Debole
Titolo:
Debole
Genere:
Angst,
introspettivo
Fandom:
CSI: NY
Personaggi: Don Flack
Note: La fiction è ambientata alla fine dell'episodio
05X25: Pay
Up: Angell è stata uccisa ed il team è rimasto coinvolto in una
sparatoria. In orgine, questa storia avrebbe dovuto partecipare ad un contest
sulle citazioni, contest che è naufragato nel nulla. La citazione che mi era
toccata era: "La violenza ha
le proprie radici nella debolezza" e l'oggetto: "Pugno"
Rating:
Giallo
Disclaimer:
I personaggi utilizzati non mi
appartengono, ma sono di tutti gli aventi diritto. La storia non è scritta per
fini di lucro.
Riaffiorò dal torpore a poco a poco, in maniera lenta
e dolce, quasi. Sollevate le palpebre, Don Flack rimase spiazzato per qualche
secondo, non riuscendo a ricordare gli ultimi avvenimenti che avevano sconvolto
la sua esistenza. Scosse il capo, cercando di schiarirsi i pensieri, ed il suo
sguardo si fissò sulla devastazione che regnava in quello che, fino a poco tempo
prima, era stato un salotto ordinato e pulito. Cartoni di pizza semi-vuoti sul
tappeto, contenitori di cibo cinese abbandonati sul tavolino, e bottiglie
vuote... quelle erano ovunque, simbolo drammatico di quanto fosse diventata
squallida e deprimente la sua vita.
Cercò di alzarsi, ma un capogiro lo tenne inchiodato
al divano, costringendolo a respirare a fondo per evitare che un banale
giramento di testa si tramutasse in nausea e conseguente corsa in bagno a
rigettare l'ennesimo abuso sul suo fisico.
Sospirò, rendendosi conto
che, in un momento non definito tra il suo rientro a casa dopo la sparatoria del
bar ed il collasso sul divano, era riuscito persino ad accendere la televisione.
Fissò lo schermo, rifiutandosi di pensare all'ultimo giorno della sua vita. Ma
non poteva evitarlo del tutto. L'immagine che balenò nella sua testa raffigurava
Danny, a terra, ferito da un proiettile che aveva reso ancora più tragica una
serata già tragica di per sé. Flack si era fermato poco all'ospedale, giusto il
tempo di accettarsi che Messer sarebbe sopravvissuto. Bell'amico che sei... Danny forse non camminerà mai
più, ma tu preferisci passare il tempo ad ubriacarti. Come se le cose potessero
poi sistemarsi...
Il detective si morse le
labbra: in quei giorni, sembrava che il senso di colpa che provava non potesse
far altro che aumentare. Ormai, era diventato come un macigno, pesantissimo, che
si trascinava dietro ovunque, un peso tale che si sentiva affaticato solo nel
dover tenere le spalle dritte. È che sanno, capisci? Sanno quello che hai fatto. Ti guardano - oh. non
fanno altro - con la certezza che, prima o poi, crollerai. E quando questo
avverrà...
Flack chiuse gli occhi,
esausto, e subito apparve la faccia di Simon Cade; la pistola, a terra, accanto
a lui, e Don, in piedi, con lo sguardo cupo e pieno di una rabbia che non aveva
mai provato. Perché quell'uomo ormai disarmato aveva commesso l'unico gesto che
non avrebbe mai dovuto compiere. E la benda macchiata di sangue che aveva
stretto intorno al braccio era la prova che tutto era successo davvero. Che
lei... lei...
non sarebbe più
tornata...
"Oh, Jess...", il detective mormorò senza rendersene
conto. La sua mancanza era qualcosa di fisico; si sentiva come se gli avessero
amputato un arto. O che avessero inquinato l'aria rendendola irrespirabile,
perché, da quando lei gli era stata strappata, lui non faceva altro che
respirare a fatica, cercando di ricordarsi come si faceva. Come si viveva. Come
si rideva.
"La violenza ha le proprie radici nella debolezza",
commentò una voce nella stanza. Una voce che, stranamente, era riuscita a
penetrare nella confusione che l'uomo aveva in testa. Lui riaprì gli occhi,
quasi aspettandosi di vedere l'amore della sua vita che gli sorrideva,
soddisfatta dell'aver prodotto una frase tanto saggia e profonda. Ma,
ovviamente, Angell non era lì. La frase proveniva dalla TV, e per la precisione
dalla bocca di quello che sembrava un prete, chiamato a partecipare in uno di
quei talk-show sul senso della vita.
La violenza ha le proprie
radici nella debolezza, vero Flack-bello? Il super detective che non sbaglia
mai, il Paladino della Giustizia che mi ammazza, mentre sono disarmato ed
inerme. Un gesto di violenza inaudito ed inutile, una vendetta a sangue freddo,
un'esecuzione quasi di stampo mafioso, un gesto simile a quelli che, si solito,
associ agli essere disgustosi a cui dai la caccia. Mi hai guardato, fisso, e mi
hai sparato. E sai perché? Eh, dimmelo, ammettilo se ne hai il coraggio.
Simon Cade parlava con sicurezza nella testa del
detective. E raccontava cose vere. Flack lo sapeva. Così come sapeva che, anche
se, forse, nessuno lo avrebbe mai denunciato e tutti avrebbero continuato a
mentirsi con la storiella della legittima difesa, lui non avrebbe mai potuto
dimenticarlo. E sapeva anche qual era la risposta che il Cade della sua mente
stava aspettando.
"Perché sono debole", lo confidò all'appartamento
vuoto e la sua voce si diffuse, un po' rimbombando, per tutte le stanze,
riempiendo ogni angolo.
Flack rimase seduto
immobile per qualche istante, quasi sconnesso dal luogo in cui si trovava, a
fissare il vuoto che aveva davanti. Si sentiva svuotato e fragile, in balia
della disperazione. Non era lui, lui non era mai stato così. Anche dopo il caso
più terribile, una bella doccia, una bella mangiata ed un'uscita con gli amici
bastavano a rimetterlo in sesto. Ma qui, adesso... Jess, Jess, perché te ne sei andata? Tu hai portato via
la mia forza, ed io non sono più niente. Solo un debole, un violento, uno che,
ormai, non può più nemmeno fare affidamento sul proprio onore. Uno schifo. Uno
scarto. Immondizia.
Don si prese il capo tra le mani e cominciò a
piangere. Si sentiva senza punti di riferimenti, una barca trasportata alla
deriva dalla corrente furiosa, il cui Capitano, vigliaccamente, stava decidendo
di arrendersi. Non aveva senso. Nulla più aveva un senso.
Ripensò, senza un motivo
preciso, ad un episodio della sua infanzia. Avevo otto o nove anni, e papà mi aveva accompagnato
agli allenamenti di hockey. Ricordo che siamo passati davanti ad una casa
disabitata. Qualcuno aveva distrutto tutti i vetri e preso a sassate le tegole
del tetto, rompendole in parte. Sorpreso, avevo osservato la devastazione senza
comprenderla. E papà... lui aveva sorriso il suo sorriso educativo da poliziotto
buono e giusto ed aveva commentato - Sono solo dei vigliacchi, Donnie. Chi è
debole d'animo, paradossalmente, ricorre spesso alla violenza dei gesti. Ora,
guardami: non cedere mai. La violenza non ti porterà mai da nessuna parte. E ti
renderà ancora più debole, rendendoti suo
schiavo.
Ed in quella lontana
giornata di inizio primavera, un giovane Don Flack, aveva guardato suo padre
negli occhi promettendogli che non sarebbe stato debole. Mai. E ci era quasi
riuscito, aveva sempre rifuggito la violenza ingiustificata, anzi aveva deciso
di diventare protettore di chi subiva violenza. Ed era sempre stato giusto così.
In quella che era stata la sua vita fino a pochi giorni prima, non c'erano
sfumature, solo il bianco o il nero. Facile. Preciso. Ovvio.
Ma le sfumature... Jess,
piccola, io cosa me ne faccio adesso? Come le gestisco? Se sono passato dalla
parte del nero, com'è che una parte di me non ne è convinta? Perché non riesco
ad andare dal mio Capitano, consegnare distintivo e pistola e denunciare quanto
ho fatto?
Perché sei debole. Una
delusione, figlio mio. Quasi peggio di tua sorella, che almeno non ha mai
tentato di nascondersi dietro una finta perfezione. Due figli - due - deboli e
senza spina dorsale. E la violenza che ti senti dentro, quella che ti ha spinto
a premere il grilletto, come la controllerai adesso? Alla prossima occasione
cosa farai? De-bo-le.
Il detective si alzò di scatto, come una molla,
stanco ed arrabbiato dal tono che stava usando suo padre nella sua testa. Era la
stessa rabbia che aveva provato di fronte a Cade, quella che se n'era stata
sopita durante il funerale di Jessica quando i suoi occhi non erano riusciti a
staccarsi dalla bara lucida ed elegante. Era una tempesta di vento, fredda e
spaventosa, un'inondazione di irrazionalità ed incomprensione. Qualcosa che non
si poteva gestire; qualcosa che lui non avrebbe voluto gestire.
Cominciò ad aggirarsi per
l'appartamento, leone in gabbia, conscio in parte che la rabbia stava
raggiungendo il limite e che non aveva la più pallida idea di cosa sarebbe
potuto succedere. Poi, il suo sguardo furente si appoggiò su una fotografia che
ritraeva lui ed Angell. Si bloccò come una statua, il respiro mozzo ed
ansimante. Agguantò la cornice e, senza pensarci, la scaraventò contro il muro
vicino. Tu! Io ti amavo, io ti
amo, e mi hai lasciato qui, da solo, insieme a questa parte di me che non sapevo
nemmeno di avere. Non era così che doveva andare. Si detestò nell'essere arrabbiato con lei, lei che era
sempre stata così dolce e divertente, lei che lo aveva reso migliore quand'era
in vita.
Dalle sue labbra uscì un
mezzo gemito d'angoscia e di pentimento e si catapultò vicino al muro per
raccogliere la cornice che aveva distrutto. I cocci di vetro sul pavimento
furono troppo. Non poteva farcela. Perché sei debole, quante volte te lo dovrò ripetere ancora?
Flack cominciò a prendere a
pugni il muro, con violenza, alimentando la rabbia che sembrava aver sommerso
tutto. Mentre colpiva il muro, non pensava a nulla, era tutto troppo confuso e
terribile; sentiva solamente le lacrime sulle guance ed il rumore sordo delle
sue nocche che colpivano la parete. Dopo un tempo indefinito, le ginocchia
cedettero e lui si ritrovò sul pavimento, un ammasso tremate di carne umana
senza destino e futuro. Restò lì a guardare il soffitto, esausto, a subire il
dolore che si propagava in lente ondate che partivano dalle sue dita livide e
tumefatte. Aiuto, qualcuno,
per piacere... pensava la sua
testa in panne.
Non arrivò nessuno a trarlo in salvo. E Don restò lì,
sul pavimento, in totale solitudine, unico naufrago alla deriva, gli occhi
vuoti, terrorizzato da quello che sarebbe stata la sua vita da quel momento in
avanti.
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