Legenda
Legenda
* * *
Nota:
Aequor si svolge su due piani
temporali differenti. Uno è ambientato nel periodo in cui i videogiochi Rosso,
Blu, Verde e Giallo si stanno ancora svolgendo; l'altro è posizionato dopo i
cambiamenti intercorsi che sono mostrati in Oro, Argento e Cristallo. Di
conseguenza questa
Legenda
porrà l'accento anche su tali variazioni con la dicitura
13 a.p.
– tredici anni prima – che li
segnalerà al lettore.
Tilde (~):
indica un ampio salto temporale (per i vuoti minori lascio semplicemente una
riga bianca).
Celadon City: Azzurropoli.
Cerulean Cape: Miramare, tratto
conclusivo del Percorso 25 sopra Celestopoli.
Cerulean City:
Celestopoli.
Cinnabar Island: Isola Cannella.
Cycling Road: Pista Ciclabile.
Fuchsia City:
Fucsiapoli.
Goldenrod City:
Fiordoropoli.
Indigo Plateau: Altopiano Blu.
Mount Moon:
Monte Luna.
Orange Islands:
Isole
Orange, nella mappa di Aequor situate a sud-est di Kanto.
Pallet Town:
Biancavilla.
Pewter City:
Plumbeopoli.
Power Plant: Centrale Elettrica
abbandonata (13 a.p.) / Impianto Turbine (attualmente).
S.S. Anne: M/N Anna.
S.S. Aqua: M/N Acqua.
Saffron City: Zafferanopoli.
Sea Cottage:
abitazione di
Bill (13 a.p.) / residenza di suo nonno (attualmente).
Seafoam Islands: Isole Spumarine.
Silence Bridge: Ponte Silenzio,
altro nome del Percorso 12 di Kanto.
Shamouti Island:
Isola di
Shamouti, isolotto centrale dell'arcipelago Orange.
Vermilion City: Aranciopoli.
Vermilion Harbor:
Porto di
Aranciopoli.
Victory Road: Via Vittoria.
Viridian Forest: Bosco Smeraldo.
Felina Ivy: Felina Ivy.
Samuel Oak: Samuel Oak.
II
“Phlebas il Fenicio”
* * *
Ogni
regione ha le sue caratteristiche peculiari che la identificano precisamente e
indiscutibilmente appena sono nominate. Prendiamo Johto ad esempio: è
impossibile visualizzare la mappa generale senza accorgersi delle massicce
montagne che la richiudono in una nicchia color castagna come a difenderla dagli
impetuosi venti invernali. Certo, anche le macchie verdi degli alberi saltano
all'occhio, ma l'effetto non è il medesimo.
E che
dire di Hoenn, con il mare che non solo la accerchia ma vi si introduce nei
meandri più impensabili, quasi la regione stessa fosse crepata e stesse
giocoforza consentendo a rivoli cristallini di scorrere al suo interno per
uniformare acqua e terra?
Quanto a Sinnoh, v'è davvero il bisogno di chiarire che cosa delizi maggiormente
lo sguardo quando esso si posa su una sua carta geografica? Nemmeno il più
superficiale dei viaggiatori può sottrarsi all'attonita meraviglia che la vista
delle città più magnifiche in assoluto provoca nell'animo umano.
E
Kanto? Kanto è tutto. Dalla punta del Cerulean Cape, dove sorge il quieto Sea
Cottage con il suo panorama sull'oceano, fino a Cinnabar Island, la vetusta e un
tempo vivace isola che ora è stata distrutta dalla furia devastante del vulcano
che sotto di essa sonnecchiava, Kanto sembra riunire in sé tutte le
caratteristiche del globo. È tecnologicamente avanzata – come dimenticare la
Power Plant una volta trascurata e ora nuovamente operativa, oppure la Cycling
Road? Non mancano formazioni rocciose di proporzioni maestose come la catena del
Mount Moon e la Victory Road, senza dover citare le Seafoam Islands. È nondimeno
verdeggiante: la Viridian Forest è forse annoverabile tra le più spettacolari
zone boscherecce ammirabili, con i suoi folti alberi che quasi non permettono
alla luce di filtrare e il suo terreno ricoperto d'erba e fiori che rinfresca al
solo contatto con la pelle.
E c'è
il mare: a sud, per tutta un'intera metà della pianta, appena interrotta
dall'esile linea di cemento della Cycling Road che sembra volersi celare per non
importunare l'eccelsa distesa, si propaga un'incommensurabile superficie limpida
a cui si accede dai porti – Vermilion City – e via più agevoli rive – Fuchsia
City e Pallet Town.
E
proprio sul mare il nostro racconto comincia.
Il
venerdì è un giorno particolare. È il termine della settimana lavorativa, viene
quindi spesso collegato all'ideale di riposo e, per analogia, di compimento, non
solo di una fatica ma in un senso più lirico e collettivo. Può essere visto come
un inverso del lunedì che invece, salvo rari casi, è la ripresa dell'impegno, il
brusco risveglio dalla bonaccia delle quarantottore precedenti, la coscienza
comune che rimangono ancora cinque giornate alle seguenti ferie. È quasi
beffardo che la S.S. Aqua approdi in quei due giorni al porto di Vermilion City.
Per
quanto poetico sia questo sincronismo, tuttavia, sono costretto dai miei doveri
di scrittore a fare ritorno alla realtà e chiarire la reale situazione: ciò che
intendo esporre non si avvia un venerdì, bensì un sabato. La S.S. Aqua era già
attraccata il giorno prima alla banchina e quella sera sarebbe ripartita alla
volta di Johto.
Il
racconto si colloca di prima mattina, e il suo principio sono un uomo e un
ragazzo che, camminando dal Silence Bridge, erano giunti dalla lontana Pewter
City con un'intenzione ben precisa. Quale essa fosse, solo uno dei due lo
sapeva.
« Ci
siamo, papà? » domandò il giovane.
«
Quasi, Larry. Là c'è il molo » rispose l'altro indicando la sagoma quasi gracile
della S.S. Aqua stagliata nella luce del mattino.
«
Perché abbiamo fatto il giro largo? Non facevamo prima a venire da Saffron o
dalla Cycling Road? ».
« Ti
dirò, preferisco l'orizzonte all'alba rispetto ai grattacieli che fanno ombra »
replicò il padre sorridendo mentre nella mano destra stringeva con inusitato
vigore un colorito bouquet di fiori. Non l'aveva acquistato lungo la via, al
contrario era già partito con esso, il che lasciava supporre che vi fosse uno
scopo ben preciso cui adibirlo.
« Ma
io sono stanco morto! ».
«
Pazienta, come ti ho detto quasi ci siamo–– eccoci, Vermilion è a qualche passo!
».
Le
due figure, fino a quel momento rimaste le uniche in un paesaggio naturale
pressoché incontaminato, si videro confrontate a svariate silhouettes
illuminate, alcune più altre meno, dalla luce del sole. C'era chi andava di
fretta in un frenetico tentativo di inseguire qualcosa o qualcuno, chi invece
decideva di proseguire comodamente alla velocità preferita, chi si mostrava
emozionato e chi non lasciava trasparire alcun sentimento che gli attraversasse
l'anima, chi esibiva i visibili segni del tempo e chi appariva
nell'inconsapevole fiore degli anni. Eppure tutti, non uno escluso, parevano
gravitare intorno a un unico punto di riferimento, e quel punto era la S.S.
Aqua.
Nonostante quello sembrasse un andirivieni talmente sostenuto da inibire
l'arrivo alla nave prima che diversi rintocchi delle campane di Vermilion si
facessero udire, l'uomo si era accorto subito che era certamente troppo presto:
nessuno si sarebbe imbarcato con dodici ore di anticipo se non avesse avuto un
motivo valido per farlo, motivo che quella gente pareva non avere e che invece
aveva lui; ma lui non aveva alcuna intenzione di salire a bordo.
Attraversata in pochi minuti la strada sul lungomare della città e raggiunto
infine il molo agognato, l'uomo si avvicinò al controllore, il quale, ancora
sopito, si mostrò manifestamente sbalordito da quello strano individuo che gli
si accostava.
«
Desidera? » domandò ancora scosso dal risveglio.
«
Vorrei salire sulla nave ».
A
quelle parole il sorvegliante lo esaminò con un volto più esterrefatto che
inquietato « Salire sulla nave? Ma signore, mancano diverse ore alla partenza,
magari preferisce visitare Vermilion ».
«
Veramente vorrei salire ora »
« Mi
vuole spiegare almeno la ragione, visto che non ha neanche un bagaglio? ».
« Ho
due biglietti. Non è sufficiente per imbarcarsi? ».
« Ma
certamente, era per pura–– ».
«
Voglio rilassarmi e mettermi comodo prima che tra neanche sei ore inizi
l'assalto all'Aqua. Mi faccia salire, per piacere ».
«
Nessun problema, signore. Favorisca la sua carta d'imbarco e quella di suo–– del
ragazzo ».
«
Ecco a lei. E qui ci sono i documenti » disse l'uomo estraendo dalla tasca varie
carte.
«
William Meyer… Benissimo, salite pure e godetevi il viaggio ».
«
Grazie ». Il padre passò oltre e il figlio lo seguì a ruota. Il ponte si
presentava come un'estesa passeggiata di legno sotto la quale l'acqua emetteva
continuamente rumori di onde che si frangevano con le basi della passatoia. Da
ciascun lato, dopo un breve tratto di mare, stavano due piattaforme cementate
utili a raggiungere diverse pedane nei pressi delle quali attraccavano i
motoscafi minori. Alla fine del ponte capitale si stagliava la S.S. Aqua,
monumento al progresso nelle scienze di navigazione, che dondolava pacatamente
sulla superficie liquida.
«
Partiamo? » domandò confuso Larry « Non me l'avevi detto. E la mamma? La
lasciamo a Pewter? E dove andiamo? ».
« Non
partiamo » lo rassicurò William « Siamo qui per ben altro ». Detto ciò assaporò
per un attimo l'aria che spirava verso il mare, poi si voltò e spiccò un salto
verso la spianata di sinistra. Il ragazzo lo guardò basito; poi, comprendendo
dallo sguardo del padre che lui voleva che lo seguisse, lo emulò e lo raggiunse.
William frattanto camminava a testa alta, con gli occhi fissi sullo stretto
lembo di cemento sul quale stava proseguendo, le barche che sfilavano come in
processione alla destra e un muretto di pietra alla sinistra.
Si
trovavano all'incirca all'altezza del Silence Bridge che avevano percorso
all'andata quando divenne visibile, stabile e fermo in totale armonia con
l'ambiente circostante, un ponticello di ridotte dimensioni che si srotolava a
ridosso delle onde.
«
Quello non l'avevo visto quando siamo venuti » commentò Larry.
« Per
forza » replicò William tenendo gli occhi puntati sulla costruzione « Siamo ben
lontani in linea d'aria da questa zona. Era difficile vedere questo posto e
tanto meno arrivarci ».
«
Arrivarci? Abbiamo fatto questo viaggio per venire a vedere… quello? ».
« Ciò
che dobbiamo fare non poteva essere fatto nel caos di Vermilion City. Senti la
calma, la quiete che avvolge questo luogo ».
Era
vero: il silenzio sarebbe stato eterno se non fosse stato per il rifrangersi
dell'oceano e i versi di Pidgey che si libravano in cielo.
Eppure, Larry non poteva non chiedersi che cosa necessitasse un'atmosfera tanto
mistica. Contemplò il padre salire sulla struttura lignea che crepitava sotto il
suo peso. Il suono non infuse certo fiducia nel ragazzo, eppure con lo sguardo
William sembrava incitarlo a salire mentre ormai lui era quasi giunto al bordo.
Le onde sembravano assopirsi in corrispondenza del suo avanzare.
William sollevò la mano che aveva tenuto fino a quel momento il bouquet e la
pose davanti al busto; i fiori lo sfioravano leggermente e, arrestando la scena
su quel corpo immobile, sarebbe quasi sembrato che si fosse troncato sul punto
di levarli in aria.
« Tra
qualche giorno » esordì « tu compirai dieci anni ».
Larry
non poté fare altro che annuire, tanto era ovvia l'asserzione.
«
Direi che puoi conoscere la storia ».
Quelle parole lo incuriosirono « Storia? ».
« Tu
sai che la S.S. Aqua non è stata la prima nave a passare per quel porto, no? ».
«
Certo che lo so. Prima c'era la S.S. Anne ».
«
Precisamente. E sai anche da quanto non c'è più? ».
«
Uhm… No. È da quando sono nato che c'è l'Aqua, no? ».
« Sì
» disse William « Tre anni prima che tu nascessi, l'Anne terminò la sua vita
navale ».
Erano
parole che sarebbero sembrate malinconiche nelle orecchie di chiunque altro, ma
Larry non fu in grado di intenderle come tali.
~
In
quel periodo la S.S. Anne approdava al porto di Vermilion City. Non bisogna
concepirla come una S.S. Aqua meno avanzata, per niente: erano due navi su
livelli agli antipodi e, nell'eventualità di un confronto diretto, l'Anne ne
sarebbe uscita ovviamente vincitrice. Ogni anno Vermilion si riempiva di gente
desiderosa di salire, di salutare i propri familiari o di accoglierli nuovamente
a casa, oppure semplicemente di vedere quel monumento al mare partire verso mete
sconosciute e scomparire nell'immensità dell'oceano. Quello che tuttavia non
sapevano, nell'oscurità in cui spesso il passato è celato, era che l'Anne pochi
giorni dopo sarebbe realmente scomparsa nell'immensità dell'oceano.
Inizieremo dunque sul ponte principale, dove alla partenza, mentre i primi
sbuffi di vapore fuoriuscivano dai fumaioli, stava un uomo di ventisette anni.
Indossava un consunto cappotto in pelle di cammello – spirava una gelida aria
sulla nave – e fissava verso il basso. Allora il ponte principale era meno
rovinato, ma conservava quell'aria di anzianità che manteneva ancora dopo oltre
un decennio. Nessuno saliva, sarebbe stato da pazzi provare a farlo a pochi
secondi dalla partenza definitiva; in compenso uno scendeva. Era un ragazzo di
dieci anni circa vestito completamente di rosso, con un Pikachu appollaiato
sopra il cappello e in mano qualcosa di simile a un disco; ciò che più
impressionò James fu tuttavia quella determinazione totalizzante che sembrava
avvolgerlo.
Appena la sirena della nave tuonò nella sua potenza il giovane si girò sconvolto
ad ammirare la S.S. Anne che partiva. Mentre il transatlantico lasciava glorioso
il porto in favore di nuove mete James fu in grado di scorgere, spostandosi
leggermente verso la poppa, il ragazzo che osservava come estatico il mare sotto
di lui, dove prima l'imbarcazione era attraccata. La rimpiangerà,
commentò tra sé e sé.
« ––a
eventi più pratici, continua quindi la tempesta di neve alle Orange Islands. Le
intemperie affliggono il luogo da giorni e proprio in questo momento i
professori Samuel Oak e Felina Ivy stanno pianificando una spedizione in
elicottero a Shamouti per osservare meglio il–– ».
James
si voltò alla sua destra: un anziano signore stava ascoltando la radio al
Pokégear. Appena questi si accorse di essere osservato la spense e si avvicinò
in ricerca di un possibile nuovo interlocutore. « Spero di non averla disturbata
» esordì « Interessante l'inverno alle Orange in piena estate ».
«
Senza dubbio. La nave non passa per di là? ».
«
Solo tra qualche giorno. Dubito ci sarà ancora maltempo per quando arriviamo ».
«
Speriamo » commentò James per tutta risposta. Frattanto dietro di lui si era
formato un vociare convulso. Voltandosi vide che esso era opera di un gruppo di
persone sulla trentina d'anni che, ironia della sorte, parlavano del medesimo
argomento, anche se in maniera assai più appariscente.
« Che
vergogna » osservò l'anziano « Capisco che a quell'età e in gruppo è difficile
controllarsi, però un minimo di rispetto dovrebbero mantenerlo ».
«
Penso di avere la loro età » commentò James.
L'altro lo guardò stranito, poi rise « Suvvia, va bene sentirsi giovani dentro,
ma è ovvio che non è vero! ».
James
avrebbe ribattuto se il Pokégear del suo interlocutore non avesse suonato
annunciando una telefonata. Quello rispose e si allontanò, lasciando il giovane
in un'amara e solitaria riflessione sulla sua situazione e su quanto un uomo
vissuto come lui potesse apparire vecchio agli occhi altrui.
Non
di tutti, è chiaro. I giovani, si sa, hanno sempre uno spirito d'osservazione
superiore: non perché non abbiano ancora subito i problemi della vista, ma più
probabilmente per una questione spirituale. Gli anziani, nella loro esperienza,
sono convinti di aver già visto tutto. Non si preoccupano di mettere in dubbio
le loro certezze, vista la loro statura morale sanno già che sono verità.
Ma lo
sguardo incantato di un bambino di fronte a una farfalla, cosa si può dire a sé
stesso? Cos'è quello strano animale che appare leggero come l'aria e può
addirittura volare? Da dove viene? Come si è dipinto le ali a quel modo? I
giovani sono sempre pronti a mettere in discussione le loro convinzioni, purché
dall'altra parte il contesto culturale consenta loro di adattarvisi. Lui, James,
non aveva mai perso quello sguardo da bambino, non l'aveva mai ceduto in favore
di uno più smaliziato.
Forse
questa è una delle ragioni per le quali, quando una delle figure che prima
parlottavano gli si avvicinò, non cadde in errore come il passeggero prima aveva
fatto attribuendogli più anni di quanti non ne avesse. Cosa ancora più
straordinaria, si rivolse a lui con la seconda persona singolare « Ehi, quello
là non ti ha disturbato, vero? ».
« No,
no » rispose James. I suoi occhi fissavano quella sagoma che prima aveva visto
in compagnia e che ora, isolata, appariva sotto una luce del tutto nuova, come
spesso capita a chi quasi cela la propria vera natura in presenza di amici.
« È
noioso, lo so » proseguì il ragazzo « È di Viridian, come me e alcuni amici qui
sulla nave. Piacere, mi chiamo Bill ».
«
James » rispose il giovane stringendogli la mano « Bella, Viridian City? ».
«
Abbastanza. Però vorrei viaggiare. Ci sono tante belle città in Kanto… Pewter e
Cerulean in particolare. Un giorno vorrei vivere lì ».
James
si ritrovò a pensare al ragazzino che era uscito dall'Anne poche ore prima.
Sapeva da dove veniva, l'aveva letto negli occhi. « Anche Pallet Town non
dev'essere male ».
«
Pallet? » commentò Bill « Sì, forse. Andy, laggiù, viene da Pallet. Non è troppo
piccola? ».
«
Forse è per questo che mi piace » replicò James « Sono nato a Celadon City ».
« Ah,
Celadon! » esclamò Bill « Com'è? ».
«
Troppo grande ».
Questa risposta scioccò il giovane. Non aveva mai pensato una città in termini
di troppo grande, casomai al contrario. Avrebbe voluto chiedergli di più, ma udì
una voce che lo chiamava « BILL! VIENI! ». Girandosi notò un biondo giovane che
gli faceva cenno con la mano.
«
Senti, Andy mi chiama… Tu ci sei alla festa di questa sera? È per la prima
serata di crociera ».
«
Penso di sì ».
«
Allora casomai ci vediamo là, d'accordo? » disse, e senza attendere la risposta
del suo interlocutore si allontanò, andando incontro al suo amico.
James
si appoggiò nuovamente alla balaustrata e lì attese che il tempo trascorresse.
Quando giunse il tramonto sul mare Vermilion era già lontana e Kanto appariva
come una costa all'orizzonte. Ripensò a Celadon, a quanto gli sembrava enorme
fino al giorno prima, e concluse che non era che un punto in quell'immensa
distesa terracquea.
Sarebbe futile descrivere come il Laghetto, poetico nome d'arte del ristorante,
accolse gradualmente gruppetto dietro gruppetto i passeggeri fino a raggiungere
la situazione da cui intendo partire. È molto più elegante descriverlo quando
era già gremito di gente, al punto che sarebbe stato difficile individuare un
conoscente a un metro di distanza da sé. Erano persone diversissime, ma
fondamentalmente era visibile un'unica massa. Disomogenea, ma sempre una massa.
La
notte, all'esterno, è invece molto più varia. Uso il presente a indicare che
anche noi, magari mentre siamo rilassati in casa nostra al chiarore lunare,
dovremmo provare a concepirla in questo modo: stratificata. E così era fuori
dalla S.S. Anne.
Al
primo strato, quello più inferiore, le meraviglie del mare. Sotto alla distesa
di acqua si trova un mondo pressoché infinito, denso di creature sconosciute, di
rumori inquietanti e di splendide formazioni naturali quali le barriere
coralline. Hoenn sotto questo punto di vista è particolarmente sviluppata, e
certamente non trova paragoni in nessun'altra regione. Le bolle salgono e con
loro viaggiamo verso il livello basilare.
Questo è sostanzialmente quanto è all'altezza della crosta terrestre, con tutto
ciò che questa definizione comporta. Ma è della notte intesa come evento
naturale, non artificiale, di cui parliamo, quindi possiamo immaginare il
meraviglioso brusio delle onde che si formano e si distruggono, l'affascinante
vita degli insetti notturni, immense distese di erba lontane chilometri dal caos
cittadino e la dolce brezza che attraversa e arruffa i capelli.
Ma
non è questo lo strato più fantastico: sopra di esso si estende l'Assoluto. È un
mondo totalmente estraneo, le cui regole sfuggono alla comprensione e le cui
proporzioni sono ignote. È il regno dell'incerto, per estensione quindi della
vita vera, non quella programmata che propinano al livello sottostante, a
Goldenrod: l'Universo.
James
non era superficiale: per questo lo troviamo al secondo livello con il corpo, ma
al terzo con la mente. I suoi pensieri erano annullati e ripresi, talvolta non
contavano niente e talvolta assorbivano ogni sua capacità riflessiva. Bill,
uscendo dal ristorante, lo trovò a guardare il mare nel buio appoggiato al
mancorrente della balaustrata, con le luci della Cycling Road che all'orizzonte
segnavano il divario tra i due estremi dell'oscurità totalizzante.
« Non
perdere tempo con me. Goditi la festa » proruppe James.
Bill
rimase attonito – non gli era parso di aver fatto alcun tipo di rumore –, poi
trovò le parole per rispondere « Sei pazzo. Ti lascio da solo qua fuori? Guarda
che è un quartiere malfamato ».
James
sorrise, poi replicò « Non sono solo. La notte, il mare, Kanto sono qui a
tenermi compagnia. Posso immaginare i pensieri di quella madre preoccupata per
il figlio, là a Pallet. Sta andando verso Celadon, sai? Chissà se passerà
davanti alla mia casa. Mi perdo spesso in queste riflessioni, per questo non
sono mai solo ».
Bill
non comprese granché di quanto James aveva detto. Decise pertanto di sorvolare
come nulla fosse successo « Sei sicuro di non voler tornare dentro? ».
« Sì
».
«
Allora starò io fuori » concluse.
« Non
ne vale la pena » tentò di dissuaderlo James, ma Bill sembrava inflessibilmente
granitico nella sua deliberazione.
« Mi
devi ancora spiegare ciò che hai detto questa mattina ».
James
sembrò per la prima volta disorientato « Come? ».
« Mi
hai detto che Celadon era troppo grande ».
« Ah…
Vedi, da piccolo ero sempre solo. Alle feste non andavo quasi mai, e se andavo
restavo in un angolo a pensare alle mie idee. A Celadon erano tutti uguali. Non
lo sembravano, lo erano e basta. Tutti desiderosi di intraprendere lo stesso
lavoro dei loro genitori, pronti a criticare chi, come me, viveva
nell'incertezza, non sapendo cosa sarebbe successo il giorno dopo. Capisci?
Celadon era troppo monotona, non potevi svilupparci una tua autocoscienza perché
la massa di edifici, di gente sempre uguale era tale da impedirtelo. Era troppo
grande e io non riuscivo a viverci. Le case tutte identiche, un ricambio di
folla continuo eppure sempre dello stesso genere, mai una difformità. Così ho
iniziato a sviluppare una certa attitudine a cogliere quando una persona
diversa, di rado, passava per quel calderone. Ero talmente abituato al medesimo
tipo di cibo che anche un condimento diverso anche solo per provenienza mi
appariva straordinario e facile da comprendere. Mi divertivo a carpire l'anima
di questi individui, era il mio unico passatempo ».
Bill
ascoltava totalmente ammutolito dalle parole dell'amico.
« Poi
un giorno decisi di andarmene. Di viaggiare. Di scoprire cosa c'era al di fuori
di quella città che mi aveva accolto per quasi vent'anni. Così viaggiai. Vidi
Cerulean City, vidi Lavender Town, e via discorrendo ».
«
Johto? ».
« No
» replicò James « Johto non mi è mai piaciuta ».
«
Trovi? Insomma, è pieno di attrazioni turistiche. Non ti sarebbe piaciuto vedere
Goldenrod? ».
Il
suo amico sembrò divertito « Goldenrod? La città grande due volte Celadon? Ma io
che odio la gente che si amalgama eccessivamente cosa avrei trovato di
interessante a Goldenrod? Neanche per idea, è l'ultimo posto che vorrei visitare
in una regione già banale ».
« Sì,
ma Cianwood? Ecruteak? Sono città bellissime, che cosa ci trovi di sbagliato? ».
« Non
mi piacciono le città che hanno un senso unico. Cianwood è una gran bella città
di mare, ma dipende da Olivine in una maniera impensabile per una qualsiasi
città di Kanto. Ecruteak… Devo proprio parlarne? Una massa di nostalgici dediti
solo al passato. Col passato non fai una vita, al massimo la puoi arricchire ».
Bill
stette in silenzio non tanto perché le argomentazioni del suo amico fossero
particolarmente convincenti quanto perché si chiedeva come sapesse tutte queste
informazioni su Johto se mai c'era stato.
«
Poi… Poi entrai in una città e me ne innamorai. Una cosa in particolare mi
attirava. Non le persone, non le case, non le attrazioni, ma una sola cosa.
Un'immensa macchina, un monumento al mare ».
« La
S.S. Anne? » si stupì il suo interlocutore « Come mai ti è piaciuta tanto? ».
« Non
ne ho idea » rispose James « Forse per la moltitudine di gente che vi saliva.
Forse per il fatto che solcasse il mare e tornasse dopo un intero anno e per le
fantastiche ipotesi su dove facesse scalo e quanti e quali orizzonti
attraversasse. Forse per l'idea dell'infinito e del mistero. Comunque decisi che
un giorno ci sarei andato anche io: proseguii nei miei viaggi con questo unico
punto cardine. Nel frattempo la mia famiglia morì lentamente, uno a uno, per
svariate cause, e mi ritrovai solo. Feci comunque fronte alle mie insicurezze,
ai miei problemi e a frequenti presagi e incubi che mi perseguitavano e
racimolai abbastanza soldi per salirci ».
Vedendo Bill che lo guardava e immaginando, nel buio, il suo volto rattristato,
troncò sul nascere una possibile replica dell'amico « Mi spiace di averti
rovinato la serata ».
« Ma
ti pare? » ribatté lui « Non hai rovinato niente, anzi, è una storia molto
interessante. Magari ti presento i miei amici, così la racconti anche a loro ».
« No,
grazie. Credevo avessi capito che non sono il genere di persona a cui importa
avere una folla di amici intorno ».
Bill
rimase per un istante inebetito, poi decise di concludere la discussione, dal
momento che anche James sembrava desiderarlo « In ogni caso sono nella cabina
123. Se volessi venire a trovarmi sei il benvenuto… ». Detto questo, si voltò e
si allontanò. Riuscì, però, a udire un flebile grazie da parte del suo
interlocutore, e sorrise.
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