Come un tuono
Da quanto
tempo stava
fissando quella parete?
Da quanto
tempo aveva
smesso di vivere?
Da quanto
tempo non
vedeva la luce?
E
soprattutto da
quanto tempo non si cambiava la maglietta?
Alec sbatté più
volte gli occhi, dopo essersi stiracchiato pigramente
si alzò dal letto, le tende lo proteggevano dai raggi del
sole, ma nonostante
questo trovava fastidioso la luce che filtravano. Guardò
distrattamente la sua
stanza dell’Istituto, vestiti sparsi per il pavimento, libri
aperti disseminati
per la scrivania, le armi riposte nel baule accanto al letto, una
vecchia foto
di lui con i suoi fratelli, sembravano felici, Max rideva mentre Jace
si
provava i suoi occhiali, Izzy faceva una linguaccia alla macchinetta
fotografica, e lui scompigliava i capelli del fratellino
Non lo
rivedrò mai
ridere
Il dolore ancora non
l’aveva abbandonato, una cicatrice che
sarebbe rimasta per sempre incisa nel suo cuore, allontanò
dalla mente il viso
di Max e prese la prima maglietta che trovò nel grande
armadio di legno, ai lati
era ricamato da edera in bassorilievo che si attorcigliava lungo la
superficie,
la accarezzò distrattamente, poi la sua attenzione fu
catturata da uno sprazzo
blu all’interno del mobile, avvicinò la mano e
sentì la lana morbida, tirò
fuori l’indumento, era una sciarpa
Magnus
Il ragazzo rimase senza fiato, se la
rigirò tra le mani
accarezzandola, la strinse al petto, aveva cercato di dimenticare, di
allontanarsi, di scappare dalla consapevolezza che non lo avrebbe
più rivisto.
Lo stregone lo aveva lasciato, nonostante avesse detto di amarlo,
perché lui lo
aveva tradito, aveva scoperto che Alec era intenzionato a patteggiare
con
Camille, Magnus sarebbe diventato mortale e il cacciatore avrebbe
ucciso
Raphael, sembrava la via più facile. Sembrava.
Alec aveva perso, la morte che lo
avrebbe tallonato fino
alla fine dei suoi giorni lo aveva allontanato dallo stregone
-E’ il terzo incomodo della
nostra relazione- gli aveva
detto poco tempo prima, quella frase lo aveva fatto arrabbiare, come
poteva
Magnus essere così tranquillo? Perché lo avrebbe
trattato come tutte le sue
storie passate? Alec non voleva diventare un ricordo, non sarebbe stato
il
trastullo di nessun stregone millenario.
Lanciò con frustrazione la
sciarpa verso il fondo della
stanza in modo che ,forse, non avrebbe pensato a lui
Dannazione!
Lui era un
cacciatore! Da quando si buttava giù così
facilmente?Aveva visto la morte in
tutte le sue sfaccettature. Ma allora perché si sentiva come
se gli fosse stata
strappata via l’aria dai polmoni?
Si mise le mani tra i capelli,
cercò di calmarsi, respirava
affannosamente come se potesse affogare nel dolore. Si
accovacciò per terra con
la testa nascosta
-Ho rovinato tutto-
sussurrò, questo era stato per lui come
un mantra negli ultimi giorni, lo ripeteva nella notte ed era il suo
primo
pensiero quando si svegliava. La cosa che odiava di più era
che il suo nemico
era stato lui stesso e complici erano la sua paura e il suo egoismo.
-ALEC!- la voce di Jace lo fece
sobbalzare –Se non esci
subito, giuro che sfondo la porta con un calcio. E tu sai bene quanto
sono
bravo a sfondare le porte- Alec già poteva immaginare il
ghigno del suo
parabatai al di là della porta. Lo conosceva fin troppo bene
da sapere che
l’avrebbe fatto sul serio, così dopo essersi dato
una ripulita veloce, andò ad
aprirgli la porta.
Jace era in tenuta da combattimento,
le rune ancora ben
evidenti sulla pelle significavano che era andato a caccia. Senza di
lui. Prima
di parlare il ragazzo lo guardò attentamente, gli occhi
dorati stretti in due
fessure, Alec sapeva che, anche se avesse voluto, non gli avrebbe
potuto
nascondere niente.
-Fratello- disse appoggiandogli la
mano sulla spalla -Ho
bisogno di te- sospirò guardando per terra imbarazzato, poi
continuò –E so che
tu hai bisogno di me, ti prego Alec basta- Jace aspettò una
risposta, ma Alec
non sapeva che dire, così si avvicinò a lui e lo
abbracciò, l’altro per un
primo momento rimase sorpreso, il suo parabatai si mostrava pochissime
volte
così vulnerabile, ma ricambiò
l’abbraccio dandogli delle pacche sulla spalla
-Accompagnami a prendere la mia roba
nel suo appartamento-
gli sussurrò lui, poi cercò di abbozzare un
sorriso –Tutte le mie vecchie
magliette mi stanno strette-
-Okay- Jace lo guardò
speranzoso, Alec era forte, lui lo
sapeva bene, si poteva piegare ma mai spezzare, proprio come lui. Era
per
questo che l’aveva scelto come parabatai, quel ragazzino con
la felpa
sbrindellata, gli occhi blu e i capelli arruffati che gli ricadevano
sulla
fronte, diffidente e freddo, ma quando stavano da soli, quando sapevano
di non
essere giudicati, quando sapevano di stare al sicuro, allora in quel
momento
Alec rideva così che Jace riuscì ad aprire una
breccia dentro la sua armatura.
Si erano salvati la vita a vicenda, Alec era la sua ombra e i suoi
occhi, si
fidava ciecamente di lui.
-Vado a farmi una doccia ora- Jace
fece una smorfia-Questi
dannatissimi demoni puzzano in un modo indecente- gli
scompigliò i capelli già
arruffati e si allontanò.
Dopo un po’ di metri si
girò, Alec era rimasto sulla soglia
a guardare il vuoto
-Alec- il ragazzo si girò-
Te lo ricordi?- gli chiese Jace,
l’altro aggrottò le sopracciglia –La mia
forza non smetterà di echeggiare…
-Come un tuono- finì Alec
-Te lo ricordi allora- il suo
parabatai sorrise soddisfatto
-Come potrei dimenticare gli stupidi
motti di quando eravamo
bambini?-
-Finalmente! Con questo ho potuto
constatare che non sei
completamente partito di testa- detto questo Jace si girò,
Alec non riuscì a
comporre una risposta adeguata che lui era già sparito
nell’oscurità del
corridoio.
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