Storia vincitrice del concorso song fic
indetto su manga.it da zaza-chan.
La canzone è Thanks for the memories, dei
Fall Out Boy.
Dedicata a tutti i partecipanti del Lucca
comics 2007.
Ad Aya, a Mika, a Ross, Suzako, a
Yoko.
Grazie a tutti voi.
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Thanks for the memories
C’è una pietra,
al villaggio della Foglia, che riporta i nomi degli eroi di Konoha.
I ninja che sono
morti in missione.
Freddi nomi su un
altrettanto gelido marmo; semplici iscrizioni che nessuno ha mai la pazienza di
leggere, perché troppo vecchie, perché troppo tristi, perché “troppo” e
basta.
Col passare degli
anni, i nomi sulla pietra si facevano sempre più fitti, fino a diventare
illeggibili.
Allora, nessuno si
fermava davvero più, perché non ha senso perdere tempo di fronte ad una lapide
incomprensibile.
La lastra di
pietra venne dimenticata e, con lei, i nomi di coloro che avevano dato la vita
per difendere il villaggio che si era scordato di loro.
Michiko Akuzami, anonima genin di un’altrettanto anonima
squadra di neo-ninja del villaggio della Foglia, si era allontanata con aria
stizzita dalla propria squadra.
Due elementi eredi di importanti famiglie di Konoha, pieni
di sé al punto giusto da escludere la compagna senza particolari abilità,
dalle proprie competizioni.
Michiko, nonostante l’aspetto placido e tranquillo,
conferitole in special modo dalla sua esigua statura, era dotata di un
caratteraccio tale che sostituiva appieno l’inferiore quantità di chakra
rispetto ai compagni.
Così, vuoi per complessi d’inferiorità, vuoi perché si
era davvero stufata di stare appresso a quei due scavezzacollo, il cui obiettivo
di uccidersi a vicenda era ormai noto a tutto il villaggio, dopo averli riempiti
di calci, pugni e shuriken, aveva optato per l’allontanarsi prima
dell’arrivo del sensei e disertare l’allenamento.
Si era, quindi, trovata a girovagare senza una meta per il
bosco attorno a Konoha, zona ormai scarsamente frequentata.
Un tempo era stato adibito a campo d’allenamento; adesso,
a distanza di sessant’anni da quella che era considerata l’Epoca d’Oro di
Konoha, l’area era caduta in disuso e le ampie radure in mezzo agli alberi
dove gli anziani del villaggio avevano cominciato il proprio percorso ninja,
erano ricoperte di sterpi e fogliame.
Stanca per la lunga camminata, Michiko alzò lo sguardo
nocciola al sole che, cocente, splendeva alto su di lei, disidratando
ulteriormente l’erba già secca e indicandole, in associazione al suo stomaco,
che era passato mezzogiorno.
Con un sospiro, si lasciò cadere contro una roccia, la cui
ombra prometteva un minimo di frescura e, lì, si addormentò.
Era ormai pomeriggio inoltrato quando Morfeo decise di
restituire la ragazza al mondo reale.
Il sole tendeva al rosso del tramonto, tinteggiando le nubi
con sanguigni tratti.
Storse il naso pieno di lentiggini, stiracchiandosi e
maledicendo il suo giaciglio, causa prima del mal di schiena che, adesso, le
indolenziva le ossa.
Stizzita, lanciò un’occhiataccia alla roccia, quasi
volesse rimproverarla.
Ma, l’espressione irritata, si mutò in sorpresa, quando
riconobbe, sotto lo strato d’edera che incastonava la pietra, le incisioni su
di essa che l’identificavano come una lastra commemorativa.
Incuriosita, cominciò a ripulire la stele dal muschio,
riportando alla luce nomi appartenenti a un passato ormai troppo lontano perché
se ne conservasse ufficialmente la memoria.
Nomi di eroi che avevano dato la propria vita per Konoha e
che, da questa, erano stati abbandonati alle fumose nebbie dell’oblio.
Mai Michiko
aveva udito parlare di quelle persone.
Sessanta anni, ma lunghi come l’eternità.
Gekkou Hayate, Obito Uchiha, Iruka Umino, Kakashi Hatake,
Neji Hyuuga, Choji Akimichi, Sakura Haruno…
Nomi che non richiamavano nulla alla sua memoria, eccetto
qualche clan prestigioso, ormai troppo decaduto perché gli si desse importanza.
Con aria annoiata, giunse alla fine della lunga lista, dove
le iscrizioni si facevano meno rovinate, in quanto più recenti, e, di
conseguenza, facilmente leggibili.
Gli occhi nocciola si assottigliarono, nel tentativo di
mettere a fuoco l’ultimo nome alla luce del poco sole rimasto.
Naruto Uzumaki.
Un attimo di sorpresa, di fronte all’unico nome
conosciuto della lista.
Il nome del Rokudaime.
Era strano che la memoria di un Hokage fosse affidata ad
una semplice lapide commemorativa, su cui venivano ricordati solo i ninja
“comuni”, distintosi solo al momento della morte.
Eppure, il nome del più grande Hokage che il villaggio
della Foglia avesse avuto era lì: misto a quello di anonimi ninja cui i libri
di storia non prestavano la minima attenzione.
Per di più, rovinato.
L’incisione presentava diversi graffi, quasi qualcuno
avesse voluto cancellare quel nome dalla lapide.
O sovrascriverne un altro.
Vi passò sopra i polpastrelli, cercando di seguire il
contorno di quei graffi che presentavano una strana regolarità.
Sa…su…ke.
Un nome.
E un cognome: Uchiha.
Sasuke Uchiha.
La sua memoria ebbe un debole tentennamento. Il suono le
appariva familiare, ma non riusciva a rammentare dove e quando avesse già
sentito quel nome.
Soprattutto, non riusciva a capire il motivo per cui
qualcuno lo avesse voluto incidere sopra quello del Rokudaime.
Erano giorni che frugava negli archivi; i capelli rossicci
tenuti fermi sulla nuca da una matita infilata a casaccio e i documenti sparsi
di fronte a sé.
Era stato facile trovare informazioni sul Rokudaime.
Le imprese di Naruto Uzumaki erano ormai leggenda, tanto
che non si poteva neanche essere sicuri della loro autenticità.
Ad esempio, si narrava che avesse sgominato da solo tre
interi villaggi, o che avesse domato un uragano…
Roba impossibile, insomma, ma la gente vi credeva, specie
in quei tempi bui dove Konoha era uscita sconfitta dalla quarta guerra dei ninja
e aveva perso il suo primato tra i villaggi.
La memoria dei tempi passati viveva ancora negli occhi
stanchi dei pochi vecchi sopravvissuti, i quali tramandavano ai giovani i
ricordi di quegli anni felici, dove
la Foglia
era a capo dell’intero Paese del Fuoco.
Ma la vecchiaia è la vecchiaia, e la realtà, nella mente
degli anziani, si mischia alle favole e ai sogni di antiche speranze, ormai
perdute.
Le nuove generazioni di ninja erano sfiduciate e apatiche;
senza spirito d’iniziativa, né desiderio di riscatto per il villaggio stesso.
Nessuno si preoccupava di riscoprire il passato, troppo
intento a crogiolarsi nella propria inedia.
E, a costo di sembrare banale, se non vi è passato, non vi
può essere futuro, perché è la conoscenza della storia che impedisce
all’essere umano di ricadere negli stessi errori.
Peccato che l’uomo sia un cattivo studente, e cerchi
sempre di sotterrare le nefandezze compiute, finché queste non tornano a galla
solo alla luce di una nuova catastrofe.
O grazie a una persona ancora non abbastanza annoiata da
trovare faticoso il rispolverarle.
Più difficile era stato per Michiko trovare materiale su
Sasuke Uchiha.
Il suo nome era ripetuto solo una volta nella storia del
Rokudaime, dove veniva designato come suo compagno di squadra.
Sembrava quasi che la sua memoria fosse stata infangata, in
modo che nessuno ne serbasse il ricordo.
Lo stesso per il suo clan: Uchiha.
Nessuna notizia.
Definitivamente obliato dalla storia del villaggio.
«Ragazzina, hai finito?»
L’arcigna bibliotecaria, donna di mezz’età burbera e
scontrosa, con i capelli ingrigiti dal tempo e il volto reso ancora più scarno
dal severo chignon in cui li costringeva, la raggiunse.
Michiko storse il naso, senza preoccuparsi di mostrare il
proprio disprezzo verso l’anziana e arcigna signora che la distoglieva dai
suoi studi.
Era la terza volta che sopraggiungeva a scacciarla dalla
sala.
Vecchia donna piena di polvere come i volumi della
biblioteca; la pelle sembrava ingrigita come i suoi abiti e i suoi capelli.
Nell’insieme, solo gli occhi verdi, circondati da pesanti
rughe, sembravano conferire un po’ di colore a quel corpo in decadenza,
avvolto nel rigido tailleur.
«Non è posto per i mocciosi, questo.»
Continuò, imperterrita.
«Mi hanno chiesto una ricerca per l’Accademia.»
Inventò Michiko, ben decisa a continuare le proprie
ricerche.
«Non mentire, ragazzina. Hai il coprifronte, non vai più
in Accademia.»
«In tal caso, non vedo perché non possa stare in
biblioteca. È un luogo pubblico, no?»
La donna le lanciò un’occhiata leggermente basita. Per
un attimo, il suo volto parve addolcirsi sotto il peso di un lieve sorriso, ma
fu questione di un momento il riacquisire l’espressione arcigna che le era
consona, ormai, da molti anni.
«Non vedo perché dovresti esserne interessata. Non viene
mai nessuno qui.»
Replicò, con il rimprovero per quella generazione,
disinteressata ad esplorare il passato, insito nella voce.
«Io ci sono. – fu la gelida risposta – E, se non le
dispiace, avrei bisogno del dossier di Sasuke Uchiha, se esiste.»
La bibliotecaria sgranò gli occhi, sorpresa.
Il nervosismo guizzò nelle iridi verdi, mentre la mano
rugosa cominciava a tremare e i denti imprigionavano il labbro inferiore con
fare ansioso.
«Perché ti interessa?»
«Esiste?»
Michiko sbalzò in piedi, appoggiando con pesantezza le
mani sul tavolo, euforica.
«Rispondi alla mia domanda, mocciosa: perché ti
interessa? E cerca di darmi una risposta soddisfacente. Niente bugie.»
La ragazza storse il naso, soppesando l’offerta.
«Voglio sapere che legame c’era tra lui e il Rokudaime.
Sono finita di fronte a una lapide, l’altro giorno, e c’erano i loro nomi
sovrapposti. Ma di Sasuke Uchiha si dice solo che era un suo compagno di
squadra. Poi è scomparso nel nulla. Lei sa che fine ha fatto?»
Domandò, speranzosa.
La donna sembrò scrutarla per un lungo momento, poi si
voltò, facendo cenno di seguirla.
Dopo un lungo percorso tra gli scaffali, giunsero ad una
porta in legno scuro, sconquassata come il resto della biblioteca.
La vecchia trasse una chiave arrugginita dalla tasca; le
dita ossute la infilarono nella toppa, facendo scattare, a fatica, la serratura.
Fece ruotare il pomello, spalancando l’uscio che, con un
cigolio sinistro, si aprì, mostrando loro una scala chiocciola cigolante.
Premuto l’interruttore per illuminare lo scantinato, la
donna si avviò, seguita immediatamente da una riluttante Michiko.
La discesa parve interminabile e il premio per la fatica,
scarso.
Nella sala che, evidentemente era la loro meta, v’era
solo un tavolo e una panca ammuffita.
«Che posto è questo?» chiese Michiko, storcendo il naso
per la puzza di stantio che permeava nel luogo.
La donna ghignò.
«Questo, ragazzina, è l’archivio del Clan Uchiha.»
Unì le mani, chiudendo gli occhi.
Michiko percepì solo quando fu sciolto, la presenza del
genjutsu che impediva di scorgere le pareti piene di vecchi registri, tutti
perfettamente conservati, e che faceva apparire l’enorme sala come una
semplice stanza in rovina.
Sorpresa, si voltò verso la donna.
«Lei è una kunoichi!»
Esclamò, sconcertata.
La vecchia sorrise, non più il ghigno di poco prima, ma un
sorriso sincero, quasi sarcastico.
E quel velo d’orgoglio e d’amarezza negli occhi verdi.
«Sakura Haruno, ragazzina. Ex-Anbu, ex-capo della squadra
medica di Konoha… - sospirò – Ex-compagna di squadra di Sasuke Uchiha,
mukenin di classe S, e Naruto Uzumaki, Sesto Hokage di Konoha.»
Dopo due settimane, Michiko aveva scoperto tutto quello che
c’era da sapere sul Clan Uchiha.
Il loro antenato, Madara Uchiha, era stato uno dei
fondatori del villaggio della Foglia; era il clan fondatore della polizia del
villaggio e, più di settanta anni prima, era stato sterminato da Itachi Uchiha,
che aveva lasciato in vita solo il fratello minore, Sasuke.
Questi, per vendicarsi del fratello, si era unito ad Oto,
comandato a quei tempi dal sennin Orochimaru.
Dopo di che, l’aveva ucciso, ponendosi come secondo
obiettivo Itachi, ma si era imbattuto in Naruto Uzumaki.
Questi lo aveva sconfitto e Sasuke Uchiha era stato
processato e condannato a morte, tramite somministrazione di veleno.
In seguito alla sua cattura, Naruto Uzumaki era diventato
Rokudaime, a soli diciotto anni.
Aveva mantenuto il ruolo per dieci anni, finché non era
deceduto durante la quarta guerra dei ninja.
«Come mai è stato cancellato tutto il materiale su Sasuke
e sugli Uchiha?»
Domandò, masticando un biscotto offertole da Sakura che,
mentre consultava gli archivi, sedeva tranquilla di fronte a lei, versandole, di
tanto in tanto, del tè.
«Ordine del Root. Un ramo segreto degli Anbu al di fuori
della giurisdizione dell’Hokage. – spiegò la donna. – Una volta morto
Naruto, ne hanno approfittato per eliminare quella che, ormai, era considerata
una macchia per il villaggio. Per fortuna sono riuscita a recuperare il tutto,
prima che potessero distruggerlo sul serio.»
Sakura versò il tè nella tazza di ceramica; Michiko chinò
rispettosamente il capo, in gesto di ringraziamento.
«Credo sappiano che questi documenti sono qui, ma non gli
interessa. Chi mai crederebbe ad una vecchia pazza?»
E rise. Amaramente rise, finché gli occhi verdi non si
riempirono di lacrime che, prontamente, furono catturate dalla manica
dell’abito.
«Michiko, ti sei mai chiesta perché, dopo Naruto, Konoha
non abbia più avuto un Hokage?»
«Ma Konoha ha un Hokage. – mormorò la ragazza –
Sai-sama…»
Sakura scosse il capo, con fare stizzito.
«Sai è solo una marionetta nelle mani del Root! –
annunciò, secca. – Il vecchio Tenzo aveva progettato benissimo il tutto.
Peccato che Yamato-taicho lo abbia capito troppo tard…oh, sono già le sette.
Come vola il tempo.»
L’aria di Sakura si fece svagata, una volta individuato
l’orologio. Con nonchalance, tentò di deviare l’argomento, troppo scottante
per essere trattato in quella sede.
«Sakura-san, non cambi discorso!»
«Sei troppo piccola, per certe cose, Michiko. Dovresti
tornare ad allenarti e lasciar perdere questa storia. In fondo hai saputo chi
erano Sasuke e Naruto.»
«Non credo. Io ho scoperto chi erano agli occhi del
villaggio, non chi erano veramente.»
«Certe volte la verità è troppo pericolosa. Accontentati
di questo: Naruto era un eroe che il Root ha trasformato in un simbolo da
sfruttare a proprio vantaggio e Sasuke un traditore di cui non si vuole serbare
memoria.»
La donna si alzò, ben decisa a metter fine alla
conversazione.
Con tocchi nervosi, cominciò a metter via il tè e le
tazze, affrettandosi a portar via il vassoio.
Era quasi arrivata alle scale, quando la domanda di Michiko
giunse rapida alle sue orecchie.
«Se erano solo questo, allora perché lei è qui,
Sakura-san?»
Sakura si fermò.
«Che legame c’era tra di voi?»
Le mani tremarono.
«E, soprattutto, perché c’era anche il suo nome, su
quella lapide?»
Quella notte, Michiko attese che i suoi genitori fossero
ben addormentati, prima di accendere la torcia e leggere il vecchio diario che
Sakura le aveva dato.
L’ordine era stato di non farlo leggere a nessuno, né di
parlare mai di ciò che vi era scritto.
«Tutto ciò che si trova qua dentro, potrebbe essere usato
per accusarti di alto tradimento, se tu lo ripetessi.»
Era stato il macabro avviso.
Ciò nonostante, la ragazza era decisa ad andare in fondo,
ormai; quindi aveva stretto a sé il diario, giurando a Sakura che mai ne
avrebbe fatto parola con anima viva.
Restò qualche secondo a contemplare la copertina e le
pagine ingiallite, poi, con timore reverenziale, lo aprì.
Mi chiamo Sakura
Haruno, ho ventotto anni e sono viva.
Credo che questa sia
l’unica cosa che mi resta, ormai: la vita.
Ancora
per poco.
Siamo in guerra e, lo
so, la stiamo perdendo.
Merda.
Ovvio, ora che non
c’è più Naruto, ora che è sparito nel nulla, non c’è più nessuno che può
fermare gli avversari.
Come se non bastasse,
il gruppo speciale degli Anbu si è unito a loro.
Dio. Se ci fosse
Naruto. Se ci fosse lui.
Questa non è più
una guerra tra i villaggi: è una guerra civile.
Foglia contro Foglia,
fino all’ultimo sangue.
Ho voglia di
vomitare, ma non posso. Non ho mangiato niente, stamani.
Il Root si è
mostrato quel figlio di puttana che era.
Ci ha traditi,
venduti: ha rivelato la nostra posizione.
E
Naruto. Dio mio. Naruto è morto.
Sono Sakura Haruno e
presto morirò anche io, perché non permetterò a quelli che dovrebbero essere
miei alleati di prendermi viva.
Ma prima…prima devo
spiegare perché Naruto ha lasciato così il campo di battaglia.
Perché non voglio
che il suo gesto sia ricordato come vigliaccheria, perché Naruto non era un
vigliacco.
Naruto
era innamorato.
Per
favore, Konoha, perdonalo. L’Hokage era innamorato.
Per
anni non ha fatto che pensare a te. Non ha fatto altro che difenderti e
assicurarti il benessere.
Lui non ti ha
tradita, Konoha: sei stata tu a farlo per prima.
Non dimenticherò mai
il suo sguardo quando è entrato nella tenda dei medic-ninja e mi ha tirata da
parte, dicendomi: “Konoha è finita.”
Era disperato.
Triste.
Deluso.
Un uomo a cui la vita
ha tolto tutto: la famiglia, l’amicizia, l’amore.
Gli eri rimasta solo
tu, Konoha e, quando anche tu gli hai voltato definitivamente le spalle, ha
deciso di pensare un attimo a sé.
Perciò perdonalo.
Perdonalo.
Era
innamorato.
I'm gonna make you
bend and break
(It sends you to me without wait)
Say a prayer but let the good times roll
In case God doesn't show
(Let the good times roll, let the good times roll)
And I want these
words to make things right
But it's the wrongs that make the words come to life
"Who does he think he is?"
If that's the worst you got
Better put your fingers back to the keys
«Sakura-chan.»
Naruto entrò nell’ufficio della vice direttrice del
reparto medico di Konoha.
Sakura era china su una sedia, il volto nascosto da un
voluminoso fazzoletto.
Piangeva. In silenzio, ma piangeva.
Tuttavia, le lacrime sparirono rapide dal viso, rapite
dalla stoffa, non appena udì la voce del suo ex compagno di squadra.
Allora, si sforzò di regalargli un sorriso. Debole, ma
Naruto ricambiò.
Entrambi avevano bisogno di sorridere, se non altro per
convincersi che andasse tutto bene.
«Naruto-kun.»
Gli fece cenno di accomodarsi sulla sedia adiacente alla
propria, ma il ragazzo si ostinò a rimanere in piedi.
Sakura notò la testa fasciata e i graffi sulle mani.
Sapeva che sotto la tuta nera e arancione nascondeva altre
ferite, ma non fece domande in merito.
Tanto Naruto non le avrebbe mai permesso di controllarle.
Si limitò a piegare il fazzoletto, sperando, invano, che
l’amico non notasse gli occhi lucidi.
Se lo fece, l’Uzumaki non ne diede segno. Forse anche i
suoi erano troppo bagnati.
«Lo hanno… lo hanno ucciso?»
La domanda calò pesante tra loro, come la certezza della
risposta.
Sapevano entrambi che sarebbe successo.
Konoha avrebbe perdonato Sasuke, se questi si fosse
dimostrato pentito del suo tradimento.
In fondo, se ne era andato che aveva solo dodici anni; così
giovane, poteva tranquillamente essere considerato vittima innocente delle
lusinghe di Orochimaru.
Invece no.
A distanza di tre anni, Sasuke non aveva cambiato idea.
Ancora convinto di essere nel giusto, ancora deciso a non
tornare al villaggio finché Itachi non fosse morto per mano sua, al processo si
era limitato a rispondere alle domande con aria totalmente distaccata.
Come se il processo non fosse stato il suo; come se
l’imputato per cui si richiedeva la pena di morte non fosse stato lui.
Indifferente.
Solo una cosa, a Sakura non era sfuggita, impediva all’Uchiha
di assentarsi completamente da quella che, evidentemente, considerava una platea
di esseri inferiori, non degni di considerazione neanche se arbitri del suo
destino.
Sasuke fissava costantemente lei e Naruto.
Non aveva scostato un attimo gli occhi da loro.
Per tutta la durata del processo, dalla presentazione delle
accuse alla sentenza, lo sguardo indagatore di Sasuke era rimasto fisso sui suoi
ex compagni di squadra.
Sakura non seppe mai se in segno di rimprovero per non
essere riusciti a fermarlo, o in un disperato ultimo appello: lei non lo ricambiò
mai.
Era passato troppo tempo da quando aveva incrociato lo
sguardo di Sasuke. Troppi anni da quella sera in cui aveva, finalmente, trovato
il coraggio di fissarlo direttamente e dichiarargli il proprio amore.
Sentimento che lui aveva calpestato e, allo stesso tempo,
alimentato con quel “grazie” sussurrato nel suo orecchio.
E, adesso, Sakura si sentiva indagata da quegli occhi di
cui, un tempo, aveva bramato le attenzioni e che, in quel momento, ricercavano
le sue.
Ma il desiderio di vederli nuovamente, si mischiava al
timore di trovarli vuoti. Terribilmente vuoti.
Così teneva i propri chini sul pavimento, a studiare i
disegni del legno del parquet.
Allo stesso tempo, sentiva che Naruto non aveva abbassato i
suoi, ma che sosteneva lo sguardo di Sasuke.
Anche quando la corte era rientrata, annunciando che aveva
emesso il verdetto, Naruto era rimasto lì: lei era uscita.
L’esecuzione… aveva sperato che l’amico la
costringesse ad andare, o che rimanesse lì con lei, per non farla sentire una
vigliacca, se non dava l’ultimo saluto a Sasuke.
Invece no.
Naruto era semplicemente passato da lei, chiedendole se si sentiva in grado
di assistere e, al suo debole diniego, si era allontanato, tornando solo a
cerimonia finita.
«No, non l’hanno ucciso.»
Un sussulto di sorpresa colse la ragazza.
«Come è possibile? La senten…»
Si bloccò.
Calde e copiose lacrime scivolavano sul volto di Naruto
che, goffamente, tentava di trattenerle.
«Non lo hanno ucciso. Pensano di averlo fatto…io…io…
- singhiozzo. – Io non potevo lasciare che lo uccidessero. Ho usato la
tecnica…della trasformazione su un cadavere. Pensano che sia morto. In fondo
era veleno. È stato facile…poi il corpo è stato bruciato e…»
«Sasuke-kun è vivo? – esclamò Sakura. - È vivo? E
adesso dov’è? Dov’è, Naruto?»
La ragazza lo afferrò bruscamente per le spalle,
scuotendolo.
«L’ho drogato. Sasuke non voleva. Glielo avevo proposto,
ma ha risposto che piuttosto che avere il mio aiuto preferiva morire. E io non
volevo che morisse. Non volevo Sakura…»
Sakura lo abbracciò, offrendogli la propria spalla come
appoggio e lasciandosi andare, a sua volta, ad un pianto liberatorio.
«Gli ho sigillato il chakra… - Naruto continuava a
parlare, tra un singhiozzo e l’altro. – Se ha il chakra sigillato non può
fare molto, vero? Vero?»
La diciottenne evitò di fargli notare che Sasuke poteva
sempre usare il taijutsu, evitò di fargli notare ogni piccola pecca nel suo
piano, troppo sollevata per poter rimproverare a Naruto di aver peccato di
scarsa accuratezza.
One night and one
more time
Thanks for the memories
even though they weren't so great
"He tastes like you only sweeter"
One night, yeah, and one more time
Thanks for the memories, thanks for the memories
"He, he tastes like you only sweeter"
«Quindi, Naruto ha salvato Sasuke. – commentò Michiko,
fissando Sakura dritta negli occhi. – E dopo?»
Erano sedute nel salotto della donna, attorno ad un basso
tsukui di ciliegio.
Il mobilio era sobrio ed essenziale, ma non mancava di quel
tocco d’eleganza che l’anziana signora riusciva a conferire con poco: un
vaso di fiori qui e qualche foto sparsa qua e là, in lineari cornici.
Perfino il suo abbigliamento, quel giorno, sembrava più
curato.
O, forse, pensò Michiko, era solo perché a casa propria
non doveva mantenere la sua rigida copertura.
In fondo, per tutti quanti, Sakura Haruno era morta durante
la quarta guerra dei ninja e, in quel momento, lei era seduta a bere un tè con
l’anziana bibliotecaria, Chiyo Ishida.
«Dopo abbiamo eliminato le prove. – la donna sorseggiò
il proprio tè. – Ancora un po’ di zucchero, cara?»
«No, grazie. E poi?»
«Poi, Sasuke si è svegliato. – l’ombra di un sorriso
attraversò il volto stanco di Sakura. – Kami, gli insulti che ha potuto tirar
fuori quel giorno. Penso di non averlo mai sentito parlare così tanto. Ricordo
che… - lo sguardo si fece nostalgico. - …che sono scoppiata a ridergli in
faccia. Alla tua età non lo avrei mai fatto, ma in quel momento… Beh, non mi
sembrava più così distaccato. Prima, non era umano. Cioè… Lo era, ma per
noi ragazze era una sorta di idolo irraggiungibile. Hai presente il principe
azzurro delle favole? Sì? Bene, non penso ci sia stata ragazza a Konoha che, ai
miei tempi, non abbia sognato Sasuke che veniva a prenderla sul cavallo bianco.»
Michiko bevve, scettica, il proprio tè.
Sinceramente, non ci vedeva niente di principesco in quel
Sasuke.
Certo, dalle foto che Sakura le aveva fatto vedere, era di
sicuro un bel ragazzo, ma lei non avrebbe mai potuto considerare un traditore
come uomo dei suoi sogni.
«E lui che ha fatto, quando ti sei messa a ridere?»
«Si è zittito. Sia lui, sia Naruto; hanno smesso di
insultarsi reciprocamente e si sono voltati a fissarmi. Penso di averli
sconvolti. Poi, Sasuke è tornato il solito Sasuke e ha liquidato il tutto con
uno dei suoi mugugni spazientiti e Naruto… - sospirò, prendendo un biscotto.
– Naruto è scoppiato a ridere con me. Era la sua prima vera risata dopo anni.
Per un attimo eravamo tornati la squadra sette, quel gruppo di stupidi e folli
genin, pieni di sogni e di ambizioni.»
«Che ne è stato di quella squadra?»
La ragazza studiò attentamente la gestualità
dell’anziana donna: il suo sistemarsi di continuo le ciocche grigie fuori
posto, il lisciare le pieghe del vestito, gli occhi che saettavano nervosamente
verso le scale, timorosi di veder qualcuno scendere lungo quei gradini che tanto
gelosamente aveva preservato.
Piccoli gesti che lasciavano trasparire tutta l’ansia di
Sakura nel ricordare le vicende del passato.
Era stanca.
Per quanto potesse nasconderlo, a Michiko non erano
sfuggite le pesanti ombre sotto gli occhi, né il suo fermarsi continuamente a
riprendere fiato.
E il ricordare, alle volte, consuma molte più energie di
quanto si possa immaginare.
Been looking forward
to the future
But my eyesight is going bad
And this crystal ball
It's always cloudy except for
When you look into the past (look into the past)
One night stand (one night stand off)
Sorrise, quando lo vide entrare nella stanza.
I capelli scuri ricadevano, fradici, lungo il viso, forse
un po’ troppo magro; le sopracciglia corrucciate in quella sua caratteristica
espressione imbronciata.
«Buongiorno, Sasuke-kun.»
Un grugnito irritato le giunse come risposta.
Non le importò. In fondo non ci si poteva aspettare altro
da Sasuke Uchiha.
Non quando i panni stesi, di cui aveva cariche le braccia,
lo avevano costretto ad uscire col mal tempo, per impedire che si bagnassero.
«Ahah! Sasuke fa la donnina di casa!»
Un maglione intriso di pioggia colpì Naruto dritto sulla
faccia, impedendogli di continuare con la sfilza di quotidiani insulti
giornalieri.
«Inutile che te la prendi, teme. Sakura-chan ha mandato te
a ritirare i vestiti, non me.»
Un ghigno si allargò sul volto dell’ormai Rokudaime,
mentre scansava l’indumento dalla propria bocca.
«Evidentemente lo riteneva un lavoro troppo faticoso per
il dobe-daime.»
Sakura sorrise, rimestando un’altra volta la zuppa di
miso che, lentamente, coceva sul fuoco.
Era stata dura per lei e Naruto riappacificarsi con Sasuke,
dopo la sua mancata esecuzione, risalente ormai a quattro anni prima.
L’Uchiha sembrava deciso a fargli pesare il fatto di
essere ancora vivo.
Non si era mai dimostrato grato ai suoi ex-compagni di
squadra per il fatto di averlo sottratto alle grinfie della morte, né per aver
trovato il modo per non farlo finire nuovamente nelle grinfie degli Anbu.
A volte, Sakura aveva l’impressione che Sasuke avrebbe
preferito concludere lì la sua esistenza.
Come un ninja.
Come un traditore, a dire il vero.
Probabilmente, la cosa che più lo infastidiva, era di
avere il chakra sigillato o, forse, di dovere la propria vita a Naruto Uzumaki.
Le rare volte che, dopo quel episodio, si erano fermati a
conversare – lei parlava e lui rispondeva a mugugni, eccetto poche,
sillabiche, frasi – l’Uchiha aveva sempre concluso le proprie – scarse –
argomentazioni con un:
«Dovevate lasciarmi morire.»
A quel punto, si alzava, lasciando Sakura a soppesare
quelle parole e raggiungendo Naruto che, trafelato, correva da loro con un
sorriso a trentadue denti e un nuovo insulto per Sasuke tra le labbra.
Sakura in quei momenti non guardava, ma a giudicare da come
l’ormai soprannominato dobe-daime si zittiva subito dopo, Sasuke aveva trovato
argomentazioni molto convincenti che lo costringevano a non replicare.
Adesso erano tutti lì, seduti attorno al tavolo di quella
casa fuori Konoha che era diventata la loro abitazione, il loro nido, il solo
segreto.
Solo più tardi si resero conto che era soltanto la loro
prigione, perché era in quel luogo fuori dal mondo e dal tempo che, lei e
Naruto, tentavano disperatamente di riannodare i fili rossi di un destino
spezzato tanti anni prima.
In realtà, avevano il terrore di ammettere che la squadra
sette era morta.
Solo Sasuke sembrava essersene reso conto ma, nonostante
tutto, continuava a fingere che i due amici fossero riusciti a riportare tutto
come era prima.
Naruto sedeva nel proprio ufficio, analizzando le pratiche
che, inesorabili, si accumulavano sulla sua scrivania.
Sbuffò, appoggiando la fronte contro il legno laccato.
Quando sognava di diventare Hokage, non immaginava che
avrebbe dovuto sbrigare tante scartoffie, a dire il vero.
Probabilmente, se ne fosse stato a conoscenza, avrebbe
intrapreso un’altra carriera.
L’assaggiatore di ramen, per esempio, o il produttore di
ramen, o il venditore di ramen, o magari avrebbe aperto un chiosco come l’ichiraku
ramen…
Insomma, qualcosa di utile e necessario alla comunità.
Ecco.
Altro che leggere e firmare documenti su documenti e
sistemare ogni singola, piccola bega presente nel villaggio.
Con un sospiro, si costrinse a rimettersi al lavoro.
Quella sera avrebbero cenato da Sasuke e, quello, era
l’unico pensiero che gli permetteva di affrontare la giornata.
Sì, aveva avuto un’ottima idea a costringere l’amico a
vivere accanto al villaggio.
Il che, portava due vantaggi: gli permetteva di tenerlo
sotto controllo e di approfittare della cucina dell’Uchiha, rivelatosi, tra le
altre cose, un ottimo cuoco.
Naturalmente, non era stato facile, i primi tempi.
Aveva, innanzi tutto, sigillato il suo chakra, così che
non potesse scappare.
L’unica cosa che gli era sfuggita era che, Sasuke, era
molto più abile di lui nel taijutsu, così che si era praticamente risvegliato
in ospedale, non appena, con baldanza, aveva permesso all’amico di mettergli
le mani addosso, sostenendo boriosamente che non sarebbe riuscito a fargli
neanche un graffio.
Ciò nonostante, Sasuke non aveva tentato la fuga, ma aveva
accettato, non sapeva se di buon grado o meno, la proposta di Naruto di restare,
non a Konoha, ma in una zona adiacente, nascosto dal genjutsu del nuovo Hokage.
Titolo che, per i primi tempi, aveva pesato sulle spalle
dell’allora diciottenne Naruto Uzumaki.
Non tanto per le incombenze che lo asfissiavano, quanto per
il motivo cui gli era stato conferito: cattura del mukenin di classe S, Sasuke
Uchiha.
Mukenin che non era riuscito a far uccidere, ma che, anzi,
aveva aiutato a sfuggire alla legge.
Incredibilmente, il motivo per cui era diventato Hokage,
era anche il solo per cui lo stesso villaggio avrebbe potuto accusarlo di
tradimento.
Come se non bastasse, si sentiva in colpa nei confronti di
Sasuke.
Stupidamente, ma l’Uchiha non sembrava grato di averlo
salvato e, più che vivere, si lasciava tirare avanti dall’energia sua e di
Sakura che, imperterriti, lo costringevano a mangiare e a reagire.
Ora, a distanza di sette anni, tutto sembrava tornato come
era prima del tradimento.
Ridevano e scherzavano tutti assieme; lui e Sasuke avevano
ripreso ad accapigliarsi e l’Uchiha continuava a metterlo sotto nelle loro
sfide, con o senza chakra.
«Rokudaime.»
Il sorriso ebete che si era dipinto sul volto di Naruto
mentre si crogiolava nei ricordi, scemò all’ingresso di Sai nell’ufficio,
prontamente sostituito da un’espressione fin troppo seria.
«Dimmi, Sai.»
Il ragazzo sorrise, serafico.
Naruto storse il naso.
In tanti anni, Sai non era cambiato di molto: inespressivo
come sempre e, purtroppo per lui, sempre maledettamente indisponente.
Neanche il fatto che, ora, fosse il Rokudaime impediva
all’Anbu di prenderlo in giro riguardo ai suoi attributi sessuali.
Il che, Naruto lo comprendeva, era più che altro un
tentativo di socializzare, ma ciò non toglieva che, con gli anni, la kitsune si
fosse fatta sempre più sensibile all’argomento, fino a risultarne palesemente
irritata.
«Purtroppo non porto buone notizie.»
Annunciò, senza infiocchettamenti o prese in giro di
sorta.
Forse fu questo a riportare l’immediata attenzione
dell’Hokage su quanto Sai gli stava riferendo.
Se l’Anbu non scherzava prima di fare rapporto, era veramente
qualcosa di serio.
«Ti ascolto.»
«La squadra tredici scomparsa è stata ritrovata.»
«Bene, no?»
«Non proprio. Ho detto che è stata ritrovata, non che è
tornata. Perlomeno, non viva.»
Naruto evitò di
parlarci dell’omicidio della squadra tredici.
Evitò, ma non passò
molto tempo che la storia riuscì a sfuggire alle mura del palazzo dell’Hokage,
diffondendosi come pettegolezzo per le vie di Konoha.
E, siccome la
maldicenza alimenta la maldicenza, ritornarono le malelingue a commentare
aspramente l’operato di Naruto che non si decideva ad indagare sugli
assassini.
Innumerevoli furono
le accuse.
Alleato dei nemici,
venduto, traditore.
Ritornò anche il
“mostro”.
E, con lui, anche gli
sguardi cupi di Naruto.
A nulla servivano i
miei tentativi di riscuoterlo.
Lo picchiavo, lo
insultavo, lo abbracciavo e lo ascoltavo singhiozzare contro la mia spalla, ma
mai Naruto
si permise di sfogarsi con me.
Non riuscivo a
capirlo: io e Sasuke, fondamentalmente, eravamo gli unici che potevamo aiutarlo
a sopportare il peso delle ingiurie, proprio come avevamo fatto in passato.
Ricordo, però, di
non aver fatto niente quando ho sentito una donna commentare, dopo l’annuncio
che sarebbe stato istituito lo stato d’emergenza, in seguito alla scomparsa
d’un’altra squadra Anbu: «Cosa potevamo aspettarci eleggendo come Hokage il
Kyuubi?»
Già, il Kyuubi.
Forse, era per questo
che Naruto non si confidava. Non con me, almeno.
E, forse, era per
questo che io stessa ero inconsciamente riluttante ad accogliere le sue
confidenze.
Differentemente da
Sasuke.
Kami. Li ho visti
parlare una volta. Una volta sola, seduti sul gradino che portava alla veranda.
Distinguevo solo le
loro ombre, eppure i loro occhi erano nitidi.
Rossi. Rossi. Rossi.
Sentivo Naruto
parlare, singhiozzare. E Sasuke… Sasuke lo abbracciava.
Lo baciava.
E io, da sempre professatemi innamorata di Sasuke, ora ero gelosa di
entrambi.
One night and one
more time
Thanks for the memories
even though they weren't so great
"He tastes like you only sweeter"
One night, yeah, and one more time
Thanks for the memories, thanks for the memories
"He, he tastes like you only sweeter"
Michiko osservò impassibile la bara che veniva calata
nella fossa.
I fiori di carta bianca decoravano il piccolo e fragile
spazio occupato dalla tomba di una donna i cui funerali si erano celebrati tanto
tempo prima.
C’erano solo tre persone, alla cerimonia.
Lei e i due becchini che, sporchi, si affannavano, adesso,
a ricoprire la bara di terra umidiccia.
Sulla lapide, il nome dell’inesistente Chiyo Ishida.
Michiko stava in piedi di fronte alla tomba; il vento
portava via i fiori di carta.
Sotto il braccio teneva un diario dalle pagine ingiallite,
le cui parole erano kunai acuminati che andavano a squarciare le nebbie della
memoria.
Era passato un mese da quando aveva cominciato ad
addentrarsi nella sua ricerca.
Un mese. E in questo mese aveva scoperto tante cose che, se
riportate alla luce, avrebbero potuto mettere in discussione l’apparato
istituzionale di tutto il villaggio.
Sempre che qualcuno le avesse creduto.
In fondo, erano soltanto pezzi di carta che il tempo
avrebbe distrutto.
L’unica testimone era deceduta e riposava, finalmente, in
pace.
Senza aver terminato il suo racconto.
Strinse a sé il diario, trattenendo un singhiozzo.
Le lacrime inumidirono i ricordi di Sakura Haruno,
racchiusi, adesso, solo in quel consunto quaderno.
Ricordi.
Quanto poco basta a cancellarli.
Sarebbe stato sufficiente seppellire il diario con lei,
pensò Michiko.
Non avrebbe più dovuto nasconderlo e avrebbe potuto
dimenticare tutto, tornando a guardare l’attuale Hokage come un eroe, Naruto
Uzumaki come una leggenda e Sasuke Uchiha come un traditore.
Invece, la povera, piccola,
imbranata Michiko, genin senza alcun particolare talento o attitudine,
approfittò degli ultimi raggi di sole per sedersi sulla tomba e finire il
diario.
They say I only think
in the form of crunching numbers
In hotel rooms collecting page six lovers
Get me out of my mind and
get you out of those
clothes
I'm a liner away from getting you into the mood, whoa
La guerra era scoppiata.
Feroce, imperversava, dapprima nelle zone di confine, dove
numerosi contingenti di ninja si scontravano senza sosta in una lotta per la
sopravvivenza propria e del proprio villaggio.
Successivamente, come accade nel drammatico perdurare di
ogni conflitto, finì per spostarsi verso l’interno, danneggiando la
popolazione civile.
Ma il pericolo più grande, per Konoha, veniva
dall’interno, stavolta.
Un germe velenoso nato e coltivatosi sin dalla fondazione
del villaggio.
Il Root.
Radice.
Il primo ramo degli Anbu mai istituito, fondamenta stessa
della Foglia.
Il punto su cui, aveva deciso Naruto, si sarebbe fondata la
difesa ultima del villaggio in caso d’emergenza.
Il Root sarebbe stato la radice di Konoha non solo di nome,
ma anche di fatto.
Ma il Rokudaime non aveva previsto che anche la radice
dell’albero più solido può dimostrarci marcia e tradire il tronco quando
questi meno se lo aspetta.
Accadde in una giornata di Luglio.
Il puzzo di cadaveri infettava l’aria, rendendola pesante
e insalubre.
C’era un gran via vai di feriti attorno alla tenda dei
medic-ninja, i quali, senza sosta, si davano rapidamente il cambio per
disinfettare, amputare, medicare chiunque si presentasse al campo.
Il chakra verde caratteristico dei dottori riluceva, ormai,
perpetuo dietro la stoffa bianca della struttura, nel tentativo spossante di
mantenerla sterile.
Lì risiedeva solo un esiguo gruppo dello schieramento
medico impiegato: il resto si occupava del soccorso immediato sul campo.
Si avvicinava mezzogiorno, l’ora in cui il sole è più
alto, in cui l’odore di morte sembra farsi insopportabile, in cui si avverte
di più la stanchezza e più difficile è mantenere la concentrazione per
prestare soccorso ai feriti.
Fu a quell’ora che la tela della tenda, apportatrice di
un po’ di frescura, si scostò, lasciando entrare, assieme ai raggi bollenti
del sole, il Rokudaime in persona.
Le ciocche bionde erano intrise di sangue, il volto sporco
e sconvolto.
E gli occhi. Gli occhi alternavano rapidamente l’azzurro
col rosso.
«Sakura.»
La donna si voltò, al richiamo; i capelli rosa rigidamente
costretti in una treccia e le ciocche ribelli tenute indietro dal coprifronte,
affinché non impedissero la visuale.
«Che succede, Nar…?»
Il Rokudaime l’afferrò bruscamente per un braccio,
trascinandola in un angolo abbastanza confusionario perché terzi potessero
interessarsi ai loro discorsi.
Lì, solo tre parole.
Parole con il potere di distruggere un intero mondo.
«Konoha è finita.»
Sakura non riuscì mai a cancellare dalla mente lo sguardo
di Naruto, mentre le porgeva quel macabro annuncio.
Lo sguardo di chi ha dedicato tutta la sua vita ad un
unico, grande obiettivo e sa di aver fallito.
Tutta la sua vita, in fondo, non era stata altro che un
grande fallimento.
Aveva fallito nel riportare indietro Sasuke.
Aveva fallito nel far uccidere questo.
Aveva fallito nel difendere Konoha.
Non era riuscito ad essere né un bravo amico, né un bravo
ninja, né un bravo Hokage.
E, quando, capisci di essere arrivato alla fine, perché
non hai più modo di fallire in alcunché, visto che non c’è più niente in
cui farlo, allora non rimane che gettare la spugna.
Ed era un uomo distrutto, quello che consegnava un rotolo a
Sakura, per poi scappare via.
Dalla tenda, dal campo di battaglia.
Per correre verso l’unica cosa rimasta, l’unico fragile
appiglio a cui potersi aggrappare, prima di precipitare.
Appiglio, crollato già prima del suo arrivo, perché
Naruto lo avrebbe dovuto capire molto tempo prima: non basta sigillargli il
chakra, per tenere Sasuke Uchiha fuori dal campo di battaglia. Non quando lui,
Naruto, è lì a rischiare la vita.
«Perché non si può essere secondi ad una baka kitsune.»
Quando ebbe letto il rotolo, Sakura uscì dalla tenda
medica, recuperando il diario su cui teneva il bollettino di guerra.
Andò alla ricerca dei suoi compagni lungo una strada di
cadaveri, tra cui molti conosciuti.
Kakashi, Iruka, Neji, Choji…
Non si fermò, se non di fronte a quelli che cercava.
Trovò i corpi di Sasuke e Naruto immersi in un lago di
sangue, schiena contro schiena e il sorriso beffardo che si rivolgevano sempre
sulle labbra, quasi volessero prendersi gioco l’uno dell’altro anche nella
morte.
Con una freddezza che mai avrebbe creduto possibile, bruciò
il cadavere dell’Uchiha, impedendo a qualsivoglia organizzazione di
impadronirsi dei segreti dello sharingan e riportò quello di Naruto al campo.
Konoha aveva bisogno di qualcosa per cui lottare e il
Rokudaime, ora più che mai, sarebbe dovuto divenire il simbolo di quegli ideali
su cui si fondava
la Foglia.
Non era il tempo delle lacrime, quello. Non per lei.
Ma, una volta crollato il tronco, l’albero muore.
Così accadde per il villaggio.
Quando Sakura vide ninja di Konoha combattere contro i loro
fratelli, quando capì che il colpo di stato del Root era avvenuto, quando si
rese conto che il marcio era troppo espanso per poter rimediare, allora anche
lei si arrese.
Inscenò nel dettaglio la propria morte.
In fondo, il gruppo sette era deceduto tanti anni prima.
Soltanto lei non lo sapeva.
Soltanto lei non se ne era resa conto.
One night and one
more time
Thanks for the memories
even though they weren't so great
"He tastes like you only sweeter"
One night, yeah, and one more time
Thanks for the memories, thanks for the memories
"He, he tastes like you only sweeter"
Una bambina dai corti capelli biondo cenere si avventurava
stizzita per quel campo incolto, appena illuminato dal sole di mezzogiorno.
Stanca e irritata, si lasciò cadere su un piccolo tumulo
di terra.
Aveva litigato con i suoi genitori, incapaci di comprendere
il suo desiderio di diventare una kunoichi.
Se, un tempo, Konoha era stato il villaggio più potente
come contingente militare ninja, ormai quest’attività era caduta in
disgrazia.
I ninja rimasti erano davvero pochi. Residui di un passato
che, ancora, non si era riusciti a cancellare.
Un mestiere secondario e poco redditizio, rispetto ai
numerosi porti commerciali che crescevano nella città, divenuta ormai un centro
mercantile.
Ma la montagna degli Hokage continuava a stagliarsi,
maestosa e imponente, sul villaggio, vegliando su di esso e ricordando ai suoi
abitanti, anche con rimprovero, le glorie passate, alimentando i sogni di una
generazione troppo distante da quel mondo per comprenderlo appieno, ma
suggestionata dall’influenza romantica della faccenda.
Ayumi si lasciò ricadere sull’erba secca, con un
sospiro.
Distrattasi a guardare la forma delle nuvole, il suo relax
fu disturbato da un lento rumore di passi.
Balzò subito in piedi, allarmata da quell’incedere
sospetto.
Si rilassò, quando vide che era solo una vecchia, quella
che si dirigeva verso la sua postazione.
Altezza esigua, gli occhi nocciola erano appesantiti da
pesanti occhiaie e dalle rughe che, inevitabili, alterano i lineamenti
giovanili.
Tra le mani stringeva un cesto di vimini, carico di fiori
bianchi.
Dopo una rapida valutazione, Ayumi decise che quella
vecchia non costituiva una minaccia, e si rimise a sedere.
«Ragazzina, potresti alzarti?»
«Mh?»
La mano ossuta della donna, la bambina notò che sembrava
ancora più esile, vista da vicino, si posò sulla sua spalla.
«Sei seduta sulla tomba di una mia amica. Vorrei metterci
dei fiori.»
«Oh! Mi scusi! Non sapevo…»
Ayumi scattò in piedi, imbarazzata.
«Non preoccuparti.»
La donna sorrise, depositando un mazzo di gigli di fronte a
– Ayumi la notò solo in quel momento – una pietra bianca su cui era inciso
il nome di Chiyo Ishida.
Carezzò la lastra con le dita nodose, prima di inserire la
mano nel cesto di fiori e tirando fuori dall’intrico degli steli, quello che
Ayumi riconobbe come un rotolo ninja.
Un pezzo d’antiquariato, a giudicare dal colore sbiadito
della carta che lo componeva.
«Ma quello è…»
«Questo? – la vecchia lo sollevò appena, esponendolo
allo sguardo della ragazza. – Questo è un segreto, piccola. Un segreto che
avrebbe potuto distruggere Konoha anni fa. Un segreto di cui, ormai, non importa
più nulla.»
Ayumi deglutì.
«Posso…?»
La donna annuì, porgendoglielo e osservandola mentre, con
venerazione, faceva ruotare la pergamena, fino a srotolarla del tutto e
accedere, finalmente, al contenuto.
«Ma è antichissimo!»
Esclamò, quando lesse la data riportata sulla cima del
rotolo.
«Risale all’epoca del Rokudaime. - Spiegò l’anziana
signora, alzandosi. – L’ultimo documento che ci ha lasciato. Puoi tenerlo,
se vuoi. Io ero venuta solo a restituirlo a chi di dovere.»
Accennò alla tomba col capo, imbracciando nuovamente il
cesto di fiori, prima di incamminarsi lungo il sentiero disossato.
Ayumi lanciò un’altra occhiata alla lapide, stavolta
leggendo attentamente l’iscrizione.
Chiyo Ishida.
Un nome, un graffio che lo percorreva longitudinalmente.
E un altro nome, scritto sopra di esso, quasi si volesse
correggere quanto scritto in precedenza.
Sakura Haruno
Medic-ninja.
Membro del gruppo
sette.
Compagna, amica,
sorella di Naruto Uzumaki e Sasuken Uchiha.
Grazie per i
ricordi.
«Signora!»
Ayumi alzò lo sguardo sulla fragile figura della donna che
scendeva lungo la collina.
«Sì?»
La osservò girarsi con fluidità.
Fin troppa, per la sua età.
Quasi il corpo fosse sempre stato abituato ai movimenti
veloci, rapidi.
Come quelli per evitare le armi e per scattare prima che
l’avversario abbia il tempo di contrattaccare.
«…questa lapide…»
La donna sorrise.
«Ti va di accompagnarmi a visitare le altre tombe? Ho
altre due persone cui far visita.»
“Compagna, amica, sorella di Naruto Uzumaki e Sasuke
Uchiha.”
Naruto Uzumaki e Sasuke Uchiha.
Ayumi scese lungo la scarpata, raggiungendo la vecchia.
«Andiamo.»
Annunciò, prendendo il cesto di fiori dalle mani della
donna.
«Signora, posso farle qualche domanda?»
«Certo, ma chiamami Michiko.»
Ayumi sorrise.
«Lei è per caso…»
One night and one
more time (One more night, one more time)
Thanks for the memories
even though they weren't so great
"He tastes like you only sweeter"
One night, yeah, and one more time (One more night, one more time)
Thanks for the memories, thanks for the memories
"He, he tastes like you only sweeter"
La montagna degli
Hokage continua a vegliare sul villaggio della foglia.
I volti in pietra
sorridono agli abitanti di Konoha, ormai troppo vecchi e stanchi per voltarsi a
guardare quella che risulta essere solo un’attrazione colossale per turisti.
Un passato troppo
antico, perché possa esistere qualcuno che ne conservi memoria.
Eppure, loro sono
ancora là.
A sorridere ad
ogni abitante che, da bambino, ha alzato il volto e incrociato i loro sguardi
per chiedere ai genitori chi fossero quei signori.
E, se quel bambino
non si lascerà ingannare dalla frettolosa risposta: “Nessuno”, spinto dalla
curiosità potrà avventurarsi nelle nebbie dei ricordi, finendo per ringraziare
un vecchio diario, un rotolo incartapecorito e una vecchia che, con burbera
condiscendenza, sarà disposta a mostrargli la strada e a cui dovrà, in un
futuro, dire semplicemente: «Grazie.»
Per i ricordi.
Thanks for the memories
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