Personalmente, adoro il Natale.
Questa fanfic deriva dal piacere di vedere le strade illuminate, la gente che
compra regali per il piacere di farlo e qualche persona felice in più del resto
dell'anno.
Un regalo per tutti gli appassionati di House MD, al di là delle
ship.
Tantissimi auguri di buon Natale a tutti!
Un abbraccio,
Vally
Ps: c'è un leggero e generico riferimento spoiler, nel
senso che la fanfic è ambientata nella 4° stagione. Niente di eclatante però!
MERRY CHRISTMAS
A Natale dovevano
essere tutti più buoni?
Cazzate!
Era la vigilia di
Natale, e lui si sentiva umiliato, frustrato, incazzato e sconfitto.
Soprattutto
l’ultima: sconfitto.
Non sapeva
esattamente cos’era successo, aveva sicuramente bevuto un po’ troppo, anche se
non era la prima volta che si ubriacava durante una partita di poker.
Percepiva che doveva
esserci stato dell’altro, e solo dopo ore di ragionamenti contorti aveva capito
di cosa si trattava: non era lui ad essere particolarmente in difetto, ma Wilson
ad essere nel pieno dei suoi eccessi!
Durante quella
partita era stato agguerrito, determinato, non si era fatto distrarre da nulla;
niente discorsi su donne, neanche un goccio d’alcol, non aveva neanche mangiato
le noccioline.
Aveva combattuto con
tutte le sue forze contro di lui per vincere quella partita di poker, meglio
conosciuta come “la pokerata di Natale”.
Ogni anno, il 23
dicembre, lui, Wilson e altre due o tre persone scelte a caso tra il personale
dell’ospedale, tra quello del supermercato accanto all’ospedale o raccattate
alla fermata del bus, facevano una partita a poker, che apparentemente non aveva
nulla di speciale.
In realtà qualcosa
di speciale c’era, ma era tale solo per lui e il suo amico: c’erano soldi che
giravano, ma chi vinceva tra loro due si aggiudicava il potere sull’altro e
poteva costringerlo a svolgere al suo posto qualcuna delle noiose mansioni
natalizie che, come medici ed esseri umani appartenenti alla loro società, si
trovavano costretti a svolgere.
In questo modo, ogni
anno House aveva evitato di scartare i doni dei pazienti, rispondere a biglietti
d’auguri dei finanziatori e persino di comprare il regalo a sua madre: ci aveva
sempre pensato Wilson, perché lui non aveva mai perso una pokerata di
Natale.
Tranne ieri
sera.
Wilson aveva
combattuto con tutte le sue forze e alla fine aveva vinto.
Si stava preparando
a dover rispondere a decine di bigliettini di ragazzini pelati piagnucolanti, ed
era arrivato ad immaginarsi anche la situazione peggiore che pensava potesse
esistere, cioè doversi vestire da Babbo Natale e presentarsi nel reparto
pediatrico, ovviamente strafatto di Vicodin.
Tutto questo non era
però ciò che Wilson, riuscendo a trattenere a stento un sorrisino di trionfo,
gli aveva ordinato di fare.
Era molto
peggio.
Doveva comprare un
regalo per una serie di persone, che lui aveva ordinatamente elencato su un
bigliettino, e consegnarlo di persona, “cercando di essere amichevole e di
rispettare lo spirito del Natale”.
“Se vuoi posso
comprare io i regali, ma sei sicuro di voler far vivere a me quel stupendo
momento in cui le persone ti ringraziano per i tuoi doni e magari qualche
infermiera si fa dare anche una palpatina…” gli strizzò l’occhio, sapendo sempre
come colpire l’amico.
“Certo, i regali
alle infermiere, ai miei pazienti, e ai miei amici li consegno io.” Wilson gli
strizzò l’occhio di rimando, stando al gioco, “ma forse non hai capito bene cosa
dovrai fare…”
House abbassò lo
sguardo sulla lista. “Perché mai dovresti fare il regalo ai miei ex assistenti?”
chiese titubante, mentre la spaventosa idea di quello che volesse Wilson si
faceva strada nella sua testa.
“House, il regalo
non è da parte mia, ma da parte tua!”
“Cosa?! Ma che cosa
vinci a fare se poi non mi schiavizzi?”
“Certo che ti
schiavizzo, ma non ho nessuna intenzione di farmi privare della gioia che si
prova nel consegnare un regalo alle persone a cui vuoi bene.”
House rispose con
una smorfia schifata.
“Quindi” Wilson
continuò, ignorando la reazione dell’amico “come vincitore della pokerata di
Natale, ti ordino di comprare i regali alle persone che ti ho scritto sulla
lista, regali da parte tua, consegnati da te!”
House rimase a bocca
aperta, mentre si rendeva gradualmente conto della gravità della richiesta di
Wilson. “Ma…tu cosa ci guadagni?” chiese poi all’amico, sinceramente
sorpreso.
L’oncologo sembrò
riflettere per qualche istante, poi prese la lista dalle mani di House, puntando
l’ultimo nome, sotto quello di Cuddy: “Wilson”.
“Lo capirai quando
arrivi qui!”
House lo guardò
basito. “Ti sei messo anche tu nella lista!”
“Certo, sono il tuo
migliore amico.”
“Sei un
bastardo.”
“Non ti conviene
perdere tempo House, hai dei regali da comprare e consegnare, e ormai è già la
vigilia, domani è Natale.”
“Sei un bastardo.”
“Buon
lavoro!”
Wilson lo lasciò con
la breve lista in mano, e quel senso di umiliazione, frustrazione, rabbia e
sconfitta, che con lo spirito natalizio aveva poco a che fare.
Così aveva passato
la vigilia di Natale in mezzo a famigliole isteriche e bambini eccitati, a fare
quello che facevano tutti: comprare gli ultimi regali per i propri
“cari”.
Per lui erano sia i
primi che gli ultimi: giurò che questa sarebbe stata l’ultima volta che si
faceva battere a poker da Wilson.
Eric Foreman
Era ormai tardo
pomeriggio quando era riuscito a tornare al Princeton Plaisboro Teaching
Hospital. Aveva lasciato i regali in ufficio sotto la sua scrivania, decidendo
di portarsene dietro uno alla volta, man mano che andava a consegnarli. L’ultima
cosa che voleva era essere scambiato per la versione zoppa e antipatica di Babbo
Natale.
Foreman era nella
sala equipe a fianco del suo ufficio, poteva vederlo attraverso il vetro chino
su una cartella clinica, completamente ignaro di quello che accadeva attorno a
lui; House si chiese se sapesse che era la vigilia di Natale.
Alzò gli occhi al
soffitto, sbuffando, prima di dirigersi dall’altra parte della
stanza.
Sicuramente Foreman
l’aveva sentito entrare, il ticchettio del suo bastone non lo rendeva
esattamente un ninja, ma nonostante questo non alzò lo sguardo, ne mostrò di
accorgersi che ci fosse un altro essere umano nella stanza.
Con la mano
raggiunse la tazza di caffè posata a lato dei documenti, bevve e la riappoggiò
nello stesso identico punto, senza smettere un istante di leggere, e
probabilmente di seguire un qualche ragionamento medico logico e
inconfutabile.
House rimase un
minuto abbondante in piedi accanto a lui, con una mano stretta intorno al suo
bastone e l’altra che reggeva un pacchetto blu, cercando una frase d’effetto per
distruggere la concentrazione del collega, e possibilmente farlo anche irritare
anche un po’.
“Tua moglie e i tuoi
figli ti staranno aspettando con ansia per la cena della vigilia! Ah già, non
hai nessuno a casa che ti aspetta!” avrebbe potuto fare di meglio, ma tutta
quella faccenda dei regali lo metteva a disagio, e il suo spontaneo sarcasmo ne
stava risentendo.
“Scommetto che tu
invece hai un mucchio di gente che ti ama che non vede l’ora che torni a casa
per godersi un po’ del tuo cinismo natalizio.”
“Io ho Steve, tu non
hai neanche un topo.”
“Ho un
gatto!”
“Hai un
gatto?!”
“Si, ho un gatto.”
solo in quel momento Foreman distolse gli occhi dalle carte, per posarli sul suo
capo.
Vide il pacchetto
nella sua mano, e aggrottò le sopracciglia, perplesso.
“Che cos’hai in
mano?”
“Una bomba. Ho
incontrato quella infermiera bionda con cui te la facevi tempo
fa…Bambi…”
“Wendy.”
“E’ uguale. Mi ha
detto di consegnarti questo.”
House gli porse il
pacchetto, ritirando la mano non appena il collega lo prese, come se
scottasse.
Foreman si alzò
lentamente, guardando con circospezione l’involucro compatto.
“Wendy è a Boston da
mesi.” rifletté ad alta voce.
House si limitò a
fare spallucce.
“E’…tuo?” chiese
sorpreso il neurologo.
“Si, in effetti l’ho
pagato io; però ora è tecnicamente tuo. Funziona così lo scambio di regali, se
non ricordo male.”
Foreman guardò
ancora il pacchetto: più che sorpresa il suo era vero e proprio
sconcerto.
“E’ un pacchetto di
cioccolatini con ripieno di Guttalax?” domandò al diagnosta, cercando il trucco
in quello che era sicuramente uno degli scherzi di pessimo gusto che tanto amava
fare House.
“No, è un’agenda.
Ops, ti ho rovinato la sorpresa. Non volevo, davvero.”
Foreman sorrise.
“Ma…perché? Non mi hai mai fatto regali…”
“Ho perso la
pokerata di Natale con Wilson.” rispose House senza esitazioni, contento che il
neurologo gli avesse fatto quella domanda. “Ogni anno mettiamo in palio delle
mansioni natalizie, ma questa volta…”
“Ok, ok, non
importa.”
House smise di
parlare, contrariato: come non importa?!
E’ la cosa più importante!
“Grazie House.”
Foreman gli porse la mano, senza smettere di sorridere. “Buon
Natale!”
Il diagnosta fisso
qualche istante la mano del collega, indeciso sul da farsi, poi pensò che
probabilmente era il modo più rapido e indolore per uscire da quella situazione
imbarazzante, e gliela strinse.
“Anche a te.”
mormorò prima di lasciare la presa.
Escludendo la
telefonata annuale ai suoi, quella era la prima volta da anni che faceva a
qualcuno gli auguri di Natale.
La cosa che lo
avrebbe però sorpreso di più, è che non sarebbero stati gli unici.
Allison
Cameron
Meno uno.
Alla fine era stato
più semplice di quello che pensava.
Guardò l’orologio:
19.05.
Sapeva che il turno
della sua ex assistente al pronto soccorso era già terminato ma, vigilia di
Natale o no, Allison Cameron non si sarebbe risparmiata qualche decina di minuti
di lavoro extra non pagato, se questo significava aiutare una o due persone in
più.
Di conseguenza,
anche il suo zelante fidanzatino sarebbe stato nei paraggi: se aveva fatto bene
i conti erano ancora ai primi mesi di relazione, quindi in piena fase “non
faccio un passo senza di te”.
Prese un pacchettino
grosso quanto il palmo della sua mano, e se lo fece scivolare nella tasca
interna della giacca; poi ne sollevò uno parecchio più grosso e pesante,
mettendoselo sotto il braccio.
Scese al pronto
soccorso, ma non la vide; un’infermiera gli disse che si era appena
allontanata.
Si diresse allora
negli spogliatoi, sperando di trovarla ancora lì: non poteva pensare di dover
andare a consegnare quei regali casa per casa, e magari di dover presentarsi
anche a qualche parente sovraeccitato dal clima natalizio, in vena di offrire
biscotti e dispensare buoni auguri.
Invaso da questi
inquietanti pensieri, fu molto sollevato nel vedere che la sua ex assistente non
aveva ancora lasciato l’ospedale; gli dava le spalle, indaffarata nel sistemare
qualcosa nell’armadietto personale.
“Cosa ci fai qui,
House?” al contrario di Foreman, Cameron sembrava eccessivamente reattiva a
quello che accadeva attorno a lei.
Non si era neanche
voltata, che già si era accorta della sua presenza.
“Sono venuto a
portarti il tuo regalo di Natale.” rispose, rendendosi conto che quella verità,
detta dalla sua bocca, poteva risultare una battuta ironica di media-alta
qualità.
“Si, certo.” lei
sorrise, mentre finiva di mettere le sue cose in una borsa.
Poi la chiuse, e si
diresse rapidamente verso l’armadio dietro di lui, da cui prese il suo cappotto
che indossò, senza smettere di sorridere.
“Dove vai così di
corsa?” le chiese il diagnosta, che ancora non aveva completamente perso
l’insana curiosità per la vita privata della giovane collega.
“A casa! E’ la
vigilia di Natale, ho lavorato anche troppo per oggi.” gli passò ancora accanto,
tornando al suo armadietto che chiuse con un tonfo.
Estrasse i guanti
bianchi dalla tasca, e li indossò. “Tu non torni a casa?”
Finalmente si fermò
davanti a lui, guardandolo negli occhi.
“Ho un ingrato
compito da svolgere, che mi impedisce di tornare a casa a godermi l’albero e il
presepe che ho preparato con le mie manine.” disse House in tono teatrale,
estraendo il piccolo involucro dalla tasca.
All’inizio aveva
pensato di comprarle una batteria da cellulare, in onore dell’oggetto più strano
che aveva dovuto estrarre quell’anno dal retto di un degenerato, o dalla vagina
di una ninfomane, non ricordava; sarebbe stato davvero divertente. Poi però
aveva pensato al patto fatto con Wilson, e lui non era tipo da rompere un
accordo fatto sotto il nome del sacro poker.
Così gli era venuta
in mente quella lontana sera in cui l’aveva portata fuori a cena e, lasciandosi
sfuggire probabilmente un sorriso, aveva ricordato il complimento che,
impacciato, aveva rivolto ai suoi orecchini. Era l’unica occasione in cui glieli
aveva visti indossare, o almeno in cui ci aveva fatto caso.
Aveva optato allora
per un paio di orecchini pendenti, delegando ad una commessa la scelta di
qualcosa di elegante, ma non troppo.
Si era reso conto di
non conoscerla abbastanza per puntare su qualcosa di estremo.
Rimase con il
pacchettino in mano, che però Cameron sembrava non avere notato.
“Non c’è bisogno di
avere la casa addobbata per godersi un po’ il Natale, House. Vai a farti un
giro, ti farà bene.”
L’espressione
genuinamente contenta della dottoressa, gli fece per un attimo credere che forse
bastava davvero farsi un giro in mezzo agli addobbi di Natale per sentirsi
meglio.
“Seguirò certamente
il tuo consiglio.” mentì “Ma prima dovresti notare il pacchetto che ho in mano,
prenderlo, guardarlo con l’aria sorpresa, dirmi grazie e buon natale. Solo a
quel punto sarò libero di uscire di qui.”
Cameron abbassò lo
sguardo sulla sua mano, e lui le porse il piccolo involucro.
“E’ un
regalo?”
“No, delle cornee.
Le ho prese da un tizio che mi è morto l’altro giorno, pensavo che qualcuno dei
tuoi pazienti avrebbe potuto averne bisogno. La carta rossa con i fiocchetti
serve a mantenerle integre, hanno scoperto che è molto meglio di quegli
ingombrati contenitori di plast”
Sarebbe potuto
andare avanti così per ore, ma lei agì talmente rapidamente che la sorpresa di
trovarsi le sue braccia al collo lo ammutolì all’istante.
Lo aveva abbracciato
di slancio. “Grazie House!”
“Ok…” batté
lentamente il pacchetto che aveva ancora in mano sulla schiena della donna,
cercando di attirare la sua attenzione su quello. “Se non lo prendi entro dieci
secondi lo riciclo come fermatavolo.”
Cameron sciolse
l’abbraccio. “Ho ancora otto secondi.” disse, tornando rapidamente al suo
armadietto.
Lo aprì, estraendo a
sua volta un pacchetto incartato.
“Auguri di buon
Natale.” gli disse, porgendoglielo.
Stentò a
crederci.
Non perché Cameron
gli avesse fatto un regalo…in realtà quello accadeva ogni anno.
Era la prima volta,
però, che glielo consegnava di persona; di solito si limitava a farglielo
trovare da qualche parte.
“Ecco chi era il
babbo Natale del Plaisboro.” si finse sorpreso, prendendo il pacchetto e
rigirandoselo tra le mani.
“Ti ho sempre
lasciato un biglietto firmato.” disse lei, sfilandogli il piccolo involucro del
suo regalo dalle dita dell’altra mano di House, appoggiata al
bastone.
“Finalmente uno
scambio equo.”
“Non sembri
sorpresa.”
“Non lo
sono.”
House la guardò
confuso. “Dovresti esserlo.”
“Non lo sono.”
ripeté lei, inamovibile.
House la fissò
qualche istante pensieroso, arrivando alla conclusione che quella era una
battaglia persa in partenza: quando si trattava di vedere il lato buono delle
persone, non c’era racconto di scommesse e sconfitte a poker che potesse
abbattere Cameron.
Fu sorpreso nel
pensare che, nonostante avesse più volte tentato di distruggere le sue
convinzioni, queste erano sopravvissute, a lui e a tutte le cose brutte che si
vedevano in un ospedale. Si chiese se quello che lui aveva sempre considerato
ingenuo e infantile, non era forse solo una modalità di adattamento molto più
evoluta della sua.
“Bene.” disse il
diagnosta guardandosi intorno “Ora ho bisogno del tuo fidanzatino.”
“Hai fatto un regalo
anche a Chase?” questa volta una nota di sorpresa sfuggì dalla bocca di
Cameron.
“Già.”
“Se n’è già andato a
casa…”
“Come, ti ha
abbandonata la notte della vigilia?”
“I miei genitori
sono venuti a trovarmi, ma abbiamo deciso che è troppo presto per parlar loro
della nostra relazione.”
“Molto
interessante.” ribatté House sarcastico.
Cameron alzò gli
occhi al soffitto.
“Quando lo
vedrai?”
“Domani.”
“Bene, questo allora
posso lasciarlo a te.” le porse un grosso pacchetto, incartato con della carta
da giornale.
Cameron scosse la
testa; posò una mano sul quella che lui stringeva intorno all’involucro,
spingendoglielo contro il petto. “Casa sua è di strada, portaglielo tu. Gli farà
piacere.”
House sbuffò,
contrariato.
“Gli farà piacere.”
ripeté la donna, lasciando la sua mano.
Avrebbe voluto
rispondere con un secco “e chi se ne frega!”, ma la determinazione con cui
Cameron lo guardava, gli fece capire che alla fine avrebbe vinto lei.
“Quanto sei
cocciuta.” bisbigliò, portandosi il pacco ancora sotto il braccio.
Cameron sorrise.
“Ancora tanti auguri House.”
Lui annuì, guardò
ancora il pacchettino con gli orecchini, stretto nella mano della donna, e
quello che lei gli aveva dato, tra le sue dita: una sensazione poco familiare lo
attraversò, ma preferì non indagare.
Si voltò e, tentando
di trattenere un sorriso, lasciò la stanza.
Meno due.
Robert Chase
Chase aprì pochi
istanti dopo che lui suonò il campanello, come se fosse stato dietro la porta
ad aspettare qualcuno.
Quando varcò la
soglia, House si rese conto che aveva semplicemente una casa piccolissima, e
anche nell’angolo più lontano dell’ingresso questo sarebbe stato facilmente
raggiungibile in un massimo di tre secondi.
“House?! Cos’è
successo?”
Finalmente un po’ di
sano sconcerto.
“Cameron non ha
voluto collaborare.” si limitò a rispondere il diagnosta.
“Entra.” disse
Chase, confuso.
House varcò la
soglia, e fu sorpreso di vedere, in un angolo, un albero di Natale addobbato con
cura e tutto illuminato.
“Wow, non è un po’
troppo per un monolocale e una sola persona?” chiese il diagnosta, sinceramente
sorpreso.
Chase fece
spallucce, evitando di rispondere. “Cosa ci fai qui la vigilia di Natale?”
chiese a sua volta, sempre più stupito.
“Sono venuto a
portarti questo.” House preferì arrivare subito al dunque, e gli porse il pacco,
che stava diventando troppo pesante per lui da portare in giro.
Il giovane medico lo
prese titubante. “E’ per me?”
Al diagnosta vennero
in mente decine di battute sarcastiche con cui ribattere alla domanda retorica
del collega ma un qualcosa, che ancora non riuscì ad identificare, lo
bloccò.
Si limitò ad
annuire.
Chase si girò
d’istinto verso il suo albero, sotto il quale giaceva solo un minuscolo
pacchetto, incartato con riguardo. “Quello è di Cameron.” disse.
“Un albero così
grosso per un solo regalo?”
“L’albero non si fa
per i regali.” dichiarò automaticamente Chase, come se fosse una cosa
ovvia.
Per House non era
affatto ovvio; credeva che l’albero lo facesse solo chi aveva dei regali da
metterci sotto.
“Posso aprirlo
subito?” chiese l’intensivista al suo ex capo, guardandolo negli
occhi.
“Fai come vuoi...”
House fu colto alla sprovvista, ma non gli venne in mente niente di sensato da
ribattere.
Chase appoggiò il
pacco sul tavolo, e incominciò a scartarlo.
House lo seguì,
notando la bottiglia di spumante e un panettone aperto in un angolo del
tavolo.
“Ti sei comprato
anche il panettone e lo spumante…” constatò, sorpreso nel vedere l’attaccamento
dell’ex collega a quella che lui considerava una stupida tradizione.
“Sono quelli che
Cuddy ci regala ogni anno, li uso per il mio party di Natale.” rispose lui,
senza un filo di sarcasmo nella voce.
“Cuddy ci regala il
panettone?”
“Si, ne arriva
sempre uno anche nel tuo ufficio.”
“Ah.” non se n’era
mai accorto.
Chase aveva finito
di scartare il regalo, e ora teneva tra le mani un grosso tomo di almeno un
migliaio di pagine.
“E’ il manuale di
chirurgia neonatale più completo che abbiano mai pubblicato!” esclamò,
meravigliato.
“Già, se ti sembra
usato è perché è usato. E’ mio. Avevo comprato quello che c’è ora in commercio,
ma mi sono accorto che la nuova edizione non aveva tutte quelle foto di
marmocchi che a te sicuramente piacciono tanto. Quindi ho pensato che avresti
apprezzato più il mio. Tranquillo, non l’ho mai sfogliato molto.”
“Grazie House.”
Chase non aveva ancora alzato gli occhi dal grosso libro che teneva tra le mani,
con la bocca semiaperta per la sorpresa.
House non si
aspettava certo una reazione così eccitata per un manuale medico.
“Ti stai comportando
come se fosse il miglior regalo che avessi mai ricevuto.”
“Credo che lo sia…”
rispose Chase, incominciando a sfogliare il libro.
“I tuoi genitori non
ti hanno mai regalato una Play Station?”
“Una madre
alcolizzata e un padre scomparso nel nulla non sono i migliori candidati allo
shopping natalizio.” lo disse con naturalezza, ancora nessuna traccia di
sarcasmo nella sua voce.
House si guardò
intorno: la casa era ordinata e ben arredata, ma non c’era nessuna traccia di
oggetti che si potessero definire “personali”, né di fotografie.
Chase non aveva più
i genitori, non aveva fratelli, e che lui sapesse nessun’altro parente, almeno in
quel continente.
A volte sentiva di
essere l’uomo più solo al mondo, ma guardando il suo ex assistente che ammirava
quel vecchio libro, in quella casa vuota e impersonale, si rese conto che
avrebbe perso il confronto con Chase: era lui, l’uomo più solo al
mondo.
“Bè, ora c’è
Cameron.” le sue riflessioni furono interrotte dalle parole del collega, che
sembrava aver seguito in qualche modo il corso dei suoi pensieri. “Ma devo
ancora abituarmici.”
House annuì,
guardandolo pensieroso.
“E’ davvero un bel
regalo, grazie.” fece un passo verso di lui.
“Non pensare di
abbracciarmi, o giuro che mi riprendo quel manuale e lo uso come
fermaporte.”
“Volevo solo
prendere questa.” Chase allungò la mano, prendendo la bottiglia di
spumante.
Senza aspettare il
consenso del diagnosta, versò due bicchieri, e gliene porse uno.
A nessuno dei due
venne in mente un brindisi sensato, quindi si limitarono ad alzare il bicchiere
e portarselo poi alla bocca.
House lo bevve tutto
in un sorso, sperando che l’alcool lo distraesse un po’ da tutte le cose strane
che stavano accadendo quella sera.
“Grazie..” riprese
Chase.
“Smettila di
ringraziarmi!”
“Stavo dicendo…”
prese la bottiglia e versò un altro bicchiere ad entrambi. “Grazie per avermi
licenziato nel momento giusto.”
“Nessuno mi aveva
mai ringraziato per averlo licenziato.”
“Consideralo il mio
regalo di Natale.”
“Che schifo.
Preferivo una moto nuova.”
Chase sorrise,
finendo il suo spumante e appoggiando il bicchiere sul tavolo.
House fece lo
stesso.
“Ora devo andare.”
disse il diagnosta, avviandosi all’ingresso.
Chase lo precedette,
aprendogli la porta. “Buon Natale.” gli disse, dandogli una rapida pacca sulla
spalla.
“Si, ok.
Ciao.”
Meno tre.
Lisa
Cuddy
Quando arrivò a casa
di Lisa Cuddy era ormai ora di cena, e non si stupì di trovare la sua villetta
tutta illuminata, le luci accese, e i chiari indizi di una festa in corso.
C’erano un paio di macchine oltre alla sua, parcheggiate nel vialetto davanti a
casa, e dalle ampie vetrate si vedevano passare delle persone, dalla cucina alla
sala da pranzo.
Non sapeva molto
della famiglia di Cuddy, se non che aveva una famiglia: i genitori erano ancora
in vita, e da quello che aveva capito aveva almeno un fratello e forse un paio
di nipoti. C’erano delle foto di bambini a casa sua e sulla sua scrivania in
ufficio.
Guardò l’orologio:
erano le otto e mezza passate, probabilmente la cena era solo agli
inizi.
C’erano due cose che
sapeva: primo, doveva consegnare entro Natale quei regali, come da accordo,
secondo, non aveva nessuna intenzione di presentarsi a casa del suo capo nel
pieno di una festa famigliare. I parenti erano una categoria di persone che,
come medico, aveva imparato a disprezzare, e d’altra parte era convinto che
avrebbe spaventato Cuddy a morte suonando a quel campanello: avere interrotto un
appuntamento poteva anche passare, ma se lo avesse visto arrivare nel bel mezzo
di un felice ritrovo famigliare probabilmente gli avrebbe assegnato 24 ore
filate di ambulatorio.
Era decisamente più
prudente aspettare in macchina che tutti se ne fossero andati; le incursioni in
piena notte erano anche più consone al suo stile.
Parcheggiò
dall’altra parte della strada, preparandosi ad una lunga attesa; tanto, non
aveva nient’altro da fare.
Dopo qualche minuto
gli venne in mente una cosa, portò una mano sul sedile posteriore, ed afferrò il
pacchetto che gli aveva dato Cameron.
Non era ancora
Natale, ma Chase aveva già aperto il suo regalo, quindi avrebbe potuto farlo
anche lui; era anche abbastanza sicuro che non ci sarebbe stato nessun dio
pronto a fulminarlo.
Scartò l’involucro,
mentre tentava di ignorare il sentimento che lo coglieva, simile a quando aveva
tra le mani i risultati di qualche esame su un paziente ostico, e li estraeva
dalla busta per leggerli.
La carta da regalo
conteneva una scatola, che aprì con impazienza.
Gli sfuggì una breve
risata, quando ebbe tra le mani il suo primo, e probabilmente unico, regalo di
Natale: era una palla di vetro, di quelle che capovolgi per veder scendere la
neve, solo che al posto del solito panorama c’era un omino con il camice da
medico, e una siringa in mano.
Era il regalo più
inutile che avesse mai ricevuto, ma nonostante questo sentì di non
disprezzarlo.
Lo scrollò un po’ di
volte, e poi lo appoggiò sul cruscotto: ora aveva anche lui il suo addobbo di
Natale.
Si svegliò di
soprassalto, sentendo che il gelo di dicembre aveva ormai raggiunto le sue ossa,
facendogli dolere la gamba più del solito.
Automaticamente, si
portò una mano alla boccetta di pillole, e ne ingoiò una.
Si ricordò dov’era e
cosa stava facendo, e guardò nella direzione della casa di Cuddy.
C’era un albero
addobbato all’ingresso, che si illuminava ad intermittenza di blu e argento, ma
a parte quello la villetta sembrava immersa nel buio e nella
tranquillità.
Guardò dritto
davanti a sé, accorgendosi che ormai albeggiava.
L’orologio della sua
auto indicava che aveva praticamente passato la notte di Natale in macchina,e
che ormai erano le 6.30 di mattina.
Addio incursione
notturna.
Un risveglio
all’alba l’unico giorno che probabilmente poteva dormire, era però una
performance all’altezza.
Scese dalla
macchina, ricordandosi all’ultimo di prendere il pacchetto rosso abbandonato sul
sedile accanto al suo.
Quando arrivò
davanti alla porta d’ingresso della casa del suo capo, il dolore alla gamba era
ormai scomparso, non si volle chiedere se per la dose di Vicodin appena assunta,
o per quello strano miscuglio di sentimenti che consegnare regali incominciava a
portargli.
Suonò il campanello,
tenendo il dito premuto più del dovuto.
Si aspettava di
dover insistere, ma Lisa Cuddy venne ad aprirgli subito, vestita in modo
elegante ma sobrio, sorridente e, apparentemente, pienamente sveglia.
“House cosa ci fai
qui a quest’ora?!” chiese stupita ma non abbastanza, secondo lui, vista l’ora.
“So che avrebbe reso
meglio nel pieno della notte, ma mi sono addormentato.”
Cuddy guardò la
macchina parcheggiata dall’altra parte della strada; per un attimo sembrò
soppesare l’idea di chiedere spiegazioni, ma poi dovette scegliere di lasciar
perdere, perché si limitò a farsi da parte per farlo entrare.
House si guardò
intorno: la casa perfettamente in ordine, qualche regalo sotto l’albero e…fece
due passi verso la cucina, accorgendosi che non c’erano stoviglie da lavare.
“Sei rimasta sveglia tutta la notte a risistemare la casa dopo la cena con il
parentado? E’ così che festeggi il Natale?”
“Si, sono rimasta
sveglia, ma non per pulire. Solo che non riuscivo a dormire, e quindi ho messo
un po’ a posto.”
House la guardò,
cercando di capire perché non avesse dormito: era raggiante, sembrava
felicissima.
“Sei riuscita
finalmente a vedere Babbo Natale con tutto l’ambaradan di renne e
slitta?”
“No.” una risata
spontanea lo colse, confondendo House ancora di più.
“Sei ubriaca?” le
chiese, mentre la seguiva in salotto,.
“No!” esclamò lei,
fingendosi offesa.
Si sedette sulla
poltrona, e lui fece lo stesso su quella davanti a lei.
Estrasse il
pacchetto dalla tasca, e glielo porse.
“Ora potrai dire
d’averlo visto.” dichiarò, per evitare che si creasse un imbarazzante
silenzio.
“Chi?” chiese lei,
rigirandosi il pacchettino tra le mani.
“Babbo
Natale!”
“Ah.”
“Cuddy, i tuoi
nipotini spacciano già anfetamine?” quando non stava dietro alle sue battute
davvero non la sopportava.
“Siamo tutti precoci
in famiglia.” rispose lei senza esitazioni, incominciando a strappare la carta
dalla scatoletta che House le aveva consegnato.
Il diagnosta la
osservò senza sapere cosa dire: era decisamente su di giri, iperattiva, e
sembrava non essersi praticamente accorta che lui si era presentato a casa sua
all’alba di Natale.
Aprì in fretta la
scatoletta, rimanendo a bocca aperta.
Estrasse poi
lentamente il gioiello dall’involucro rosso, rapita da quella collana di perle,
esattamente come piaceva a lei; perfetta.
“Oddio
House…”
“Mi sei costata più
di tutti gli altri messi insieme, vorrei che te lo ricordassi la prossima volta
che faccio fuori qualcuno.”
Cuddy alzò lo
sguardo su di lui. “Ma sono perle vere?”
“Pescate di
persona.” rispose, cercando di non farsi contagiare dal sorriso della donna, che
era diventato ancora più luminoso.
“Finalmente Wilson
ha vinto”
“Cosa?!” chiese
House, sbalordito. Aveva quasi dimenticato la sconfitta a poker, e non li
piacque che lei la tirasse fuori in quel momento.
“Parlo del poker, so
che fate delle scommesse natalizie…”
“Avrei potuto
comprarti delle graffette.” rispose lui, sentendosi in qualche modo
offeso.
“Lo so.” lei si
alzò, senza smettere di sorridere.
Probabilmente
l’avrebbe abbracciato, ma lui era ancora seduto, quindi si limitò a prendergli
una mano e a stringerla. “E’ il più bel Natale della mia vita.” gli disse, con
un trasporto che non aveva mai sentito nella sua voce.
House inarcò le
sopracciglia, sempre più confuso.
Si alzò, parandosi
davanti a lei. “Non stai parlando del mio regalo però…”
Lei sospirò. “Non
solo.” lo disse come se si fosse liberata di un grosso peso, o come se lo stesse
per fare.
“Cosa succede,
Cuddy?” le chiese, sempre più incuriosito.
Lei fece il più bel
sorriso che le avesse mai visto.
“Sono
incinta.”
Rimase a guardarlo,
in attesa di una qualche reazione, ma House sembrava paralizzato.
“Sei…cosa?” chiese
sbalordito, come se fosse l’ultima cosa che si aspettava di sentirsi
dire.
“Aspetto un
bambino!” ripeté lei, stringendo ancora la collana di perle tra le mani, “Ho
fatto il test stanotte, dopo che se ne sono andati tutti, ed era positivo. Sono
così eccitata che non sono riuscita a chiudere occhio.”
Non c’era bisogno
che glielo dicesse, il fatto che era su di giri era stato chiaro dal primo
momento che l’aveva vista quella mattina.
“Il padre?” chiese
lui, cercando di apparire tranquillo, mentre una serie di emozioni sconosciute
lo invadevano.
“Il signor BX42.” lo
disse ridendo, “Ho fatto l’inseminazione artificiale.”
“Credevo avessi
lasciato perdere.” era stato House a farle quelle punture ogni giorno per
settimane, e credeva di avere quindi sotto controllo tutti i tentativi del suo
capo.
“L’avevo fatto. Ma
stavo malissimo House, non riuscivo proprio ad accettarlo. Sono tornata dal mio
ginecologo, e abbiamo deciso di provare una procedura sperimentale con una
bassissima possibilità di riuscita ma…ha funzionato!”
Il diagnosta la
squadrò da capo a piedi, cercando di immaginarsi il suo corpo tra qualche mese.
“Ti cresceranno le tette.” constatò, cercando un modo di rimanere su un
territorio a lui familiare.
“Non solo!” lei si
portò d’istinto una mano alla pancia, stringendo ancora tra le dita le
perle.
“Quella allora
conservala per tua figlia.” le disse House, indicando la collana.
“Chi ti dice che
sarà una bambina?”
“Con tutti quei
tailleurs che non potrai più indossare…non vorrai buttarli? Se c’è una qualche
divinità che decide il sesso dei nascituri, sarà sicuramente contro lo spreco di
soldi e stoffa firmata.”
Cuddy scosse la
testa, ridendo. “Va bene, bambina sia allora.”
Sapeva che l’avrebbe
fatto, e non se la sentiva di fermarla, anche se in quanto Gregory House avrebbe
dovuto almeno provare a farlo.
Gli portò le braccia
intorno al collo, alzandosi sulle punte dei piedi per stringerlo.
Lui le portò una
mano ai capelli, appoggiandola solo leggermente, per paura che lei potesse
interpretare quel breve contatto come una carezza.
Quella piccola donna
aveva fatto tutto da sola…aveva combattuto e poteva dire di aver vinto. Tutta
quella felicità era contagiosa e, per un’altra volta in quegli stranissimi due
giorni, non aveva potuto fare a meno di sorridere.
Così lei lo trovò
sorridente, quando sciolse l’abbraccio.
“E’ una cosa
bellissima vero?” gli chiese.
“Non mollerai
l’ospedale a qualche omaccione incorruttibile vero?”
“No, House. Prenderò
qualche mese, ma poi tornerò.”
“Ok, allora è
accettabile.”
Lei annuì. “Grazie
del regalo.” gli disse, “E’ stata la seconda sorpresa più bella di questo
Natale.”
“Per questa volta mi
accontenterò del secondo posto.” rispose House.
Così lasciò anche
quella casa, un altro posto pieno di festa.
Mancava solo Wilson,
dal quale sarebbe potuto andare quella sera.
Il pensiero di
tornare a casa sua, però, lo deprimeva.
Decise allora di
aspettare in giro un paio d’ore, e poi recarsi dall’amico, per cui aveva
preparato il regalo più bello.
James
Wilson
Gli venne ad aprire
la mamma di Wilson, che aveva già incontrato in un paio d’occasioni.
L’ideale sarebbe
stato trovarlo da solo in casa, ma sapeva che era praticamente impossibile quel
giorno, e la famiglia di Wilson era quantomeno tollerabile; i suoi genitori
avevano sentito molto parlare di lui, e sapevano come trattarlo.
“Buongiorno House.”
lo accolse la donna, per niente sorpreso di vederlo.
Lui le rivolse un
sorriso di circostanza, entrando e cercando subito con lo sguardo
l’amico.
Lo individuò intento
a farcire un pandoro con della crema di mascarpone.
Patetico.
“Oddio Wilson, ti
prego smettila di fare la donna di casa, una volta che c’è tua
madre…”
“Io sono il cuoco
migliore qui dentro.” esclamò lui, orgoglioso.
House sbuffò,
guardandosi intorno.
Il papà di Wilson,
dalla poltrona davanti al televisore, gli fece una cenno di saluto, a cui
rispose.
“Com’è andata la
consegna dei regali?” chiese l’oncologo, senza smettere di trafficare con il
dolce.
“E’
andata.”
“Come ti
senti?”
“Alleggerito di
circa 400 dollari.”
“A parte quello?
Nessuno ha ricambiato il regalo?”
“Cameron.” rifletté
un istante “E Cuddy, in un certo senso.”
“In un certo senso?”
Wilson spostò l’attenzione su di lui.
“In un senso che non
ho nessuna intenzione di spiegarti.” tagliò corto House, deciso a tenere la
notizia per sé, almeno per un po’.
Wilson fece
spallucce, e ricominciò a lavorare con la crema di mascarpone.
“Hai un
bell’aspetto, House. Sembri felice.” l’oncologo sapeva che quel tipo di
conversazioni irritavano l’amico da impazzire, ma a volte non riusciva proprio a
farne a meno.
“Ma smettila di dire
stronzate! Ho anche dormito in macchina.”
“Hai dormito in
macchina?!”
“Lascia
stare…”
“So che non me lo
dirai mai, ma secondo me fare felice delle persone sorprendendole il giorno di
Natale fa sentire veramente bene.”
House rispose con un
grugnito che voleva essere una protesta, ma a Wilson suonò solo come conferma
alle sue convinzioni.
“Se la smetti di
fare la cuoca e mi dai retta un attimo finisco le mie consegne, e posso andare a
casa; ci sono una bottiglia di whisky e un flacone di Vicodin che aspettano con
ansia che papà torni.” disse impaziente House, lavandogli senza tante cerimonie
il coltello dalla mano.
“Ok,ok.” Wilson si
pulì le mani su uno strofinaccio, e lo seguì in corridoio.
“E con questo ho
finito.” dichiarò soddisfatto il diagnosta, liberandosi dell’ultimo
pacchetto.
Wilson lo scartò
subito, restando poi qualche istante ad ammirare il suo regalo.
House non riuscì a
capire, dal suo volto, se era contendo o psicologicamente distrutto.
Gli aveva comprato
la cravatta più ridicola che aveva trovato, rossa tempestata di babbi natale e
slitte piene di doni.
“Non hai ancora
visto la cosa migliore!” esclamò House, schiacciando la punta della
cravatta.
Una musica natalizia
si diffuse intorno a loro, facendo voltare anche i genitori di Wilson, che
rivolsero loro uno sguardo perplesso.
“Wow…” disse
titubante l’oncologo, dopo qualche secondo di mutismo.
House era pienamente
soddisfatto di quel regalo, perché rappresentava la vendetta perfetta: era un
regalo, e quindi Wilson sarebbe stato costretto ad indossarla a lavoro almeno
una volta, e nello stesso tempo, per evitare di fare lo stesso identico regalo,
il suo amico si sarebbe risparmiato dal donargli a sua volta una cravatta per i
prossimi due o tre compleanni. Si considerava così in salvo per 36 mesi
buoni.
“E’...originale…” Wilson era perplesso,
ma sembrava che stesse pensando a qualcosa. “E’ perfetta!” esclamò poi,
soddisfatto.
“Non ci credo” pensò House, ormai
esasperato.
“La metterò per i
giri nel reparto oncologico pediatrico. Grazie House!”
“Ti odio.” dichiarò
il diagnosta, in un tono che sfiorò pericolosamente la più genuina
sincerità.
“Buon Natale anche a
te.” replicò Wilson, per niente turbato. “Sei sicuro di non voler rimanere qui
per pranzo?”
“No, ho delle cose
da fare a casa.”
“Già…”
House salutò i
genitori di Wilson, e li lasciò ai loro festeggiamenti diretto, finalmente, a
casa sua.
Entrò, accolto dal
famigliare silenzio delle sue stanze.
Si avvicinò al
pianoforte, e ci appoggiò sopra la palla di neve regalata da Cameron.
Andò poi a prendere
la bottiglia di whisky, e si riempì un bicchiere, che buttò giù con un
sorso.
“Buon Natale House.”
mormorò poi tra sé e sé.
Sembrava un Natale
come tutti gli altri ma, una volta seduto al pianoforte, una volta che le sue
dita incominciarono a muoversi leggere sui tasti, dovette ammettere anche lui
che non era così: le note che uscirono non erano lente e tristi, ma un allegro
motivetto, che forse si poteva definire natalizio.
Era la prima volta
che il Natale entrava a casa sua.
“Buon Natele House”
ripeté a sé stesso, e questa volta le sue parole, erano sincere.
Fine
Vally
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