avrebbe giocato come cercatrice contro Cho e,
per quanto la rossa fosse abile e veloce, la Corvonero aveva dalla
sua un’esperienza maggiore. Non sarebbe stata una partita
facile
per Grifondoro.
Infastidito
da questi pensieri tirò un’altra scatola verso di
sé,
lanciando, mentalmente, degli epiteti decisamente volgari verso
Piton… e sperando che questi non decidesse di passare il
tempo
dedicandosi ad una nuova lezione sull’Occlumazia.
Era
appena ad un quarto della seconda scatola e il nome di suo padre e
quello di Sirius erano comparsi diverse volte, e mai con una ragione
valida.
Dopo
la fattura illegale contro Bertram Aubrey suo padre si era distinto
in più campi, come la trasfigurazione di Lavena Misher in
un'
inutile, se pur graziosa, teiera, e Gazza aveva ritenuto giusto
precisare si trattasse di una teiera rosa.
Inutile
ricordare che le scuse dell’esercitazione e della scarsa mira
non
erano bastate ad evitargli la pulizia della sala dei trofei.
Purtroppo
Sirius non si era lasciato battere, e lo stesso giorno era stato
punito per il lancio di Caccabombe sulla squadra di Quiddich
Serpeverde, impegnata, stando alla nota, in un allenamento; anche per
lui il supplizio era stato inevitabile: un’intera serata
passata a
curare i vermicoli. Si chiese se fosse un caso che i primi anni
avessero avuto sempre bisogno di vermicoli.
Sicuro
che esistesse una spiegazione, sfogliò febbrilmente le
schede
precedenti, convinto di aver già visto una punizione a nome
Bertram. Scorse perfino quelle ancora nella scatola, ma sembrava che
quel ragazzo non avesse attaccato per primo, e nemmeno che si fosse
vendicato, ma la cosa poteva avere un senso. Sicuramente lui e Lavena
dovevano aver fatto qualcosa molto tempo prima, e sicuramente erano
stati abbastanza furbi da non farsi cogliere sul fatto. Remus e
Sirius avevano sempre detto che suo padre era una brava persona.
Improvvisamente
la scena del pensatoio e la voce di suo padre gli tornarono in
mente; “E’ più il fatto che esiste, se
capisci quello che
voglio dire”. Facevano male. Ormai sapeva che James aggrediva
Piton senza un motivo valido, unicamente per un suo gusto perverso,
ma non pensava che la cosa potesse estendersi ad altri casi, e questo
rendeva difficile il convincersi che Piton meritasse, in qualche
modo, quel trattamento.
Doveva
ammettere che, in fondo, comprendeva il risentimento
dell’uomo: un
gruppo di ragazzini arroganti aveva contribuito a rovinargli la vita
e aveva rischiato di morire per uno dei loro scherzi.
Sapeva
che Sirius avrebbe meritato l’espulsione, ma Silente non era
stato
dello stesso avviso: il padrino se l’era cavata con una
misera
punizione, mentre Severus era stato ammonito dal parlare della
faccenda. Immaginava quanto dovevano aver riso i Malandrini dopo quel
fatto.
Anni
dopo il destino aveva deciso di giocare l’ennesimo tiro
mancino a
Mocciosus, che si era trovato a dover proteggere ed insegnare a lui,
il figlio dell’uomo che più detestava.
C’era
di che maledire il mondo, a ben vedere.
Sospirando
prese l’ennesimo rapporto, documento che i topi dovevano aver
usato
in un banchetto, a giudicare dai morsi. Scoraggiato sfilò
dal
mucchio appoggiato alla sua destra una pergamena nuova, intinse la
piuma nel calamaio e cominciò a trascrivere.
Severus
Piton. Sorpreso a lanciare pericolosi anatemi contro Remus Lupin.
Punizione consigliata…
Harry
non sentì il bisogno di sapere com’era stato
punito, troppo
preso dall’accusa fattagli.
Il
professore aveva lanciato una maledizione contro Lupin,
e questa era stata giudicata pericolosa. Normalmente questo sarebbe
bastato per essere espulsi dall’istituto, invece Piton non
solo era
rimasto, ma era riuscito perfino a diventare professore.
Un’altra
cosa, comunque, non tornava; perché Lupin? Avrebbe potuto
capire se avesse maledetto Sirius o suo padre... non lo avrebbe
apprezzato e l'avrebbe criticato duramente, ma avrebbe potuto
capirlo.
“Trovato
qualcosa d’interessante, Potter?”.
Il
tono ironico dell’uomo lo raggiunse veloce come una
stilettata,
riportandolo bruscamente alla realtà. Era rimasto immobile
troppo a lungo e questo doveva aver attirato l’attenzione del
professore.
“Nulla,
signore”, rispose, calcando il tono sul titolo e infilando
velocemente la scheda nella scatola senza curarsi di disporla in
ordine, consapevole di spostare l’attenzione del mago proprio
su
quell' oggetto ma incapace di organizzare un piano migliore.
Tutto
quello che il suo cervello riusciva a pensare era perché
Hermione non fosse con lui quando aveva più bisogno del suo
aiuto.
Piton
fissò lo sguardo negli occhi verdi del ragazzo, ed Harry fu
sicuro che il suo insegnate non avesse bisogno delle Legilimanzia per
accorgersi che mentiva.
“Potter,
oltre che un pessimo Occlumante è anche un pessimo
bugiardo”.
Si
alzò ed oltrepassò la scrivania per avvicinarsi
al
ragazzo seduto a terra, arrivandogli alle spalle.
“Affascinato
dalle prodezze di papà? O da quelle di Black? Di quale
divertente scherzo sarà spettatore indiretto, questa
volta?”.
Gli
passò accanto, strappò la pergamena
dal mucchio prima che Harry potesse reagire e le diede una scorsa
veloce; dopo pochi secondi Harry poté dirsi certo di aver
intravisto alcune vene del volto da quanto era diventato pallido.
“Credo
che per oggi sia sufficiente, Potter. Torni sabato prossimo alle
dieci per… continuare la sua punizione”.
Harry
fissò l’orologio, erano appena le undici, se
avesse corso
sarebbe potuto arrivare al campo per vedere la fine della partita.
Velocemente raccolse le proprie cose e si avviò verso la
porta, ancora incredulo per l’inaspettata fortuna.
Aveva
già varcato la soglia, quando un rumore lo spinse a
voltarsi;
sul pavimento, ai piedi del professore, si stagliavano lucidi i
frammenti di uno dei numerosi vasi di vetro che riempivano gli
scaffali di quel sotterraneo.
Una
macchia verde si allargava sul pavimento, saturando l’aria
col
proprio fetore, mentre al centro era ripiegato su sé stesso
il macabro contenuto.
“Professore?”,
sussurrò, avvicinandosi. “Professore, tutto
bene?”.
“Potter…
avevo detto che poteva andarsene…”.
Harry
si avvicinò ulteriormente, sconcertato dal tono spento,
abituato com’era alle frecciatine e ai commenti malevoli.
“Professore,
cosa…”.
“POTTER,
LE HO DETTO DI ANDARSENE!”.
Il
ragazzo rimase immobile, mentre
l’eco dell’urlo
riempiva tutta la stanza, penetrando nelle ossa e nel cervello come
lame affilate.
Qualcosa
stonava in quella scena; la McGrannit era solita alzare la voce, la
Sprite urlava, ma Piton ...lui insultava, mortificava, avviliva, ma
non gridava, non mostrava mai la propria collera, non esibiva le
proprie emozioni.
Era
compito degli stupidi Grifondoro come lui esibire il proprio cuore
sul bavero come fosse un trofeo, i Serpeverde lo nascondevano per
decoro ed eleganza.
Peccato
che tutti sembrassero voler ignorare questa regola; pochi giorni
prima aveva sorpreso Malfoy nel bagno mentre piangeva e ora Piton
perdeva il controllo davanti a lui, come se gli anni da spia e
doppiogiochista non fossero che una semplice trovata favolistica.
Abbassò
lo sguardo, quasi imbarazzato per aver assistito ad un momento tanto
privato, e solo in quel momento si accorse della macchia rossa che
andava allargandosi al centro della pozza maleodorante, esattamente
accanto del serpente. Velocemente guardò le mani
dell’uomo,
notando i numerosi tagli che ne costellavano il dorso e le schegge di
vetro che penetravano nella carne.
“Professore…”,
disse, avvicinandosi e prendendo una mano dell’uomo,
“dovrebbe
farsi curare, vado a chiamare Madama Chips?”.
“Non
sarà necessario”, sussurrò Severus,
estraendo la
bacchetta e recitando un semplice incantesimo di guarigione.
“Se
lei non fosse così ignorante avrebbe saputo
praticarlo”,
continuò atono e mosse ancora la bacchetta per riparare il
vaso e riportarlo sulla mensola, “ma immagino di chiedere
troppo”.
Si
spostò verso la scrivania per ricominciare a correggere i
temi, deciso ad ignorare il giovane e, soprattutto, il silenzio
creatosi fra loro. Aveva quasi terminato quello di un Tassorosso del
secondo anno, quando Potter sbattè le mani sulla sua
scrivania, rompendo il precario equilibrio della pila di fogli e
facendoli precipitare a terra.
Seccato
dell’interruzione risollevò lo sguardo. Le mani di
Potter
erano ferme, immobili, delle pallide suppellettili sul mogano del
tavolo, ma il resto di lui tremava per quella che poteva essere
rabbia, indignazione o paura.
Le
ultime due opzioni avevano un fascino decisamente particolare, almeno
dal suo punto di vista.
“Potter,
mi sembrava di averle ordinato di uscire…”.
“Perché
Lupin?”, chiese in tono flebile. “Avrei capito se
avesse
attaccato mio padre o Sirius, ma perché Lupin?”
“Vero,
avrei dovuto maledire quei due, ma anche Lupin aveva, ed ha, le
proprie colpe”, rispose con il tono di voce di chi non
ammette
repliche, chinandosi per raccogliere i fogli sparsi a terra.
“Ora,
signor Potter, farebbe bene ad andarsene”.
“Non
capisco”.
“Non
è necessario che lei capisca”, sospirò,
mentre posava
i compiti sulla propria scrivania, avvicinandosi al ragazzo.
“Ho
avuto i miei motivi, questo è tutto ciò che deve
sapere”.
Harry
pensò che quella fosse esattamente la prova che cercava;
Piton
era un infido bugiardo, un traditore di cui non ci si poteva fidare,
se aveva colpito una persona corretta come Remus. Sarebbe dovuto
correre da Silente e raccontargli tutto, avrebbe dovuto dare ascolto
a Sirius e stare lontano da quel viscido essere… ma era
difficile
non cambiare idea, mentre la mano dell’uomo gli risaliva
lentamente
la guancia fino ad accarezzargli i capelli.
“Ha
ragione, dovrebbe correre al tuo dormitorio, dovrebbe allontanarsi da
me”.
Piton
continuava a passargli le dita fra le ciocche scure, scostandone
alcune dalla fronte e portandole dietro l’orecchio con calma,
senza
fretta di arrivare ad un qualsiasi punto successivo, e per Harry
tutto diventava sempre più insolito, non spiacevole, solo
strano e curioso… come trovarsi in un mondo parallelo e non
voler
tornare a casa.
Poteva
sentire chiaramente la voce disgustata di Ron criticarlo e
suggerirgli di andarsene velocemente da quella stanza. Anche Felpato,
con voce cupa e lamentosa, tipica di chi ormai è passato
all'oltretomba, gli intimava di allontanarsi, rammentava che Piton lo
odiava… Piton odiava suo padre… Piton lo odiava
dal primo giorno
di scuola, non lo conosceva e già lo odiava…
Anche
suo padre, con la voce che ricordava solo grazie ai Dissentori, lo
implorava di andarsene, di non credere a quell’uomo. Sua
madre non
parlava, limitandosi unicamente a sospirare.
Harry
li mise velocemente a tacere, sarebbe stato scortese allontanarsi
ora; voleva sapere di più su quella vecchia nota, doveva
saperne di più, ed andarsene avrebbe fatto male in un punto
imprecisato tra lo stomaco e il cuore.
Chiuse
gli occhi senza capirne il perché, cercando di godersi
quella
distratta ed inattesa attenzione, ignorando quasi totalmente
l’intrusione nella sua mente; non credeva che la Legilimanzia
potesse essere tanto delicata e discreta da non essere percepita,
abituato com’era ad attacchi violenti e scomodi. Forse il
trucco
stava nel non cercare pensieri profondi, ricordi distanti e privati,
ma solo sensazioni superficiali e momentanee, di quelle che rimangono
pochi istanti sulla corteccia celebrale.
Avvertì
Piton avvicinarsi, non tanto da sfiorarlo ma abbastanza da poter
percepire la stoffa della veste muoversi.
“Non
dovrebbe leggere nella mia mente, professore. Non
è…”.
“Educato?”.
“Corretto.
Ha usato l’incantesimo Sectusempra quella volta…
vero?”.
Improvvisamente
le dita dell’uomo abbandonarono la loro attività e
il
ragazzo sentì l’aria infiltrarsi tra loro.
Lentamente
aprì gli occhi.
Il
professore era davanti alla libreria, apparentemente impegnato a
scorrere i titoli dei diversi volumi disposti ordinatamente sugli
scaffali di legno scuro. Harry era sicuro che i testi di pozioni e di
arti oscure si equivalessero sia in numero, sia in valore.
“Sì,
ho usato quella maledizione ed ho contribuito ad arricchire la
collezione di cicatrici del lupo”, disse, prendendo uno dei
tanti
volumi dall’aspetto antico, la copertina verde bosco, un
colore
parecchio usato nell’editoria dell’epoca.
“La cosa la stupisce,
Potter? O la sorprende di più il fatto che abbia evitato
un’espulsione?”.
“Perché
?”.
L’uomo
chiuse il libro violentemente e fissò nuovamente il proprio
sguardo in quello del giovane.
Le
iridi verdi non esprimevano odio, e neppure disgusto, solo
un’innocente e comprensibile voglia di capire.
“Voglio
darle una necessaria e basilare lezione di galateo, signor Potter.
Sappia che è maleducazione rispondere ad una domanda con
un’altra domanda”, disse, tornando alla scrivania.
“Inoltre, la
informo che considero un comportamento maleducato, oltre che
sfacciato, insistere su un argomento su cui ho detto di non volermi
esprimere, ma dubito che questo la fermerà dal chiedermelo
ancora, quindi le farò io una domanda: cosa l'ha spinta ad
attaccare il signor Malfoy?”.
“Aveva
detto che rispondere ad una domanda con un’altra domanda
è segno di maleducazione…”.
“Vero,
e non ritiro, ma vede”, rispose, appoggiandosi allo schienale
in
legno e facendo cenno al ragazzo di accomodarsi sulla sedia di fronte
a lui, “la mia era solamente una domanda retorica,
indispensabile
per quello che potremmo indicare come l’inizio di un dialogo
chiarificatore. Allora, cosa l’ha spinta ad attaccare il
signor
Malfoy? Forse il fatto che fosse un Serpeverde, e lei un
Grifondoro?”.
Severus parlò ostentando una
calma e una comprensione del tutto
credibili. Agli occhi di un estraneo sarebbero potuti sembrare un
alunno discolo ed un insegnate preoccupato del futuro,
intenti a discutere di una marachella.
Harry
pensò distrattamente alle facce stupite che avrebbero avuto
i
Grifondoro di fronte a quella scena; per loro Piton era semplicemente
la vecchia serpe che, perso il veleno della giovinezza, si limitava a
morsi dolorosi ma innocui, utili solo a distrarti mentre
cercava di stritolarti fra le spire.
“Ne
dubito, non c’era nulla ad impedirvi un duello alla babbana o
l’uso
di maledizioni notevolmente infantili. Le aveva fatto un torto tanto
grave? Non credo siate andati oltre le solite offese”.
Mentre
continuava a dipingere scenari sempre più improbabili, che
in
alcuni casi sfioravano il ridicolo o l’assurdo, Piton rivolse
numerosi sguardi al ragazzo sedutogli di fronte. Harry teneva il capo
basso, non sapeva se per vergogna o, semplicemente, per non dargli la
soddisfazione di vederlo in difficoltà.
“Voleva
usare la maledizione Cruciatus… dovevo
difendermi…”.
“Certo
Potter, ma non sarebbe stato più semplice disarmarlo?
Conosce
l’incantesimo dal… secondo anno, se non sbaglio, e
indubbiamente
i suoi riflessi sono superiori a quelli del signor Malfoy. Davvero
l’ha fatto per difendersi?”.
Severus
attese per alcuni minuti la risposta del ragazzo, godendosi quegli
attimi di silenzio.
Poche
spinte e Potter sarebbe caduto, ad attenderlo sul fondo ci sarebbe
stato solo lui. Stavolta non sarebbe esistita la possibilità
di una scelta per il ragazzo che tutti consideravano l’eguale
del
Signore Oscuro.
“Ricorda?
Expelliarmus”, sussurrò, sventolando la bacchetta
in una
grottesca imitazione dell’incantesimo. “Vuole
sapere la verità?
Lei voleva fare del male al giovane Malfoy”.
A
quelle parole Harry alzò velocemente la testa, fissandolo
inorridito.
“Non
sapevo cosa avrebbe provocato quell’incantesimo. Ho fatto la
prima
cosa che mi è venuta in mente…”.
Severus
rise, il ragazzo era riuscito solamente a balbettare una scusa
patetica e a torcersi le mani in scatti nervosi, agitandosi sulla
sedia come fosse seduto su delle spine. Mancava veramente poco al
baratro.
“Vede,
Potter, purtroppo per lei sono dotato di una buona memoria, e ricordo
esattamente cosa scrissi sotto quella formula: contro i nemici. Era
per caso un suo nemico quel ragazzino spaventato che piangeva in un
bagno, consolato solo dalla deprimente presenza di un
fantasma?”.
Ed
eccoli al traguardo, dopo tanto penare erano finalmente giunti faccia
a faccia con il vuoto.
Severus
rise tra sé, non avrebbe potuto immaginare una lotta
così
semplice e una vittoria tanto scontata nemmeno nei suoi sogni
più
rosei; era un peccato vedere un ragazzo tanto promettente lasciarsi
rammollire da quegli inutili discorsi sull’amore e sulla
grandezza
d’animo degli eroi, con cui Silente lo aveva amorevolmente
imboccato.
La
verità era tutt’altra: l’amore
è solo egoismo, un
volere ostentare un attimo di felicità di fronte a chi
sembra
non averlo mai avuto o chi l'ha appena perso, e gli eroi non sono dei
modelli, sono solo ipocriti egoisti che muoiono e abbandonano
famiglia e amici in nome di un’illusione o della gloria.
“Allora
Potter, era un suo nemico? Temeva veramente per la tua vita? Secondo
lei Malfoy sarebbe stato tanto sciocco e avventato da lanciarle una
Cruciatus all’interno della scuola?”.
“Io…”.
Eccolo
là, spalle al muro e davanti solo il nulla.
Prima
di entrare in quell’ufficio tutto era chiaro: Harry James
Potter
aveva agito per legittima difesa, esagerando, certo, ma sempre e solo
per difendersi.
Lui
non poteva desiderare il male o la morte di qualcuno. Sempre
escludendo Voldemort… e Bellatrix, ovviamente.
“Legga
questo, sono sicuro che potra trarne numerosi spunti”.
Harry
sobbalzò sulla sedia.
Alzando
il capo col cuore in gola, si trovò a fronteggiare lo
sguardo
tranquillo del professore, mentre questi gli porgeva un vecchio tomo.
Impegnato com’era a giustificarsi non aveva visto
l’uomo alzarsi
ed avvicinarsi alla libreria.
Imbarazzato
per la reazione eccessiva strappò il libro di mano a Piton.
Ad
una prima occhiata sembrava un libro comune, la copertina di pelle
aveva un aspetto logoro, le pagine
erano
ingiallite ed il bordo consumato, ma nonostante l’aria sfatta
sembrava che la polvere non fosse riuscita a conquistarne la
superficie, segno delle frequenti letture.
“La
prego, lo apra al segno e legga”.
La
voce del professore era stranamente carezzevole, quasi ipnotica. Era
la stessa voce che Harry sentiva quando pensava al Coniglio Bianco di
Lewis Carroll: un tono sommesso che ad un primo ascolto poteva
sembrare esitante o rassegnato, ma che entrava nel cervello
manipolando gli impulsi elettrici, deviandoli fino ad ottenere il
risultato voluto; il tono che, secondo Harry, avrebbe dovuto avere
ogni vero mago nel pronunciare incantesimi di confusione o,
perché
no, la maledizione Imperius.
Non
trovando la forza per opporsi, cercò la pagina ed
iniziò
a declamare la parte segnata a lato con voce chiara, cercando di
scandire le parole.
Non
riusciva a capirne il motivo, ma aveva immaginato che il professore
volesse sentirlo leggere.
"Alt, nano! dissi. O io! O
tu! Ma di
noi due il più forte sono io -: tu non conosci il mio
pensiero
abissale!
Questo - tu non potresti sopportarlo!". -
Qui
avvenne qualcosa che mi rese più leggero: il nano infatti mi
saltò giù dalle spalle, incuriosito! Si
accoccolò
davanti a me, su di un sasso. Ma, proprio dove ci eravamo fermati,
era una porta carraia.
"Guarda questa porta carraia! Nano!
continuai: essa ha due volti. Due sentieri convengono qui: nessuno li
ha mai percorsi fino alla fine.
Questa lunga via fino alla porta e
all'indietro: dura un'eternità. E quella lunga via fuori
della
porta e avanti - è un'altra eternità.
Si
contraddicono a vicenda, questi sentieri; sbattono la testa l'un
contro l'altro: e qui, a questa porta carraia, essi convengono. In
alto sta scritto il nome della porta: "attimo".
Ma, chi
ne percorresse uno dei due - sempre più avanti e sempre
più
lontano: credi tu, nano, che questi sentieri si contraddicano in
eterno?". -
"Tutte le cose diritte mentono, borbottò
sprezzante il nano. Ogni verità è ricurva, il
tempo
stesso è un circolo".
"Tu, spirito di gravità!
dissi lo incollerito non prendere la cosa troppo alla leggera! O ti
lascio accovacciato dove ti trovi, sciancato - e sono io che ti ho
portato in alto!
Guarda, continuai, questo attimo! Da questa porta
carraia che si chiama attimo, comincia all'indietro una via lunga,
eterna: dietro di noi è un'eternità.
Ognuna delle
cose che possono camminare, non dovrà forse avere
già
percorso una volta questa via? Non dovrà ognuna delle cose
che
possono accadere, già essere accaduta, fatta, trascorsa una
volta?
E se tutto è già esistito: che pensi, o nano,
di questo attimo? Non deve anche questa porta carraia - esserci
già
stata?
E tutte le cose non sono forse annodate saldamente l'una
all'altra, in modo tale che questo attimo trae dietro di sé
tutte le cose avvenire? Dunque - anche se stesso?
Infatti, ognuna
delle cose che possono camminare: anche in questa lunga via al di
fuori - deve camminare ancora una volta!
E questo ragno che
indugia strisciando al chiaro di luna, e persino questo chiaro di
luna e io e tu bisbiglianti a questa porta, di cose eterne
bisbiglianti - non dobbiamo tutti esserci stati un'altra volta? - e
ritornare a camminare in quell'altra via al di fuori, davanti a noi,
in questa lunga orrida via - non dobbiamo ritornare in
eterno?".-
Così parlavo, sempre più flebile:
perché avevo paura dei miei stessi pensieri e dei miei
pensieri reconditi. E improvvisamente, ecco, udii un cane
ululare.
Non avevo già udito una volta un cane ululare
così? Il mio pensiero corse all'indietro. Sì!
Quand'ero
bambino, in infanzia remota: - allora udii un cane ululare
così.
E lo vidi anche, il pelo irto, la testa all'insù,
tremebondo,
nel più fondo silenzio di mezzanotte, quando anche i cani
credono agli spettri:
- tanto che ne ebbi pietà. Proprio
allora la luna piena, in un silenzio di morte, saliva sulla casa,
proprio allora si era fermata, una sfera incandescente, - tacita, sul
tetto piatto, come su roba altrui:-
ciò aveva inorridito il
cane: perché i cani credono ai ladri e agli spettri. E ora,
sentendo di nuovo ululare a quel modo, fui ancora una volta preso da
pietà.
Ma dov'era il nano? E la porta? E il ragno? E tutto
quel bisbigliare? Stavo sognando? Mi ero svegliato? D'un tratto mi
trovai in mezzo a orridi macigni, solo, desolato, al più
desolato dei chiari di luna.
Ma qui giaceva un uomo! E - proprio
qui! - il cane, che saltava, col pelo irto, guaiolante, - adesso mi
vide accorrere - e allora ululò di nuovo, urlò: -
avevo
mai sentito prima un cane urlare aiuto a quel modo?
E, davvero,
ciò che vidi, non l'avevo mai visto. Vidi un giovane pastore
rotolarsi, soffocato, convulso, stravolto in viso, cui un greve
serpente nero penzolava dalla bocca.
Avevo mai visto tanto schifo
e livido raccapriccio dipinto su di un volto? Forse, mentre dormiva,
il serpente gli era strisciato dentro le fauci e - lì si era
abbarbicato mordendo.
La mia mano tirò con forza il
serpente, tirava e tirava - invano! non riusciva a strappare il
serpente dalle fauci. Allora un grido mi sfuggì dalla bocca:
"Mordi! Mordi! Staccagli il capo! Mordi!", così
gridò da dentro di me: il mio orrore, il mio odio, il mio
schifo, la mia pietà, tutto quanto in me - buono o cattivo -
gridava da dentro di me, fuso in un sol grido.-
Voi, uomini arditi
che mi circondate! Voi, dediti alla ricerca e al tentativo, e
chiunque tra di voi si sia mai imbarcato con vele ingegnose per mari
inesplorati! Voi che amate gli enigmi!
Sciogliete dunque l'enigma
che io allora contemplai, interpretatemi la visione del più
solitario tra gli uomini!
Giacché era una visione e una
previsione: - che cosa vidi allora per similitudine? E chi è
colui che un giorno non potrà non venire?
Chi è il
pastore, cui il serpente strisciò in tal modo entro le
fauci?
Chi è l'uomo, cui le più grevi e le
più nere fra
le cose strisceranno nelle fauci?
- Il pastore, poi, morse così
come gli consigliava il mio grido: e morse bene! Lontano da
sé
sputò la testa del serpente -; e balzò in piedi.-
Non
più pastore, non più uomo, - un trasformato, un
circonfuso di luce, che rideva! Mai prima al mondo aveva riso un
uomo, come lui rise!
Oh, fratelli, udii un riso che non era di
uomo, - e ora mi consuma una sete, un desiderio nostalgico, che mai
si placa.
La nostalgia di questo riso mi consuma: come sopporto di
vivere ancora! Come sopporterei di morire ora! –
Harry provò a girare
pagina, ma ciò
che c'era scritto non doveva essere importante, dal momento che non
vi erano segni distintivi; richiuse il libro con un tonfo ovattato.
“Non
perderò tempo a chiederle se è riuscito a capire
quello
che ha appena letto”, cominciò Piton, che sembrava
aver
approfittato di quei minuti per sedersi nuovamente dietro la sua
scrivania “e nemmeno mi aspetto possa comprendere una
spiegazione
dettagliata ed approfondita della cosa. Le basti sapere che in quel
passo l’autore sostiene, come già fatto da molti
suoi
predecessori , la ciclicità della storia”.
Anche
se non lo stava osservando, sapeva che il ragazzo era attento a
cogliere ogni singola parola del suo discorso, aspettando il momento
chiarificatore. E lo avrebbe avuto, solo bisognava vedere come ne
sarebbe uscito.
“Vede,
signor Potter, ogni singolo istante si è già
verificato
e, nello stesso modo, è destinato a ripetersi. Seguendo
questa
logica si può desumere che noi due abbiamo già
avuto
questo dialogo in un qualche punto della storia, ma si potrebbe anche
pensare che lei abbia già avuto questo tipo di dialogo, o
perché no, che io ne abbia avuto esperienza”.
“In
effetti, avevo la strana sensazione di parlare con il professor
Silente…”.
“Non
c’è bisogno di essere offensivi, signor
Potter”, sibilò,
gli occhi fissi in quelli del giovane.
“Dicevamo?
Ah, sì. Ogni singolo istante della nostra vita è
già
stato visto e tornerà. Questo ci riporta alla nostra vecchia
discussione; perché ha attaccato il signor
Malfoy?”.
Harry
si chiese se non avessero già chiarito questo punto. Piton
aveva escluso la legittima difesa, e lui non era più sicuro
del reale motivo.
Ricordava
la testa biondo platino china sul lavabo e le mani artigliate al
bordo, il corpo, sempre più magro dal primo settembre,
scosso
dai singhiozzi. Quando aveva visto il suo riflesso nello specchio
Malfoy si era voltato ed aveva estratto la bacchetta pronto a
combattere. A quel punto tutto era stato semplicemente troppo veloce:
la maledizione che lo mancava di poco e i frammenti della lampada che
gli ricadevano sulle spalle, il suo Levicorpus respinto, Mirtilla
Malcontenta che urlava per fermarli, un’esplosione e il
secchio
alle sue spalle che finiva in mille pezzi, lui che distruggeva lo
sciacquone dietro Malfoy.
Cos’era
successo dopo? C’era acqua ovunque, e lui doveva essere
scivolato;
Draco Malfoy lo sovrastava, la bacchetta alzata, pronta a colpire.poi
quel grido: “Cruci-“.
“Stava
per maledirmi avrebbe usato la Cruciatus. Aveva quasi terminato di
recitare l’incantesimo…”.
“Deduco
che quello che le ha detto Bellatrix Lestrange nell’atrio del
Ministero non significhi nulla per lei”, lo interruppe Piton,
sporgendosi sulla scrivania per avvicinare i loro volti. “Mi
permetta di rammentarle: per lanciare una Maledizione Senza Perdono
bisogna volerlo, si deve godere del dolore”.
Il
tono del professore era tornato lieve e carezzevole, Harry non
avrebbe saputo dire se fosse una cosa buona o meno. Non sapeva se lo
stordimento che sentiva fosse dovuto solo alla voce di Piton
o se l’odore d’alcol del suo respiro, ormai troppo
vicino al
viso, centrasse qualcosa.
Considerò
distrattamente che non era l’odore di Sherry scadente che la
Cooman
aveva sempre addosso. Quello del professore di Pozioni era
più
raffinato, sembrava quasi caldo e morbido.
“Conosco
Draco Malfoy da diverso tempo, signor Potter, e le posso assicurare
che il ragazzo non ha ereditato nessun talento particolare per le
arti oscure. So di cosa si vanta, ma so anche che non potrebbe mai
fare del male, ha troppa paura delle conseguenze”.
Il
discorso sembrava non fare una piega: Malfoy, in fondo, si era sempre
rivelato un arrogante, codardo figlio di papà. Quindi
perché
l'aveva attaccato? Se veramente era quel tipo di persona allora aveva
ragione Piton, la sua maledizione non gli avrebbe fatto nulla, e
molto probabilmente i professori o il Ministero lo avrebbero punito.
Il
profumo dell’alcol sembrava essere sempre più
vicino ed
Harry avrebbe voluto che Hermione fosse lì con lui. Lei
avrebbe sicuramente saputo come rispondere a tono e tirarlo fuori dai
guai, perché non era come lui e non sarebbe rimasta zitta e
immobile, sperando di sentire quel sapore di liquore direttamente in
bocca.
“Se
vuole le spiego il perché”, gli
sussurrò Piton
all’orecchio, mentre le mani si stendevano sui braccioli a
circondarlo. Messo in trappola, come un qualsiasi ragazzino.
Non
aveva prestato attenzione ai movimenti dell’uomo e quando si
era
reso conto delle sue intenzioni era troppo tardi, se avesse tentato
la fuga il professore avrebbe solo dovuto stendere
di poco il braccio per riportarlo al suo posto; se le
avesse
spostate solo di pochi centimetri le avrebbe sentite addosso.
“Se
vuole le spiego il perché. Lei detesta suo padre, odia
Bellatrix per quello che ha fatto al suo padrino, così come
odia il Lord Oscuro per la sua vita, e odia me, ma non odia
Draco”,
mormorò al suo orecchio, come se gli stesse confidando un
segreto. “Lei non odia Draco Malfoy, ma non le riesce di
vederlo
così arrendevole. Si è veramente arrabbiato solo
quando
l'ha visto inerme, succube di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato e di
suo padre”.
Severus
poteva vedere i muscoli del collo del ragazzo tendersi, solleticati
dal suo respiro, lo sguardo basso e la respirazione che accelerava.
Quell’incarico
si stava rivelando più piacevole del previsto.
“Lei
odiava sapere che quel ragazzo aveva la possibilità di
ribellarsi e non la sfruttava. Le faceva rabbia, detestava vedere
qualcuno che sprecava una così ghiotta occasione, non voleva
dover combattere anche contro di lui”.
Colpito
ed affondato; Piton si rese conto di aver vinto nello stesso istante
in cui vide le spalle del ragazzo abbassarsi mestamente; la vittoria
aveva decisamente un sapore dolce.
Mancava
solo il colpo di grazia; con una mano andò ad accarezzare il
suo braccio, risalendo fino alla spalla e lungo il collo.
“Non
la biasimo per questo. Come le ho già spiegato, la storia
è
ciclica, signor Potter, e altri prima di lei hanno fatto lo
stesso”,
disse avvicinandosi di più al suo orecchio, mentre la mano
arrivava alla guancia. “Fu per lo stesso motivo che ferii
Lupin.
Lui poteva ribellarsi ai suoi amici, aveva
l’autorità per
fermarli, ma non lo fece. Non le sembra una colpa ben più
grave di quella di suo padre?”.
“Sì...
e Silente l’aveva capito”.
La
frase era uscita in un semplice sussurro, il ragazzo si era
completamente arreso.
Quando
arrivò a sfiorare lo zigomo lo sentì rabbrividire
sotto
il suo tocco e decise, quasi a ricompensarlo,
di concedergli un’ulteriore carezza.
“Non
so dirle se il preside avesse capito o se cercasse solo di tenermi
buono, non dimentichi che avevo scoperto il piccolo segreto del
lupo”, mormorò suadente, togliendo la mano dal
volto del
ragazzo. “Ma ora, Potter,
dovrebbe terminare il suo lavoro. Sembra che lei abbia perso
parecchio tempo”.
Il
ragazzo annuì, ma Piton non poteva dirsi certo che avesse
compreso appieno le sue parole, visto il passo malfermo che
sfoggiava. Soddisfatto dell’esito riprese posto alla
scrivania,
sempre tenendo gli occhi incollati sulla schiena del ragazzo, china
sulla scatola aperta.
Gli
lanciò un’ultima occhiata, mentre si occupava di
una vecchia
pergamena, poi si dedicò ai compiti dei Tassorosso.
Continuarono
a lavorare in silenzio, interrotti solo in un’occasione dal
brontolio dello stomaco del ragazzo, ma solo all’una e dieci
Piton
alzò la testa dalle pergamene, gli studenti stavano
rientrando
al castello e i loro passi si sentivano charamente oltre la porta.
“Penso
possa bastare”, disse freddamente. “Segni il punto
dove è
arrivato. Continuerà il prossimo sabato alle
dieci”.
“Si,
signore”.
Harry
infilò a caso nella scatola la scheda che aveva appena
piegato
e si precipitò fuori dalla porta prima che Piton cambiasse
idea. L’uomo, nel frattempo, lo seguiva con lo sguardo.
“Non
capisco a cosa sia servito tutto questo”.
Severus
distolse lo sguardo dalla porta. Dove fino a pochi minuti prima
c’era
solo un vecchio calderone dal fondo bucato, ora si stagliava la
figura di un uomo.
“Non
mi aspetto tu capisca Lucius. Conosco Potter da sei anni e conoscevo
suo padre, non puoi andare da loro e pretendere di sconvolgere il
loro mondo con poche frasi. No, sono i classici Grifondoro testardi e
orgogliosi. Si deve iniziare a minare le cose in cui credono nelle
più piccole basi e con pazienza, e saranno loro stessi, alla
fine, a farle crollare”.
Ed
era dannatamente appagante, pensò Severus, mentre riponeva
il
vecchio libro sullo scaffale e prendendo nota di riordinare i
numerosi tomi del suo ufficio.
“Come
hai visto, è bastato creare una vecchia scheda e sfruttare
gli
avvenimenti, per insidiare il dubbio nella mente del ragazzo. Quando
tornerà qui per continuare a scontare la sua punizione
porterò
avanti il progetto”, spiegò esasperato.
Aveva
percepito la delusione di Lucius per quell’incarico, del
tutto
marginale e superfluo, già nel salone del vecchio maniero
presso il quale erano stati convocati dal Lord. In fondo un Malfoy
vorrebbe essere superiore a chiunque, persino dopo un fallimento
contro sei ragazzini non ancora diplomati.
La
pozione Antilupo cominciò a ribollire e Severus si distrasse
un attimo per controllarla, consapevole dell’attesa
dell’altro
uomo.
“Se
tutto procede secondo i piani, dovrei riuscire ad entrare nelle sue
grazie entro la fine dell’anno”.
“E
anche nei suoi pantaloni, a quanto sembra. Ho visto come lo
guardavi”.
Severus
si voltò nuovamente verso la porta in noce; non aveva dubbi
che Potter sarebbe stato estremamente guardabile contro quel tipo di
legno.
“Dovesse
capitare, non mi tirerei indietro. Puoi riferire che il piano procede
e che non ho bisogno di un guardiano. Credo di riuscire a gestire un
ragazzino senza una decina di Mangiamorte a guardarmi le spalle,
io”.
Colpito
e affondato. Lucius Malfoy si diresse al camino e scomparve in un
turbine di fiamme
verdi.
Note
finali:
Spero si
sia capito che la parte
in corsivo non è una mia creazione.
Se ne
avete la possibilità,
leggete “Così parlò
Zarathustra” di Nietzche, libro
da cui ho tratto la citazione. L’autore è
complesso, ma la
sua filosofia è affascinante. Io qui mi sono limitata a
riportare il passo più famoso per la ciclicità
della
storia, e la cosa avrebbe bisogno sicuramente di maggiori
approfondimenti, ma io non sono un’insegnante di filosofia, e
questo testo non prevede d’essere una saggio filosofico.
Giuro,
la storia non si
prospettava tanto lunga nel mio inconscio, ma devo aver perduto il
dono della sintesi.
Come
si dice a questo punto… Ah
sì, that’s all folks!
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