Let me be your reason to fight/1
Where are my cigarettes?
Un taglio. Solo uno. Troppo lungo, troppo profondo e decisamente troppo verticale.
Ed eccomi qui.
Al Grace's Hospital, in una stanza che di accogliente non ha nulla. Mi
porto una mano a chiudere gli occhi, mentre mi stendo sul lettino e
poggio la testa sul cuscino troppo basso per i miei gusti.
Troppo. La parola che da anni mi perseguita. Troppo diverso. Troppo gay. E' stata questa la mia rovina. La mia stessa natura mi ha distrutto.
A scuola
sapevano tutti che mi tagliavo, era una cosa evidente. Maniche lunghe
d'estate, polsi costantemente coperti da polsini durante educazione
fisica. Molto probabilmente sapranno anche del mio tentato suicidio,
non c'è dubbio. Mi immagino la maggior parte delle ragazze che
frequentano i miei corsi dire quanto dispiaccia loro, e dire che
dopotutto mi volevano bene. Stronzate. Sono, tutt'ora, l'unico
omosessuale dichiarato nella mia scuola, e nonostante questo sia il
paese di Obama, il paese libero, democratico e civile, non sono stato
accettato da nessuno. Non biasimo certamente le persone che in mensa
non si sedevano accanto a me, se lo avessero fatto sarebbero state
bollate per tutto il resto della loro carriera scolastica.
La porta si apre
e sobbalzo. Chris, un infermiere taciturno e depresso quasi quanto me,
mi dice di alzarmi e seguirlo, perché è ora di mangiare.
Seguo la figura
verde acqua di Chris che mi scorta alla mensa. Sfortunatamente non ho
fame, così, appena Chris sparisce, sgattaiolo fuori, nel
cortile. Passo inosservato ai vecchietti ricoverati e le loro famiglie
in visita. Guardandoli sento la mancanza di mia madre, ma scaccio
subito la sgradevole sensazione. Proseguo fino ad una anonima panchina.
Le assi dello schienale sono rotte e la vernice verde è rovinata
e scrostata. I piedini in ferro arrugginiti. Mi avvicino e mi inchino
per cercare il pacchetto di sigarette nascoste sotto la seduta. Lo
trovo, ma appena lo apro mi scappa un -ma che cazzo..- constatando che
delle quattro sigarette della scorsa volta ne è rimasta solo una.
Sento una risata
dietro di me. Mi volto di scatto. Un ragazzo con i capelli castano
chiaro e gli occhi cristallini mi guarda divertito. La barba di due
giorni segue le rughette che si formano intorno alla sue labbra.
Nonostante sia marzo e non faccia tutto questo caldo, il tipo sta a
maniche corte e la maglietta ha la scollatura a V, che mostra una
scritta tatuata sul petto che non riesco a decifrare. Posso invece
vedere benissimo le ossa dello sterno e la pelle sottile delle
clavicole. Scendo con lo sguardo, soffermandomi sulle gambe fasciate da
un paio di jeans chiari con un ridicolo risvoltino sopra la caviglia.
La cosa più impressionante è la magrezza di questo
ragazzo. Calato sul capo ha un cappello grigio che schiaccia la frangia
appena accennata e gli incornicia il volto. Mi sposto sulle braccia,
tatuate anch'esse. Non sono magre come mi aspettavo, sono anzi
muscolose, scorro su tutta la lunghezza, osservando le vene, il primo
pensiero che percepisco è l'ammirazione di quelle braccia a mio
parere perfette. Nonostante i tatuaggi. Bianche, lisce, senza cicatrici. Giungo infine alle mani. Una di esse tiene una sigaretta. Una mia sigaretta per l'appunto.
Ritorno velocemente sul suo viso, gli occhi che ancora mi guardano divertiti.
-Su, non fare
quella faccia, sono solo sigarette.- la sua voce è roca, sembra
la stessa voce di mio cugino quando ha mal di gola e c'è sempre
quella nota bassa. Ma, a differenza di quella di mio cugino, questa
è sensuale e melodiosa. La potrei ascoltare per ore.
Mi stupisco del pensiero, non mio. Ricordandomi che il tipo ha parlato,
cerco di connettere il mio cervello alla lingua, provando a elaborare
una frase di senso compiuto.
-Comunque, io
solo Louis.- mi previene lui, porgendomi la mano che stringo facendo
un passo avanti. La mano è freddissima e riesco a sentire le
nocche prominenti sotto la stretta.
-Harry.- dico, ma dalla mia bocca non esce che un sussurro -Harry Styles.- mi schiarisco la voce.
-Bel nome, Harry.- dice il ragazzo facendo un passo indietro e portandosi alle labbra la sigaretta appena cominciata.
-Grazie, anche
il tuo.- dico sconcertato. Cade un silenzio imbarazzante di cui Louis
non sembra soffrire, o almeno non quanto me. Mi ricordo di avere in
mano ancora il pacchetto praticamente finito, così tiro fuori
l'accendino e accendo quella che sarà la mia ultima sigaretta
per tanto tempo.
-Come hai
fatto?- chiede d'un tratto. Io, immerso nei miei pensieri non avevo
fatto caso che si era seduto sulla panchina accanto a me. Non dovrebbe
essere scomodo non poter appoggiarsi allo schienale?
-A fare cosa?- chiedo, poggiandomi alla corteccia dell'albero più vicino, di fronte al ragazzo.
-Ad avere le
sigarette. A me hanno beccato subito dopo il mio arrivo, come hai fatto
a nasconderle nella borsa? Di solito controllano tutto.- dice poggiando
i gomiti sulle ginocchia e sporgendosi in avanti.
-Ah, un mio amico, quando ancora mi facevano visite.- dico amaramente, aspirando forte e avendo un piccolo capogiro.
-Quanti anni hai?- chiede alzandosi e avvicinandosi a me, buttando la sigaretta per terra senza avere la cura di spengerla.
-Diciannove,
compiuti un mese e mezzo fa circa.- dico spengendo anche la mia. Louis
si fa più vicino e mette timore, anche se è più
basso di me.
-Diciannove.
Perché? Come hai fatto a ridurti così?- chiede
afferrandomi il polso sinistro fasciato da una benda bianchissima. Le
dita sottili sono delicate mentre accarezzano la fasciatura, ma il
dolore è forte comunque e strattono il braccio guardando di
traverso quegli occhi azzurri tanto trasparenti.
-Come hai fatto tu a
ridurti così.- sputo acido. Mi allontanerei se fosse possibile,
ma dietro di me c'è ancora il tronco dell'albero, e Louis non ne
vuole sapere di indietreggiare. Turbato, distolgo lo sguardo
concentrandomi proprio sul polso fasciato che rigiro delicato tra le
dita. La fasciatura copre metà avambraccio, proseguendo sotto il
maglione leggero che porto.
Era metà febbraio. Faceva freddo ed ero solo a casa: i miei genitori e mia sorella erano andati a
cena da amici, io avevo insistito per rimanere a casa. Erano settimane
che ci pensavo. Stacco il telefono fisso e spengo quello mobile. Sono
deciso a farlo. Voglio farlo. Entro nel bagno azzurro cielo, apro il
rubinetto della vasca e regolo l'acqua alla temperatura più
calda che possa sostenere. Mentre aspetto che si riempi, prendo dal
cassetto la lametta e mi spoglio. Le gambe mi tremano e ci metto due
minuti buoni. Chiudo il rubinetto e mi infilo dentro la vasca. L'acqua
scotta e dei brividi mi sfiorano la schiena. Ho la pelle d'oca. Prendo
la lametta e la poggio sulla carne, premendo forte.
Stringo
forte le palpebre, cercando di scacciare le immagini che violente mi
affollano la mente. Sento un nodo alla gola e stringo forte il braccio
fino a farmi male sul serio.
Alzo lo sguardo
su Louis, che non si è mosso e ha lo sguardo fisso davanti a se,
ma non sembra guardare me, forse anche lui è perso nei suoi
ricordi. Si accorge che lo sto fissando, fa qualche passo indietro.
-Sai, sono qui
da due mesi e mezzo e ancora mi stupisco delle stupide posate che ci
propongono in mensa: forchette di metallo e coltelli di plastica
smussata. Capisco il motivo, ma se non riusciamo a tagliare un pezzo di
carne, come possono pensare di riuscire a farci mangiare?- dice d'un
tratto Louis, questa volta guardandomi negli occhi, accennando un
sorriso che di luminoso non aveva nulla. Finalmente, o forse no?, si scosta da me. Sento di nuovo aria fresca nei polmoni. Posso respirare. Riesco
a respirare. Ma è come un vuoto quello che mi circonda. Scrollo
le spalle, dimenticandomi subito la strana sensazione provata. Il tempo
di buttare il pacchetto di sigarette nella pattumiera più vicina
e Louis se n'è andato.
Wah.
Eccomi
con una nuova fanfic. All'inizio l'avevo ideata come una OS, ma poi mi
ci sono fatta prendere troppo la mano e sono tante le cose che vorrei
scrivere, so..
Prevedo però pochi capitoli per questa storia. Sarà una mini-long lunga, intorno ai dieci, dodici capitoli. Forse.
Anyway, non sono una directioner ma appoggio la Larry. Che poi, appoggiare.. io la amo e basta. Che sia amicizia o amore.
Questo capitolo è cortino, ma i prossimi (si spera) saranno più lunghi.
Adios, Edsvoice.
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