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Salve a tutti ragazzi
Salve a tutti
ragazzi!^^ Eccomi di nuovo qui con una nuova ficcy, spero che vi
piaccia!XD Non vi anticipo nulla e vi lascio alla
lettura!^^ Un beso!^*^
Prologo
Anno 1415; pieno Medioevo, quasi
agli sgoccioli della guerra dei cent’anni che vede come protagoniste sui due
fronti la Francia e l’Inghilterra, nemiche giurate da secoli; quella guerra,
era la dimostrazione suprema del cattivo sangue e dell’insofferenza che le due
grandi nazioni provavano l’una verso l’altra. Nell’anno 1429, quattro
giovani donne, chiesero udienza a Carlo VII, futuro re di Francia,
proclamandosi emissari di un volere più grande. Due di esse, si proclamavano
emissarie di Dio, una del demonio, ma redetta al bene e, l’ultima, era
emissaria di entrambe le razze. Alcuni teologi le interrogarono,
costatando che la loro fede e, il loro credo, era forte e profondamente
radicato, ma il futuro re di Francia, non fidandosi di loro, si mischiò ai
teologi per verificare se quelle quattro campagnole dicessero il vero e così
fu; le quattro lo riconobbero. Avvedutosi, Carlo, affidò il riscatto della
Francia alle quattro ragazze, che avrebbero segnato, una svolta fondamentale
della guerra. Ma come si sa, il successo attira invidia e, la nobiltà,
temendo che il loro prestigio fosse minato da quattro pastorelle lorenesi e per
il fatto che le casse del nuovo re non potessero supportare ancora guerre e, il
terrore che egli provava verso le quattro, che, si accentuò l’8 Maggio 1429,
quando attaccarono Parigi; il re, non inviò le truppe promesse alle quattro
donzelle che, stringendo comunque i denti, continuarono a combattere, con un
manipolo di pochi e fidati uomini. Tre di essi, erano secondi di fama
alle quattro leggendarie; ma nessun documento riportava concretamente della
loro esistenza, tanto che si pensi che erano solo dicerie del tempo, ma le
dicerie, come la fantasia, ha sempre un fondo veritiero.
Tre ragazzi dagli albini capelli,
due di essi, gemelli. In battaglia, dimostravano una forza sovraumana come
anche la velocità. Mezzodemoni erano essi, amici d’infanzia delle quattro
pulzelle d’Orléans. La battaglia che si svolse a Compiègne, nel 1430,
vicino a Parigi, segno il capitolar delle giovani
emissarie.
Sangue, sangue e fuoco, voci di uomini che urlano
e rumore di spade che si scontrano; groviglio di cadaveri a terra, sangue e
fango che si mescolano, creando una maleodorante poltiglia, mentre corpi dei
caduti vengono profanati dai compagni o dai nemici presi dalla
lotta. In tutto quel caos di corpi e rumor di ferraglia, quattro
longilinee figure, fasciate da resistenti armature, opponevano strenua
resistenza contro coloro che le attaccavano. La prima di esse, corti
capelli castani, che le carezzavano con delicatezza il volto, comprendo a
sguardi indiscreti il destro occhi di smeraldo, di cui il sinistro era gemello;
occhi che ricordavano i prati dell’Irlanda, viso ovale, dalle candida pelle
chiara, nasino piccolo e bocca carnosa color pesca, invitante e
seducente. Occhi che scrutano i dintorni con perizia e nervosismo,
fiato ansante, per via della lotto, sinuoso e prosperoso corpo coperto
dall’armatura; armatura che presentava uno scollo abbastanza ampio, gli
spallaccia come i bracciali, il petto, e il ginocchio; dalle protezioni sulle
ginocchia, si allungava una striscia di metallo, che si legava dietro la vita
della giovane, creando il batticulo, erano finemente lavorati e, in un
prolungamento d’essi, creavano la cintura intorno all’esile vita della giovane
mentre, le cosce, venivano fasciate da altro metallo che si agganciava in un
unico pezzo con il cinturino, lasciando scoperta una porzione della schiena;
disegni di fiamme erano sparsi per essa; fiamme azzurre su superficie bianco
panna. Sotto l’esigua protezione, la ragazza portava pantaloni aderenti e una
maglia a collo alto color azzurro, coprendo la parte di pelle ignuda della
schiena e dell’interno coscia; destra mano stretta alla sua alabarda, pronta a
scattare in qualsiasi momento; ella è Saphyra, una delle emissarie di Dio;
umana forma la sua, poiché la vera natura d’ella è celata ad occhi indiscreti;
ella è un puro angelo disceso dal cielo, per donar il suo aiuto nella
lotta. Sulla sua destra, invece, vi era un’altra ragazza corti e mossi
capelli color miele, viso dai tratti delicati, pelle rosea, espressione dura e
tenace che si rispecchiava negli scuri occhi castani, colore che pareva quasi
essere stato rubato ai tronchi degli alberi, mentre corpo era coperto da
un’armatura da soldato semplice e, nella destra mano, teneva stretta una spada;
si guarda attorno come del resto le sue compagne, attenta ad ogni movimento;
tutti sapevano chi ella fosse, era Giovanna. Più precisamente, Giovanna D’Arco,
natura d’essa è umana , ma il signore le ha fatto il dono di sentire la sua
voce e il suo volere e di vedere due dei Santi più importanti per la sua patri
e, per essa e la sua fede combatte. Alla destra della “Pulzella
D’Orléans, vi stava un’altra giovane donna; mori capelli, legati in una coda
alta, viso dai lineamenti fini e delicati, pelle di un invitate color rosa,
labbra fini, ma non meno sessuali ed invitanti, occhi bicromi, destro zaffiro,
sinistro smeraldo; terra e mare in quegli occhi sembravano unirsi. Sua
armatura composta dal corpo che le lascia scoperto l’addome, gli spallacci; connesse
ad essi, vi stanno due ali demoniache di metallo, guanto connesso
all’antibraccio che gli arrivava all’altezza del gomito; staccato dalla parte
superiore, vi stanno il cinturino e la falda; l’orlo dell’armatura, arriva a
metà delle candide cosce. Ai lati delle ginocchia, vi stanno due alette, che
mostrano demoniache fattezze e i parastinchi. L’armatura finemente lavorata e
color nero ebano con una pietra, un rubino, incastonato nel centro del corpo;
pelle sotto la protezione ignuda; nessun indumento porta la giovane, a parte lo
stretto indispensabile; nella destra mano stringe la sua ring blade, pronta a
lanciarla in qualsiasi momento. Intrigante ed oscura, come del resto è la sua
specie, Necrysia, nero angelo dannato che tradì Dio, seguendo Lucifero e, ora,
nuovamente alleata al suo primordiale creatore, per aiutare una sua
prescelta. Accanto all’oscuro angelo, vi era un’altra giovane; capelli
d’ella color castano chiaro, con qualche riflesso biondo, lunghi sino alla metà
delle cosce, stretti in una rigida treccia alla quale erano sfuggite due
fluenti ciocche che andavano ad incorniciare il fine viso dalla pelle candida
color dell’alabastro, labbra carnose color pesca, occhi di zaffiro, ove pareva
che le oscurità oceaniche albergassero. L’armatura d’ella, era
composta dal corpo superiore e anteriore, doppi spallacci, guanti connessi
all’antibraccio, la coppa sui gomiti, due protezioni sui fianchi che le
giungono sino quasi al ginocchio, tenuti allacciati da una spessa cintura di
pelle nera, ginocchi e parastinchi; protezione d’ella semplice e sobria, color
grigio con rifiniture in grigio perla. Sotto l’armatura, la giovane portava una
veste a corpetto, dai fili color ebano, con il collo alto color bianco; la
parte anteriore che s’allunga sino a quasi le caviglie e, sopra ad essa, una
giacca color nero, aperta, che arriva a coprirle persino le dita, che scivola
morbidamente sino alle ginocchia, per poi prolungarsi indietro in due code;
fine del capo tagliato perfettamente al centro coi bordi rifiniti di bianco,
due cinture incrociate in vita che, con l’aiuto di quella che tiene le
protezioni, tengono stretta la lunga giacca nera, pantaloncini corti, color
grigio scuro e stivali neri, che le arrivano sopra il ginocchio, tenuti fermi
con bianchi lacci, mentre il rifodero superiore ad essi è piegato verso il
basso con un poco di tacco; nella destra mano tiene la sua fidata spada, la Ivy
Sword, ora sottoforma di frusta; pacata ed equilibrata è la figura d’ella,
Kasdeya, personificazione del male e del bene uniti indissolubilmente in un
unico corpo con un’unica anima; un tabù proibito, essere eretico senza alcun
Dio da asservire, poiché due essi sono; natura d’ella celata, ali sue color
delle perle più rare esistenti al mondo, grige, unica nel suo genere, ora si
trova in quel luogo per proteggere ed aiutare una sua amica, anzi, le sue
amiche, poiché da anni si conoscono e da anni lei ha deciso di
proteggerle. Corrono per le strade della cittadina, corrono
preoccupati per le loro amiche i tre ragazzi, i mezzodemoni, in testa al
gruppo, vi sta uno di loro, viso dai lineamenti marca e austeri, gelido sguardo
e occhi taglienti azzurro ghiaccio, candidi e bianchi capelli tirati indietro,
sopracciglia corrugate dalla preoccupazione; indosso ei ha un armatura
completamente blu con finimenti bianchi, che, sulla parte superiore, molto
simile ad una giacca di metallo con il collo alto e, poco più sotto di esso,
partiva una piegatura, che pareva un secondo colletto, che creava i para spalle
e maniche larghe, creava una fitta rete; le mani protette da protezioni di
metallo color blu, mentre parastinchi e ginocchi erano uniti in un unico pezzo
di metallo, che lasciava scoperto l’interno delle cosce, andando a creare una
cintura dalla quale scendeva, da una decorazione bianca, un pezzo di metallo di
protezione; stivali ai piedi, coperti dal metallo; sotto l’armatura, l’albino
portava una tuta nera con rifiniture blu e bianche e, nella destra mano,
stringeva il fodero della sua Katana, la Yamato. Dietro ei, vi sta un
altro ragazzo, il suo gemello, tratti del viso simili a quelli del fratello;
espressione sua differente, sfacciata e maliziosa, ora nascosta dalla
corrugazione delle sopracciglia per via della preoccupazione; occhi di
ghiaccio, coperti dai corti e ribelli capelli bianco argentei che, ad ogni suo
movimento, svolazzavano intorno al suo viso. Armatura del mezzodemone,
compatta e resistente, che gli conferiva una certa aria di imponenza; corpo e
schiena della protezione robusti, come anche gli spallacci, l’antibraccio; il
batticulo e il cinturino erano formati da un’unica striscia di metallo e, la
parte anteriore, che formava la sporgenza, la falda e l’orlo, era stretta e
finiva a punta; a completare il tutto, vi stavano i ginocchi e i parastinchi.
Colore dell’armatura del mezzo rosso, rosso scarlatto con elaborate rifiniture
bianche; sotto di essa, il mezzo porta una cotta di maglia, bloccata sulle
cosce da dei lacci di cuoio marroni e, sopra alla cotta, portava una veste
marrone chiaro, sporca di sangue e fango; nella destra mano, tiene stretta la
sua fidata spada a doppio taglio, la Rebelion. Ultimo, ma non meno
importante componente di quello strano ed eretico trio, un altro ragazzo, più
giovane degli altri due e simile d’aspetto ai fratelli. Espressione sua pacata
e gentile di solito, ma ora è cancellata dalla preoccupazione che prova; corti
i suoi capelli, che gli coprono con delicatezza la fronte, senza però coprire
gli occhi color del ghiaccio. Armatura di quest’ultimo, molto sobria,
corpo e spallacci, formavano un'unica e solida protezione, l’antibraccio e la
protezione della mano, ornate di taglienti spuntoni; in vita, solo il
cinturino, che andava a formare anche il batticulo, lasciando la parte del
bacino scoperta, scendendo poi, con le protezioni sulle cosce, i ginocchi e i
parastinchi; sotto di essa, portava indumenti di pelle che andavano
dall’azzurro, al rosso e al nero; mancina mano, teneva stretta la sua spada, la
sua inseparabile Red Queen.
Continuano a correre, loro
respiro ansante, ma non cedono. Continuano ad uccidere e a correre! Troppo in
pena per quelle quattro ragazze, troppo in pena per coloro che ritenevano
sorelle, troppo in pena per le donne che amavano più di qualsiasi altra cosa al
mondo.<< Dante, Nero! Aumentiamo il passo! Sento il loro odore, sono
vicine! >>. Voce pacata e gelida quella dell’albino dai capelli tirati
indietro, nel rivolgersi ai fratelli, che annuirono solamente, aumentando la
loro andatura, andatura che non era umana, poiché, passavano accanto ai nemici,
senza che essi se ne accorgessero, cadendo a terra ormai morti.<< Vergil,
io ho un brutto presentimento………… >>. Pacata e preoccupata è la voce del
più giovane fratello, Nero, non sapeva darsi una spiegazione logica, ma aveva
una pessima sensazione.<< Nero, ti prego, non dire certe cose! Cazzo!
>>. A rispondergli, fu Dante, con la sua voce profonda e leggermente
alterata dalle parole del più piccolo che, però, erano veritiere, poiché anche
lui e il gemello, provavano la stessa cosa.<< Non sprechiamo fiato e
sbrighiamoci. Hanno bisogno di noi quelle quattro. >>. Annuirono alle parole
dell’austero albino, restando in silenzio, ma mai, si sarebbero aspettati il
raccapricciante spettacolo che si stava per parar loro
innanzi. Arrivarono finalmente, ma non ebbero il tempo di dire nulla
che i loro occhi si sgranarono; corpi di soldati a terra ormai morti e, in
mezzo ad essi, si ergevano solo i soldati nemici, al cui centro, vi stavano
ancora Necrysia e Kasdeya che parevano proteggere qualcosa o meglio,
qualch’uno. Di fatti, Kasdeya, stava proteggendo Giovanna che era stata colpita
con violenza sotto l’ascella, una parte scoperta e delicata dell’armatura;
Necrysia, invece, stava proteggendo Saphyra, che riportava una profonda ferita
sulla parte scoperta della schiena ed era a terra, quasi priva di sensi, con
Giovanna accanto, che cercava di bloccarle l’emorragia. Kasdeya e
Necrysia, che le proteggevano, non erano messe nella situazione più rosea; la
castana, perdeva sangue da un profondo taglio sulla fronte e dall’addome e,
Necrysia, aveva un profonda ferita all’addome e sul braccio, rendendo impacciati
i suoi movimenti con l’Aisel. Una situazione davvero pessima, ma loro,
continuavano a lottare con ferocia, senza utilizzare però i loro incanti, per
paura di far del male ad una delle compagne od ad un alleato.<<>. Stavano per scattare i tre albini, quando delle
spesse catene, li attorniarono, facendoli capitolare a terra in preda a
violenti spasmi di dolore.<<>. Sguaiata risata emise il soldato che aveva detto quelle
parole, seguite in seguito da altre e poi, il
buio.
Combattevano e combattevano. Erano stanche, ma non
potevano mollare proprio in quel momento. La vita di Giovanna e Saphyra, dipendeva
da loro, ma la stanchezza e il troppo sangue perso, si stavano facendo
sentire.<< Merda! Kasde, cazzo facciamo adesso??!! >>. Voce dura e
piena di rabbia è quella di Necrysia, nel rivolgersi all’amica.<< Non lo
so Necrysia, non lo so……… >>. Voce dell’equilibrio incolore e pacata,
mentre con le iridi zaffiro, osserva i nemici che gli si riversavano
contro.<< Non possiamo scappare, siamo completamente circondate, ma io
non mi consegnerò mai a loro senza aver prima provato il tutto per tutto! >>.<<
Necrysia… >>. Si scambiarono una breve occhiata, prendendo un respiro
profondo, mentre un’aura color dell’ebano per il decaduto angelo e, una grigia
per l’unico ibrido, le avvolgeva. Dovevano tentare anche quella, dovevano
utilizzare purtroppo quell’incanto distruttivo che mai avrebbero voluto
pronunziare. Labbra che si dischiudono per dar voce a quelle parole di
distruzione, ma solo un rantolo da parte di Kasdeya, un lieve grido di dolore
da parte di Necrysia e i loro occhi che si aprono di scatto, mentre sangue
fuoriesce dalle loro labbra e le armi scivolano via dalle loro mani e il buio
le accoglie.
Quella battaglia, segnò la loro caduta e la
loro prigionia; prigioniere del nemico, venduti per la modica cifra di 70.000
scudi d’oro e portate a Rouen dove vennero processati per stregoneria ed
eresia; Carlo VII, non mosse un solo muscolo per aiutarle. Furono
quattordici mesi d’inferno; l’umiliazione che le giovani ragazze provarono fu
inimmaginabile e, accusate di eresia e atti illeciti, per via che avevano osato
indossare vestiti maschili, vennero condannate. Giovanna venne condanna a
bruciare sul rogo, mentre, Kasdeya, Necrysia e Saphyra, furono condannate ad
una pena ben più grande che neanche loro potevano immaginarsi. Il 30
Maggio del 1431, le loro giovani vite, furono stroncante. Kasdeya e
Necrysia, avevano 20 anni, mentre, Giovanna e Saphyra solo 19. Le
prelevarono dalle prigioni, portandole nella piazza di Rouen; indossavano solo
un vestito di panno sudicio, tenevano il loro sguardo alto e fiero, tanto da
mettere in soggezione chiunque le guardasse; catene ai polsi e alle caviglie
ma, esse, non se ne curavano, continuavano ad avanzare, fino a che non si
fermarono, facendole mettere in fila.<< SIGNORI! >>. Il silenzio
calò, un silenzio carico di tensione e aspettativa che l’uomo
continuasse.<< PRIMA DI DARE IL VIA ALL’ESECUZIONE DI CODESTE LURIDE
STREGHE, STIAMO ASPETTANDO L’AVVENTO DI ALTRI TRE GRADITI OSPITI CHE
GIUNGERANNO A BREVE! >>. Risata sguaiata che proruppe dalle labbra dell’uomo,
che non toccò minimamente le quattro giovani donne ma, ben presto, i loro occhi
si sgranarono, riempiendosi di una rabbia cieca, tanto che, Necrysia, cercò di
scattare in avanti, ma venne prontamente bloccata.<< DANTE!!!
>>.<< NECRYSIA! >>. I tre mezzodemoni, spogli delle loro
armature e incatenati, stavano guardando le ragazze con occhi pieni di
preoccupazione; Nero guardava la sua Saphyra impotente, non poteva fare nulla
per salvare colei che amava da una vita e che da poco aveva ottenuto e lo stesso
vale per Dante con Necrysia e Vergil con Giovanna. Già, Vergil era innamorato
perso di Giovanna e, per via di quel sentimento, non si era mai accorto che,
Kasdeya, provava lo stesso per lui; di fatti, la castana, ora teneva lo sguardo
basso e gli occhi serrati, sordo dolore che le dilaniava il petto facendole
desiderare di non aver mai conosciuto quel futile e distruttivo sentimento
quale l’amore, ma ormai ciò era accaduto e, con esso, lei sarebbe morta, lo
sapeva.<< DOPO QUESTA COMMOVENTE SCENA…… >>. Ironico è il tono del
“presentatore” di quell’esecuzione, mentre gli spettatori ridevano.<<
………… DIREI CHE POSSIAMO DARE IL VIA AI PREPARATIVI
DELL’ESECUZIONEEEEEEE!!!!!!!! >>. Altre risate squarciano l’aria, mentre
le tre, vennero separate da Giovanna.<< GIOVANNA! LASCIATEMIII! >>.
Urla e strepita Kasdeya, riuscendo a liberarsi, cercando di raggiungere
Giovanna, ma, a pochi metri da lei, venne riacciuffata e fatta cadere a terra;
si dimenò ancora e ancora, sotto lo sguardo triste e pieno di dolore dell’amica
che le sussurrò un silenzioso addio, che fece cessare ogni lotta dell’ibrido
che parve svuotata di ogni forza e di ogni sentimento, diventando una perfetta
bambolina; fu trascinata fino a dove si trovavano Necrysia e Saphyra, saldando
le di lei catene a dei pali. I tre albini, avevano osservato la scena
digrignando i denti, ma non riuscivano a compiere alcun movimento, quelle
catene li indebolivano e spossavano parecchio; passò poco, i preparativi per il
rogo furono ultimati e, Giovanna, fu legata e il fuoco
appiccato. Urla, urla strazianti di dolore e ovazioni dalla folla,
dolore, un dolore ancora più sordo, un vuoto che pian piano si trasformava in
voragine e il disgusto per quegli esseri umani che gioivano nell’osservare una
povera ragazzina bruciare tra grida e lamenti di dolore; digrigna i denti con
violenza Necrysia, mentre Saphyra piange! Piange disperata, continuando a
chiamare il nome di Giovanna, l’unica che par non accorgersi di nulla è
Kasdeya; tutte le sensazioni, i suoni e le immagini, le arrivano come ovattate,
confuse e sfuocate. Non voleva credere che gli esseri umano, quegli stessi
umani che avevano protetto, ora le trattassero come mostri immondi! Chiuse i
suoi occhi, riaprendoli piano ad un sonoro e secco “click” metallico. Avevano
sciolto le loro catene ma……… perché l’avevano fatto? Non capiva! Ci doveva
essere qualche cosa sotto ma, a quanto pareva a Necrysia e Saphyra non
importava! Il dolore, la rabbia e il ribrezzo verso quegli esseri schifosi,
aveva ottenebrato le loro menti facendole partire alla carica anche se la
trasformazione era ancora a metà e ciò, gli fu fatale. Dopo primi
attimi di smarrimento degli avversari, questi con furia selvaggia e sadico
sorriso, attaccarono le due giovani, tranciandogli di netto i bracci destri,
sapendo esattamente dove colpire per uccidere. Occhi sgranati i loro;
guardavano alternativamente i loro bracci poco lontano da loro e il sangue che
zampillava dalla spalla come se non riuscissero ancora a capacitarsi di ciò che
era successo, ma presto, dolore fulminate, le colpì e, indietreggiando, caddero
a terra di schiena, una accanto all’altra; pozza di carmina linfa si stava
creando sotto i due corpi che erano in preda agli spasmi del dolore e degli
ultimi rantoli di vita. Occhi di Dante e di Nero sbarrati, come svuotati da
qualsiasi sentimento, ma ben presto un urlo, quasi un latrato di bestia pieno
di dolore, che gelò tutte le ovazioni e applausi che s’erano innalzati
nell’aria, solo lievi sussurri si potevano udire, mentre Dante e Nero scalcitavano
e strattonavano con inaudita violenza le catene; Vergil, era rimasto senza
parole, quasi incredulo davanti a ciò che aveva visto, non percependo gli
scossoni dei fratelli e neppure i bisbiglii che, si azzittirono, quando Kasdeya
si alzò in piedi, avvicinandosi con silenziosa lentezza alle amiche riverse a
terra, inginocchiandosi accanto a loro. Le chiamò. Le chiamo più e più volte,
ma alcuna risposta arrivò da esse e, lacrime. Lacrime non umane, poiché dal
sinistro occhi scendevano lacrime carmine e dal destro lacrime di cristallo;
tremito convulso percorreva quell’esile e gracile corpicino di donna, mentre
urlo inumano e luce accecante, l’avvolgeva. Tutto si quietò e, ciò che
nacque dall’abbassamento della polvere che s’era alzata, gelò il sangue nelle
vene di tutti coloro che assistettero a quell’evento; Kasdeya, la figlia
dell’equilibrio, s’era svegliata! Occhi d’ella color dell’oro più puro, pupilla
allungata, pupilla demoniaca, corporatura d’ella umana, ma artigli affilati ne
ornavano le dita e canini spuntavano dalle carnose labbra ed, ad ornar quello
spettacolo affascinante e terrorizzante al contempo, ali! Un paio di grandi ali
color del cielo plumbeo, mentre armatura le stava ricoprendo l’esile e nudo
corpo; lacrime che ancora solcavano quel delicato e candido viso ora deformato
da una smorfia di sofferenza e rabbia pura.<< CANI! Pagherete con le
vostre inutili vite codesto affronto! >>. Partì all’attacco; veloce e
spietata, tranciava, trucidava e torturava qualsiasi uomo che le capitava a tiro,
nessuno che si parava innanzi a lei veniva risparmiato e, quella carneficina,
si consumò sotto gli occhi dei tre albini, che stavano guardando quell’essere
mostruoso, ne angelo ne demone, un ibrido tra le razze, che aveva raggiunto
troppo in fretta e violentemente il suo stato di risveglio e che ora non sapeva
più come controllarlo, lasciandosi trascinare prepotentemente da esso.<<
Dobbiamo liberarci! Dobbiamo riuscire a fermare Kasdeya! >>. La voce di
Dante ha una nota d’urgenza e, i due fratelli, annuirono sconvolti; il più
sconvolto tra essi, era Vergil. In sovrapposizione a quell’essere, rivedeva
Kasdeya, la sua Kasdeya! Sgrana ora gli occhi, lui mai aveva amato Giovanna,
ella, era stata solo una cotta! La persona che lui più amava era Kasdeya! Doveva
fare qualcosa, dovevano aiutarla a tornare in se! Violenti gli strattoni dei
tre, talmente tanto violenti che le catene scricchiolano e pargono cedere sotto
l’urgenza e la rabbia che gli albini provano ma, ormai, è tardi, troppo
tardi. Barriera che riesce a bloccare anche se per poco l’inumano
essere e, braccio che le fu mozzato di netto; occhi che da dorati ritornano di
zaffiro, pupilla grande come una capocchia di spillo, respiro mozzato e occhi
che ora lentamente si chiudono, mentre corpo cade all’indietro, tonfo sordo sul
terreno e altro sangue che si va ad unire a quello di Necrysia e Saphyra, alle
quali la castana è caduta accanto, morta per via dell’overdose di potere che
aveva rilasciato tutta in una volta. Il silenzio permea nella piazza,
nessun suono è udibile, tutto sembra fermo, immobile, come se il tempo si fosse
fermato in quel preciso istante; a rompere quella stasi innaturale, il rumore
metallico di catene che si spezzano, respiri ansanti, quasi ringhi sommessi e,
la carneficina da parte dei tre albini prende piede.
L’alba
accolse i tre giovani albini, inginocchiati a terra stanchi e spossati, la
rabbia ha lasciato il posto al dolore e allo sconforto, il sangue e il fango
macchiano i loro corpi, ma non vi badano, si osservano attorno atoni. Cadaveri.
Un mare di cadaveri e sangue; loro gli artefici di ciò. Vendetta! Un sentimento
che porta a fare cose che mai ci si sarebbe aspettati di fare e quello, è il
risultato della rabbia e della furia cieca che avevano provato in quelle ore,
che li aveva fatti sprofondare in un oblio di piacere ed estasi animale che mai
avevano provato. S’alzano ora in piedi, recuperando i bracci delle
ragazze e i corpi delle stesse; vento s’alza e, le ceneri del rogo di Giovanna,
s’alzano con esso, circondando i corpi dei tre in una delicata carezza che
sapeva di un addio; stringono le labbra e gli occhi, mentre profondo respiro
prendono, avviandosi lentamente verso l’esterno di quella città ormai distrutta
e, forse deserta, a parte le donne, i vecchi e i bambini che erano restati
all’interno delle proprie case. Uscirono da quel luogo di morte,
dirigendosi verso un bosco ed inoltrandovisi sempre di più nel fitto; non
sapevano quanto tempo fosse passato o da quanto camminassero, sapevano che c’era
un posto dove dovevano cremare coloro che portavano tra le braccia per donare
loro degna sepoltura. La luna ormai era al suo zenit, i preparativi
per la cremazione di quei corpi ormai ultimati; corpi che ora giacciono su
strati di legna e foglie secche, mentre bracciali che le giovani portavano ai
polsi sono nelle mani dei tre mezzodemoni, decisi a custodirli. Torce
che ora vengono poggiate al perfetto centro dell’altare funereo e fuoco che
corre, divorando con implacabile foga tutto ciò che gli è possibile consumare.
Fiamme che scoppiettano e sfrigolano, fumo che si innalza verso il cielo, odore
acre di carne bruciata che s’espande nell’aria, ma i tre non vi danno peso,
troppo intenti ad osservar quelle rossicce ed aranciate lingue, che lambivano
quegli esili corpi, facendoli svanire alla vista. Il tempo passava, ma
i tre non si decidevano ancora ad andarsene. Ormai, il fuoco s’era estinto,
nulla era rimasto di quei corpi, se non cenere che alla terra è tornata; vento
che s’alza impetuoso, sollevando quelle ceneri che avvolgono i tre albini, che
chiusero gli occhi.<< Addio……… vi abbiamo amato più di ogni altra cosa.
>>. Triste eco del vento, dato da tre voci diverse, ma nel contempo
uguali e poi, il silenzio. Ancora gli occhi chiusi tengono gli albini,
voltando le loro spalle alle ceneri delle compagne avviandosi con passo lento e
sicuro verso una meta sconosciuta, promettendo, che avrebbero protetto i
bracciali e coloro per cui sarebbero stati destinati al costo della loro stessa
vita.
Bhe
ve ne pare del prologo?^^ Suggerimenti e quant’altro sono ben accetti,
come anche i commenti!^^ Ora vi saluto, un bacio e al prossimo
capitolo!^^