Disarm –
The Smashing Pumpkins
{Disarm you with a smile}
“Forty years old
and I haven't done a thing that I'm proud of.”
Scott ricorda la sera in cui ha conosciuto
Harvey come se fosse ieri: erano le dieci e mezza e alla fermata della metro di
Bleecker Street la gente correva qua e là quasi
fossero stati formiche impazzite, i corridoi invasi da persone che
probabilmente stavano per iniziare il proprio turno di notte nei cantieri o
chissà dove. Lui invece bazzicava lì in giro soltanto per rimorchiare, ma quel
giorno la caccia non era risultata affatto fruttuosa.
Si era dunque deciso a fare ritorno al
proprio appartamento, quando sulle scale aveva sentito qualcuno chiamarlo e si
era voltato: davanti a lui c’era un uomo in giacca, cravatta e ventiquattrore che
non aveva esitato un istante a presentarsi.
Diceva di chiamarsi Harvey, e Scott aveva
ripetuto il suo nome con fare perplesso, per poi riprendere il proposito
iniziale di tornare a casa.
L’altro però era ripartito subito in
quinta, spiegandogli che quel giorno compiva gli anni –per davvero- e che non aveva alcun programma per la serata: ne era dunque
seguito un breve scambio di battute in cui lo aveva esplicitamente invitato a
tenergli compagnia.
Scott aveva riso piano per la sfrontatezza
–ma nemmeno poi tanto: ormai c’era abituato, nel loro ambiente la faccia tosta
era il miglior biglietto da visita che si potesse sfoggiare- e aveva cercato
d’indorargli la pillola: sì, era carino quando sorrideva, ma andiamo… che cazzo c’azzeccava un impiegato
quarantenne impomatato con un poco più che ventenne fasciato in un paio di
jeans che lasciavano ben poco spazio all’immaginazione?
“Beh, allora è la mia serata fortunata: ne
ho ancora trentanove.” gli aveva sorriso sornione l’altro, indicandogli l’orologio
al polso: erano le undici e un quarto, e in quel preciso istante Scott aveva
capito che non si sarebbe liberato così facilmente di quella sottospecie di
borghesuccio dal sorriso terribilmente radioso.
Il
successivo bacio gliene aveva dato la conferma.
I used to be a little boy
So old in my shoes
And what I choose is my choice
What's a boy supposed to do?
Vent’anni –diciotto, avrebbe precisato subito Harvey, non c’era alcun motivo di farlo diventare più vecchio- di
differenza potevano essere molti o pochi, a seconda delle persone con cui ci si
ritrovava ad affrontare l’argomento: per lui ed Harvey invece non contavano
nulla… erano decisamente più importanti i momenti trascorsi insieme a fumare
spinelli sul materasso sfondato, le torte di compleanno tirate in faccia a
tradimento, le notti passate a discutere di politica e cinema, a fare l’amore e
a mangiare latte e cereali, per poi tornare nuovamente a rotolarsi tra le
lenzuola come degli sposini in luna di miele.
Scott sapeva che l’aver seguito Harvey a
San Francisco era stata una delle scelte più giuste che avesse potuto mai fare…
non poteva dire la stessa cosa del giorno
in cui aveva raccattato i suoi quattro stracci e aveva deciso di andarsene dal
loro appartamentino a Castro Street.
Aveva rinchiuso tutto in uno scatolone e
si era meravigliato di come tutti i suoi averi riuscissero a starsene buoni lì
dentro –fortunatamente la marea di ricordi era stata archiviata dentro la sua
testolina ormai ex-riccioluta- per poi sospirare pesantemente.
Aveva salutato il cane e, arrivato alla
porta, si era voltato a guardare per l’ultima volta l’uomo che aveva tanto
amato e che non riusciva a disprezzare nemmeno in quell’istante.
Si erano studiati per qualche secondo,
attimi in cui Scott aveva sperato con tutto se stesso che Harvey gli
promettesse di lasciar perdere tutta quella corsa all’oro in cui ormai si erano
trasformate le sue candidature e lo implorasse di restarsene lì, ma non era
successo niente di più.
Non gli era rimasto altro da fare se non
chiudersi la porta –una fase della
propria vita- alle spalle: dopodiché era sceso giù in strada quasi correndo
mentre, da dietro le tende del loft al primo piano, Harvey lo stava osservando,
maledicendosi mentalmente per non averlo saputo trattenere e stringere a sé.
The killer in me is the killer
in you
Dopo la fine della loro storia, Scott
aveva passato parecchio tempo ad analizzare e rielaborare le varie tappe che
avevano costellato la sua relazione con Harvey, ed era giunto ad una
conclusione: ognuno aveva cercato di ammazzare l’altro, sottraendogli un po’
delle cose che avrebbero potuto soddisfarlo o donargli qualche gioia
quotidiana.
Per Harvey le vittime erano i propri
ideali, i ragazzi che Scott cacciava di casa quando si faceva una certa ora, la
certezza di avere una lotta da mandare avanti, qualcosa in cui credere… per
Scott invece erano i piatti di arrosto che era costretto a gettare nella
pattumiera perché ormai erano immangiabili, la tovaglia sporca della cera
colata dalle candele ormai bruciate, il posto vuoto e freddo accanto a sé
quando si rigirava tra le lenzuola.
Non esisteva un solo colpevole: entrambi
erano responsabili di essersi reciprocamente messi i bastoni tra le ruote, di
aver lasciato morire la loro relazione un po’ troppo consapevolmente.
Entrambi
erano degli assassini.
My love
I send this smile over to you
In realtà la maggior parte delle volte
Scott lasciava perdere i lati negativi della loro storia e si concentrava sulla
miriade di ricordi meravigliosi che quel
giorno non era riuscito a far stare dentro allo scatolone: capitava che qualche
pomeriggio tirasse fuori le fotografie e le sfogliasse lentamente, una ad una,
prestando attenzione ad ogni singolo dettaglio impresso sulla carta lucida.
Adorava il sorriso di Harvey, così come
Harvey andava letteralmente in estasi con il suo: entrambi erano molto abili ad
usarlo per convincere l’altro ad accontentare le proprie richieste, fossero
stati il chiudere un occhio sull’ennesima riunione del comitato elettorale o
l’annullarne una per rimanere a letto a leggere Bukowski e sbocconcellare fette
di pane imburrato, magari con un po’ di opera in sottofondo.
E, anche se non stavano più insieme, Scott
si ritrovava molto spesso a sorridere intenerito davanti a quegli scatti, quasi
sperasse che quelle fotografie potessero fungere da specchio e riflettere le
proprie labbra curve davanti a Harvey.
Forse così sarebbe tornato da lui, forse
così avrebbero potuto far combaciare i reciproci sorrisi –e le labbra- come le
tessere di un mosaico rimasto incompleto per troppi anni, forse così sarebbe
tornato tutto come un tempo…
Forse
così sarebbe finalmente tornato.
Disarm you with a smile
And leave you like they left
me here
L’ultimo sorriso che Harvey gli aveva
rivolto era stato alla festa per i suoi quarantotto anni: era rimasto sorpreso
quando lo aveva visto comparire lì, ma la curva che avevano creato le sue labbra
aveva chiaramente parlato per lui; era felicissimo di vederlo, e Scott poteva
dire esattamente la stessa cosa.
C’era stato un rapido ma alquanto complice
scambio di battute in cui ciascuno dei due sembrava stesse cercando di
accalappiare l’altro, ma alla fine il più giovane si era limitato a fargli gli
auguri e a ricordargli che la cinquantesima primavera ormai era dietro
l’angolo, pronta ad accoglierlo a braccia aperte.
Dopodiché si erano baciati e lui era
scomparso tra gli invitati, lasciando che l’ombra di quel sorriso potesse
avvolgerlo silenziosamente.
Anzi, ricordava male: l’ultimo sorriso che
Harvey gli aveva donato era stato durante la
famosa telefonata.
Harvey era appena tornato dall’opera e gli
aveva raccontato per filo e per segno ogni minuscolo dettaglio, e Scott
attraverso la cornetta aveva potuto chiaramente percepire le sue labbra
leggermente incurvate.
Gli aveva anche promesso che lo avrebbe
accompagnato alla rappresentazione successiva e, davanti alla meravigliosa alba
che si stava stagliando davanti ai suoi occhi, era anche riuscito a dirgli quello
che, ne era certo, aveva atteso con ansia durante quegli ultimi otto anni.
“Harvey, voglio che tu sappia che sono
fiero di te.”
L’altro aveva represso qualche singhiozzo
–Scott sapeva che Harvey aveva già iniziato a piangere silenziosamente, lui
stesso aveva gli occhi lucidi- e si era limitato a sussurrare un “Questo non lo
voglio perdere.”
“Perdere cosa?” gli aveva chiesto, e lui
aveva ripetuto un “Questo.” a bassa voce, ma Scott aveva già capito tutto.
Questo.
Il mondo, svegliarsi e ammirare l’alba,
restare al telefono a parlare della Tosca,
sentirsi realizzati, essere riusciti a raggiungere i propri obiettivi,
coltivare la speranza di poter cambiare la società, ricondurre a sé un vecchio
amore che forse non era mai andato perduto…
Questo.
To wither in denial
The bitterness of one who's
left alone
Possono essere passati minuti, ore,
giorni, settimane… Scott non sa dire con esattezza quanto tempo sia trascorso
dalla telefonata con cui Cleve gli ha comunicato
l’orribile notizia.
Una cosa però bisogna ammetterla: è sempre
stato consapevole del rischio che Harvey correva ogni giorno, presentandosi
davanti a tutti e facendo sentire la propria voce –la loro voce- senza alcun timore, ma in cuor suo ha passato gli
anni a sperare che le sue fossero solo paranoie del cazzo.
Lo stesso Harvey aveva riso di gusto
quando aveva ricevuto la prima lettera di minacce, e l’aveva addirittura appesa
sul frigo.
Scott ricorda ancora le sue parole: “Se la
metti via, dentro un cassetto, diventa più grande, fa più paura… Qui è qui, la
vedi tutti i giorni, non può farti niente!”
Dio solo sa quanta voglia ha di poter fare
lo stesso con tutto il dolore che lo sta sommergendo e, a poco a poco, facendo
affogare senza alcuna pietà.
Ooh, the years burn
Ooh, the years burn, burn,
burn
Il telefono squilla una, due, cinque volte:
alla settima finalmente si decide a rispondere, e all’altro capo della cornetta
c’è Anne.
È in lacrime e gli chiede di raggiungerlo
al municipio, dove dovrebbe tenersi una cerimonia commemorativa in onore di
Harvey e di Moscone e, sebbene non abbia alcuna voglia di buttarsi giù dal
letto, Scott accetta.
Durante il tragitto in macchina non riesce
a fare a meno di ripercorrere mentalmente gli otto anni trascorsi a contatto
con l’universo Milk, anni che sembrano essersi persi in un soffio, anni bruciatisi troppo in fretta, e si
chiede se forse per Harvey fosse davvero arrivato il momento di fermarsi, di
non continuare più a urlare e scalpitare e incitare masse e masse di froci, culattoni, succhiacazzi e
compagnia bella.
“Sì,
è stato tutto inutile” è la risposta che si dà, quando entra in municipio
con Anne e può constatare di persona il numero di presenti alla cerimonia: può
contarli sulle dita delle mani, e la nausea e il groppo alla gola riprendono a
tormentarlo con rinnovato vigore.
“No,
n’è valsa la pena” è la risposta che si dà, quando esce di lì come una
furia e piomba in strada, dove sembrano essersi riversate migliaia e migliaia
di facce di San Francisco: alcune le conosce bene, altre forse le ha intraviste
qualche volta, altre ancora gli sono completamente nuove, ma tutte tengono ben
strette tra le mani delle candele, marciando in silenzio, gli occhi colmi di
lacrime proprio come i suoi.
E ora, proprio ora che si è messo a
seguirli in silenzio, Scott riesce a scorgere il sorriso di Harvey riflesso su
ciascuna fiammella.
Così finalmente capisce: ancora una volta
è lui ad avere vinto.
E Scott
non può fare a meno di sorridere.
My love
I send this smile over to you
Note autrice
Sabato scorso ho
convinto mia madre a vedere “Milk”: per lei si trattava della prima volta,
mentre per me… boh, ormai ho perso il conto.
So solo che era da un
bel po’ di tempo che non me lo riguardavo, e… beh, ho pianto come una fontana.
AS USUAL.
Sarà che questa
pellicola ha il merito di aver fatto conoscere anche qui in Europa quel
grandissimo uomo che è stato Harvey Milk, sarà che ormai io venero Gus Van Sant e che amo alla
follia la santissima trinità Sean Penn/James Franco/Emile Hirsch,
ma ricordo benissimo la prima volta che ho visto questo film: ero in quarta
superiore e venne proiettato durante un’Assemblea d’Istituto del mio liceo, e
già dalle prime scene capii immediatamente che mi avrebbe profondamente
cambiato l’esistenza.
(tra l’altro, nella
scena in cui Harvey rimorchia Scott alla metro e lo bacia, ho fatto una figura
di merda cosmica: silenzio di tomba e la sottoscritta che ha strillato senza
alcun ritegno “OMMIODDIO COME SONO BELLIIII!” con tutti che mi guardavano
stralunati AHAHAHA mi sono sepolta tra i sedili del cinema, obviously.)
Comunque niente, ecco:
la prima volta che ho ascoltato Disarm degli Smashing Pumpkins (canzone che
amo profondamente, precisiamolo!) non ho potuto non pensare a Milk e Smith:
intanto gli attori che li interpretano hanno dei sorrisi fantastici (provate a
negarlo, Penn e Franco sono qualcosa d’indescrivibile JSHDJSDH) ma, se cercaste
qualche foto dei veri Harvey e Scott, vi rendereste conto di come il loro amore
fosse qualcosa di troppo grande e bello per poter essere descritto
accuratamente. Quei due sorridevano tantissimo e io non ce la posso fare, ok?
OK.
E nulla, che dire? Ringrazio chiunque di voi sprecherà un po’ del proprio tempo per leggere e/o
recensire :3
Dazed;