“Tutto. Sto
lasciando tutto. Eccoli lì, la mia famiglia, i miei amici, i
miei ricordi, mi aspettano , sorridenti e tranquilli, sulla
soglia della mia vita. Non si scompongono nel vedermi là, a
metà strada, sono sicuri che tornerò da loro.
Sì, credo proprio che li ascolterò. Sto bene con
loro, si trovano nella luce, al calore. Comincio a camminare verso il
mio passato. Ma certo, ora li distinguo bene: ecco mamma, e anche
papà; sono insieme, mi attendono a braccia aperte. Che
strano, forse questa non è proprio la mia vita. Non ci
penso: voglio raggiungerli, voglio riassaporare il leggero gusto di una
vita normale, una vita in cui sono veramente amato, non una falsa,
dorata esistenza, nella quale tutti mi desiderano perché non
mi conoscono realmente… No, non è questo
ciò che voglio…
Poco più in
là c’è Tom, appena più
piccolo di come l’avevo appena lasciato; anche lui vuole che
lo raggiunga. Va bene Tom, sto arrivando. Ma perché ci metto
così tanto? Siamo lontani solo pochi metri… Non
riesco a capire… D’un tratto qualcosa comincia a
strattonarmi un braccio. Mi giro. È Tom. Tom, proprio come
lo ricordavo, l’altra parte di me, mio fratello…
Un momento… Qualcosa non quadra… Guardandolo
meglio capisco cosa non va. I suoi occhi sono privi della solita
scintilla di vitalità: il suo sguardo è spento,
vuoto, gelido. Tu non puoi essere mio fratello… Sento di
dover raggiungere la luce, non mi piacciono le tenebre. Mi volto e
sospiro di sollievo nel trovare tutto come l’avevo lasciato,
il mio personale barlume di conforto è ancora acceso ad
indicarmi la via da percorrere. Sto arrivando, mamma, papà,
sono qui. Fra poco sarò con voi… Faccio mezzo
passo… e mi blocco. Non riesco ad andare avanti. Ah, ora
capisco, Tom mi sta ancora trattenendo per il braccio. Mi giro a
guardarlo, voglio chiedergli di lasciarmi tornare a casa, ma non ne ho
il tempo, perché lui, impassibile, comincia a trascinarmi
nell’oscurità, lontano da tutto ciò che
ho di più importante. Perché, Tom,
perché?! Non eri tu quello ad essere sempre dalla mia parte,
chi sapeva sempre farmi ragionare quando stavo per fare uno sbaglio?
Non voglio avanzare nell’oscurità, non so dove
metto i piedi… È come essere ciechi…
Nonostante cerchi di tornare indietro, i miei sforzi sono
tutti vani: le tenebre mi avvolgono sempre di
più…
Infine, con uno
strattone più forte, riesco a liberarmi dalla presa ferrea
di mio fratello, che assume una espressione attonita e ferita che
bastò a fermarmi il cuore per un momento…
Davvero, non ricordavo fossi così forte… Mi hai
lasciato dei segni? Avvicino il braccio al viso per controllare la
presenza delle rosse, incandescenti copie delle dita di Tom,
ma… non riesco a vederlo. Dov’è il mio
braccio? Dove sono io? Alzo lo sguardo, angosciato cercando
quello del mio gemello, per chiedergli spiegazioni, per chiarire, ma
non riesco più a vederlo: è stato inghiottito
dall’oscurità anche lui.
Non riesco a vedere
nulla… Forse sono i miei occhi ad essere guasti... Guardo
dappertutto, ma sia la luce che Tom sono scomparsi.
Ora sono veramente
solo…
Non ho più un
passato al quale aggrapparmi e il futuro, mutevole e beffardo, continua
a scivolarmi tra le dita come sabbia.
Senza rendermene conto
mi ritrovo raggomitolato a terra, un insignificante granellino perso in
un mare di sabbia, o meglio, una piccola vita dispersa nel
nulla… Non riesco a sentire niente, nessun rumore, nessuna
sensazione… Non avverto più nulla, nulla nemmeno
più sotto la mia spalla. Sono appoggiato al
niente…
Solo quando me ne rendo
veramente conto riesco a percepire che freddo sentivo. Come ho fatto a
non accorgermene prima? È insopportabile… Ho
freddo… Tanto, troppo freddo… e sono
qui, nel gelido nulla, completamente solo; una piccola gemma strappata
dal suo solido ramo da un vento crudele e impetuoso, che l’ha
trasportata ovunque, facendole ammirare la bellezza del mondo prima di
gettarla bruscamente a terra.
E io sono qui, nel
glaciale vuoto, completamente solo.
Mi siedo e mi stringo le
gambe al petto. Comincio a dondolare su me stesso, guardandomi
ansiosamente intorno. Ho tanto freddo…
L’oscurità è dappertutto, preme sui
miei occhi, s’insinua nei miei vestiti, si aggrappa ai miei
capelli, è soffocante… E fa male… Fa
freddo… Ho tanto freddo… Dove sono? Non mi piace
l’oscurità… È
fredda…”
In quell’ istante, in una piccola stanza d’albergo
alla periferia di una grande, sconosciuta città, Bill
Kaulitz spalancò di scatto gli occhi, urlando con
quanto fiato aveva in corpo per liberare ciò che sentiva, un
dolore così grande che solo le lacrime, che ormai gli
rigavano copiose il dolce viso spaventato, non sarebbero bastate ad
esprimere.
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