Nessun uomo è un'isola
Il sole stava
velocemente calando; la luna già pallidamente stanca faceva
capolino nella volta celeste ornata di colori ardenti come braci.
La stazione dell'Est
era poco affollata. May non la ricordava così terribilmente
silenziosa. Il chiasso che sentiva al suo arrivo era completamente
svanito, le luci leggermente attenuate e il suono degli altoparlanti
stesso sembrava essere leggermente sottotono.
May Chang strinse a
sé l'homunculus imbarattolato con il costante timore di
perderlo a causa della sua sbadataggine dovuta alla sua abitudine di
viaggiare troppo con la fantasia, e Xiao Mei la imitò
aggrappandosi con le unghiette sulla sua spalla destra. Le gambe della
ragazzina dondolavano distrattamente al di sotto della panchina su cui
era seduta ormai già da due ore. Per tutto quel tempo aveva
fissato il barattolo contenente Envy senza attenzione.
Dopo averla convinta a
tornare indietro, l'homunculus non aveva più aperto bocca
aspettando pazientemente il momento in cui si sarebbe reimpossessato di
quel corpo mutaforma di cui andava fiero. Di tanto in tanto volgeva gli
occhi esageratamente grandi per un mostriciattolo di quella stazza alla
ragazzina che lo teneva prigioniero, scorgendo nella sua espressione
una scintilla di determinazione dietro quella maschera confusa. A
quanto pareva, le sue parole avevano colpito il bersaglio, quello di
cui lui, Envy, si era sempre servito per manipolare gli umani. Toccarvi
i punti deboli, in un modo dannatamente semplice, meravigliandosi allo
stesso tempo di come quelle creature inferiori potessero sempre cadere
nella stessa trappola, ripetutamente. Bastava tirare in ballo qualcuno
di importante nella vita delle sue vittime ed il gioco era fatto.
A dir la
verità, con quella ragazzina di Xing era stato molto
più semplice di quello che credeva. Non pensava che cedesse
così in fretta a quelle insinuazioni che per lui erano di
poco conto, ma che avrebbero fruttato molto per se stesso.
Gli esseri umani
tenevano troppo ai propri simili; non c'erano barriere che tenessero
contro la loro solidarietà,
un disgustoso e spregevole dettaglio che in principio lui considerava
con scarsissimo interesse, ma che, si era reso conto, costituiva una
valida arma a doppio taglio da usare contro di loro.
Aveva approfittato
così tante volte di quell'aspetto che li caratterizzava, ed
ogni volta che lo faceva, si sentiva addirittura appagato. Soprattutto
dei risultati che ne derivavano. Davvero soddisfacenti.
"Ragazzina?! Pronto
ragazzina, sto parlando con te!" la richiamò con la sua
vocina stridula resa ovattata dalla chiusura ermetica del contenitore.
Aveva avvertito che la bambina stava riflettendo, molto probabilmente
proprio sulla sua decisione di non mettersi subito in cammino verso il
paese orientale. "Sembri dubbiosa. Forse hai cambiato idea?" la
pungolò, non contento di averle già arrecato
abbastanza problemi. In verità, l'homunculus era ansioso di
riprendere le sue sembianze pseudo-umane e, volendo accertarsi che la
bambina non decidesse d'improvviso di ritornare a Xing, aveva ripreso a
sibilare peggio di una serpe per trovare una qualsiasi mina da
disinnescare nell'animo di May.
"Neanche per sogno!"
rimbeccò repentinamente l'altra, aggrottando le
sopracciglia.
"Oh! Quindi hai a
cuore questa gente, eh?" replicò Envy assottigliando lo
sguardo.
"Certo!"
asserì May convinta. "Non potrei mai abbandonare persone che
hanno bisogno del mio aiuto..."
"Bene, allora!"
esclamò l'homunculus ormai accertatosi della sua sicurezza.
"Che cosa vorresti
dire?" chiese la bambina, perplessa per quel sospiro di sollievo appena
accennato. Che cosa avrebbe ricavato lui dal loro ritorno a Central
City?
"Ehi, piccola! Che ci
fai tutta sola?"
La voce dolce di un
uomo le fece alzare lo sguardo verso l'alto. La sua ombra la sovrastava
completamente. Era sui quarant'anni, con i capelli biondo scuro, gli
occhi grigio/blu e una barbetta appena accennata che finiva in un buffo
pizzetto. Aveva un'aria rassicurante, proprio come la sua cadenza di
voce che aveva assunto con lei. Quella bontà solamente
percepita procurò alla bambina un velo di apprensione. Ciò che turbò la piccola ragazza era il fatto che lui fosse del tutto ignaro di quello che poteva succedere.
"Devo prendere il
treno per Central City..." rispose soltanto lei. Sapeva che avrebbe
dovuto aspettare un'altra ora affinchè riuscisse a lasciare
definitivamente Youswell.
"Ci vuole ancora
molto," replicò l'uomo. "perchè non mangi
qualcosa prima di partire? Sembri così magra..."
In effetti, un po' di
appetito l'aveva sul serio. Aveva camminato per diversi minuti prima di
raggiungere la stazione; ed ora che era lì ferma come una
statua, si era del tutto dimenticata che il suo stomaco reclamava
tacitamente di essere riempito.
Non rispose a quella
proposta gentile; abbassò soltanto il capo con
un'espressione pensierosa, mentre colui che doveva essere un passeggero
come lei, sorridendo, portò una mano sulla sua testolina con
fare affettuoso.
Si sentì
leggermente a disagio, ma doveva ammettere che in quel momento il
timbro di quella persona le diede maggiore convinzione in quello che
aveva deciso.
***
Il tanto sospirato
treno, fischiando, aveva finalmente calpestato le rotaie della
città mineraria. Le poche persone che per un motivo o per un
altro avevano la necessità di raggiungere la capitale di
Amestris si diressero in religioso silenzio verso gli scomparti con i
loro bagagli. Alcuni sospirarono profondamente; altri che si erano
assopiti stavano cercando di ricomporsi per salirci.
"Stai molto attenta,
ragazzina!" si assicurò l'uomo, guardando May da una
minuscola finestrella del vagone. La giovane Chang, oltre
all'ingombrante carico che gli aveva affidato Scar, ora aveva anche un
pacchetto con le provviste per il viaggio, regalatole dal signore
gentile che l'aveva incontrata.
Un gesto molto
premuroso, si disse May commuovendosi.
Si accomodò
sui cuscini non proprio soffici dei sedili allungati, posando
ciò che aveva in mano accanto a lei, quando Xiao Mei
saltò giù dalle sue spalle per acciambellarsi sul
di un lembo del suo cappottino.
La piccola Chang si
abbandonò con le braccia sopra il barattolo dove era
rinchiuso l'essere immortale e, piano, socchiuse gli occhi. Aveva
appena scelto di rimanere al fianco di quelle persone a discapito del
poco tempo che rimaneva per ottenere rispetto dal sovrano di Xing,
ormai prossimo alla morte.
Si chiedeva se fosse
giusta una simile condotta da parte sua, però allo stesso
tempo non riusciva a credere che quell'azione fosse riprovevole e
sbagliata.
Quella gente
dell'estremo confine orientale era stata così gentile che
May aveva completamente dimenticato cosa significasse essere di un
altro paese, una straniera. Si era sentita a casa sua, con la sua gente
e, per una volta nella sua vita, si era sentita spogliata di tutte
quelle responsabilità troppo gravi per una bambina; aveva
provato un calore diverso da quello che aveva sperimentato all'interno
del proprio clan, quello dei Chang. A Xing, May, in quanto principessa,
aveva un ruolo ben preciso: sostenere il proprio casato e giocare una
qualsiasi carta a sua disposizione per ingraziarsi l'imperatore,
così da permettere alla sua gente di avere di che sfamarsi.
L'amore che i suoi
sudditi provavano per lei era magro, soprattutto pieno di aspettative,
che spesso non coincideva con quella ricerca di affetto autentico che
May, prima dell'incontro con Xiao Mei ma ancora adesso, desiderava. Le
volevano bene perché lei era l'incarnazione della loro
fortuna, l'ancora di salvezza che li avrebbero condotti via da una vita
fatta di morte e stenti.
La piccola principessa
era molto propensa a risollevare il suo clan; non faceva altro che
ragionarci tutte le notti, tentando di imboccare la strada che
l'avrebbe portata verso una soluzione facile ed efficace insieme.
Però, oltre alla ricerca dell'immortalità, May
sperava di trovare qualcuno che desse una forma alla sua idea di amore.
Non quello condizionato dalla propria efficienza, nemmeno quello
costretto a causa di un matrimonio combinato, divenendo così
uno strumento per perpetuare la sua famiglia a dispetto della pace.
Ciò che
voleva May era sentirsi amata per quello che era, e non per quello che
rappresentava. I Chang non le avevano mai offerto da mangiare o di che
vestirsi, men che meno in modo così dolce e solidale. Era
lei stessa che, con la sua piccola panda gigante, si procurava di che
vivere, lavorando anche duramente per tutto il giorno.
Ma lei non poteva
lamentarsi, non le era
concesso.
In quel momento il suo
clan aveva bisogno di lei, era vero, e lei doveva aiutarli, che lo
volesse oppure no. La sua tribù aveva riposto tutta la sua
fiducia e la speranza di un futuro sereno nelle sue mani. Non poteva
assolutamente abbandonarla al suo destino dedicandosi ad un altra
nazione, oltretutto una che non le apparteneva.
Ma era altrettanto
vero che Amestris rischiava di scomparire, e se Amestris fosse andata
perduta senza che lei avesse mosso un solo dito, senza dubbio un pezzo
del suo essere sarebbe stato spazzato via insieme a quella nazione che
l'aveva accolta come una figlia. La gente dell'Ovest era esattamente
identica a lei, ci si rispecchiava ed al tempo stesso se ne sentiva una
piccola parte e, di conseguenza, avevano il pieno diritto di vivere. Se
fosse stato il contrario, come credevano quegli esseri immortali, si
sarebbe sentita svuotata, sapendo inoltre che un pezzo del mondo era
scomparso senza lasciare traccia. E lei, in quanto un piccolo,
essenziale frammento di umanità ne avrebbe sortito le
conseguenze, fatte di senso di vuoto e di dolore insanabile nel
constatare che, un tempo, vi erano membri buoni di quella stessa
umanità meritevoli non di una, ma di cento, mille vite
assieme.
Non poteva ignorare
ciò che stava accadendo in quello stato per il semplice
fatto di non averne nulla a che fare. Gli Amestresiani erano uguali ai
Xingesi; le differenze antropologiche non contavano.
Le circostanze
l'avevano portata a trovarsi in un luogo la cui gente rischiava la
vita, ed era dovere di tutti coloro che erano al corrente di
ciò che stava per accadere far sì che la
catastrofe ordita dal "Padre" andasse a monte.
Perciò, non
poteva tirarsi indietro. Doveva fare del suo meglio per contribuire
alla salvezza di Amestris. Perchè lei, come tutti gli altri,
non era un'isola che si completava con la sua sola esistenza. Al
contrario, era un membro dell'umanità.
NDA
Non ho mai scritto
niente su May (già, sto sperimentando quasi tutti i
personaggi, andrei bene in un laboratorio di chimica XD), men che meno
qualcosa uscito di getto (ieri, ma siccome ho la chiavetta dovevo
lasciare il numero libero libero sul cellulare), ma quando qualche sera
fa mi sono rivista l'episodio 45, la mia mente mi ha condotto verso
ciò che scrive John Donne:
"Nessun uomo
è un'Isola, intero in se
stesso. Ogni uomo
è un pezzo del Continente,
una parte della Terra.
[...] Ogni morte d'uomo mi
diminuisce
perchè io partecipo dell'umanità."
Il
componimento continua, ma volevo soffermarmi su questo punto. :)
Envy non mi
ispira più di tanto (mi ripugna, però ammiro la
sua capacità di ragionamento -almeno quella-), ecco
perchè forse gli ho dedicato la prima parte in un modo
troppo ripetitivo da parte mia. Ma metterlo in paragone con i pensieri
della principessa aiutava a evidenziare il contrasto con ciò
che volevo intendere (accantonando le altre ff che mi urlano di
proseguirle, eheh...).
Non credo sia OOC,
perchè in quel momento penso che May abbia davvero
rimurginato sul significato dell'idea di essere "una piccola parte del
tutto"! <3
Un abbraccio! :)
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