Siwon/eunhyuk
Salve!
Leggete
queste note prima di leggere!
Ammetto di essere parecchio in ansia per vari motivi:
1. Non mi sono mai spostata su altri fandom, quindi qui per me
è tutto nuovo.
2. La storia non mi convince -approfondirò meglio il punto-
3. Ansia da prestazione (?)
No davvero, mi sa che queste note saranno più lunghe della
shot stessa.
Innanzitutto, vi anticipo prima qualcosa: no, non sono spastica. La
storia è divisa in parti, piccoli accenni di vita, si
susseguono si, ma non per forza in tempi brevi. Prendetele un po' come
la descrizione di una routine, poi capirete il perché. Ogni
parte pare scritta -o è scritta, non saprei- in maniera
diversa, perché ogni parte esprime un qualcosa di diverso
dall'altra. Alcune sono legate e scritte in maniera simile, altre no.
Ripeto, non prendetemi per un idiota o che so io, è stato
fatto volutamente, per rendere al meglio ciò che io penso
dei personaggi e contesto e situazioni in cui si muovono. È
stato difficile scrivere questa shot proprio per questo motivo: io ho
un rapporto complicato con i personaggi delle mie storie, specie se
inseriti in un contesto come quello della storia qui sotto. Parlando
chiaramente, a scrivere una fic demenziale non mi preoccupo
minimamente, ma qui è completamente diverso. Avevo paura di
sfociare nel ridicolo, di amplificare a schifo i sentimenti e renderli
irreali, cosa che odio e non vorrei davvero fare. Spero sinceramente di
non averlo fatto (ecco uno dei perché dell'ansia).
Mi scuso anticipatamente per eventuali errori di qualunque genere
(ricontrollo sempre più volte, ma alcuni errori sfuggono
sempre).
I
personaggi non mi appartengono e bla bla....
Detto ciò, non posso aggiungere altro altrimenti devo
descrivervi mezza trama e non mi pare il caso.
Passiamo ad altro!
Ci sono due ragazze che aspettano questa shot da settimane (motivo
principale dell'ansia). Due scrittrici fantastiche, che stimo e seguo
da tanto tempo, dall'epoca in cui il fandom dei Gazette era IL fandom
dei Gazette e ci stava davvero bella gente.
A queste due ragazze è dedicata la shot: Shinushio e Jo.
A Shin
perché mi ha un po' aperto gli occhi sul k-pop,
perché scrive da dio, mi ha fatto conoscere gli EXO e
condividiamo la stessa passione per Sehun.
A Jo,
perché l'ho ammorbata su fb con i miei dubbi,
perché scleriamo sui suju come se non ci fosse un domani e
perché è la mia promessa sposa (sono in cerca
dell'anello <3).
Ad entrambe,
perché vi voglio sinceramente bene e da quando ho detto di
voler scrivere una Eunhae, volete leggerla e mi avete aspettato. Spero
di non deludervi.
Una dedica speciale va
alla mia piccola paperella viola, Kenia.
Con tutta probabilità nemmeno leggerà questa
dedica, ma non importa. Anche se non è loro fan, e mi
picchia quando ne parlo, e mi trascina via a forza dagli altri
fandom... Effettivamente non ci sarebbe nessun motivo per
dedicargliela, ma le voglio bene, quindi tanto basta <3
A vase full of drop of feelings
Non poteva continuare a vivere così. Poteva davvero
chiamarla
vita, quella che conduceva ormai da mesi?
Non ricordava più
nemmeno quanti ne erano passati, tanto scorrevano così
uguali,
come fossero gocce di pioggia, che cadendo riempiono ogni superficie
concava disponibile. E più piove, più queste si
riempiono. Ma arriva un momento in cui si arriva al limite, le gocce
sono troppe e il limite viene superato. Gli argini si spezzano e
l'acqua inizia a sgorgare lentamente fuori.
Così era
adesso l'anima di Hyukjae: un contenitore che si era riempito piano
piano, sopportando in silenzio il peso di quel liquido all'apparenza
trasparente ma che al buio della notte sa diventare di un nero
così profondo che non ne vedi la fine. Era diventato troppo
per essere ancora sopportato, ed era crollato, schiacciato da
quel peso al petto, all'altezza del cuore.
Da quanto tempo non dormiva decentemente? Da quanto tempo non mangiava
più con gusto? Aveva perso quella voglia di vivere che lo
distingueva, quella vitalità che era parte integrante del
suo
carattere. Il suo sorriso tutto gengive era ormai perennemente celato
dietro le labbra secche e serrate, chiuse in una linea dura e dritta,
che al massimo si piegava in smorfie sofferenti e per niente consone al
suo viso.
L'unico momento in cui riusciva a distrarsi e tornare lo
Hyukjae di sempre era quando andava in sala prove a danzare.
Lì,
da solo, la musica che aleggiava nella stanza, il grande specchio a
parete dove si riflettevano i suoi movimenti. Si sentiva libero. Libero
di essere se stesso,
di sfogarsi, di divertirsi. Ma puntualmente bastava
un secondo, una nota più grave o un passo sinuoso e fluido e
tutto ciò che aveva faticosamente allontanato dalla sua
mente
ritornava prepotentemente a galla. E l'unica cosa che riusciva a fare
era rannicchiarsi in terra, stringere le ginocchia al petto e piangere.
Lo specchio rifletteva -oramai sempre più spesso- l'immagine
di un ragazzo fragile, triste e spento.
Un ragazzo che aveva conosciuto la felicità, l'amore.
Un ragazzo
a cui la felicità era stata strappata dall'amore stesso, e
che
adesso non riusciva più a raggiungere.
Si chiedeva perché la vita fosse stata così
ingiusta con
lui, perché proprio lui dovesse vivere quello strazio.
Perché aveva un cuore? Perché amava? Chi glielo
aveva
insegnato? Avrebbe preferito non saper amare, si sarebbe risparmiato
quel macigno che ora gli gravava addosso e sembrava volerlo schiacciare
da un momento all'altro, ponendo fine alla sua vita. Ma in fondo era
consapevole che quel peso insostenibile era stato lui stesso a legarlo
a sé, portandolo consapevolmente sulle sue spalle. Poteva
porre
fine a quello strazio. Poteva, ma non lo faceva. Era forse un debole
per questo? Forse. Ma i sentimenti rendono deboli. E forse lui provava
troppi sentimenti, talmente tanti che adesso era vulnerabile e debole
come una piccola fogliolina appena nata, esposta alle intemperie del
mondo.
Ma anche una piccola foglia viene protetta dalla natura. La folta
chioma dell'albero la protegge, la nasconde al mondo. E la sua chioma
era Donghae. Lo aveva sempre protetto, lo sosteneva, gli era sempre
vicino. Se qualcosa non andava, sapeva che lui c'era, gli avrebbe dato
una mano nel bene e nel male. Aveva sempre accettato di
buon grado la sua presenza. Ma questa volta era diverso. Teneva lontano
tutto e tutti, e Donghae non faceva eccezione. L'amico aveva provato a
tirarlo su, gli aveva parlato a lungo, sbattendogli in faccia la
realtà dei fatti più di quanto la
realtà stessa
non avesse già fatto precedentemente. E lui si era chiuso
nel
suo riccio di dolore, isolandosi e impedendo all'altro di aiutarlo in
alcun modo.
***
Rannicchiato con le ginocchia al petto in un angolo del davanzale
interno della finestra, osservava pigramente il panorama che quel
giorno era velato da un sottile strato di grigio creato dalla pioggia
che scendeva fitta da diverse ore, ormai. Rigirò tra le mani
la
tazza di tè caldo preparato solo qualche minuto prima. Ci
soffiò dentro per raffreddarlo, chinando la testa e
rimanendo
per qualche attimo ad osservare il liquido chiaro all'interno della
tazza muoversi e creare della piccole onde dorate che andavano ad
infrangersi contro i bordi chiari della ceramica. Soffiò
un'ultima volta e portò la tazza fumante alla labbra,
prendendo
un solo piccolo sorso della bevanda . Una delle poche cose che riusciva
ancora ad ingerire, dato che il suo corpo ormai rifiutava ogni
tipo di cibo solido. Mandò giù il liquido caldo
leccandosi le labbra umide e tornò a guardare fuori dalla
finestra .Gli
piaceva quell'angolino, ricoperto da cuscini morbidi e
comodi. Da
lì guardava pigramente fuori dalla finestra le gocce di
pioggia
riempire un piccolo contenitore giusto accanto alla vetrata. Lo aveva
comprato e posizionato lì lui stesso, come piccola vaschetta
per
gli
uccellini di passaggio. Gli piacevano gli animali ma, per uno motivo o
per un altro, non aveva mai
avuto la possibilità di prenderne uno.
Così in pomeriggi come quelli, si dilettava a guardare gli
animaletti che, stanchi di sbattere freneticamente le ali per librarsi
in cielo, facevano una pausa giusto lì, lavandosi le piume
colorate con minuzia, bevendo l'acqua fresca per poi dirigersi
nuovamente lontano da lui.
In quel momento, un piccolo e solitario uccellino -dalle piume colorate
ora bagnate dalla pioggia- svolazzava in giro, andando a posarsi sulla
piccola vaschetta che stava riempiendosi sempre più delle
lacrime che il cielo piangeva da ore. Stette a guardarlo per qualche
minuto,
fin quando non volò via e l'acqua piovana non fu troppa per
essere contenuta dalla
piccola vasca e qualche goccia straripò, seguita poi a ruota
da
altre centinaia di compagne che si accalcavano verso l'esterno .
Nascose la testa tra le ginocchia e pianse tutto quel dolore che adesso
sembrava troppo per poterlo contenere nel suo ormai provato cuore.
Il problema, di fondo, era soltanto uno: se nel suo cuore avesse
continuato incessantemente a piovere, non avrebbe mai potuto
liberarsene del tutto.
***
Lo scatto di una serratura, seguito dal tonfo di una porta malamente
chiusa. Non si voltò né chiese chi
fosse. Solo una persona
oltre lui sarebbe potuta entrare in quella casa senza suonare o
avvisare. A
testa bassa, continuò a tagliare le verdure che aveva
intenzione di
preparare per cena -per l'altro ovviamente. Lui avrebbe solo fatto
finta
di assaggiare qualcosa, tanto non se ne sarebbe comunque mai
accorto. I passi pesanti del suo compagno si avvicinarono alla cucina.
Sospirò preparando il suo cuore, la sua anima -e tutto se
stesso- ad
indossare quella maschera
di serenità che utilizzava oramai da
mesi.
«Ben tornato» lo salutò quando
entrò in cucina,
rivolgendogli un debole sorriso forzato, talmente debole che non
riuscì
nemmeno a scoprire le gengive rosee -tipiche del ragazzo. Il moro non
gli rispose, dirigendosi a passi veloci verso il frigorifero. Lo
aprì
con malagrazia, ne afferrò dall'interno una lattina di birra
e, silenzioso come era
arrivato, se ne andò verso il soggiorno probabilmente a
sedersi
sul divano, stanco dopo una giornata di duro lavoro.
Abbassò la
testa cercando di trattenere le lacrime e concentrarsi sulla
preparazione della cena.
«È pronto tra dieci minuti»
avvisò
sporgendosi verso la porta che collegava le due stanze adiacenti. Come
ogni volta non ricevette risposta. Si morse per l'ennesima volta le
labbra ormai martoriate, secche e piene di tagli. Subito il sapore
forte e ferroso del suo sangue invase i suoi sensi, nauseandolo come
ogni volta. Odiava il
sangue e ancor di più odiava il suo
sangue. Lo odiava perché faceva male. Si odiava
perché si
faceva male. Odiava lui perché gli faceva male. Ma in
realtà non era
quell'uomo seduto sul divano in eco pelle la causa di quel dolore. Era
relativo. Si morse ancora le labbra a quei pensieri, e si
odiò
nuovamente quando il suo sapore gli provocò l'ennesimo
conato di
vomito.
***
«Com'è andata oggi a lavoro?» glielo
chiedeva tutti
i giorni, sperando
in una risposta diversa, in una conversazione.
Magari in
un'altra domanda.
A te
com'è andata oggi? se lo
chiedeva da solo, quando tornava a casa dalle prove, perché
sapeva che una volta chiuso dentro quelle quattro fredde mura, nessuno
gli avrebbe rivolto la parola se non la sua stessa coscienza.
«Bene, solita vita» Stessa medesima risposta del
giorno
prima; e di quello prima ancora; e così via. Ogni volta ci
sperava
davvero che l'altro glielo dicesse. Che pronunciasse quelle due
semplici ma
essenziali parole.
È
finita.
Ci sperava con tutto il cuore,
perché non poteva andare avanti così, non
riusciva a
vivere una relazione fatta solo di menzogne, che come una macchia
d'olio avevano sporcato inevitabilmente la sua vita.
Continuò a sperare
perché era troppo debole per
pronunciarle e mettere la parola fine a quel periodo -un tempo felice-
della sua vita. Si dice che la speranza sia l'ultima a morire, ma dopo
tutto quel tempo, anche quella piccola fiammella stava lentamente
spegnendosi.
«Mh» mugolò in risposta.
***
Stretto sotto il pesante piumone in un angolo del grande letto
matrimoniale, continuava a fissare il muro davanti a
sé.
«Hyukjae...» la voce dell'altro lo raggiunse nel
silenzio
irreale della stanza e d'istinto si stringe di più sotto il
pesante piumone, colto improvvisamente da un brivido. Non rispose
aspettando che fosse l'altro a continuare. Tanto già sapeva
bene quali
parole avrebbe pronunciato con quelle sue splendide labbra.
«Ho voglia» esordì il moro senza un
briciolo di sentimento nel tono di voce.
Lo sapeva che non lo amava. Oh,
lo sapeva bene! Per l'altro era solo un
bisogno fisico; appagamento d'un desiderio, una voglia. Un
capriccio. Nulla di più. Eppure non si oppose
quando l'altro
scostò malamente le coperte e lo girò
inchiodandolo al materasso. Gli
si posizionò cavalcioni e lo baciò con troppa
foga, insinuando subito e
prepotentemente la sua lingua calda e morbida nella sua bocca,
muovendola talmente freneticamente che il biondo non ebbe il tempo di
rispondere al bacio, tanto ne venne travolto. Si alzò da lui
e
lo girò nuovamente in posizione prona, manco fosse una
bambola.
Già... cos'era lui adesso se non un pupazzo nelle mani del
suo burattinaio? Gli abbassò i pantaloni, scoprendogli
soltanto le
natiche. Hyukjae affondò il viso nel cuscino, stringendo tra
le mani la stoffa
morbida e profumata che lo ricopriva, mentre l'altro si spingeva in lui
senza un minimo di
preparazione o almeno dolcezza. Soffocò i gemiti nella
stoffa profumata del
cuscino, per il dolore e l'eccitazione che, nonostante tutto, non
poteva far a meno di provare.
***
«Piccolo non puoi continuare così...» la
voce
angosciata del suo migliore amico arrivò come un sussurro al
suo
orecchio. Non sapeva esattamente da quanto tempo era stretto al suo
petto. Aveva pianto tanto, e continuava imperterrito a farlo. Le
lacrime
sembravano non volerne sapere di prosciugarsi e lentamente andavano a
morire sulla maglia del castano che non aveva fatto altro che
stringerlo ed accarezzargli i capelli da quando era arrivato in casa
sua sull'orlo di un crollo emotivo
e nervoso
-che non era tardato ad
arrivare quando Donghae, vedendo la faccia sconvolta dell'altro, gli
aveva chiesto cosa fosse successo.
«Non ce la faccio più Donghae...» si
lamentò
il biondo stringendosi di più a lui, accoccolati com'erano
sul
divano di casa del più piccolo «Cosa devo
fare?».
Aveva finalmente abbattuto quel muro che volontariamente aveva eretto
intorno a sé e aveva fatto sì che fossero le
braccia di Donghae la sua stessa protezione. L'unica -in
realtà- di cui aveva davvero bisogno.
Il castano non rispose alla sua domanda, ma non se ne
preoccupò
più di tanto. Sentì sollevarsi il viso dal petto
del
più piccolo e le sue labbra calde e morbide poggiarsi
delicatamente sulle sue secche e martoriate, così leggere e
delicate come avesse quasi paura di potergli fare del male con quel
semplice -e al contempo complicatissimo- contatto. L'ennesimo
singhiozzò gli morì in gola, bloccato dal respiro
che
sembrava non avere la minima intenzione di uscire o entrare,
imprigionato
in quel limbo che le labbra sottili del castano avevano creato.
Durò solo pochi attimi, ma gli fece provare una sensazione
-un
calore al petto- che non provava da anni. Un misto di
serenità e
pace assoluta, che per un attimo lo rese dimentico di qualunque cose e
sembrò come se tutto il dolore provato non fosse mai
esistito,
spazzato via in un soffio.
Riaprì gli occhi quando l'unica cosa
che colpì il suo viso e le sue labbra fu l'aria calda di
casa,
immensamente più fredda rispetto alle labbra di Donghae. Non
si
era nemmeno reso conto di averli chiusi, tante erano le sensazioni che
aveva provato in un solo momento (non era più nemmeno sicuro
di
poter provare di nuovo qualcosa, dopo lui).
Il ragazzo era lì, che lo guardava con l'espressione
più
dolce che avesse mai visto impressa sui tratti del viso di qualcuno. Le
labbra tirate in un debole sorriso, che le rendeva ancor più
sottili e d'un rosa pallido che ricordava tanto una rosa.
«Perché?» riuscì soltanto a
chiedere con gli
occhi ora più grandi. Lucidi si, ma le lacrime sembravano
essersi finalmente prosciugate.
«Perché ti amo» la semplice risposta,
pronunciata
come se avesse detto la cosa più scontata, naturale e giusta del mondo.
***
Dopo quel bacio ne seguirono altri, dolci come miele estivo. Ogni
bacio lavava via quella macchia scura, sporca, malata quasi, che aveva
ricoperto l'anima e il cuore del biondo. Si sentiva fragile, a
confronto con il corpo possente dell'altro. Ma un senso di protezione
lo avvolgeva, come una calda coperta in una sera d'inverno
particolarmente fredda: una di quelle sere in cui ti raggomitoli in un
angolo del divano, una tazza di tè
fumante tra le mani o un libro a farti compagnia. E ti sente bene in
quei momenti, ti senti protetto.
Quel dolce miele si trasformò in un sapore forte a aspro, di
zenzero fresco e peperoncino pungente. Il calore diventò
palpabile; accarezzava il suo corpo con amore, sfiorandolo come fosse
una rara creatura da venerare e proteggere. Il primo gemito si
inerpicò su per la gola del biondo senza il suo volere,
portando
l'altro in un mondo a sé stante. Hyukjae si
lasciò cullare
da Donghae, riscoprendo se stesso e soprattutto quello che credeva
essere il suo migliore amico. Perché di certo da quando,
piangendo, aveva
messo piede nella piccola villetta dell'altro -di quelle dipinte di
giallo all'esterno, con le finestre in legno scuro, il tetto di tegole
d'argilla rosse. Il tutto circondato da un giardino ben curato, il
prato verde falciato da poco che profumava di natura e gocce umide di
pioggia- non poteva più considerarlo un amico, ma qualcosa
di
molto di più, qualcuno
di
decisamente più importante.
Non che prima non lo fosse stato,
era da mettere in chiaro. Donghae era la persona a lui più
vicina fin da quando erano ragazzini e frequentavano ancora le scuole
medie. Si erano conosciuti lì, tra i banchi della
nuova scuola.
Quando nessuno si avvicinava a lui, il castano era stato l'unico a
farlo, tendendo avanti la sua
mano per presentarsi con uno squillante Ciao! Io sono
Lee DongHae! Tu
come ti chiami? con un sorriso a trentadue denti che lo
aveva fatto
sorridere di rimando Che bel
sorriso hai! Sei la prima persona che
vedo sorridere così! e quel sorriso tutto
gengive si era
allargato ancor di più, facendo bella mostra -e per la prima
volta nella sua vita, con
orgoglio- della pelle d'un rosa pallido che
contornava i denti bianchi e con gli angoli arrotondati.
Donghae era sempre stato presente nella sua vita: quando aveva deciso
che il suo futuro sarebbe stata la danza, il castano era rimasto al suo
fianco, osservandolo danzare per ore, consigliandolo ed ascoltandolo
quando ne sentiva il bisogno, elogiandolo o rimproverandolo dei suoi
errori. Quando Hyukjae aveva avuto la sua prima fidanzatina, ai primi
anni di liceo, e l'altro si presentava sotto casa sua ogni pomeriggio
arrabbiato come non mai, pretenzioso di passare il pomeriggio con lui
con ogni scusa possibile -a volte anche assurda.
Con il senno di poi, avrebbe dovuto capire che quel loro legame
celava meccanismi e sentimenti ben più complessi e profondi,
difficili da capire e da portare a galla; sentimenti che a due semplici
amici sarebbero rimasti celati per sempre dietro pacche sulla schiena e
amichevoli insulti.
E la loro verità sarebbe rimasta celata e lo sarebbe
tutt'ora se non fosse stato per lui.
Forse
era stato un bene incontrarlo, infondo. Forse quel dolore era stata la
giusta punizione
(per cosa poi, non riusciva a chiarirlo nemmeno lui,
ma in fondo sapeva di meritarsela) che gli aveva permesso di
raggiungere la sua
ricompensa.
E quel premio tanto ambito era l'odore speziato di Donghae sulla pelle,
il suo sapore deciso sulle labbra. L'amore che pervadeva ogni suo
movimento dentro di lui. Era stare finalmente bene: aver voglia di
mangiare, dormire, sorridere e scherzare, ballare per ore senza
fermarsi, uscire a divertirsi e fermarsi in qualche piccolo bar al
centro in una calda serata estiva, sedersi nei piccoli tavolini appena
fuori al locale e bere qualcosa mano nella mano con la persona che ama.
Qualche mese prima questa sarebbe stata lui, ma adesso,
l'unico volto che riusciva ad associare a persona amata era
quello ben definito del suo Donghae, di quel Donghae che l'aveva amato
senza riserve e salvato dal suo auto-distruggimento.
***
Donghae aveva insistito per almeno un quarto d'ora buono per
accompagnarlo a casa -proponendogli anche di dormire in casa sua per
quella notte-, colto da una strana sensazione all'altezza tra petto e
stomaco, che lo faceva sentire stranamente inquieto. Certamente l'altro
avrebbe accettato più che volentieri, se non avesse avuto
qualcuno che lo aspettava a casa e per cui doveva ancora preparare la
cena -e che si sarebbe senza ombra di dubbio arrabbiato con lui se non
lo avesse trovato in casa. Quindi rifiutò gentilmente la
proposta del moro, salutandolo sulla soglia della porta poggiando le
labbra sulle sue, in un contatto leggero e veloce ma sufficiente per
far provare ad entrambi quell'arcobaleno di sensazioni che li
accompagnavano nelle ore trascorse insieme. Si allontanò a
malincuore e, salutandolo con un gesto della mano e un largo sorriso,
si incamminò verso casa, che fortunatamente distava pochi
minuti
di cammino da quella del suo... cosa? Come doveva definirlo adesso?
Amico? Dopo
quello che era successo tra loro, era l'aggettivo
meno adatto. Ragazzo?
Nemmeno, ne aveva già uno -per quanto
potesse tener in conto quello
come ragazzo. Amante?
Al momento,
sembrava il termine più adatto alle circostanze, ma non si
adattava per nulla alla figura di Donghae. Doveva fare qualcosa -e nel
futuro più immediato- per la loro felicità.
Guardò distrattamente l'orologio in cuoio nero che portava
al
polso e il vento che quella sera soffiava leggero -e sicuramente
qualche grado più caldo rispetto ai giorni precedenti- gli
sembrò più gelido del ghiaccio stesso. Le 21.00 passate. Una
sola
volta si era azzardato a rincasare all'incirca a quello stesso orario a
causa della prova di una coreografia durata più del dovuto.
I
ricordi di ciò che era successo quella sera erano
ancora
perfettamente nitidi nella sua mente. A nulla era servito almeno
tentare di discolparsi, di spiegare
il perché del suo ritardo,
il perché non avesse potuto fargli trovare la cena in tavola
al
suo ritorno. Cercò di deglutire rumorosamente un grosso nodo
che sentiva bloccargli il respiro proprio in gola, ma questo sembrava
intenzionato a non sparire. Affrettò il passo, ancora
qualche
metro e sarebbe giusto a destinazione. Si sfiorò i polsi con
le
mani, irrigidendo le dita, graffiando la pelle delicata e chiara con le
unghie solitamente non tanto curate. Ricordare faceva dannatamente
male.
Giunto finalmente davanti la porta di casa, sospirò
ansioso.
A volte si sentiva come fosse in gabbia,
come se quella non fosse
più la sua vita. Non era libero di uscire, di divertirsi. La
sua vita si
riduceva a lavoro-casa
e, indubbiamente, si potrebbe benissimo unire
ambo i termini, dato che la vita domestica consisteva in altro
lavoro. Bella
vita del cazzo.
Doversi preoccupare ogni
stramaledetta volta per
ciò che faceva, o peggio, non faceva, per
ogni sua parola,
azione... era una situazione stressante fuori da ogni logica.
Ancora
più nervoso e agitato di prima, tuffò una mano
nella
grande borsa che portava in spalla e ne tirò fuori le chiavi
che, esitante, infilò nella serratura. Un unico movimento
del
polso, e questa scattò docile, permettendo al biondo di
entrare
in casa.
Silenzio. Buio. Assoluta quiete. Esultò interiormente e
rilasciò il respiro che non si era accorto d'aver
trattenuto quei pochi secondi che aveva speso per attraversare la
soglia di casa. Si richiuse la porta alle spalle e abbandonò
la
grande borsa per terra accompagnata dal tonfo sordo della stoffa che
cozza contro il pavimento di parquet dell'ingresso. Si toglie anche le
scarpe, lasciandole scompostamente in un angolo. Al buio, si diresse
verso la cucina per recuperare una birra fresca dal frigo. In quel
momento,
l'unica cosa che voleva fare era gettarsi sul divano, bere la sua
bella birra fredda e magari guardare qualcosa alla tv. Oppure avrebbe
potuto
chiamare per un po' Donghae. Quando l'altro non tornava a casa la sera,
sapeva che sarebbe rimasto fuori almeno fino a notte fonda. Forse, fino
a
quella stessa mattina, si sarebbe chiesto con chi fosse, cosa stesse
facendo. Se fosse in giro ad ubriacarsi con i colleghi di lavoro, in
qualche locale vietato ai minori o con quella che lui definiva una
sua cara amica
ma che di cara
ma soprattutto di
amica, aveva davvero
ben poco.
Anche di fronte al tradimento, era stato capace di non alzare
un dito. Niente. Ci era semplicemente passato sopra, troppo incapace,
troppo debole. O forse solo troppo innamorato. Ma adesso di quell'amore
era sicuro che fossero rimaste solo delle briciole, della polvere in
angolo del suo cuore, nulla di più.
Sospirando per l'ennesima
volta nel giro di pochi minuti, attraversò il piccolo
corridoio e
giunse al salone principale. Ma fatti due passi al suo interno, l'idea
di prendere una birra fresca, di rilassarsi e chiamare il suo Donghae,
si frantumarono in tante piccole schegge che andarono
allegramente a farsi
un giro chissà in quale angolo sperduto del mondo. La sagoma
scura immobile sul divano lo pietrificò completamente dalla
paura. Le
gambe lunghe aggraziatamente accavallate e le braccia forti e
muscolose incrociate al petto. Teneva la schiena poggiata allo
schienale imbottito del divano, la testa piegata di lato. Tutto
ciò gli provocò una spiacevolissima sensazione e,
a
quello che poteva scorgere del suo viso, non presagiva nulla di buono.
Sentiva l'aria pesante, tesa. I ricordi lo colpirono violentemente per
la seconda volta. Era tutto troppo simile a quella sera. Di nuovo
portò le mani ai polsi, graffiandoli e stringendoli nervoso,
affondando le unghie nella pelle rovinandola più di quanto
già non avesse fatto in precedenza.
«Dove sei stato?» la voce fredda e tagliente
dell'altro.
Nessuna emozione sembrò trasparire da quelle tre semplici
parole.
Deglutì, ed esitò qualche secondo prima di
rispondere.
Cercò una qualche scusa per salvarsi, ma cosa avrebbe potuto
dire? Chinò la testa e continuò a torturarsi i
polsi,
nervoso «Scusami... io ho... dovuto aiutare un allievo con
una
coreografia e...»
«Cazzate!» l'urlo dell'altro lo interruppe mentre
tentava
di discolparsi. Si alzò in piedi e si posizionò
davanti a
lui, sovrastandolo data la differenza d'altezza «Lo so che
eri
dal tuo caro Donghae!»
sputò disgustato le ultime due parole,
sottolineando il suo disprezzo per quella che è la persona
più importante nel cuore di Hyukjae. Qualsiasi cosa ama, lui
la odia.
Quasi come fosse una reazione naturale.
Si morse nervoso l'interno delle guance, deglutendo più
volte.
Lui non poteva sapere che era con lui, quindi forse avrebbe potuto
provare a tenere in piedi la sua bugia. Forse... «No, io...
ti
sbagli, ero a lavoro e...»
«Non continuare a sparare cazzate, Hyukjae!» lo
interruppe
per la seconda volta il moro, afferrandolo dolorosamente per
l'avambraccio, stringendo con quanta più forza avesse in
corpo.
Il biondo si lamentò per il dolore e cercò di
divincolarsi stringendo i denti, ma fu inutile. «Ti ha visto,
sai?» gli rivolse uno sguardo di sfida, a cui il biondo
rispose
sgranando gli occhi per la sorpresa.
Chi avrebbe potuto vederlo?
Il
moro sembrò leggere il suo pensiero e con il peggior sorriso
bastardo che avesse mai potuto sfoggiare, chiarì i suoi
dubbi
«Heechul. Abita lì vicino e guarda caso,
ti ha visto mentre
uscivi da casa sua e lo
baciavi» calcò -con ancor
più disgusto di prima- l'ultima parola.
Il viso di Hyukjae si
vece pallido, schiarendo ancor di più la pelle
già
naturalmente chiara del viso. Riprese nuovamente colore quando la mano
grande del moro si abbatté sulla sua guancia con una forza
tale
da fargli perdere l'equilibrio e cadere malamente in terra, ai suoi
piedi. Trattenne a forza le lacrime che si accalcavano ai lati degli
occhi per liberarsi per il dolore e la frustrazione che la
consapevolezza di essere debole portava nel suo animo. «Lo
baciavi...» continuò scuotendo la testa e
sbuffando quella
che all'apparenza doveva essere una risata sarcastica. Si
chinò alla sua altezza, avvicinando quanto più
possibile il viso al collo del biondo «Hai un altro odore
addosso...» constatò schifato, allontanandosi e
rimettendosi in piedi «Ti sei
fatto scopare da lui, vero? Sei solo un'inutile puttana....»
continuò ad infierire, guardandolo dall'alto in basso con
disprezzo. Due lacrime abbandonarono gli occhi del biondo, ma si
trattenne dal farne cadere anche solo una di più. Almeno per
una
volta -una sola fottutissima
volta- doveva essere forte ed affrontarlo;
per lui, per Donghae.
«Sta zitto!» urlò verso i contorni scuri
del suo
viso, con odio e rabbia «Sono mesi che te la fai con quella
tua
amica! Mesi! E osi chiamare me
inutile puttana!» si rialzò lentamente, sfiorando
con la punta
delle dita la guancia precedentemente offesa, che pulsava dolorosamente
«E io ho sopportato, e sopportato... »
abbassò per
qualche secondo lo sguardo, ripensando a quei mesi d'inferno, in cui la
verità lo aveva travolto come un fiume in piena. Il filo
rosso
che credeva li tenesse uniti, in realtà non era mai
esistito. Ma
lui si ostinava a credere, a sperare o, più che altro, ad
immaginare
quel legame che credeva solido e inscindibile «Ti
odio...» sibilò tra i denti, quasi fosse un
serpente
pronto ad attaccare la preda «Ti odio... Ti odio! Non ho mai
odiato nessuno in vita mia! Ma tu...» alzò
lentamente un
braccio, puntandogli l'indice contro «...Mi fai veramente
schifo, stronzo» sputò veleno sulle sue parole,
rancore e rabbia
trattenute a lungo.
Il veleno gli si rivolse contro e le spire del serpente gli strinsero
la gola in una morsa dolorosa, facendolo boccheggiare in cerca di un
briciolo d'aria, che faticava a raggiungere i polmoni. Quella stessa
forza lo spinse indietro con foga, facendo aderire violentemente la
sua schiena magra alla parete fredda poco dietro di lui.
«Non osare mai più rivolgerti così a
me...»
sussurrò tra i denti il più alto, guardando con
una punta
di sadico divertimento il terrore negli occhi dell'altro. Hyukjae
strinse le dita attorno a quelle dell'altro sul suo collo, cercando
invano di liberarsi, di allentare almeno un minimo quella presa che lo
stava lentamente uccidendo. Il panico lo investì quando la
vista
venne meno a tratti e la foga con cui cercava di liberarsi pian piano
scemava, diventando sempre più debole ogni secondo passato
con quelle misere briciole d'ossigeno. La gola bruciava e faceva male,
troppo male. Ad
ogni contrazione del petto, una fitta saliva dolorosa fin sulla testa.
«S-si... won...» riuscì a pregarlo a
fatica, quasi
senza più ossigeno. Gli occhi socchiusi e liquidi gli
rendevano
l'immagine di un uomo che aveva amato con tutto se stesso, e che adesso
lo stava rovinando per sempre -e pareva anche provare una sorta di
benefico compiacimento nel farlo. Sorrise amaramente a quell'immagine
distorta della realtà e, in un ultimo attimo di
lucidità,
decise che la sua vita non poteva finire in quel modo. Non per mano
sua, non per il suo divertimento, per il suo capriccio. Non adesso che
aveva finalmente qualcuno da cui tornare, che lo avrebbe aspettato a
braccia aperte. Se lui fosse morto, Donghae cos'avrebbe fatto? Avrebbe
sofferto forse, e poi dimenticato. O non avrebbe retto il dolore, e si
sarebbe lasciato morire, giorno dopo giorno. L'immagine confusa di
un Donghae magro e pallido, gli occhi svuotati di ogni emozione, lo
scosse nel profondo, facendogli trovare la forza di spingere via
l'altro e farlo cadere in terra.
Non si preoccupò del bruciore alla gola, né delle
fitte
al petto che sembravano spaccarlo in due ad ogni respiro, né
del
moro che dopo un attimo di confusione, gli urlò qualcosa che
non
riuscì a captare mentre si rialzava da terra. Corse fuori
dall'appartamento il più velocemente possibile. Conosceva
troppo
bene l'altro per sapere che non avrebbe mai dato spettacolo fuori
dalle loro quattro mura di casa. Troppo preso dal grigio conformismo
della società per ammettere di stare con un uomo; per dare
alla
gente anche un solo misero motivo per poter pronunciare il suo nome con
disprezzo o frivola voglia di pettegolezzi.
Corse per qualche minuto senza curarsi dei passanti, delle auto, della
strada. Nulla. Solo quando i polmoni implorarono pietà, si
concesse di cambiare ritmo ai suoi passi, prendendo a camminare
lentamente. Ad ogni passo corrispondeva un profondo respiro ed una
fitta al petto, accompagnate dalla consapevolezza di ciò che
gli
era successo solo pochi minuti prima. Le labbra si piegarono in una
smorfia: avrebbe
dovuto aggiungere quella sera alla personale lista dei ricordi
dolorosi, già troppo lunga per i suoi gusti. Avrebbe
volentieri
depennato qualche punto, tanto per alleggerire un po' mente e anima.
Bastò un attimo e il suo viso chiaro -su cui probabilmente
spiccava ancora il segno dell'offesa di poco prima- venne solcato da
lacrime amare che,
imperterrite, continuavano a scendere dai suoi occhi -che con tutta
probabilità, adesso si erano arrossati, facendoli sembrare
più grandi di quanto non fossero naturalmente. Era sempre
stato
quel tipo di persona dalla lacrima facile. Si commuoveva facilmente e
bastava un pensiero più triste di un altro per iniziare a
farlo
piangere. Forse non era un comportamento consono ad un ragazzo -e della
sua età, per giunta- ma a ben pensarci, non faceva nulla di
male. Era solo molto emotivo; avrebbe dovuto essere un bene in
realtà, ma in certe situazioni questo suo modo d'essere
poteva
diventare una pericolosa arma a doppio taglio. Si
schiaffeggiò mentalmente, cercando di darsi un contegno; si
convinse che quella sarebbe stata assolutamente l'ultima volta che
avrebbe messo piede in quella casa. Non doveva -e non voleva-
più avere a che fare con Siwon per il resto della sua vita.
Lo
aveva letteralmente distrutto mentalmente e fisicamente; si era
ritrovato a doversi leccare da solo le ferite che la stessa persona che
avrebbe dovuto stargli accanto e sostenerlo gli aveva inferto. Una
situazione assurda, a ben pensarci.
Senza essersene nemmeno reso conto, il suo corpo lo aveva condotto
dalla persona che lo aveva sempre protetto e che
lo aveva amato senza riserve. Passò il peso da un piede
all'altro, un po' nervoso. In che condizioni si stava presentando in
casa sua? Diede un'occhiata veloce ai vestiti, passò i palmi
sulle guance e sugli occhi cercando di cancellare le tracce di acqua
salata sul suo viso, pettinò i capelli con le dita, in caso
si
fossero scompigliati troppo. Non aveva mai dato peso a come si
presentasse al castano ma in quel momento gli sembrò l'unica
cosa sensata a cui pensare. Forse perché pensare all'aspetto
esteriore era decisamente più semplice che occuparsi di
quello
interiore; o forse perché l'apparenza poteva nascondere
ciò che si celava all'interno. Dopo essersi sistemato per
bene,
suonò il campanello, lisciandosi nervosamente -per
l'ennesima
volta- il ciuffo biondo sulla fronte. Pochi secondi dopo la voce di
Donghae gli arrivò da dietro la porta, chiedendo chi fosse.
«Sono io!» esclamò senza specificare.
Sapeva che
l'altro avrebbe riconosciuto la sua voce, in ogni caso.
Cercò di
modulare il tono in uno più spensierato e allegro di
quello che in realtà era il suo umore in quel momento. Lo
aveva
fatto preoccupare e penare già troppo, non trovava motivo
per
cui continuare a farlo.
La porta si aprì con uno scatto rivelando lentamente la
figura
di Donghae avvolta in una comoda e larga tuta nera e bianca. La luce
proveniente dall'interno illuminò fiocamente l'uscio di casa
e
una piccola parte del giardino. Si andò a posare sulla
figura
alta e magra del biondo, come pure fecero subito gli occhi di Donghae,
che non riuscì a ricambiare il sorriso tirato del biondo che
si
trovava di fronte. Vagava con lo sguardo sul suo viso, sul collo,
scendendo poi sul petto fasciato dai vestiti. Le sopracciglia
aggrottate si avvicinavano tra loro e le labbra si univano e separavano
a tratti. Hyukjae lo guardò per qualche secondo, cercando di
capire perché lo guardasse in quel modo.
«Hyuk... che è successo?» il primo a
porre fine al
quel pesante silenzio di sguardi indagatori, infine, fu il padrone di
casa, che osservava attentamente il biondo passando dai suoi occhi
scuri e dalla forma particolare -grandi rispetto alla media coreana, ma
comunque molto allungati e dai tratti tipicamente orientali molto
pronunciati- al collo solitamente niveo del biondo ora ricoperto
d'irregolari macchie scure, viola tendente al nero, con qualche punta
vagamente vermiglia.
«Insomma,
il mio
venire a trovarti implica categoricamente che sia successo
qualcosa?» lo guardo storto Hyukjae, fintamente imbronciato,
continuando così a tenere in piedi la sua menzogna.
Gonfiò le guance per poi sbuffare fuori quella che sarebbe
dovuta sembrare una risata. Allungò un braccio di fronte a
sé e diede un buffetto con l'indice sul petto di Donghae,
intimandogli scherzosamente e silenziosamente di fargli spazio e
lasciarlo entrare in casa. Il moro si scostò senza proferire
parola, continuando a scrutarlo da capo a piedi. Hyukjae lo
sorpassò, dandogli per qualche secondo le spalle -mentre il
castano richiuse la porta d'ingresso- ma la sensazione di essere
osservato a quella maniera lo mise a disagio, tanto da farlo voltare
verso l'amico giusto quando il tonfo della porta appena chiusa lo
raggiunse. Ancora leggermente a disagio per quella situazione,
spostò il peso da un piede all'altro, cercando mentalmente
qualcosa di sensato da poter dire per spezzare il silenzio. Ma le sue
elucubrazioni furono prontamente bloccate.
«Cosa sono quelli?» Donghae avanzò di un
paio di
passi, avvicinandosi al corpo del biondo ballerino. Con un gesto secco
del mento indicò i segni sul suo collo, mentre incrociava le
braccia al petto, chiaro segno di nervosismo. Hyukjae, per tutta
risposta, gli rivolse un paio di sopracciglia aggrottate ai limiti del
possibile, le labbra serrate in una linea dritta.
«Quelli cosa?» aggiunse poi, inclinando leggermente
la testa da un lato, come faceva fin da quando era bambino.
«Cristo...» sospirò Donghae passandosi
una mano tra
i capelli scuri in un gesto di puro nervosismo e ansia, portando
indietro il ciuffo che continuava a ricadergli fastidiosamente sul
viso. Si mosse verso di lui e, preso per un polso, lo
trascinò
poco più in là dell'ingresso, di fronte al grande
specchio che aveva posizionato in corridoio. Dietro l'altro,
portò una mano al suo viso, stringendo quanto più
delicatamente possibile -data la situazione- il mento delineato del
biondo tra le dita, costringendolo ad alzare il viso e mettere in
evidenza il collo magro e muscoloso, ora livido.
«Questi!»
urlò quasi, sull'orlo dell'esasperazione e la frustrazione.
Semplicemente non comprendeva se stesse facendo finta di niente o
davvero non si fosse accorto delle sue condizioni.
Hyukjae voltò la testa di lato puntando lo sguardo in basso,
distogliendolo dal suo -dal loro- riflesso e dai ricordi ancora troppo
vividi per poter essere accantonati come nulla fosse.
«Hyukjae!» lo richiamò
nuovamente, allentando
la presa su di lui e sul suo viso, sconfortato dal silenzio che questo
si ostinava a mantenere.
Adesso libero, il più grande si scostò dandogli
le spalle
-leggermente piegate in avanti, come fossero stanche di sostenere un
peso oltre le sue possibilità. «Cosa vuoi che sia
successo... si è arrabbiato» tirò in su
gli angoli
della labbra nell'amara imitazione d'un sorriso mentre si voltava
nuovamente verso Donghae «e questo è il
risultato»
indicò con una gesto stizzito della mano la sua persona;
scosse leggermente il capo, facendo ondeggiare il ciuffo liscio e
biondo sulla fronte.
«Ma... perché?» chiese ancora il
castano,
leggermente... smarrito.
Si, era il termine più corretto per
definirlo.
«Perché ci hanno visti Donghae, oggi, quando... ci
siamo
baciati...» spiegò il biondo incrociando le
braccia al
petto come se potessero in qualche modo fare da schermo e proteggerlo
«Un suo amico, per la precisione»
specificò anche, vagando
con lo sguardo sui vari angoli della casa pur di non posarlo troppo a
lungo sulla figura di Donghae
di fronte a lui.
«Hyuk io...» cercava le parole per discolparsi.
Sì, si sentiva terribilmente in colpa, sentiva il peso di
quella situazione direttamente su di sé. Il ballerino
però lo zittì prontamente con un veloce gesto
della mano, prevedendo già le sue parole. Oh, se lo conosceva bene il suo
pollo, altroché.
«Non dire che ti dispiace, che è colpa tue e bla
bla bla, ok? È inutile giocare al gioco delle colpe, per
favore» la sua voce si stava nuovamente incrinando, ma fece
forza a se stesso per non piangere ancora. Era stanco di quella
situazione; meno ne parlavano, meno tempo ne viveva meglio era per
tutti -e soprattutto per lui.
«Tu non ci torni più in quella casa»
affermò il castano, così sicuro di sé
che Hyukjae finalmente puntò gli occhi nei suoi, per poi
ruotarli verso l'alto.
«Questo è poco ma sicuro» si mosse
nervoso in direzione del divano, sbuffando. Si ci gettò su
di peso, rimbalzando leggermente sui cuscini imbottiti.
«Rimani qui con me» lo raggiunse Donghae
ponendoglisi di fronte.
«Che? Sei impazzito? Non voglio disturbarti...
andrò a vivere per conto mio» ma la sicurezza che
voleva imprimere a quella frase, vacillò ad ogni parola di
più. In fondo, era il suo migliore amico -gli faceva ancora
strano pensare che adesso erano qualcosa di più- e adorava
passare il tempo con lui. Sarebbe stato bello prendersene cura,
preparare la cena con lui; fare l'amore la sera, magari sul divano,
davanti la tv accesa solo per abitudine...
«Non se ne parla, tu rimani qui» categorico, si
inginocchiò per guardarlo meglio in viso, poggiandogli le
mani sulle ginocchia magre «Con me» lo
sussurrò mentre accorciava la distanza tra loro.
Le mani poggiate ora sul divano -leggermente infossate nella stoffa
scamosciata che ne ricopriva le superfici morbide- sostenevano il suo
peso mentre le labbra erano occupate a carezzare quelle del
più grande che, stese in un sorriso- ricambiarono senza
esitazione quelle dolci e tanto attese attenzioni.
***
Rannicchiato con le ginocchia al petto in un angolo del davanzale
interno della grande finestra a parete, osservava il giardino
solitamente sempre verde e colorato che, quel giorno però,
era
velato da un sottile strato di grigio. Il cielo cupo non lasciava
trasparire che qualche sporadico e flebile raggio di sole, che andava a
posarsi sull'erba piegata dalla pesante pioggia che scendeva fitta da
diverse ore, ormai. Rigirò tra le mani la tazza di
cioccolata
calda preparata solo qualche minuto prima. Ci soffiò dentro
per
raffreddarla, chinando la testa e rimanendo per qualche attimo ad
osservare il liquido scuro e un po' denso all'interno della tazza,
muoversi e creare delle piccole onde di cioccolato che andavano a
macchiare i bordi chiari della ceramica. Soffiò un ultima
volta
e portò la tazza fumante alle labbra, prendendo un gran
sorso
della bevanda dolce. La gustò per qualche secondo
schioccando la
lingua sul palato, poi si leccò le labbra leggermente
sporche e
tornò a guardare fuori dalla finestra. Gli piaceva
quell'angolino, che aveva riempito con cuscini morbidi e comodi d'ogni
forma e dimensione. Da
lì poteva guardare pigramente fuori dalla finestra le gocce
di
pioggia riempire la piccola vasca in pietra posta giusto al centro del
giardino. L'aveva comprata e posizionata lì
lui stesso, come vaschetta per gli uccellini di passaggio. Gli
piacevano gli animali ma, per un motivo o per un altro, non aveva mai
avuto la possibilità di prenderne uno. Magari avrebbero
potuto
prendere un cagnolino. Sorrise al pensiero di una piccola peste che
correva per casa e nel giardino, con dietro il suo Donghae che
imprecava e urlava contro la povera bestiola perché scavava
il
prato che faceva crescere con tanta cura. Intanto,
in pomeriggi
come quelli, si dilettava a guardare gli animaletti che, stanchi di
sbattere freneticamente le ali per librarsi in cielo, facevano una
pausa giusto lì, lavandosi le piume colorate con minuzia,
bevendo l'acqua fresca per poi dirigersi nuovamente lontano da lui.
Un piccolo e solitario uccellino -dalle piume colorate ora bagnate
dalla pioggia- svolazzava per il
giardino, posandosi ora sulla siepe rotonda, ora sul cancelletto in
ferro dell'entrata, ora sulla piccola vasca in pietra che
stava riempiendosi sempre più delle
lacrime che il cielo piangeva da ore. Stette a guardarlo per qualche
minuto,
fin quando non volò via e l'acqua piovana non fu troppa per
essere contenuta dalla
piccola vasca e qualche goccia straripò, seguita poi a ruota
da
altre centinaia di compagne che si accalcavano verso l'esterno .
Un paio di forti e muscolose braccia lo
avvolsero poggiandosi sulle sue spalle. Gli angoli delle labbra si
piegarono -quasi contro la sua volontà- all'insù,
andando
a formare un enorme sorriso che illuminava il suo volto e lo riscaldava
come il corpo del ragazzo alle sue spalle che lo stringeva teneramente
in silenzio. Piegò leggermente la testa da un lato, quel
tanto
che bastava per andarla a poggiare sul braccio di Donghae e lasciarci
su un piccolo bacio.
Quel tanto che bastava per raggiungerlo.
Non aveva bisogno d'altro.
***
Bene, se siete arrivate fin qui, complimenti. Credo sia la seconda shot
più lunga mai scritta in vita mia.
Emm... dunque. Partiamo dall'inizio. Riflessioni varie e sprazzi di
vita quotidiana tra Eunhyuk e Siwon, fin qui tutto chiaro. La scena
rossa è volutamente cruda.
Sesso senza sentimenti, stop. Non vedevo motivo di scrivere altro o
dilungarmi. Spero che Eunhyuk e Donghae non siano risultati troppo
smielati, davvero. E... anche qui, non ho descritto realmente la scena
perché mo sembrava più appropriato dare loro
l'immagine di due innamorati sentimentalmente,
proprio per attuare meglio la distinzione tra Siwon e Donghae (e che
Shisus mi perdoni per ciò che ho scritto! Siwon è
l'omino più dolce e buono della terra
çwç).
Ah, poi non so, credo che esternamente Hyuk sembri uno schizzato con
problemi emotivi. Il fatto è che boh, non lo so davvero
neanche io. Piangere è umano no? (lui poi è un
piagnone) come lo è fingersi strafottenti. Ho voluto dare
questa sua immagine -se possiamo definirla così.
La fine. Quando spiegai a Jo l'idea mi disse che non aveva mai sentito
una cosa del genere, ma io credo di essermi spiegata male all'epoca xD
La ripetizione... prendetela come vi pare, mi andava di chiuderla
così (sempre per enfatizzare le differenze e bla bla bla).
Ora basta fare le persone serie! Kyu
è uke, Min è seme, Donghae ed Eunhyuk si
scambiano i ruoli, Heechul balla vestito da lady gaga, Ryeowook schifa
le ballerine sul palco e Shindong tira secchiate d'acqua ad Eunhyuk con
Chullo dietro che filma. (potrei continuare all'infinito
ma è meglio fermarsi qui)
SCHERZAVO! Yesung,
Eunhyuk e Kyuhyun alla SPARTA CRUZ ACCADEMY (Jo mi capisce).
Ok, sono riuscita a rovinare un momento serio.
Sappiate che adesso che sono approdata qui, non vi libererete di me
tanto facilmente. Ho in cantiere una pwp e una fic abbastanza
demenziale. Nonché ho anche in progetto di approdare nel
fandom degli EXO.
Annyongaseyo! <3
Polly~
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