Quando fuori è brutto tempo

di tomtom
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Dal diario personale del dott. John Hamish Watson.

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18 novembre 1887

Le strade di Londra sono vuote, il vento ulula e spazza i vicoli, e questo tempo da lupi imperversa ormai da diversi giorni.
Dalla finestra della mia abitazione a Cavendish Place osservo le strade deserte, flagellate dal vento gelido e un senso di sicurezza e sollievo mi pervade: almeno ho un posto caldo in cui stare.

È però in situazioni del genere che il cuore umano si predispone più del solito ad essere soggetto a malinconie di sorta, e così anche il mio questa sera.
Dimentico dell'allegro calore emanato dal camino, comincio a sentire freddo, un freddo particolare, che soffoca velocemente il sollievo di prima.
La vista di quelle strade buie, cupe e tetre mi porta col pensiero al mio amico, Sherlock Holmes; da tempo, ormai, non ricevo sue notizie, eppure soltanto l'immagine di quell'uomo, tutto solo nel nostro vecchio appartamento di Baker Street, mi lascia dell'amaro in bocca.
Nessuno dovrebbe mai essere solo a mio parere, e tantomeno in serate così immonde.
Non bastano un camino scoppiettante, una poltrona comoda, del buon tabacco e dei libri: no, in serate del genere bisogna poter riscaldarsi con il sorriso di qualcuno, qualcuno che sia famiglia e che dia un tocco d'intimità, di modo che anche la notte più fredda dell'anno possa trasformarsi nella più piacevole.


Ecco, è proprio questo che mi sta impedendo di rilassarmi, sebbene Mary sia qui al mio fianco, in mia compagnia: io ho la certezza che il mio amico Sherlock Holmes stia passando la notte più solitaria ed aspra della sua vita, ed è questa consapevolezza che continua a distrarmi, facendomi avvertire la necessità di voler essere vicino ad Holmes e desiderare di essere con lui a Baker Street.





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