ATTENZIONE: I
personaggi di questo racconto sono dell’anime di Ai yazawa, “NANA”. I
fatti del
racconto sono esclusivamente inventati, tuttavia, annuncio che
potrebbero
riscontrarsi alcuni spoiler.
“Sembra
passato solo un attimo dall’ultima volta che ti ho guardata,
sembra soltanto ieri che ti ho
conosciuta…ti rivedo ancora in quel sorriso incerto e mesto, fissa ad
osservare
i miei occhi, mentre i tuoi pensieri si perdevano nella immaginazione
di ogni istante
che avresti voluto passare con me.
Si, so il tuo piccolo segreto,
perché quella sera forse sono entrato anch’io nei tuoi sogni.
Come
sempre mi accendo una sigaretta, e vago con lo sguardo in cerca di
un posacenere, te lo immagini ancora; noi che fumiamo le stesse
sigarette, non
potevamo proprio stare lontani uno dall’altra, anche se passano gli
anni noi
siamo sempre insieme…non è vero?
Eppure, te ne sei
andata, senza lasciarmi nemmeno il ricordo di una
spiegazione, ma forse la tua sofferenza era la spiegazione. Sono stato
così
estraneo nel perderti? Vorrei voltarmi e trovarti ancora accovacciata
al mio
petto, sentire il tuo respiro sulla pelle, quel respiro di cui mi
nutrivo, ora
sento solo freddo, e ho paura che questa sensazione non se ne andrà
mai, mi
sento un fiore senza petali, e tu l’acqua che mi tiene in vita…stiamo
morendo
insieme Nana, come avevamo promesso…o forse sono rimasto da solo.”
Sul treno diretto a
Tokyo una
ragazza dai lunghi capelli biondi guardava pensierosa dal finestrino,
tra le
dita teneva una sigaretta. L’odore del fumo le penetrava tra le narici,
chiudendo gli occhi ne assaporò l’essenza che sapeva di ricordi. Si
stirò
stancamente le chiome all’indietro, sistemandosi sulla poltrona per
stare più
comoda, mentre un uomo le chiedeva se poteva sederle accanto, la
ragazza gli
fece un cenno si assenso, ma senza voltare il volto.
-Scusi, posso
spostare i suoi
bagagli qui sopra?-
Imperterrita, come
senza vita
guardava fuori da quel finestrino, come se stesse aspettando qualcosa,
l’uomo
le rifece la domanda, quasi imbarazzato. La donna si girò confusa verso
di lui,
scrutandolo nei minimi particolari, si chiese quando fosse arrivato e
da quanto
le stesse parlando.
-Come dice?-
-Se posso mettere i
suoi bagagli
sul posto bagagli-
-Oh-
-Poi l’aiuto io a
ritirali giù
quando siamo arrivati…-
-Non ce ne bisogno,
grazie-
-Come vuole-
L’uomo sistemò i
bagagli e poi
prese comodamente posto accanto alla ragazza; era un uomo semplice,
sulla
quarantina, in giacca e cravatta, con il giornale a portata di mano e
gli
occhiali per leggere.
La ragazza si sfilò
dal pacchetto
un’altra sigaretta, l’uomo la scrutava affascinato, è una ragazza
carina,
pensava mentre si soffermava a guardare il suo vestito bianco sotto una
giacca
pesante, la cosa che lo colpì di più furono le sue dita che dolcemente
trattenevano
la sigaretta.
-Ne vuole una?-
-No grazie, non fumo-
-Beato lei, io non
sono mai
riuscita a togliermelo questo vizio-
-E’ così giovane…può
ancora
smettere-
-Hm-
-Beh…ma quasi quasi
le faccio
compagnia, sarà un viaggio lungo fino a Tokyo-
La donna sorrise e
gli porse il
pacchetto.
-Comunque molto
piacere, Kito Yasawa-
-Nana-
Il viaggio terminò
prima del
previsto, una volta arrivati alla stazione la ragazza lo salutò. Ora se
ne
stava seduta su una panchina con il suo bagaglio ai piedi, si guardava
in giro
annoiata, mentre si sfilava dal pacchetto un’altra sigaretta.
Era difficile
guardarsi attorno,
affrontare il proprio passato…gli era così mancato tutto quello, il suo
mondo,
i suoi amici. Ma a volte bisogna lasciare ciò che ti è più caro per non
rovinarlo,
e lei, era sprofondata in un baratro troppo scuro e profondo per
rimanere a
guardare rovinare tutto, così aveva deciso di seguire l’istinto, una
decisione
avventata che la portò lontano da tutto.
“Se chiudo gli occhi e resto da sola con me stessa sento
ancora che
questa città mi fa star male, e allora vorrei scappar via. Mi chiedo
che cosa
faccio qui se non sono ancora pronta a rivivere il passato!”
Trascinava con fatica
la enorme
valigia marrone, vecchia e consumata, come se avesse sempre viaggiato,
e si
chiedeva se fosse ancora in tempo a indietreggiare sui suoi passi, in
fondo
avrebbe fatto meglio a rimanere dov’era, lo sentiva dentro di se ogni
passo che
faceva, quella voce nella sua testa le imponeva di tornare indietro.
E se per una volta
avesse fatto
il contrario di ciò che le pareva giusto, forse avrebbe ottenuto dei
risultati,
si, sarebbe rimasta e avrebbe affrontato il passato, dopo di che,
poteva anche
morire.
Era talmente immersa
fra i suoi
pensieri che non si accorse di essere arrivata vicino alla casa di un
uomo che
una volta, era stato un grande amico, il destino, pensò, alzando gli
occhi notò
che le griglie della tapparella erano socchiuse; dalla finestra si
poteva
vedere sulla strada. Si sfilò l’ennesima sigaretta, e sorrise
tristemente a
quel pensiero, se Yasu l’avesse vista da quella finestra sicuramente
non
l’avrebbe riconosciuta…o peggio, avrebbe fatto finta di niente.
Come faceva male,
pensare che un
tempo per ogni problema, per ogni lacrima repressa avrebbe potuto
suonare il suo
campanello e sfogare tutto tra le sue braccia, e ora che sentiva il
bisogno di
piangere, era sola.
Improvvisamente un
auto le
sfrecciò affianco, mancandola per poco, Nana si strinse tra se
chiudendo gli
occhi, pregando che in quel momento la vettura tornasse indietro e la
investisse, poi si rannicchiò a terra, stringendosi la testa con le
mani, mille
immagini, ricordi, scorrevano davanti a lei. Se ne era andata per non
essere
abbandonata, per evitare di piangere e di soffrire, per stare bene,
eppure ora
era abbandonata a se stessa, era sola, e questa realtà faceva più male
del
passato.
-Eih,
ragazzina! Tutto ok?-
Non alzò il volto per
guardare
chi fosse l’uomo che le teneva strette le mani, forse non l’aveva
nemmeno
sentito. Il suo corpo tremava dai singhiozzi che non riusciva a
frenare, le sue
mani erano sudate…ne sarebbe valsa la pena di soffrire così tanto tempo
fa,
invece di scappare? Forse oggi sarebbero diverse tante cose, la voce
dell’uomo
la richiamò, Nana alzò lo sguardo sorpresa.
********
Negli ultimi anni la
vita di Ren
Honjo si era divisa tra la perdita della donna che amava e le riunioni
per
tossici dipendenti. Era sveglio già da un po’, non dormiva mai molto da
tempo;
dormire lo faceva pensare troppo, e quando pensava a lei non aveva più
motivi
di esistere, non se non poteva stringerla a se, e sentirla cantare
ancora una
volta, per lui, questo accadeva ogni volta che chiudeva gli occhi.
Stava davanti alla
vetrata del
soggiorno con una tazza di caffè in mano, non aveva cessato un solo
istante di
fissare la pioggia cadere, il caffè era ormai freddo nella tazza. Il
suo
sguardo era in trance, niente coglieva la sua attenzione, solo la
leggera
figura della pioggia che sfilava sotto i suoi occhi, si strinse scosso
da un
improvviso brivido, faceva freddo quella mattina, si allontanò dalla
vetrata
trascinandosi sul divano, si accese una sigaretta e chiuse gli occhi,
ascoltando il respiro del suo corpo, era come galleggiare sulle onde
del mare.
L’improvviso suonare
del
campanello lo distolse dall’atonia dei suoi pensieri, riportandolo alla
realtà.
Si alzò stancamente, scarnendo la cenere della sigaretta che era caduta
sui
jeans, e andò ad aprire, non era importante chi fosse, non gli
importava,
sapeva che non sarebbe mai potuto essere lei.
-Che vuoi a quest’ora
Take-chan?-
-Sono le 11 Ren, non
ricordi che
avevamo un appuntamento?-
-Oh, si, è vero…entra-
-Tutto bene?-
Teneva lo sguardo
fisso al di
fuori della porta, come per sperare che da un momento all’altro potesse
spuntare dopo cinque anni la donna che non riusciva a dimenticare.
-Ren?-
-Si tutto come al
solito-
-Bene, allora andiamo
a vedere
per quel lavoro?-
-Oggi non sono
dell’umore, magari
domani…-
-Ma che dici? Per
trovarti quel
lavoro ho dovuto sudare sette camice…è un mese che te ne parlo. Si può
sapere
che ti prende?-
-Non mi va di uscire…-
-Non ti va mai di
fare niente.
Resti disoccupato a vita?-
-Prima o poi troverò
un lavoro…-
-Ren, finiscila con
questa
storia, rimettiti in sesto-
-In sesto? Che ho che
non va?-
-Me lo chiedi pure?
Ma…guardati
attorno, la tua casa è peggio di una discarica, non mangi, dormi poco,
sei
senza lavoro da più di due mesi…ti sembra il modo di vivere?-
-Non è colpa mia se
la fabbrica
dove lavoravo ha chiuso i battenti…-
-Ma sono passati
quasi tre mesi,
e non ti sei preoccupato di cercarne un altro, con cosa speri di
campare?-
-I soldi non mi
mancano…-
-Certo, finchè si
tratta di
andare a donne…-
Si prese una birra
fresca dal
frigo, poi ne prese un'altra e la offrì
all’amico che si stava accomodando sul divano.
-Ok, andiamo a vedere
per quel
lavoro…-
-Si…-
-Che, hai sentito
Takumi
ultimamente?-
-No, è un pezzo che
non lo vedo,
penso che sia dalla sorella, lo sai che sta divorziando?-
-Sono solo separati-
-Mi ha detto che Nana
ha chiesto
il divorzio, almeno, qualche tempo fa mi aveva detto così-
-E la bambina?-
-Solitamente la
affidano alla
madre…quindi non saprei-
Ren abbassò lo
sguardo pensando
al sorriso di Takumi quando teneva fra le braccia la sua bambina.
Bevve un altro sorso
di birra
dalla lattina, rimurginando su quel pensiero.
Ripensò a tutte le
volte in cui
avrebbe desiderato anche lui avere un figlio da amare e crescere,
chissà se
sarebbe stato un buon padre, avrebbe sorriso anche lui nel tenere in
braccio un
figlio suo, sarebbe stato felice. Gli era sempre mancata una famiglia,
e l’idea
che il matrimonio di Takumi stava finendo lo feriva.
“Il tuo sorriso ancora mi colpisce, al solo pensiero. Se
avessi saputo
che te ne saresti andata avrei fatto di tutto a finchè diventassimo una
famiglia, con un figlio nostro…che pensiero egoista.”
Teke-chan appoggiò la
lattina
vuota sul tavolino di vetro che stava davanti al divano e si diresse
verso la
porta, Ren lo seguiva con la coda dell’occhio, mentre continuava a
sorseggiare
la sua birra.
-Allora andiamo?-
Ren lo fissò un
istante, poi
sorridendogli prese la giacca di pelle e lo raggiunse sulla porta,
sfilando
dalla tasca dei jeans il pacchetto di sigarette vuoto lo accartocciò e
lo gettò
a vuoto nella stanza.
-Andiamo andiamo…-
“Si, era un pensiero egoista e capriccioso,pensare di tenerti
legata a
me con un figlio che non volevi, e sicuramente mi avresti odiato per
questo, ma
almeno ti avrei avuta ancora accanto a me…”
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