MEZZANOTTE
Le 23.59.
Ancora un altro minuto e scoccherà la mezzanotte.
Ancora un altro minuto e le campane di una chiesa lontana batteranno
dodici rintocchi. Un suono prolungato in questa notte senza luna, mentre la
città lentamente si lascia trasportare nel mondo di Morfeo, cullato dalle sue
calde braccia.
Ancora un altro minuto e sarà il mio compleanno.
Il mio ventesimo compleanno.
Vent’anni..
Detto così, sembra che sia diventata una donna… con mille
doveri e mille problemi, alla ricerca di quello che un giorno potrebbe essere
mio marito.
Mi viene quasi da ridere.
Io... vent’anni?
Insomma, vi rendete conto? Io, IO sto per compiere venti
anni. Quella stessa ragazza che si guarda allo specchio e si scopre con il
volto da bambina, senza mai un velo di trucco, semplicemente....
se stessa?
Quella stessa persona che, ancora allegra e sognatrice,
percorre quelle fredde aule universitarie con lo stesso entusiasmo che provava
incontrando i suoi amichetti delle scuole elementari, o sperimentando i primi
batticuori alle medie, oppure uscendo la sera con le amiche alle
superiori?
Quella stessa ragazzina che, felice come una bambina,
controlla l’orologio, per timore di perdersi l’inizio del suo
anime preferito, che adora quei personaggi con quei grandi occhioni, così diversi da quelli di coloro che li hanno
creati?
Eppure, signori miei, questa stessa
persona, questa stessa ragazzina sta per compiere i suoi primi venti anni.
Oggi hai diciannove anni e domani ne hai venti…
cosa cambia?
Assolutamente niente.
Mi chiedo cosa significhi esattamente per la gente aver
raggiunto vent’anni.
Solo una piccola unità che trasforma una decina, un giorno
che lascia posto a un altro, in questo luogo chiamato
mondo, governato dall’inesorabile dio Crono.
Nulla di più….
Cosa può cambiare in me in meno di
un minuto?
Cosa può d’un tratto accadere?
Posso forse, in questi ultimi trenta secondi dei miei
diciannove anni, cambiare, essere diversa, crescere, nel bene o nel male,
accumulare esperienza?
Vero è che non credo di averne fatta veramente molta. Anzi.
Di questi miei venti anni ne sento a mala pena la
metà.
Non ho mai bevuto un super alcolico di quelli che ti fanno
perdere la testa e la mattina dopo ti trovi con un mal di testa da cani, a
chiederti chi diavolo te l’ha fatto fare se ora ti senti più morta che viva; non ho mai fumato una sola sigaretta, neanche per
provare, solo avere un fumatore accanto mi ha sempre fatto schifo, figurarsi
provare qualche canna o qualche spinello, il cui solo pensiero mi fa sentire
male… Non mi sono mai neanche ritirata tardi, oltre le undici, cosa assurda per
una ragazza che deve compiere vent’anni; non ho mai
visto come è fatta una discoteca, solo qualche volta, quando nelle gite
scolastiche, i prof ti portano in quella specie di stamberga che non puoi
neanche definire stanza.
Non ho mai neanche avuto un ragazzo.
Oddio, non che ne senta la necessità, sto benissimo così e,
per quanto alcuni possano credere che sia una bugia,
che parlo così, ma in realtà la penso diversamente, o che semplicemente dico
questo perché non ho mai trovato uno straccio di deficiente che mi voglia, la
cosa mi lascia del tutto indifferente.
Del resto, sono io che non me le vado a cercare, le
occasioni intendo, vuoi perché sono troppo timida,
vuoi perché non ho il coraggio, vuoi perché ci si mette pure la sfiga e il tipo
che mi piace o è uno stronzo o ha già la ragazza e io
non sono esattamente il tipo che va a rovinare la felicità altrui per costruire
la propria.
Forse sono troppo buona. O forse
sono semplicemente una codarda che non ha il coraggio di dire al ragazzo che
ama la verità.
Sì, sarà davvero così.
Sia come sia, sono qui, in questo
istante, guardando quelle lancette che lentamente, ma inesorabilmente si
avvicinano tra loro, fino a quel tragico momento in cui si sovrapporranno.
Bah, che tristezza.
Una ragazza di vent’anni
che se ne sta di fronte all’orologio a lasciar scorrere via i secondi della sua
vita. Mi viene da piangere tanto sono stupida.
No, anzi, mi viene da ridere.
Ridere del fatto che non hanno senso tutti
questi pensieri, perché non posso certo dare la colpa a nessuno se adesso sono
qui, mentre tutti gli altri dormono beatamente, con la sola compagnia di un libro
che mi aspetta per continuare a studiare quella materia che dovrei dare fra
pochi giorni.
Devo star delirando, sarà la
febbre. Non credevo di aver preso tanto freddo.
O forse, è soltanto la tensione per
l’esame.
Sì, deve essere così, ho studiato troppo,
avrei dovuto iniziare prima invece di ridurmi all’ultimo secondo.
E invece no, eccomi qui e non sto
neanche studiando, questo è il bello. A dire il vero non so neanche cosa
esattamente sto facendo. Sto solo... pensando? Bah, non direi. Facendomi delle
seghe mentali? Ecco, questa è l’espressione più adeguata.
La luce si accende e per un attimo i miei occhi, abituati al
buio della notte, si chiudono con prepotenza.
“Silvia, che stai facendo qui al buio? E’
tardi, va a dormire!”
“Sì, un attimo, stavo ripetendo gli ultimi argomenti.” Mento. O meglio. Era quello che
avevo pensato di fare prima che questi truci riflessioni
iniziassero a portare la mia testa verso tutt’altre
direzioni.
Se fossi un’altra ragazza sarei
contenta di quelle braccia che mi stringono dolcemente per trasmettermi il loro
affetto e mi lascerei cullare dal loro dolce tepore. E
allora chiuderei gli occhi, lasciando che lacrime salate possano scorrere lungo
le guance liberamente, senza la paura di essere presa per una stupida ragazzina
piagnucolona, a vent’anni.
Piangere così, senza una ragione, un perché. Solo perché ho
voglia di farlo.
Ma questa non sono io.
Sono invece io quella ragazza che se ne sta immobile, quasi
con freddezza, con un macigno sul cuore, ma che preferirebbe morire, piuttosto
che mostrarlo agli altri.
E sono sempre io quella ragazza che
perde quel contatto fisico così dolce e lascia che sua madre spenga la luce e si
allontani, per tornare tra le tiepide coperte, circondata a sua volta da due
forti braccia, sicure e protettive.
Sono ancora io quella ragazza che, ancora una volta, resta
sola in quella camera nuovamente buia con i suoi pensieri, diciamo pure con la
sua stupidità, a guardare quella luna che stanotte non sorgerà.
Mi chiedo che cosa veramente voglia.
Vorrei che gli altri mi capissero? Non diciamo sciocchezze.
Sono la prima a non aprirsi agli altri, come potrei sperare in un loro aiuto?
Nessuno ha la capacità di leggere nel pensiero, come potrebbe la gente capire i
miei sentimenti?
Vorrei essere diversa? Balle. Per quanto tutti mi dicano cosa dovrei fare per essere una ragazza “alla moda”,
sono io la prima a odiare tutto ciò che mi è obbligato e mi porti a essere una
stupida pecora in un gregge.
Vorrei più amore? Rido. Chi vuole
amore, deve saperne dare e io non sono mai stata brava. Ho un cuore di
ghiaccio, come ama ripetere mia sorella.
Bah.
E’ proprio vero che i familiari non capisco
mai niente di te, pur standoti accanto.
Non ho un cuore di ghiaccio, soltanto…
soltanto non sono brava a mostrare di avere un cuore, tutto qui.
Perché ho paura di essere dolce e
gentile.
Paura che gli altri ridano, perché
io non sono una ragazza dolce e gentile, lo sanno loro.
Paura perché altrimenti non sarei più la Silvia che tutti
conoscono.
Paura di mostrare che anche io soffro, anche io voglio
piangere, anche io ho i miei guai, anche io ho bisogno di qualcuno che mi
ascolti, che mi consigli, che non mi critichi…
Paura perché non saprei come affrontare un cambiamento, positivo o negativo, non importa.
Paura perché sono stanca di preoccuparmi di tutti e di star
male per gli altri, paura perché quando vorrei piangere non ho una spalla per
farlo, nonostante tutto... o forse sono io che non l’ho mai cercata.
Paura per quello che sono, per
quello che sarò.
Paura del futuro.
Contraddittoria, ecco l’unica parola che
può descrivermi.
Una stupida ragazza contraddittoria,
Bell’accoppiata. Ma da una Bilancia ascendente Capricorno, che vi potevate
aspettare?
Getto lo sguardo sul libro ancora aperto. Altri due secondi
qui e la mia autostima scenderà ai minimi storici. Non
che di solito vada molto più su di quelli, naturalmente.
Cosa vuoi? Torno a chiedermi
allora.
Cosa vuoi?
Cosa vuoi?
Cosa vuoi?
Cosa vuoi?
Cosa vuoi?
Cosa vuoi?
“Voglio piangere”.
E allora chiudo gli occhi. Sono sola, nessuno può vedermi, neanche la luna. E lascio che quelle dannate perle salate mi bagnino finalmente
il viso, che ogni mio dolore scivoli via con loro, per tornare la solita
ragazzina allegra e svampita, per cambiare, non so nemmeno io in cosa o perché,
ma non importa, quest’istante è solo per me, e per
nessun altro. Non importa cosa sto pensando, cosa sto dicendo o facendo,
l’importante è sentire il cuore più leggero, ammettere a me stessa la verità.
Qualunque essa sia.
Sì, devo aver preso l’influenza, è l’unica spiegazione
possibile.
Un suono spezza l’incantesimo.
Uno squillo.
Accidenti, proprio ora? Ma non l’avevo
spento quel dannato cellulare?
Un altro squillo
Un altro.
Un altro.
Un altro ancora.
Chi diavolo è?
Malvolentieri apro gli occhi e vedo il display del Nokia lampeggiare.
Lo afferro di malavoglia. Se è uno
scherzo, chiunque sia me la pagherà. Non sono dell’umore adatto.
Ancora uno squillo. Chiunque sia, cerca grane.
Cerco di leggere il nome. E’ inutile, senza occhiali non
vedo niente e non ho nessuna intenzione di inforcarli
adesso.
Un altro squillo.
“Pronto?”
Che suono ha la mia voce? Non lo
so. So solo che il mio interlocutore, chiunque egli sia, non ha ancora
risposto.
“Pensavo dormissi.” Dice d’un
tratto.
Il cuore inizia a battermi all’impazzata, quasi voglia
sfuggirmi dal petto. Un sorriso si dipinge sul mio volto bagnato e stanco. Se qualcuno mi vedesse, mi prenderebbe per una stupida
adolescente innamorata. Beh, è quello che sono, in
fondo. Anche se l’ho capito solo ora. Anche se l’ho ammesso solo ora.
“Ciao. Stavo studiando.”
“Tu studi troppo. Ti fa male.”
“Finiscila. Lunedì ho un esame. E
anche tu.”
“Lo so, ma non per questo mi ammazzo di studio.”
“Scemo.”
Sempre così tra noi due. Ormai le mie guance si stanno
asciugando, complice la venatura purpurea che le ha colorate da qualche minuto.
“Silvia?”
“Che c’è?”
Silenzio.
“Allora?”
“Perché stai piangendo?”
Silenzio.
Colpita e affondata.
Lo sento, tra un po’ morirò perché il mio cuore avrà deciso di farsi una passeggiata fuori dal mio corpo.
“S... Silvia?”
La mia guancia è ancora bagnata. Strano, credevo si fosse
asciugata..
“Non sto piangendo. Sto solo..
pensando.”
“A cosa pensi?”
Alzo le spalle, dimenticandomi che
non può vedere il mio gesto.
“A niente in particolare.”
Sento che ride in silenzio.
“Che c’è?”
“Niente. Sei buffa.”
“Come sarebbe a dire che sono buffa?” il mio volto si
contrae in una espressione falsamente imbronciata.
Cerco di immaginarla, anche se non posso vederla.
“Certo. Buffa e contraddittoria.”
“Mah!”
Centro.
Ancora una risata silenziosa. Che serata strana, mi trovo
mio malgrado a pensare.
“Ed è per questo che ti voglio
bene”
Ancora silenzio. Non so cosa rispondergli. O meglio. Ho paura di cosa rispondergli e lui lo sa.
“Scemo.”
Sono monotona.
Ancora silenzio.
“Sivila?”
“Cosa c’è ancora?”
“Buon compleanno.”
Sorrido, mentre la mia guancia si inumidisce
ancora un po’. Il mio sguardo cade ancora sull’orologio.
Le 00.15
Ho vent’anni.
E’ trascorso un po’ più di un minuto. Ma
non importa.
Qualcosa, forse, può cambiare lo stesso.
FINE
Che storia strana. Non so davvero come sia
uscita, semplicemente ero in un momento di depressine
acuta e mi sono messa davanti alla tastiera. Non so perché, ma mi sento meglio.
E, non so perché, ma sento che quando posterò questa piccola oneshot mi sentirò ancora meglio.
In questa storia c’è
molto di me, direi che è un momento di analisi
interiore, quasi catartico. Che mi ha fatto capire molte più cose di quante avessi immaginato. Non so se vi piacerà, ma a me piace.
Spero tanto che la
sera del mio ventesimo compleanno, possa svolgersi davvero così.