2 - Un nuovo amico
Il
Castello
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Runne
era una bambina molto graziosa, con i capelli dorati dai quali
spuntavano le lunghe orecchie ripiegate come sua madre, e gli occhi
rossi come suo padre; la stessa bambina che ancora all’età di
undici anni si chiedeva chi fosse realmente il suo papà, partito per
la guerra quando lei era ancora troppo piccola per imprimere nella
mente il suo viso. Di lui sapeva solo che era un grande guerriero e
che si trovava in qualche angolo remoto del Mondo dell'Avvento.
Runne
sedeva sull’erba umida di rugiada mattutina. Era uscita di casa
presto, prima ancora che la madre si svegliasse, ed era salita sulla
collina più alta della cittadina. Lo faceva spesso: le piaceva
guardare l’alba. Il tramonto non le era mai piaciuto perché le
sembrava portare tristezza; quando invece il sole faceva lentamente
capolino dalle Montagne Incatenate era come se il mondo nascesse.
Strinse le gracili ginocchia al petto, appoggiando la testa su di
esse. I lunghi capelli lisci come la seta, che le arrivavano sino a
metà schiena, ondularono alla dolce brezza mattutina. Si spettinò
la frangia con le mani ricorrendo, inconsciamente, a una consueta
abitudine di sua madre Judith. Il sole era quasi del tutto sorto;
Runne stava su quella collina da un’ora e mezza ormai, seduta ad
ammirare la città dall’alto. Anche da così lontano poteva sentire
il profumo del pane, udire le risa dei bimbi, i battibecchi degli
adulti, le lamentele degli assonnati, il latrare dei cani, gustare il
sapore agrodolce dell’acqua del lago; proprio come se fosse stata
lì. Fiandher, la città che tutto illumina: così era chiamata. Tale
appellativo si doveva alla gemma posta sulla torre più alta del
luogo: essa, quando avvertiva un pericolo, si accendeva di una luce
verde in grado di illuminare l’intero territorio del Graäm.
Runne
pensava a questo guardando alle proprie spalle. Il vecchio castello
si ergeva in tutta la sua magnificenza, con i suoi mattoni di pietra
e la sua altissima torre: quella che conteneva la gemma. Il muschio
ricopriva il lato nord dell’edificio; una pianta rampicante si
estendeva sui cardini del portone logoro dal tempo. Si diceva che il
suo antico proprietario non avesse rispettato la Foresta Dipinta, il
bosco che si estendeva dietro il palazzo, e che per questo gli
spiriti dei boschi lo avessero punito togliendogli tutte le sue
ricchezze. Dopo la decaduta del signore, tutti i servitori se n’erano
andati e avevano cominciato una nuova vita. Senza eredi, abbandonato
dalla gente che pensava gli fosse fedele, il corpo dell'uomo (secondo
le dicerie) giaceva ancora sul suo seggio.
I
battenti del cancello cigolarono, facendo trasalire la ragazzina. Si
alzò lentamente e un’idea le s’insinuò nella mente: entra. Non
poteva farlo. Sua madre glie lo aveva proibito. E poi potevano
esserci dei vagabondi. Entra. Pensò al volto irato della madre.
Entra. Scusa
mamma.
Sospirò.
Avrebbe solo dato un’occhiata. Che male poteva farle?
Spinse
il cancello e mise piede nei giardini del palazzo. L’erba cresceva
incolta e Runne dovette prestare attenzione a una macchia di ortiche.
Gli alberi rinsecchiti si piegavano su se stessi. Giunse di fronte
all’alto portone di legno scuro. Posò le mani su di esso e provò
a spingere. Con enorme sorpresa si accorse che non c’era nulla a
bloccarlo. Peccato che fosse troppo pesante per lei. Nonostante
puntasse i piedi per terra e facesse più forza possibile, il portone
non si mosse. Runne abbandonò la lotta ansimando. Ormai era curiosa
e con le buone o le cattive maniere voleva entrarci. Guardò il
cielo. Il sole era alto!
«Oh
no!» fece preoccupata. Non si era accorta di aver perso tutto quel
tempo sulla collina. Corse a perdifiato verso la città, sapendo già
cosa l’aspettava.
Judith
era una bellissima donna, una feliana a dir poco splendida. I capelli
dorati e mossi, raccolti in un nastro rosso, raggiungevano le anche;
gli occhi castani erano truccati con la sabbia delle terre; le labbra
carnose fremettero d’impazienza, mordicchiate dai lunghi canini:
dov’era sparita sua figlia? Judith camminò con eleganza per la
cucina, prendendo e posando ripetutamente il suo lavoro a maglia. La
sua figura snella si arrestò solo quando la porta si spalancò,
permettendo a Runne di entrare. A constatare dal respiro affannato
doveva aver corso molto. La madre le rivolse uno sguardo severo.
Runne
fece finta di cadere dalle nuvole:«’giorno, mamma!»
«Dove
sei stata?»
Runne
scrollò le spalle, continuando a boccheggiare «In… giro.»
«In
giro dove?»
La
ragazzina si affrettò a inventare una balla «Alla piazza del
mercato.»
«Oh,
certo! Alla piazza del mercato!» le fece eco Judith «Non
raccontarmi altre bugie, Runne! Sei stata di nuovo sulla collina del
castello, vero?» Beccata.
«No!
Certo che no!»
«Piantala
Runne o mi arrabbio sul serio! Quante volte ti avrò detto che quel
luogo è pericoloso? Quante?!»
«Eddài,
mamma! Non crederai mica che ci siano i fantasmi!»
«Quello
a cui credo è affar mio. Non saresti dovuta andare là: te l’ho
proibito. Avresti dovuto rispettare le mie regole perché sono tua
madre.»
«E
solo per questo dovrei rispettare le tue stupide regole?!» Un sonoro
schiaffo si abbatté sulla guancia di Runne.
«Non
ti permetto di parlarmi così! Io sono tua madre e finché starai in
questa casa rispetterai le mie stupide regole!»
«Allora
non ci voglio stare in questa casa!» urlò Runne, salendo le scale e
chiudendosi in camera sua. Si buttò sul letto e singhiozzò tra le
coperte. Aveva esagerato con la mamma. Ma perché non lo voleva
capire? Lo sentiva: quella collina faceva parte di lei. Non riusciva
a comprenderne il motivo, ma sapeva di essere legata in qualche modo
a quel luogo da cui si potevano ammirare le albe di Fiandher. E
sapeva anche che, una volta libera dai pomeriggi di lavoro di cucito
di cui sicuramente la mamma l’avrebbe sommersa, sarebbe tornata al
castello. Ma stavolta non sarebbe stata sola.
Le
proverò che il castello non è pericoloso, così mi lascerà andare,
si promise.
Alcuni
giorni dopo il sole svegliò Runne, che dormiva comodamente nel
letto.
«Mmh!»
mugolò, affondando la testa nel cuscino.
«Runne!»
la chiamò sua madre. Nessuna risposta.
«Runne,
è ora di alzarsi!» Ancora silenzio.
«Runne!
Kail e i suoi amici ti stanno aspet…» Runne balzò bruscamente in
piedi e scese dal letto, inciampando tra le lenzuola per la fretta.
Prese il giaccone e i pantaloni di pelle e afferrò la sua fidata
spada di legno. Avvolse i capelli in foulard nero, nascondendovi il
più possibile le orecchie, e si lasciò scivolare dolcemente sul
mancorrente delle scale.
«Oggi
si va in guerra!» si giustificò allo sguardo perplesso della madre.
«Ma
tu sei una donna!»
«Sì,
ma sono una guerriera!» Con quest’altezzosa precisazione, che
Runne ricordava come la centesima, si avviò con i compagni per le
strade di Fiandher, agguantando al volo una focaccia.
«Era
un po’ che non ti vedevamo!» commentò Kail, il capo dei ragazzi.
Aveva due anni più di Runne ed era anche il più grande della
compagnia. Vantava dei capelli ricci e biondo-platino e due occhi
grigio-azzurri. Erano un gruppetto di dieci bambini, tutti maschi a
parte Runne. Era stata accettata con fatica, essendo una femmina, ma
aveva conquistato un certo rispetto battendo Kail nella lotta. Per
legittimità avrebbe dovuto prendere il ruolo del ragazzo, ma non lo
aveva fatto. Non lo avrebbe mai fatto. Perché Kail le piaceva. Il
suo sorriso, la sua voce imperiosa: amava tutto di lui.
«La
mia vecchia mi aveva messo in punizione.»
«Sei
proprio una femminuccia!» commentò uno dei ragazzini «Io me la
sarei svignata!»
«Ma
se appena una settimana fa sei rimasto ad aiutare tuo padre al
lavoro!» fece Runne.
«Mi
sono offerto spontaneamente per guadagnare un po’. Ricordi
femminuccia?»
Runne
gli si parò davanti, gli occhi rossi piantati nelle sue pupille
«Vuoi vedere chi è la femminuccia qui con una dimostrazione
pratica, Pylon?» Il bambino deglutì.
«Perché
non ci proponi dove andare, Runne?» s’intromise Kail. Era proprio
un vero capo: solitamente comandava i compagni con sicurezza, ma
quando avvertiva un pericolo li guidava pensando con chiarezza al
bene comune, mettendo da parte l’orgoglio. Era quello il caso. Con
Runne non c’era da scherzare.
«Pensavo
di andare al castello in esplorazione. Potrebbe diventare la nostra
base.» rispose Runne senza distogliere lo sguardo infuocato dal
ragazzino.
«Fico!»
esclamò qualcuno.
«D’accordo.»
acconsentì Kail. Il gruppetto raggiunse la collina in più di
mezz’ora. Se fosse stato per Runne, ci sarebbe voluta la metà del
tempo. Possedeva gambe agili e veloci e sapeva controllare bene il
respiro. Lei e sua madre erano le uniche feliane di tutta la città;
appartenevano a un popolo ormai in via d’estinzione. Per quanto ne
sapeva i feliani erano gli originari abitanti del Mondo dell’Avvento,
prima dell’arrivo degli esseri umani; con la mescolanza delle razze
e, più avanti, l’ascesa al potere di Endrun, il loro numero era
diminuito drasticamente.
Runne
si fermò a guardare Fiandher. Un senso di dolce malinconia la
pervase. Sentiva la città lontana, come se fosse dovuta scomparire
da un momento all’altro. Perché
mi sento così triste?
«Runne!
Che fai lì impalata? Muoviti!» sbottò Kail. Runne raggiunse gli
amici e il ragazzo proseguì:«Bene. Ora entreremo con cautela. Non
sappiamo se è abitato. Facciamo un rapido giro del pianterreno, poi
vi darò nuove istruzioni. Io apro la fila. Gli arcieri dietro di
me…» e tre ragazzini armati di fionda annuirono «…a seguire i
guerrieri…» e altri quattro (tra cui Pylon) con le spade di legno
si fecero avanti «…e Runne chiude la fila.» Runne fece un cenno
con la testa.
«I
maghi coprono i lati. Tutto chiaro?» Un sonoro “sì” riecheggiò
sulla collina, mentre due gemelli di circa dieci anni presero
posizione. Avevano delle borse capienti, al cui interno c’erano le
“pozioni”. Si trattava di semplici fumogeni, o perlopiù liquidi
che facevano solo un bel botto, mettendo in fuga i nemici. Merito di
loro padre, chimico ed erborista. I ragazzini rispettarono la
formazione, penetrando nel giardino. Tutti insieme, riuscirono ad
aprire il pesante portone di legno. Un pesante odore di muffa li
invase. Si riformarono e varcarono la soglia.
Un
salone a dir poco immenso mozzò il fiato a Runne. La stanza era un
ampio semicerchio: sul lato curvo si estendevano un’infinità di
porte, preceduto da un corridoio di colonne in marmo, il cui gioco
seguiva la forma della sala. Runne per poco non prese un colpo
guardando ai propri piedi: il pavimento di cristallo rifletteva le
immagini del soffitto. Spostò la testa verso l’alto. Gli affreschi
sul soffitto sembravano narrare una specie di storia. Riconobbe
uomini, sinhilari, gli eremiti delle leggende e persino alcuni
feliani. Portò istintivamente una mano sulle orecchie ricurve, che
lei trovava buffamente simili a quelle di un coniglio, poi si ricordò
che le aveva cacciate sotto il foulard. Così, girando su se stessa,
rimirava i graffiti, rapita come gli altri, fintantoché la sua
attenzione non venne catturata da delle strane figure. Somigliavano
agli esseri umani, ma qualcosa in loro li rendeva diversi. A partire
dagli occhi rossi. Runne ebbe un tuffo al cuore. Se aveva ereditato
gli occhi dal padre, allora lui faceva parte di quelle creature? Ma
cos’erano in realtà quelle creature?
Runne
avrebbe voluto capire, chiedere a quei dipinti la verità, ma la
pietra era muta. Si costrinse a guardare Kail e a
domandargli:«Allora, andiamo?»
«Sì.»
rispose lui con voce sognante «Andiamo.» I ragazzini scelsero una
porta a caso e cominciarono a perlustrare i dintorni. Gli affreschi
continuavano interminabili in ogni stanza. Piante rampicanti si
estendevano persino sulle pareti interne. Fu un attimo. Runne avvertì
uno scricchiolio.
«Ho
sentito qualcosa!» avvertì gli altri.
«Come?»
chiese Kail.
«Ho
detto che ho sentito qualcosa!» I bambini si misero all’erta,
guardandosi attorno con circospezione. Nulla. Neppure un respiro.
«Non
è che te lo sei immaginato?» la punzecchiò Pylon.
«No,
uffa! Sono sicura di aver sentito un rumore…» e indicò un mobile
in un angolo «Là, nella credenza.»
«Ma
è impossibile!» esclamò Kail «Nessun uomo si potrebbe nascondere
lì!»
«Sarà
un animale.» suggerì uno dei guerrieri; tuttavia il suo tono di
voce era teso.
«Bisogna
comunque controllare.» s’intestardì Runne «Vado io.» Si
avvicinò lentamente al mobile sospetto. Strinse la presa sulla spada
di legno. I suoi passi risuonavano sul pavimento, accompagnati dallo
sguardo dei presenti, che trattenevano il respiro. Esaminò la
credenza con attenzione. Sembrava non esserci davvero niente.
«Visto?»
la prese in giro Pylon «Te lo sei immaginato!» Proprio mentre
pronunciava quelle parole, uno sportello della credenza si spalancò
e ne uscì un piccolo essere dalla pelle bianca, alto meno di una
spanna, con soffici piume al posto delle orecchie, un vestito
elegante e un cappello a forma di cilindro. Il sinhilare si gettò su
Runne gridando:«ORA!» e fiotti di sinhilari dilagarono, scoprendosi
dai loro nascondigli. Fluttuavano come insetti fastidiosi attorno ai
ragazzini, mordendoli, graffiandoli, tirandogli i capelli. Stesso
trattamento riserbava il sinhilare alle prese con Runne: la cosa più
irritante era che sghignazzava sguaiatamente. La ragazzina menò
colpi con la spada con una furia cieca, facendo ridere l’esserino
ancora di più. La lotta durò un paio di minuti, finché un fumo
denso non invase la stanza: uno dei maghi aveva usato una pozione.
«Ritirata!»
urlò Kail, mentre i sinhilari tossivano e sbandavano, confusi.
«Ritirata!» I bambini si precipitarono fuori correndo a più non
posso. Alle spalle di Runne risuonò la voce canzonatoria del
sinhilare col cappello a cilindro:«Andatevene! Scappate via! Non li
vogliamo qui dentro gli umani!»
Runne
tornò a casa in tempo per il pranzo. Durante il tragitto di ritorno
i bambini non si erano scambiati una parola. Quando Runne si separò
da loro, non ricevette né porse un saluto. Quella era stata la loro
prima, clamorosa sconfitta. Sua madre la osservava masticare con lo
sguardo vuoto, ma inizialmente non domandò nulla. Poi non
resisté:«Cos’è successo oggi, Runne?»
La
bambina la guardò senza espressione:«Niente.»
«Sicura?
Se vuoi puoi parlare con me.» A Runne scappò una risata. Se la
mamma avesse solo immaginato dov’era stata… «Non credo sia una
buona idea. E comunque non ti preoccupare, non è niente di che.»
Judith
sembrava voler aggiungere altro, ma decise di cambiare
argomento:«Cosa mi dici di Kail?»
Runne
sgranò gli occhi «Che dovrei dire?»
«Bé…
come sta, ad esempio.»
«Bene.»
«E
tu come stai con lui?» chiese Judith con una nota di malizia.
Runne
arrossì «Cosa vuoi dire?»
«Che
ti piace.»
«Mamma!»
«Oh!»
sorrise «Eccome se ti piace!» Runne era rossa fino alla punta delle
orecchie ripiegate.
«Sì.»
ammise dopo un po’ «E allora?»
«Allora
pensavo che potremmo invitarlo a cena, ogni tanto.» Runne sospirò.
Sua madre aveva sempre avuto buon occhio per queste cose. Come faceva
ad accorgersene? Eppure era sicura di averlo nascosto piuttosto
bene…«Glie lo dirò.»
«D’accordo.»
Judith si alzò dalla sedia e cominciò a sparecchiare. Runne rimase
immobile mentre lei lavava i piatti.
Infine
si decise:«Mamma, cosa sai dei sinhilari?»
Runne
procedeva a passo lento, rimuginando su quello che le aveva detto la
madre.
«Perché
mi fai questa domanda?» si era insospettita Judith.
«Se
ti dico la verità prometti di non arrabbiarti?»
Judith
rimase in silenzio per qualche secondo, sostenendo lo sguardo della
figlia.
«Dimmi.»
«L’hai
promesso, eh? Stamattina sono stata sulla collina...»
«Cosa?!»
urlò.
«Non
arrabbiarti, l’hai promesso!»
«Runne...»
«Lasciami
finire, d’accordo?» Judith tacque.
«Bene:
io e i miei amici siamo entrati nel castello.» Gli occhi di Judith
sprizzavano scintille di fuoco, ma lasciò continuare la
bambina:«L’unico problema è che è abitato dai sinhilari.»
Runne
entrò nel giardino e giunse davanti al portone. Era socchiuso. C’era
un piccolo spiraglio, un po’ stretto forse, ma riuscì comunque a
passare, seppur con fatica.
Judith
la guardò con severità. «Quindi?»
«Cosa?»
«Mi
hai raccontato la tua bravata e mi hai chiesto cosa so dei sinhilari.
Cosa vuoi sapere?»
«Non
lo so...» rispose Runne «Non so neanche “cosa” siano...»
Judith
sospirò «I sinhilari appartengono a una categoria di creature
chiamata Demonaturi:
sono in stretto rapporto con la natura che li circonda. La rispettano
e ne ricevono poteri.»
«Che
genere di poteri?»
«Muovono
le piante, usano incantesimi soporiferi... roba simile. Detestano gli
umani perché non hanno alcun ritegno per la natura, ma si dà il
caso che apprezzino i feliani.»
Runne
ammutolì. Apprezzano i feliani? «Allora perché mi hanno
attaccata?»
«In
mezzo ai tuoi amici non ci avranno fatto caso.»
«Credi
che potrei diventare loro amica?»
Judith
diede un’alzata di spalle. «E’ molto difficile, anche per un
feliano. Sono creature schive; e poi tu sei feliana solo a metà.
Puoi tentare.»
Runne
rimase di stucco. «Mi dai il permesso??? Non dicevi che il castello
è pericoloso?»
«Come
se servisse a qualcosa proibirti di andare... se ci sono solo
sinhilari, non c’è da temere. Amano gli scherzi, ti faranno
saltare i nervi, ma non possono farti del male. Non a te almeno.» e
sfoggiò un sorriso pieno di sottintesi. Runne si accigliò,
chiedendosi cosa intendesse. Lasciò perdere e si avviò verso la
porta.
«Aspetta!»
la fermò Judith «Ti consiglio di cambiarti: conciata così non
rendi l’idea di avere buone intenzioni. E passa da Suran, il
droghiere: i sinhilari hanno un debole per le fragole.»
Runne
indossava un abito semplice color cremisi, che le arrivava sino alle
caviglie. Calzava dei sandali e si era sciolta i capelli. In mano
portava un fazzoletto che sembrava contenere qualcosa. Non appena
mise piede nel salone, un’orda di sinhilari la circondò.
«Cosa
ci fai ancora qui, umana?» il sinhilare con il cappello a cilindro.
Pareva essere il loro capo, nonostante apparisse giovanissimo.
«Non
sono un’umana.» rispose Runne indicando le orecchie «Sono una
feliana.» I sinhilari esclamarono note di stupore e meraviglia.
«Una
feliana? Ma...» li sentì bisbigliare.
«E’
davvero una feliana?»
«Sembra
di sì.»
«Non
emana l’aura pacifica dei feliani.»
«Già,
infatti ha gli occhi rossi.»
«Occhi
rossi? Allora sarà un...»
«Dev’esserlo
per forza con quegli occhi...»
«Silenzio!»
li zittì il sinhilare di prima «Come ti chiami, figlia del bosco?»
«Runne.»
Un’ombra di tristezza passò per un attimo sul viso del sinhilare,
ma si ricompose quasi subito:«Un nome della Lingua Perduta! Allora
sei davvero una feliana!»
«Mia
madre porta un nome umano, eppure è una feliana purosangue.»
«Sì,
hai ragione. Non sempre si portano nomi appartenenti alla propria
razza, di questi tempi.»
Runne
ebbe modo di osservare i sinhilari con più attenzione: la loro pelle
era di un bianco perlato, con lievi riflessi azzurri; le piume, che
si trovavano all’altezza delle orecchie, ondeggiavano placide,
mosse per istinto dai loro proprietari. Quello col cappello a
cilindro aveva lisci capelli rossi, lunghi fino alle spalle, e occhi
color miele. Poteva avere una ventina d’anni, forse, misurandoli
secondo il suo metro di giudizio. La ragazzina pensò che se fosse
stato della sua misura lo avrebbe trovato un bel ragazzo. Il
sinhilare si stampò in faccia lo stesso sorriso beffardo di sempre.
«Piacere
di conoscerti, Runne. Io sono Daeb, il capo dei sinhilari della
Foresta Dipinta. Dunque eri tu la bambina che vedo spesso su questo
colle. Da lontano non avevo notato che eri una felina. Come mai sei
qui?»
Non
poteva crederci: ce l’aveva fatta! «Vi ho portato queste.» Aprì
il fazzoletto: dentro vi erano le fragole.
«Fragole!»
esplosero gioiosamente molti.
«Pensavo
vi piacessero, così ne ho prese un po’ da un mio amico.»
Il
sorriso scomparve dalle loro facce «Un tuo amico umano?»
«Sì...
perché?»
«Noi
non prendiamo niente dagli umani.» precisò Daeb, gelido «Sono i
nemici della Grande Madre.»
«Ma
questo mio amico è buono, ama la natura!»
«Chi
è amico degli umani è nostro nemico. Vattene.» Runne avvertì un
blocco di ghiaccio alla bocca dello stomaco. Sentiva quelle creature
vicine a lei. Aveva sempre desiderato avere un sinhilare per amico. E
ora che c’era quasi riuscita...
«No.»
disse.
«Come?»
«Ho
detto che non me ne vado.» Un forte brusio si animò tra i
sinhilari.
«Vattene
subito, altrimenti...» minacciò Daeb.
«“Altrimenti”
cosa?» lo rimbeccò Runne con tono di sfida. Daeb era furibondo:«Hai
osato troppo. Ora ne pagherai le conseguenze.» Il sinhilare chiuse
gli occhi. Una misteriosa luce lo avvolse e Runne sentì il
sottosuolo tremare.
«Daeb,
aspetta!» provò a dire, ma non ricevette ascolto. Percepì un
movimento alle proprie spalle. Si voltò: un albero del giardino
esterno spalancò il portone con i rami, allungati a dismisura.
Guardò con orrore la pianta animata da una furia impetuosa. Poi i
rami si tesero verso di lei. Daeb mosse un braccio; simmetricamente i
rami dell’albero mirarono a Runne. La bambina evitò il colpo,
saltando con agilità. Le fragole rimasero spiaccicate. I rami si
piegarono nella nuova direzione presa da Runne e lei fu costretta a
scartare di lato. Continuò a schivare i rami, che seguivano ogni suo
movimento. Aveva ormai preso il ritmo giusto, perciò decise di
avvicinarsi a Daeb: colpendo lui molto probabilmente avrebbe fermato
l’albero.
I
sinhilari però capirono le sue intenzioni e cominciarono a
concentrarsi tutti assieme. Un intrico di rami sovrastò Runne: tutti
gli alberi del giardino adesso erano contro di lei. Si vide perduta.
Chiuse gli occhi. Silenzio. Li riaprì lentamente. I rami erano
immobili, sospesi sopra la sua testa. Rimase a bocca aperta. Non meno
sorpresi erano i sinhilari. Si concentrarono ancora di più e i rami
tremarono appena, ma non si mossero.
«Ma...
perché?» balbettò Daeb, allibito. I rami scesero fino ai piedi di
Runne e uno le si avvolse dolcemente alla vita per farla salire.
Runne si levò in alto, trasportata dalle piante, e venne posata con
accuratezza fuori dal cancello. Infine i rami si accorciarono a
lunghezza naturale e gli alberi tornarono immobili.
Runne
aveva il cuore in gola. Deglutì e riprese coscienza del proprio
corpo. Come mai gli alberi avevano esitato ad attaccarla? Di certo
non era merito dei sinhilari: loro erano intenzionati a ucciderla.
Forse la mamma ne sapeva qualcosa...
Sospirò.
Le dispiaceva dover lasciare quel luogo, ma era l’unica soluzione
se voleva evitare un secondo scontro con dei sinhilari iracondi. Non
era sicura che sarebbe sopravvissuta a un altro incontro. Guardò
tristemente il castello. Pensò ai sinhilari. Pensò a Daeb. Le
sarebbe davvero piaciuto diventare sua amica. Poi i piedi si mossero
da soli verso la città.
(S)parla
con l’autrice
Dia
dhaoibh,
lettori!
Grazie
di cuore per esservi interessati alla mia storia.
Cosa
ne pensate di questo primo capitolo? Per il momento i personaggi
introdotti sono Runne, Judith, Kail e Daeb. Ciascuno di loro ha una
propria identità, e spero di farla emergere nei capitoli successivi.
Badate,
nessun errore di dicitura: sono feliAni con la “a” messa lì per
un motivo. E quando dico che Runne ha i capelli “dorati” non
è una metafora: non sono biondi e sì, brillano come una scritta
glitterata xD Saprete di più su questo popolo continuando a
seguirmi.
Ora
passiamo al termine “sinhilari”. Provate un’analisi etimologica
di “simpatia”: sin=con + pathos=sentimento. Il processo di
formazione della parola è lo stesso. L’h è muta, a meno che non
vogliate farvi venire una sincope per pronunciarla.
Fate
un salto anche sulla mia pagina facebook: Parole
Cozzate – CreAttiva
Al
prossimo capitolo! Slán
libh!
CreAttiva
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