Betulla

di kenjina
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Non credo che esistano parole nel linguaggio corrente, e neanche in Elfico – temo – per scusarmi dovutamente dell’imperdonabile ritardo. Voglio dire: è l’epilogo, che ci vuole a scrivere un dannato epilogo quando tutta la storia è ormai conclusa sia materialmente che nella mia testa?

Il fatto è che sono partita in Svezia ad Agosto e il tempo per scrivere, fino ad oggi, è risultato poco e niente. E, ad essere sincera, sono stata così bene che non ho avuto il bisogno di lanciarmi nella scrittura per fuggire alla vita di ogni giorno.

Purtroppo quest’esperienza sta volgendo al termine, e la mia malattia chiamata Tolkienite sta tornando a farsi strada nuovamente, quindi eccomi qui.

Lascerò i saluti alla fine, perché questi giorni sto dicendo troppi addii (che spero siano arrivederci, in realtà) e non posso farcela a salutare anche voi, assidui e gentilissimi lettori.

Quindi ci si legge a fine capitolo – che è veramente corto. Ma è un epilogo. E dovevo solo aggiungere un paio di scene e chiudere qualche cerchio rimasto aperto.

Buona lettura!

Marta.

 

 

 

Betulla

16. - Epilogo

1 Maggio 3019 T. E.

 

 

Quando, a poche centinaia di metri dalle mura, il chiaro suono delle Trombe d'Argento aveva accolto il Re e la sua scorta e Boromir si era ritrovato con gli occhi lucidi, mentre rispondeva con il Corno di Gondor, che risuonò per tre volte, affinché i cuori di tutti i popoli del regno potessero riempirsi di gioia. Aveva sognato così tante volte quel momento, durante quelle settimane, che non gli sembrava vero che ora fosse la pura realtà. Era una sensazione talmente bella da fargli male. Aveva ricordato quella notte a Lothlórien, tanto tempo addietro, quando aveva fatto una promessa al suo futuro reggente: sarebbero tornati insieme a Minas Tirith, un giorno, e la Cittadella li avrebbe accolti con musiche e stendardi al vento. Finalmente quel giorno era giunto e non era riuscito a contenere la sua gioia.

Aveva guardato la donna che cavalcava al fianco del Re e che reggeva lo Stendardo del Re, lo stesso che Halbarad aveva custodito prima della sua morte, rimanendone affascinato. Sapeva delle intenzioni di Aragorn di nominarla Prima Guardia e non avrebbe potuto fare scelta migliore, ne era certo. Eppure non aveva potuto frenare il moto di orgoglio nel vederla con la schiena ritta e fiera, quello sguardo serio e altero che le aveva sempre visto in viso, così elegantemente vestita. Perché Brethil non avrebbe saputo come portare un abito finemente ricamato dai migliori sarti di Gondor, ma sapeva come indossare un'armatura e non perdere comunque la sua bellezza.

Boromir la guardò, ora, di fronte a lui e sorrise. Presto sarebbe diventata sua moglie e non riusciva ad immaginare un uomo più fortunato di lui. Brethil ricambiò il suo sguardo e il gesto, ma non scompose la sua espressione. Era accanto al Re di Gondor, di fronte ai fratelli figli di Denethor, ai Dignitari, a Gandalf, Re Éomer, Legolas, Gimli, ai Raminghi del Nord e dell'Ithilien: non poteva permettersi debolezze che avrebbero potuto alimentare tutte quelle dicerie sulle donne e la guerra che, dopo la sua nomina a Prima Guardia, erano diventate ancora più rumorose. Eppure nessuno metteva più in dubbio le sue capacità in battaglia, perché tutti avevano potuto vedere con i propri occhi cosa fosse capace di fare; i soldati e tutta la milizia avrebbero solo avuto bisogno di un po' di tempo per abituarsi alla sua posizione.

Re Elessar, in piedi davanti a Boromir e Faramir, sorrise, posando le mani sulle spalle dei due. «Amici miei, vi ho qui riuniti perché ho delle importanti comunicazioni da darvi.» disse, allontanandosi di qualche passo. «Come vi dissi qualche giorno fa, i confini di Gondor non cambieranno, né i rapporti con i nostri vicini.» Éomer chinò il capo, una mano sul petto per ringraziare l'amico. «La mia incoronazione non porterà modifiche nell'amministrazione delle città e delle regioni che voi, miei amici, reggete da tempo immemore. Ma voglio fare un dono speciale a chi ha servito Minas Tirith e tutto il Regno di Gondor prima della mia venuta. La Casa dei Sovrintendenti non svanirà, perché un buon Re ha bisogno di occhi saggi che possano amministrare il territorio quando il Re non è in grado di farlo.»

Aragorn e Boromir si scambiarono una lunga e profonda occhiata, che riassumeva perfettamente il loro rapporto di profonda amicizia e fiducia. Ma il Re si voltò poco dopo verso il fratello minore. «A te, Faramir Capitano dei Raminghi dell'Ithilien, ti dono la terra florida che tanto ami e che sotto la tua custodia continuerà a fiorire, perché mi è stato detto quanto la tua infanzia sia stata segnata dalle sue foreste di betulle e dai profumi dei suoi frutti.

E a tutti coloro che si facevano chiamare Raminghi annuncio che ora sono liberi di unirsi alla sua scorta e di rispondere ai suoi ordini, se lo vorranno. Perché chi meglio di voi conosce la vita in una foresta?»

Faramir, seguito dai Dúnedain, si inchinò profondamente, sulle labbra il sorriso gioviale di un ragazzo che aveva appena ricevuto il regalo di compleanno più bello della sua vita.

Il Re fece scivolare lo sguardo sull'Uomo accanto e corrugò la fronte, indeciso. «Non è stata una scelta semplice, mio buon amico. Cosa avrei potuto donare al mio Sovrintendente e Capitano della Torre Bianca di così prezioso per ripagare adeguatamente la sua lealtà ed amicizia?»

«Ho già la tua amicizia, mio Re. E la mia posizione. Non ho bisogno d'altro per servirti.» rispose Boromir, sincero. E aveva la sua Coscienza al fianco, aggiunse mentalmente.

«Sì, ma sono un Re buono ed equo, quindi ho pensato a qualcosa anche per te.» replicò Aragorn, senza nascondere la punta di divertimento che gli increspò le labbra. «Nelle nostre lunghe chiacchierate mi parlasti a lungo delle bellezze di Gondor e di Minas Tirith, poiché tutto questo territorio rappresenta la tua vita, ciò per cui hai rischiato di morire innumerevoli volte nel tentativo di difenderlo. Ma notai fin da subito che vi fosse un luogo a te caro, come l'Ithilien per Faramir. Una città un tempo splendente, capitale del Regno, e che in futuro tornerà ad essere la meraviglia di Gondor. A te, Boromir figlio di Denethor II, dono la città di Osgiliath, che giurerai di reggere come il degno Signore che mi aspetto tu sia.»

Boromir non riuscì a nascondere lo stupore che s'impossessò di lui e ricambiò con un'occhiata stralunata quella serena di Aragorn. «Mi doni Osgiliath?» chiese, quasi senza fiato.

«So che ci sarà tanto lavoro, prima di rivederla viva e probabilmente non faremo in tempo a godercela. Ma sono sicuro che tu, insieme al nostro popolo, sarete in grado di far trionfare nuovamente la musica e la bellezza di cui tanto mi hai parlato, in passato.»

Boromir si chinò su un ginocchio, la mano sul cuore e un sorriso genuino e commosso sul viso. Aveva sognato sin da piccolo come potesse essere Osgiliath durante il suo periodo più glorioso e il desiderio di poterla vedere, un giorno, come nel suo immaginario era cresciuto con lui, di anno in anno. E ora, ora aveva la possibilità di rendere quel sogno realtà! «Il Re mi ha benedetto con un dono simile e io non posso che invocare tutti i Valar affinché proteggano lui e la sua progenie fino alla fine del mondo. Ti ringrazio, Aragorn, perché non avrei potuto ricevere regalo migliore.»

Il Re lo fece alzare, abbracciandolo con affetto, e Brethil non poté non sorridere come il resto dei presenti, di fronte a quella profonda dimostrazione di amicizia e fedeltà.

L’incontro durò ancora a lungo, poiché Aragorn aveva necessità di parlare con i suoi vicini e alleati, che vennero congedati solo due ore dopo aver a lungo discusso sull’amministrazione delle terre e sul destino dei prigionieri di guerra. Poiché Elessar era un Re clemente e giusto, venne deciso che nessuno di loro sarebbe stato giustiziato per i crimini efferati commessi, ma anzi la loro punizione sarebbe stata quella di aiutare la ricostruzione delle città distrutte, di bruciare i cadaveri dei loro compagni e di ripulire tutto il sangue versato con qualsiasi opera di generosità.

Con il Re rimasero solo i figli di Elrond, Brethil e Gandalf, poiché un’altra urgente questione andava discussa: il vicino matrimonio con la futura Regina di Gondor.

Boromir e Faramir lasciarono insieme la Sala del Trono e passeggiarono sotto il cielo infuocato finalmente dal crepuscolo e non dalle ceneri del vicino Monte Fato. Camminarono dapprima in silenzio lungo le mura della Cittadella, soffermandosi ad osservare la loro terra martoriata dalla guerra ma ancora orgogliosamente viva. E il maggiore dei due non poté non soffermare lo sguardo sul dono appena ricevuto. Osgiliath era lì, dinnanzi ai suoi occhi, un ammasso di edifici in pietra distrutti e decadenti, eppure austeri e belli nonostante la distruzione. E lui, il suo nuovo Signore, l’avrebbe riportata ai fasti di un tempo che non aveva mai conosciuto ma che aveva solo potuto sognare dalle storie che il padre gli raccontava e dalle pitture appese lungo le pareti del Palazzo Reale.

«Avresti mai creduto che un giorno, dopo la mia partenza, ci saremmo potuti ritrovare qui, sulle nostre gambe, a parlare e a guardare nuovamente il nostro Regno?» domandò Boromir, poggiando i palmi secchi delle mani sulla nuda pietra del muro di cinta.

Faramir sorrise. «Mi sorprende di più il fatto che diventerai presto un marito, fratellone.» Accettò con una risata un pugno sulla spalla e, massaggiandosi la parte lesa, aggiunse: «Non biasimarmi, sai bene che sarebbe più credibile che io diventassi Re piuttosto che tu trovassi una moglie. Ma devo ammetterlo, Boromir, hai accanto una compagna degna di essere chiamata tua moglie e, consentimi di dirlo, anche tu devi ritenerti più che fortunato ad averla incontrata.»

«Non trascorre un giorno senza che io ringrazi i Valar o chi per loro per avermi concesso questa benedizione.» fece l’altro, volgendo uno sguardo verso il Palazzo, dove lei serviva devotamente il loro Re. Poi, con un sorriso da mascalzone, riportò l’attenzione sul minore. «Ma dimmi, fratellino, e correggimi se sbaglio, poiché come hai ben sottolineato più volte il tema dell’amore non è esattamente il mio campo... la bella Dama Éowyn domani si metterà in cammino con il fratello per seppellire la buon’anima dello zio, e faranno insieme ritorno a Rohan, la sua amata terra. Non temi che ella decida di rimanervi per aiutare il fratello o per semplice orgoglio?»

«No, Boromir, non temo che mi abbandoni, poiché ho letto nei suoi occhi lo stesso amore che io provo per lei. E se anche deciderà di rimanere a Rohan io glielo concederò, come atto di fede e di devozione. Dama Éowyn è selvaggia quanto la sua terra e non posso obbligarla ai confini di un palazzo, perché quella è sempre stata la vita che ha detestato.»

Il Sovrintendente annuì, stringendo un braccio del fratello con affetto. «Sai, credo che la Terra di Mezzo sia un mondo troppo vasto per essere esplorato tutto in una sola vita, eppure noi siamo riusciti a trovare le sue due donne più cocciute!»

«Bada a come parli, Uomo di Gondor, o una donna cocciuta potrebbe diventare una donna violenta.» fece una voce alle loro spalle.

I due si voltarono contemporaneamente, per guardare Brethil che accarezzava con una certa intensità l’elsa della sua Celeboglinn.

«Vuoi umiliarti nuovamente, donna?» chiese Boromir incrociando le braccia, e mal celando la sua ironia.

«L’ultima volta che le nostre spade si sono incrociate ero debole, malnutrita e disidratata. E ti lasciai vincere per compassione del tuo egocentrismo.»

«Oh, dunque chiedi riscatto?» L’Uomo estrasse la sua forte spada, lucidata e affilata solo qualche giorno prima in vista della cerimonia di incoronazione. «Ebbene, chi sono io per rifiutare un tale favore ad una bella dama come te?»

Brethil sorrise, accarezzando la lama di Boromir con la sua, mentre Faramir si sedeva su una panca nei paraggi, deciso a non perdersi nemmeno un istante di quell’incontro-scontro.

«Guarda e impara, fratellino, come un Sovrintendente sconfigge la Prima Guardia del Re.»

L’altro si finse amareggiato. «Neanche un matrimonio in arrivo ha insegnato come comportarti nei confronti di una dama?»

Brethil si voltò verso il minore dei fratelli. «Dama? Mio signore, desideri saggiare anche tu la mia Celeboglinn, per caso?»

«Abbastanza con le parole.» fece Boromir, riportando l’attenzione della donna su di lui. «In guardia.»

E dopo un sorriso complice i due diedero inizio alle danze.

 

«Ti ho lasciata vincere, per pareggiare i conti.» puntualizzò il Gondoriano, accarezzandole distrattamente un fianco. «La mia coscienza ora è pulita.»

«Pulita quanto il tuo fondoschiena sporco di polvere. Devo ricordarti che ti sei ritrovato in terra disarmato con la lama della mia spada sulla gola?»

«Effettivamente è stata una fine troppo esuberante; ma per farti felice questo ed altro, mia Prima Guardia.» L’Uomo si sporse su di lei, sdraiata sul suo stesso letto, e la baciò castamente sulle labbra sorridenti e sornione.

«Pipino ha persino composto una canzone in onore della mia vittoria.»

«Ah sì? E come recita?»

La donna ridacchiò. «Dovresti domandarlo direttamente al compositore. E vorrei essere presente, poiché dovrò difenderlo dalle tue grinfie quando canterà l’ultima strofa.» Brethil ammiccò, non riuscendo a nascondere il divertimento. «Ti anticipo solo che Sovrintendente fa rima con perdente

«Maledetto di un Tuc! Gli troncherò quelle gambe che sono già corte di natura!»

La donna scoppiò a ridere, e anche lui si unì all’ilarità.

Quella notte, Brethil e Boromir dormirono nuovamente insieme, come erano soliti fare nei momenti di sconforto. Era accaduto quando lui si sentiva ancora perduto per l’influsso dell’Anello, era accaduto quando lei aveva perso Halbarad. Ma non c'era niente per cui valeva la pena preoccuparsi in quel momento, perché finalmente niente osava intaccare quell'aura di pace e benessere che era calata sulla Terra di Mezzo, sui loro cuori e sulle loro vite. Dopo tutto il dolore e la morte che avevano dovuto sopportare, finalmente potevano tornare a respirare, senza la paura che qualcosa o qualcuno potesse riportarli nell’apnea più oscura. L’Anello era stato distrutto, il Portatore era salvo, Aragorn sedeva sul trono di Minas Tirith e loro erano i suoi più fidati consiglieri e amici. Qualche mese fa neanche avrebbero potuto sognare una situazione simile.

Quella notte, riscaldata dalle braccia di Boromir che la teneva stretta contro il suo corpo, Brethil sognò. Ma non fu uno dei suoi soliti incubi: non vi erano esseri viscidi e infidi che dovevano essere liberati per seguire il corso di una profezia, né uomini a lei cari che morivano davanti ai suoi occhi terrorizzati.

Quella notte Brethil sognò un bambino dai capelli scuri e gli occhi grigi, dall'animo ardente e battagliero.

Quella notte Brethil sognò suo figlio in braccio al Sovrintendente di Gondor.

 

 

 

 

*

 

“Figli di Gondor! Di Rohan! Fratelli miei!
Vedo nei vostri occhi la stessa paura che potrebbe afferrare il mio cuore.
Ci sarà un giorno in cui Il Signore degli Anelli non m’ispirerà più, in cui
abbandoneremo la scrittura e spezzeremo ogni link alle fanfiction.
Ma non è questo il giorno!
Ci sarà l'ora delle parole mancanti, e delle pagine vuote quando l'Era della Scrittura
arriverà al crollo, ma non è questo il giorno!
Quest'oggi leggiamo! Per tutto ciò che ritenete caro su questa bella
terra... vi invito a resistere alla prossima fanfiction! Uomini dell'Ovest!”

 

Beh, non potevo lasciarvi con i soliti e troppo mainstream saluti di fine storia. Insomma, mi avete dato così tanto con il vostro supporto che non me la sento di dirvi addio in due righe. Vorrei ringraziarvi singolarmente, ma mi dilungherei troppo. Sappiate che vi ringrazio, dal più profondo del mio cuore. E ve lo dico anche in Svedese, suvvia – tack mycket! Grazie mille!

Scrivere questa storia mi ha divertita, commossa, fatta arrabbiare, emozionato. Perché ho sempre sognato e continuerò a sognare le avventure nella Terra di Mezzo - e a volte mi chiedo come sia possibile che questo splendido posto non esista sul serio. Quindi tornerò sicuramente a scrivere de Il Signore degli Anelli, soprattutto perché c’è un Nano che ho sempre amato fin quando ero piccola e lessi per la prima volta Lo Hobbit, e ho qualche vaga idea per la mente. Il fatto che abbia visto e rivisto l’ultimo film – e primo della nuova trilogia – di zio Peter è un segno eloquente. E poi, Boromir rimane una fonte di ispirazione costante, quindi non chiudo le porte al mondo degli Uomini, né a lui e Brethil.

Un abbraccio e spero a presto,

Marta.
PS: Ho deciso di sistemare Betulla in un pdf scaricabile. Se qualcuno si è affezionato come me a questa storia e vuole rileggerla quando più preferisce... ecco il link di download. :)
E per chiunque fosse interessato, sto scrivendo anche il seguito: Pietra.

 

 





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