Sono
di nuovo sotto
attacco amazzone. Per forza. Non vedo altra spiegazione per questa
follia.
Un momento stavo
camminando per casa assieme a Ukyo, lei ancora intenta a sommergermi
di scuse
per il suo comportamento passato nei miei confronti e io che mi
prodigavo nel
cercare di farla smettere spiegandole che non era il caso di ritirare
fuori
l’argomento per l’ennesima volta. Il momento dopo
mi ritrovo sola per il
corridoio.
Cos’altro
devo
pensare, considerato che siamo asserragliati e ogni tanto uno di noi
sparisce
per magia ritrovandosi scaraventato nei suoi peggiori incubi?
Certo, contavo di
aver già dato. La cicatrice sulla mia guancia sinistra
dovrebbe testimoniarlo a
sufficienza.
Ma a quanto pare
qualcuno non è d’accordo con me.
Ho di fronte a me tre
persone, di cui due completamente sconosciute e la terza è
un Genma Saotome a
me molto poco familiare. Appare consumato e gli occhiali che indossa
non sono i
soliti.
“Ok, ho
capito.
Sputate le vostre cattiverie, sono pronta a tutto”
dichiaro ad alta voce. Loro
mi guardano a dir poco straniti, non capendo a cosa mi sto riferendo.
“Z-zia
Akane... ehm,
Akane... o cacchio” dice il ragazzo ancora sveglio prima di
rivolgersi al suo
coetaneo privo di sensi per terra. È già la
seconda persona che faccio svenire
da quando sono finita in quest’allucinazione: prima una
Kasumi... molto
invecchiata, poi lui.
Quando quello strano
Genma si muove nella mia direzione...
“Ferma
lì, illusione.
Non un passo di più o ti metto le mani addosso. Una di voi
mi ha lasciato
questo ricordino, sarei veramente fessa a permettere a
un’altra di voi cose di
avvicinarsi più del dovuto”.
Pare non scomporsi.
Si limita ad alzare le mani bene in vista e a proseguire. Rimango in
guardia,
conscia di star esponendomi a un potenziale pericolo, ma non ricevo
aggressività da lui. Da nessuno di loro, in effetti. Il
finto Ranma, al
contrario, emanava rabbia e voglia di farmi a pezzi.
Quel che sento mi
spiazza totalmente: “Oh santo cielo Akane, cosa ti hanno
fatto?”. Pronunciato
con una tale dolcezza e preoccupazione che... che comincio a dubitare.
Che non sia quello
che penso?
Sì, ma se
non lo
fosse... allora cosa mi è successo? Dove sono?
Perché sono circondata da gente
che non riconosco o che ricordo diversa?
“Vorrei
porti qualche
domanda. Posso?” chiede in tono innocente, fermandosi a circa
un metro da me.
Parlare non
farà
male, spero.
“Puoi. Ma al
primo
scherzo ti cambio i connotati”.
“Quanti anni
hai e
che anno credi che sia?”.
“Che... che
razza di
domande sono?”.
“Ti prego,
rispondi.
È importante”.
Anche il miraggio che
chiede cose idiote, giusto quello mi mancava.
Non gli stacco gli
occhi di dosso: “Ho diciotto anni ed è il
1991”.
Sospira pesantemente.
Si volta verso gli altri due tizi con cui è entrato e dice:
“Akira, è come
noi”.
“Cosa
intendi, Genma?
Che anche lei...”.
“Sì,
intendo quello”.
Intendi cosa,
vecchiaccio?
“Akane”
riprende
tornando a volgere l’attenzione verso di me
“innanzitutto ti chiedo di
abbandonare la postura da battaglia. Io, Akira e Shinichi non siamo
tuoi
nemici”.
Che faccio, mi fido?
Rischio di trovarmi con conseguenze ben peggiori di un segnetto sul
volto.
Però, lo devo proprio ammettere, non mi sento minacciata da
lui. Per nulla.
E fidiamoci.
“Grazie.
Ora,
immagino tu ti senta confusa...”.
“Ci puoi
giurare.
Appaio improvvisamente davanti a mia sorella che avrà almeno
vent’anni in più e
quella, non appena si accorge della mia presenza, sviene tipo sacco
svuotato.
Mi impanico, non capendoci una mazza, quando sento la porta di casa. Il
resto
lo sai”.
“E dimmi,
cosa ci
dici di me? E di lui? E dell’altro?”.
“In che
senso?”.
“Sai chi
sono?”.
“No, loro
due no. Mai
visti prima. Tu sì, ovviamente so chi sei. Ma...”.
“Ma?”.
“Sei
diverso. Più anziano”.
“Akane,
siediti per
favore. Abbiamo un lungo discorso da affrontare, io e te”.
“Voglio
risposte”.
“Cercherò
di
soddisfarti al meglio delle mie capacità. Sappi
però che sarà complicato, perché
io stesso non ho ben capito e non sono neanche sicuro di averlo del
tutto
accettato”. Detto ciò si siede e fa cenno
all’altro ragazzo, quello chiamato
Akira, di avvicinarsi e di mettersi accanto a lui.
Mi sono davanti tutti
e due, adagiati di fronte a me.
Perché non
imitarli?
Danno davvero l’intenzione di voler solo chiacchierare.
“Akira”
fa poi
rivolgendosi al suo compagno più giovane “vuoi
magari gestire tu il discorso?
Visto che hai parlato un po’ con Shinichi prima di incontrare
me, può darsi che
tu riesca a spiegare meglio”.
“Veramente
quel che
ho scoperto quando eravamo solo io e lui non ha fatto altro che
gonfiarmi la
testa, almeno finché non siamo andati da Shan-Pu. Ma ora
sì, ne sono in grado.
Akane, sei pronta?”.
“Io sono
nata
pronta”.
“Accidenti.
Anche da
ragazza sei uguale a come ti ricordo. Stessa granitica
sicurezza”.
“Ragazza?
Uguale a
come mi ricordi? Tu chi sei? Non ti conosco”.
“Immagino di
no, ma
io conosco te”.
“...
scusa?”.
Altro sospiro. Ho
idea che sarà qualcosa che non mi piacerà per
nulla.
“Akane, non
c’è un
modo semplice per spiegarlo. Quindi, mi spiace, mi toccherà
essere diretto: io,
te e Genma siamo finiti, in un modo che non siamo ancora riusciti a
capire, nel
mondo di Shinichi. Il ragazzo che hai fatto svenire apparendo dal
nulla”.
“...
prego?”.
“Ascoltami.
Sia io,
sia Genma ci siamo ritrovati catapultati in questa realtà,
in questa Nerima a
noi estranea. Per esempio io ho trovato l’Okonomiyaki
Ucchan... sai cos’è,
vero?”.
“Non
prendermi in
giro! Certo che so cos’è!”.
“Non volevo
prenderti
in giro. Te l’ho chiesto perché qui, da queste
parti, quel posto è un cumulo di
macerie da tipo vent’anni”.
“Menti! Io
stessa sono
corsa lì, due giorni fa, ad avvisare Ukyo e Ryoga che le
amazzoni erano tornate
per vendicarsi!”.
“Vendetta
amazzone?”
si intromette Genma “Il tuo mondo sembra
interessante”.
“Il mio...
mondo?”.
“Sì”
riprende le
briglie Akira “Come ti ho detto questo non è il
tuo mondo. Non è il mio mondo.
Non è il mondo di Genma. È il mondo di Shinichi.
E credo di aver intuito perché
lui e Kasumi hanno perso i sensi non appena ti hanno vista”.
“Perché?”.
“Akane, nel
loro
mondo tu... sei morta”.
Ho... ho un
mancamento. Troppe informazioni da elaborare e assimilare tutte assieme.
Rischio di franare a
terra, ma entrambi mi sono addosso in un istante e mi aiutano a
sorreggermi.
“Tutto bene,
piccola?”.
Ho gli occhi chiusi per il sovraccarico ma riconosco l’autore
di questa frase.
Akira sembra più giovane di me.
Portandomi le mani
alle tempie rispondo: “Sì, non... non è
niente. Sto bene”.
“Sicura?”.
“Sicura,
sicura.
Proseguite pure. Ad esempio mi interessa la parte per cui sarei
morta”.
Tornano nelle loro
posizioni.
“È
uno shock, vero?
Probabilmente ti sei sentita come mi sono sentito io quando ho scoperto
che qui
lo stesso destino è toccato a mia madre. E a mio
padre”.
“Tua
madre... e tuo
padre? Chi sono?”.
“Ukyo e
Ryoga”.
“Da-davvero?”.
“Davvero. Mi
chiamo
Akira Hibiki, piacere”.
Allunga la sua mano
verso di me in un atto di presentazione formale.
Non... non so come
devo reagire. Se prima pensavo che le cinesi ci avessero messo in un
guaio
gigantesco... beh, ora quella al confronto è robetta.
Sono... sarei finita
in una specie di... mondo parallelo... in cui sono morta. E non solo
io, a
quanto pare.
Lo guardo fisso negli
occhi e ciò che mi arriva è solo genuina
gentilezza.
Penso di non dover
temere nulla, da nessuno di loro.
Stringo la mano.
“Ti direi il
mio nome
ma già lo sai”.
Ridacchia:
“Vero, non
serve”.
“Come fate a
sapere
che io qui sono...”.
“Ci ha
raccontato
tutto Shan-Pu. Pare che lei e tuo nipote Shinichi abbiano un eccellente
rapporto,
al punto che lui la chiama zia. Come faccio
io con la tua versione del mio mondo”.
“Nipote? Lui
è...”.
“Figlio di
Kasumi”.
“E del
dottor Tofu,
spero”.
“Oh
sì, del dottor
Tofu. Com’è che avevi detto prima,
Genma?”.
“Ho detto
che Kasumi
Tendo può avere figli da due sole fonti: Tofu Ono o lo
Spirito Santo. Visto che
dubito Akane sappia a cosa mi riferisco ve la spiegherò
così: o il padre è il
buon dottore, o ci vuole un intervento divino”.
Scoppiamo a ridere.
Sacrosanta
verità, questa.
“Torniamo a
noi” intimo,
riacquistando di botto la serietà che questa storia merita
“e al fatto che io
qui sono... deceduta”.
“Sì,
va bene. Devo
dire che Shan-Pu non è stata chiarissima a proposito. Da
quel che ho capito
qua, nel 1989, si è svolto una sorta di torneo di arti
marziali in cui sette
persone dovevano andare letteralmente a morire per la salvezza del
mondo.
Capisco la tua faccia disorientata”.
“Quindi...
mi stai
dicendo che...”.
“La te
stessa di
questo mondo lo ha fatto. Insieme a Ranma, ai miei genitori, a Kuno, a
Mousse e
alla nonna di Shan-Pu”.
“Santi
numi...”.
Non credo alle mie
orecchie. In questo mondo sono andata a morire di mia
volontà, più o meno.
E con me...
l’ha
fatto Ranma.
Mi immagino la scena:
lui che cerca di farla desistere e lei che si ostina con la
testardaggine che
ogni Akane Tendo, in ogni posto di ogni universo, possiede per sua
stessa natura.
Diamine, io... io
forse l’avrei fatto.
“E come fa
Shan-Pu a
sapere tutto questo? A rigor di logica, essendo viva, vuol dire che non
ha
partecipato”.
“No, lei no.
Ma ha
anche aggiunto che ha visto i loro combattimenti, dal primo
all’ultimo”.
“C-cosa?”.
“Questo
è quanto ci
ha riferito. O mi sbaglio, Genma?”.
“Non ti
sbagli,
Akira. Ha detto proprio così”.
Sconvolta. Sono
totalmente sconvolta.
Devo distrarmi.
Pensare
a qualcosa di più stupido.
“Aspetta.
Hai
detto... nel 1989? Che anno è qui, adesso?”.
“Il
2007”.
“E fatemi
capire, voi
da che anno venite?”.
“2025”
risponde
fulmineo Akira.
Genma assume
un’espressione strana, invece: “Per me è
un po’ più complicato. Tecnicamente
1999, ma questo... spostamento di mondi mi è capitato mentre
mi trovavo nel
1989”.
“Tu hai
viaggiato nel
tempo?”.
“Già.
E non per una
vacanza”.
“Genma Genma
Genma!
Ti prego, non ripetere quella cosa. Una volta mi è bastata.
E ti scongiuro, te
lo chiedo in ginocchio: non toglierti gli occhiali”.
Cosa sta blaterando
adesso?
“Hai
ragione, le
procurerei solo un inutile trauma e mi sembra già abbastanza
provata. Akane, ti
basti sapere che sotto questi occhiali c’è uno
spettacolo orribile. Tornando alla
mia dislocazione temporale, diciamo solo che... ecco... come spiegarlo
senza
urtare questo tenero virgulto di Akira...”.
“Nel suo
presente la
sua famiglia è stata uccisa ed è tornato indietro
nel tempo per evitarlo”
giunge una voce alle loro spalle.
Si voltano.
È Shinichi,
in piedi.
“Grazie
tante,
Shinichi. Sei veramente la delicatezza fatta persona” dice
scocciato Akira.
“Ragazzo,
stai bene?”
gli chiede Genma, una nota di preoccupazione nella voce.
“Sì,
tutto ok. Ho
solo avuto un leggero calo di zuccheri nel vederla”.
Si riferisce a me,
è
evidente. Mi sta osservando con uno sguardo... lo definirei quasi affamato.
Se quel che mi
è
stato raccontato è vero, io sono la controparte di sua zia
che è morta da
vent’anni e che, a giudicare dal suo aspetto, non ha mai
conosciuto in prima
persona.
Si siede alla destra
di Akira, che si trova quindi fra lui e Genma.
“Abbiamo un
terzo
intruso” dice quasi con allegria. Sembra che l’idea
non lo scalfisca più di
tanto. Poi aggiunge: “Oh, dimenticavo. Devo avvisare Shan-Pu
della novità”.
Tira fuori dalla
tasca un... cos’è, un telefono portatile? Esistono
simili aggeggi nel
ventunesimo secolo?
Smanetta un
po’ e si
porta il marchingegno all’orecchio.
“Pronto, zia
Shan-Pu?
Sì, sono Shinichi”.
“...”.
“Lo so che
sei
impegnata col ristorante e che è quasi l’ora di
punta, ma ti ricordi che mi
avevi detto di tenerti informata con quella storia? Ecco, ci sono
aggiornamenti”.
“...”.
“Sono
diventati tre.
E non sarai contenta di scoprire la sua identità”.
“...”.
“È
Akane”.
“...”.
“Dici sul
serio? Vuoi
davvero chiudere tutto e venire qui? Ma ti sei rincoglionita o
cosa?”.
“...”.
“Va bene,
come cazzo vuoi.
Il piatto vuoto alla fine del mese è il tuo. Ti
aspettiamo”.
Riattacca.
Siamo sicuri che sia
figlio di Kasumi e Tofu? Un tale cafone?
Torna a fissarmi e
chiede: “Quanto sai?”.
“Un pochino.
Genma e
Akira mi hanno spiegato qualcosa, su come saremmo sperduti in una
realtà non
nostra. Mi hanno anche detto di... tua zia. Mi dispiace”.
“Anche a me,
dispiace
anche a me. E mi dispiace anche per quella... cosa che hai in
faccia”. Il
cambio di tono è persino irritante.
“Oh
sì, con tutto il
casino che ti abbiamo dovuto raccontare ci eravamo completamente
scordati. Cosa
ti è successo, Akane?”. Non credevo che avrei mai
potuto dirlo, ma questo Genma
è molto più premuroso e gradevole del mio.
Tocca a me parlare, a
quanto pare. Colpo di tosse finto, come da miglior tradizione, e parto:
“Ecco,
la storia è piuttosto lunga. Da me... nel mio mondo sono
accadute parecchie
cose che, presumo, vi suoneranno poco meno di impossibili. Come ad
esempio che
Mousse ha finalmente alzato la testa contro Shan-Pu e sua nonna,
ribellandosi
al loro maltrattamento nei suoi confronti. Ha sfidato la sua amata a
duello.
L’ha sconfitta. E questo ha dato il là a tutta una
catena di eventi
incredibili: è saltato fuori che loro due erano in
realtà promessi sin da
piccoli, io e Ranma ci siamo naturalmente trovati immischiati nostro
malgrado nella
bagarre, Ukyo ha dovuto fingere di essere la fidanzata di Shan-Pu per
salvare
le loro teste di fronte al Gran Consiglio di Joketsuzoku, abbiamo
rischiato di
farci ammazzare dalla dittatrice del suddetto Consiglio, io e Ranma ci
siamo
dichiarati, Ryoga è tornato a Nerima e ha trovato gli equilibri a cui era abituato completamente a
soqquadro, lui e Ukyo sono usciti assieme e hanno finito con il
fidanzarsi... e
fare l’amore in uno sgabuzzino di casa mia. E quando alla
fine credevamo di
essere ormai al sicuro, le amazzoni sono tornate alla carica e ci hanno
presi
di mira uno ad uno, gettandoci in scenari farlocchi dove le nostre
peggiori
paure ci aggredivano psicologicamente e fisicamente. Il mio nuovo
migliore amico
mi è stato causato da un’ombra a forma di Ranma,
che poco prima di colpirmi non
smetteva di ripetermi quanto fossi imperfetta e... e...”.
Sto cedendo. Sento il
dolore di quei momenti riemergere prepotente. Meglio fermarsi qui, non
voglio
scoppiare a piangere di fronte a degli sconosciuti. Amichevoli e
carini, per
carità, ma sempre sconosciuti.
Mi guardano come se
fossi un fantasma. Che posso capire nel caso di Shinichi, meno per gli
altri.
“Basta
così Akane,
non serve proseguire” sentenzia... mio nipote. Mi fa un senso
assurdo chiamarlo
così. E se lo fa a me dicendolo, chissà quanto ne
deve fare a lui sentendolo.
Sarà meglio che continui a usarlo solo nella mia testa.
Va bene ragazzina,
calmati. Fai un respiro profondo.
“Bene gente,
adesso
che si fa? Intendo dire... come facciamo noi vagabondi dei mondi a
tornarcene a
casa?” chiedo. Non penso che qui mi troverei poi
così tanto male, ma resta che
questo non è il mio mondo e se fosse possibile gradirei
andarmene.
Sì, me ne
sto
convincendo ormai. Che loro non siano frutto delle simpatiche
vecchiette di
Joketsuzoku è più che evidente e il fatto che si
dimostrino bendisposti nei
miei confronti mi porta a credere a quanto affermano.
“Ancora non
lo
sappiamo, purtroppo. Non abbiamo neppure capito perché voi
tre siete qui.
Personalmente conto su Shan-Pu: lei è l’unica che,
sebbene in maniera
indiretta, ha già avuto a che fare con ‘sti
bordelli spazio-tempo-luogo.
Inoltre ha ereditato tutto l’immenso ciarpame di sua nonna,
pieno di formule
magiche e sortilegi e maledizioni. È il vostro migliore
biglietto di ritorno”.
VRAAAAAM.
Parli del diavolo
cinese ed eccolo spuntar fuori.
Sarò
sincera: i suoi
trenta e rotti anni, o quanti cavolo sono, se li porta da dio.
Assomiglia
paurosamente alla “mia” Shan-Pu, salvo qualche
minuscolo accenno di rughe
attorno agli occhi. Anche l’abito che indossa, il
più classico dei suoi
completi fucsia, potrebbe essere uscito da un armadio che ho aperto
personalmente.
Per non parlare dei capelli, tenuti alla perfezione.
Dovrò farmi
dare
qualche dritta in tema di fashion, prima o poi.
Ansima appoggiata
allo stipite della porta, provata da un’evidente corsa. La
distanza fra il
Nekohanten e il dojo Tendo non è copribile in
così poco tempo a passo normale.
Senza esitare punta
gli occhi su di me.
No dai, finitela di
farmi sentire il centro dell’attenzione. Solo
perché sono l’ultima arrivata.
“Oh santo
*anf*... se
fosse stata *anf* la prima... credo *anf* che sarei venuta meno seduta
*anf*
stante...”.
Mi farò
chiamare
Akane Tendo, la Donna che Sveniva la Gente.
“Terza in
ordine di
arrivo, zia. Non cercare di fotterci il
posto”.
“Shinichi,
per l’amor
del cielo. Abbi rispetto per lei e per quel che starà
provando!” esclama Genma
dopo essersi alzato e avergli dato una leggera pacca di rimprovero
sulla
schiena.
No, sul serio. Chi
è
quest’uomo?
“Ascolta”
riprende
poi “perché non vai a dare un’occhiata a
tua madre? Al momento è sconsigliabile
che le caschi l’occhio su uno qualsiasi fra me, Akira e
Akane. Probabilmente
avrà pensato di aver avuto un incubo o un abbaglio e ha
bisogno di facce conosciute,
non facce di persone che per lei sono... morte. Poi magari,
più in là, potremo
spiegare anche a lei la situazione”.
“Mi sembra
una buona
idea”. Si alza e si porta in cucina senza dire
un’ulteriore parola.
Per qualche minuto
aleggia il silenzio, intervallato solo dai boccheggi di Shan-Pu che
cerca di
recuperare il fiato. Nel frattempo noi tre, che ci siamo tirati in
piedi, ci
guardiamo senza saper bene cosa dire o fare. Akira si è pure
appoggiato al
muro, le gambe incrociate e le braccia conserte.
Poi,
inaspettatamente, lei mi si avvicina. Mi guarda. Mi abbraccia.
Alzo le mani,
travolta dalla sorpresa.
“Sh...
Shan-Pu? C-che fai?”.
“So che non
capirai
quanto sto per dire, ma sei quello che più la ricorda. Ti
chiedo scusa, Akane. Perdonami,
ti scongiuro”.
Io? Perdonare lei?
Non so neanche chi è davvero, cazzarola! Tanto per
cominciare non capisco come
faccia a farsi comprendere così bene, impedita come la
conosco con il
giapponese.
“Per-perdonarti?”.
“Non tu...
tu. La te
stessa di questa terra. Sono stata crudele con lei e, tramite te,
vorrei poter
espiare un po’ della mia colpa”.
Mi scosto con
delicatezza, la situazione mi metteva a disagio. Sorride, un sorriso
colmo di
tristezza e rimorso.
“Di cosa
stai
parlando? Non capisco”.
“Certo. Come
puoi
capire senza che ti spieghi?”.
Almeno ci arriva da
sola.
“Akane, non
so quanto
ti hanno detto del Torneo che si è svolto in questo mondo
ormai diciotto anni
fa...”.
“Qualcosina.
Ad
esempio so che è a causa di quell’avvenimento se
gli indigeni tendono a perdere
i sensi vedendomi”.
“Allora sai
anche cosa
ti... le è successo”.
“Sì,
lo so. E so che
tu eri presente”.
“C’ero.
Ed è lì che mi
sono macchiata del torto peggiore, proprio in occasione del suo
combattimento.
Ho riso. Vedendola battersi io ho riso, sempre più forte e
senza preoccuparmi
che sentisse o meno. Non le sono stata accanto mentre esalava l'ultimo
respiro.
Non l’ho ringraziata, di persona o in silenzio che fosse, per
il suo
sacrificio. Quando poi l’ho raccolta ero contenta, contenta
di vederla
finalmente senza vita. E questo nonostante Ranma se ne fosse andato
già da un
pezzo. Le sue sorelle mi hanno parzialmente assolta, ma posso togliermi
definitivamente questo peso dalla coscienza solo scusandomi in
ginocchio con la
diretta interessata... o con colei che più le assomiglia.
Pertanto...”.
E lo fa. Si mette in
ginocchio.
“Akane, se
puoi perdonami”.
Sono ammutolita. E
schiacciata dalla gigantesca quantità di sofferenza che mi
ha gettato addosso.
È veramente
pentita. Lo
si vede. Lo si sente. Lo si annusa, persino.
Come ha potuto
sopravvivere tutto questo tempo con un tale fardello?
Le prendo il polso e
la aiuto ad alzarsi: “Va bene Shan-Pu, se può
darti sollievo... Akane
Tendo ti perdona”.
“D-dici sul
serio?”.
“Dico sul
serio. Se
l’Akane di questo mondo mi assomigliava almeno un
po’ sono convinta che, di
fronte a questa dimostrazione di grandissimo rammarico, non avrebbe
esitato e
ti avrebbe teso la mano in un gesto di pace”.
“Io...
io...”.
No per favore, non
farlo. Non metterti a piangere. Ti verrei dietro.
Ma non mi
dà retta.
Eccole, le sento
salire.
Cominciamo assieme.
Ed è naturale, quasi automatico stringerci l'una
all’altra. I maschi non fanno un
suono, né paiono intenzionati a interromperci.
Non so quanto ci
sfoghiamo. Poi, esattamente com’era venuto, ci lascia. Con le
gote bagnate e un
senso di pacata rassegnazione.
Staccandoci pare
accorgersi della cicatrice e mi chiede, sussurrando, come me la sono
procurata.
Le spiego velocemente le circostanze. Senza stupirmi minimamente chiede
anche
se può toccarla, mettendo fin troppo riguardo nella
richiesta. Dico senza
stupirmi
perché pare essere
diventato sport nazionale, non importa quale sia il mondo in cui mi
trovo,
tracciarne i contorni. La gente si trastulla con poco.
Staccando il dito
domanda: “Ma quindi siamo state noi amazzoni a farti
questo?”.
“Non usare
il noi, tu... lei non
c’entra nulla. Da
quando è successo tutto quel casino con Mousse la sua
posizione con la tribù
è... diciamo compromessa. E non solo la sua”.
“Si sono
ribellati?”.
“Praticamente
sì, a
conti fatti. Ed è per questo che loro hanno deciso di
punirci. Questo fa parte
della punizione”.
“Mi fai
sentire
ancora più in colpa, così...”.
“Ti prego,
no. Tu non
hai davvero nulla a che fare con questo. E poi, rispetto a qui, da me
si sta
molto meglio. Io e la gente che ci gira attorno abbiamo superato i
sedici anni,
per esempio. E forse, fra un po’, ci sarà qualcuno
che mi farà tornare in mente
uno dei presenti...”. Butto lì senza impegno
quest’ultima allusione, notando
che chi di dovere arrossisce.
Quei due fanno
faville un po’ ovunque, a quanto sembra. Tranne quando
muoiono adolescenti.
Chissà se
qui io e
Ranma abbiamo almeno ammesso i nostri sentimenti...
Poi si apre la porta
d’ingresso.
Oh cavolo,
è vero.
Siamo a casa di Shinichi. E ha anche un padre, oltre a una madre.
E pure una sorella,
vedo. Sorella che...
Maledizione. Potrei
essere io una decina d’anni fa. È identica.
Anche Tofu
è sempre
uguale a se stesso. Ci osserva inebetito, saltando con gli occhi da me
a Genma
ad Akira e poi facendo il giro al contrario.
“Ma...
che... cosa...
chi...” balbetta. Pover’uomo. La piccola invece ci
guarda sorridendo,
evidentemente ignara delle implicazioni.
Vediamo se riesco a
fare tre su tre con i malori degli Ono. Per precauzione mi avvicino,
nell’eventualità che anche lui non regga
all’impatto di vedermi.
“A-A-Akane?”.
Ok,
forse ho corso un po’ troppo. Naturalmente è
scosso, ma non dà l’idea di uno che
sta per perdere i sensi.
“Dottore...”
inizio
in tono remissivo, come se dovessi scusarmi della mia presenza.
“Come...
come... puoi
essere qui? E... e così... giovane...”.
“SHINICHIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII!”
è l’urlo che ci squassa le orecchie. Mi giro verso
Akira, il suo autore, con
una faccia che dice ti
sei bevuto il
cervello?.
Fa spallucce.
L’interpellato
accorre rapido, spuntando dalla cucina.
Vede il padre e la
sorella.
“Occazzo.
Papà, Rei.
Tempismo perfetto”. ‘Sto ragazzo deve essere stato
adottato, per forza.
“Cosa sta
succedendo,
figliolo?” chiede Tofu, leggermente meno traballante.
Un sospiro formato
famiglia prima di rispondergli: “Papà,
è un puttanaio che al confronto il Torneo
sembrava un giochetto per poppanti”.
“Aspetta,
aspetta!
Rei, perché non vieni con me? Ti mostro una cosa
divertente” interviene Shan-Pu
afferrando la mano della bambina e trascinandola fuori, sorda alle sue
proteste.
Mi viene da pensare
che sia stato un colpo di genio, anche se non ho elementi per
stabilirlo con
certezza. Credo che, essendo lei ancora così piccina, non
sappia nulla.
Shinichi comincia a
spiegargli. E più spiega, più la faccia di Tofu
si distorce in un qualcosa di
indefinibile. Ma di sicuro non bello.
“Mi stai
chiedendo di
credere a una storia tanto assurda...” afferma una volta
finito il riassunto.
“Benvenuto
nella mia
situazione quando ho scoperto del Torneo” gli risponde senza
battere ciglio.
“Tua madre
dov’è? Sa
di tutto questo?”.
“All’incirca.
Per
cause al di fuori del nostro controllo era in cucina quando ha visto
Akane per
prima e... ecco, immaginati come sono andate le cose...”.
“È
svenuta, vero?”.
“Stecchita”.
“Adesso come
va?”.
“Meglio. Si
è ripresa
ed ero con lei quando siete rientrati. Stavo tentando di introdurla
pian piano alla
patata bollente”.
“Passami il
tuo
cellulare, per piacere” gli ordina con una voce autoritaria
di cui non lo
credevo sinceramente capace.
Quando ha
l’affare in
mano schiaccia pulsanti a caso, movimenti che come con Shinichi mi
risultano
del tutto oscuri.
Dopo un po’
comincia
a parlare: “Shan-Pu, sono Tofu. Puoi tenere Rei lontana da
casa per qualche ora?
Non voglio rischiare che senta”.
“...”.
“Certo che
lo spieghiamo
a Kasumi. Ha il diritto di essere messa al corrente”.
“...”.
“No, non
credo di comportarmi
in modo avventato. E poi ha già un piede nel fango, tanto
vale farglieli
mettere tutti e due”.
“...”.
“Shan-Pu,
per favore.
Sono abbastanza vacillante a livello emotivo da non poter reggere un
litigio. Fa’
come ti ho detto. Te lo chiedo come piacere personale”.
“...”.
“Ecco,
quando sei
accomodante mi piaci molto di più. La prossima seduta per i
tuoi dolori
articolari è gratis. Consideralo il mio modo di
sdebitarmi”.
Toh, ma allora il
tempo passa anche per lei. Ha già i reumatismi.
Mentre ridà
il
trabiccolo a Shinichi gli dice: “Torna da tua madre e
assicurati che stia bene,
poi raggiungeteci in salotto. Vi aspettiamo lì”.
Esegue senza una
protesta. Il ragazzo è pestifero e dalla lingua biforcuta,
ma si nota che lo rispetta.
L’evidenza mi scalda il cuore.
Seguiamo il
capofamiglia mentre ci conduce verso il nostro obiettivo. Devo
ammettere che mi
fa piacere vederlo reagire con sangue freddo e compostezza.
Ci accomodiamo. Per
caso finisco sul divano, proprio al suo fianco sinistro. Qualche anno
fa sarei
diventata rossa come un peperoncino di Cayenna all’idea.
Avrei finito col
giochicchiare nervosamente con l’estremità della
mia coda di cavallo,
borbottando frasi senza senso. Prima di Ranma.
“Quindi
siete capitati
qui per caso non sapendo come?” inizia.
“Proprio
così”.
“Eggià”.
“Quel che
hanno detto
loro”.
“Voi non
sospettate
nemmeno quanto sia destabilizzante avervi qui. Specialmente tu, Akane.
Se sei
stata aggiornata sullo status quo di questo mondo...”.
“Praticamente
la prima
cosa che mi hanno riferito. E sì, capisco benissimo quello
che intendi. Fin
troppo bene grazie a Shan-Pu”.
“Cos’ha
fatto
Shan-Pu?”.
“Ha tirato
insieme
una pantomima da teatro, con tanto di scuse in ginocchio. Mi ha messa
in
imbarazzo”.
“Oh. Mi
spiace. Ma
cerca di capirla, ha vissuto molto male gli ultimi
momenti...”.
“Era fin
troppo
chiaro. Quella poveretta deve aver passato cento e più notti
a disperarsi,
ricordando come si era comportata”.
Vi prego, chiudiamo
il discorso. Mi sento in colpa, anche se lucidamente mi rendo conto
di non
aver fatto nulla che mi possa essere rimproverato.
“Piuttosto,
perché
non...”.
La frase di Genma
viene troncata dal sopraggiungere di Kasumi e Shinichi.
Bene Akane,
è il
momento della verità.
La guardi. Lei ti
guarda.
Ti alzi.
Si tocca la guancia e
noti immediatamente un accenno di lacrime agli angoli dei suoi occhi.
Ti avvicini. Lei si
avvicina.
Apri le braccia. Ci
si tuffa come un pesce scemo dentro il retino.
La stretta
è
soffocante, calda, confortevole.
“Mi sei
mancata
Akane, mi sei mancata da morire”.
“Io non sono
lei”.
“Non
importa. Mi sei
mancata lo stesso”.
Ti commuovi di nuovo?
Stai diventando una mollacciona, Tendo.
Per gentile concessione di Laura Pex |