Occhio, Cuore, Cervello di claws (/viewuser.php?uid=117343)
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Occhio, Cuore, Cervello
L'uomo che
vive artisticamente la sua vita
ha
come cuore il cervello.
La pioggia poteva
fermare il lavoro di un contadino, poteva rimandare i giorni di festa;
ma mai avrebbe potuto fermare le idee di un artista.
Era una pioggia
sottile, che batteva con le proprie infinite dita sul tetto della
bottega, come a voler invitare Leonardo a uscire con lei, ad
accompagnarlo fuori dal suo rifugio senza allontanarlo dai suoi
pensieri; ma Leonardo si stava occupando di una pagina del Codice che
Ezio gli aveva portato quella mattina, e neanche la pioggerella
più fine avrebbe potuto distrarlo da quella pergamena di
affascinante mistero.
Tradurre il vecchio
diario di un Assassino era per lui stimolante, ma non avendo mai
studiato né latino né altre lingue antiche,
spesso risultava un vero e proprio problema. Leonardo era un grande
procrastinatore, ma non era persona da lasciare a metà il
lavoro se quello davvero gli interessava - e se era per un amico; ne
erano prove chiare i progetti e gli schizzi che erano stati lasciati
sul tavolo da lavoro, disegni che avevano acchiappato la sua attenzione
solo per un momento, per lasciare spazio allo studio della pagina del
Codice.
Benché
Leonardo si ostinasse a ignorarla, la pioggia non cessò per
altre ore, finché l'artista non ebbe terminato il proprio
lavoro di traduzione.
Gli sarebbe piaciuto
molto conoscere di persona un individuo come Altaïr.
Più si occupava di quel Codice, più se ne
convinceva. Altaïr era stato un uomo d'azione e di cultura, un
tipo d'uomo che ormai era più argomento delle canzoni dei
menestrelli che realtà.
A proposito di
cantastorie, da qualche tempo Leonardo dedicava delle notti di lavoro
al progetto di una macchina che potesse battere il tempo, magari per il
passo di un corteo, o per la marcia di un esercito. Aveva cominciato ad
abbozzare il progetto già da alcune settimane, ma aveva poi
abbandonato i disegni per dedicarsi alle pagine del Codice di
Altaïr che Ezio gli aveva portato.
L'idea di un
tamburellatore meccanico lo aveva stuzzicato come lo studio dei flussi
dell'acqua quando ancora abitava con i propri nonni, nella campagna
toscana; ma dopo il brivido iniziale - quello che non lascia dormire
sereni perché il lavoro è rimasto lì,
nella testa, senza trovare risposte su un foglio di carta -, la sua
attenzione si era spostata su altro. Primo tra tutti, sul gatto che lo
visitava da alcuni giorni in cerca di cibo e coccole, che lo aveva
guidato più di una volta fuori dalla bottega
all'instancabile ricerca di uccellini da inseguire.
Ma Leonardo non era il
tipo da arrampicarsi sui tetti delle case altrui, che fossero di
Venezia, di Firenze o di qualsiasi altra città.
«L'arrampicatore
qua non sono io, Icaro!» Aveva detto un giorno al micio, che
l'aveva costretto ad uscire sul piazzale della bottega e che poi
l'aveva guardato con l'aria perplessa di chi non riesce a spiegarsi
perché Leonardo non fosse ancora salito sul tetto. Non sono forse stupidi tutti gli
umani?
«Mi hai
forse chiamato, Leonardo?»
L'artista
guardò verso il cielo ancora scuro, quando un'ombra
piombò al suo fianco e si rialzò dopo una
capriola per attutire l'urto col terreno.
«Lieto di
vederti, Ezio. Ho finito di tradurre la pagina che mi hai portato
qualche giorno fa.»
Ezio gli sorrise
lievemente, per ringraziarlo. Il micio miagolò - forse questa è la
volta buona, la faccia di questo altro umano mi sembra più
stupida e più affidabile -, ma si
zittì immediatamente quando le voci di alcune guardie gli
giunsero all'orecchio.
«Chiedo
scusa per la fretta, ma mi vedo costretto a rimandare un incontro
più lungo e piacevole con te a più tardi. Ho
avuto qualche problema con delle guardie dalle parti della Basilica dei
Frari, e--»
I soldati si stavano
avvicinando con clamore d'armi e un po' di paura.
«Non
preoccuparti, Icaro potrà aspettare fino a
domani.» Rispose Leonardo, anche se il gatto non era
esattamente d'accordo. Icaro pensò - giustamente - che
quel maledetto umano che la sera gli dava il latte in una scodella
fosse troppo furbo per essere uno di quei bipedi. Anzi, ora che ci
pensava, sembrava più un gatto che un umano, e quel pensiero
gli fece tremolare le orecchie e la coda.
«Bene.
Allora a più tardi, Leonardo. Icaro!»
Ezio li
salutò con un ampio, teatrale movimento del braccio, e
sparì oltre il cancello del giardino che si trovava sul lato
opposto della piazza. Probabilmente, a giudicare dall'improvvisa serie
di improperi in veneziano che ne seguì, Ezio aveva calcolato
male le distanze che separavano il muro di cinta del giardino dalle
gondole vuote che di solito riposavano là, e doveva essere
finito su una gondola già occupata. Chissà,
magari da qualche bella madonna in visita nella città
galleggiante!
Il problema di
Leonardo, tuttavia, non aveva alcuna intenzione di essere risolto. Al
progetto di quella macchina per battere il tempo mancavano i materiali
con cui costruire l'armatura del cavaliere, e l'artista temeva che le
corde di canapa non avrebbero sopportato a lungo l'attrito con i
meccanismi delle braccia. Guardando Ezio arrampicarsi sul muro di
cinta, poi, si rese conto che non sarebbe mai riuscito a costruire un
uomo meccanico come avrebbe voluto: simile all'essere umano, con un
solo unico fine, cioè battere il tempo su un tamburello.
«Ah, che
diavolo!» Esclamò infine, spaventando il povero
Icaro, che decise infine di andare a cercare cibo o coccole da un altro
di quegli stupidi bipedi.
Leonardo
rientrò nella bottega, e si sedette sullo sgabello accanto a
una tela, arrabbiato un po' con se stesso e un po' con quella serpe di
Venezia.
Venezia,
città stabile e perfetta, forse, ma una subdola sirena la
cui voce aveva raggiunto la bottega di Leonardo e che ora lo distraeva
con un canto vecchio quanto i mari.
A Leonardo rimaneva
solo da chiedersi se quella sirena di Venezia si fosse arenata sulla
terraferma, o se avesse scelto la laguna come luogo dove nidificare; se
Venezia avesse le ali, o la coda di un pesce.
In entrambi i casi,
Leonardo era sempre stato affascinato dal volo degli uccelli e dal
flusso delle correnti. Perciò forse avrebbe dovuto
riflettere più a lungo sull'incarico che l'aveva portato
lì: una volta arrivato sulla città delle gondole,
avrebbe dovuto capire che Venezia l'aveva già incantato con
i suoi sussurri, e che tutte le idee che gli sarebbero saltate in mente
sarebbero svanite una volta lasciata la città.
«Devo finire
questo progetto al più presto,» concluse quindi
l'artista, «o non lo finirò mai.»
Fu solo un mormorio
nella sua testa, come il mugghiare delle onde, ma Leonardo
udì appena una voce che, cantando, gli disse di non perdervi
tempo, perché quel progetto mai sarebbe stato portato a
termine.
Il labirinto di
canaletti che attraversavano Venezia come fosse un campo arato erano
un'arma a doppio taglio, per Ezio. Da un lato, le guardie non
sembravano particolarmente felici o convinte di lanciarsi in acqua per
catturare il demone
bianco, per cui Ezio riusciva a scappare con un bagno
nell'acqua veneziana; dall'altro, neanche a lui piaceva buttarsi in
quell'acqua lurida di sudore e rifiuti e poi doversi asciugare stando
appollaiato su uno di quegli appigli di legno sui campanili o le torri.
Negli ultimi tempi, il suo passatempo preferito era rimanere in
ginocchio là, sul legno del campanile di Santa Maria dei
Frari, guardando il medico laggiù per strada con un brivido
dietro la schiena - l'ultima volta quel maledetto vecchiaccio aveva
tentato di fargli un salasso con una carnosa sanguisuga, e tutto
perché era fissato,
con quelle bestie! -, o il gruppo di cortigiane vicino all'entrata
laterale della chiesa.
Ah, sì, la
chiesa dei Frari proprio gli piaceva. Per quante guardie potessero
esserci, Ezio trovava sempre il modo di evitarle - o di tirare fuori i
propri coltelli da lancio prima del grido d'allarme, si intende -, e
salendo là sopra si sentiva un po' più libero e
un po' più legato al Credo.
Gli Assassini
difendevano il libero arbitrio dell'uomo: per poterlo fare,
però, erano legati a una fede che non era quella della
domenica, e dedicavano spirito e corpo alla loro missione, con i mezzi
che avevano.
Dopo il breve saluto a
Leonardo - e Icaro, non dimentichiamolo -, Ezio aveva liquidato le
guardie piuttosto in fretta; aveva superato il muro di cinta con un
paio di salti, era finito per sbaglio sulla gondola vicino al
marciapiede - meglio specificare: era finito per sbaglio sui piedi del
gondoliere, che gli aveva tirato addosso gli insulti peggiori in
veneziano -, e poi aveva ripreso a correre, verso San Giacomo di
Rialto, fino a quando s'era buttato nel mucchio di fieno lì
vicino alla chiesa, per poi confondersi tra la gente che ascoltava il
banditore.
Diventato di nuovo
solo un viso tra la folla, al tramonto, Ezio si trovava
lassù, sul campanile della Basilica dei Frari, e guardava
verso ovest, dove il sole stava per essere inghiottito dalle colline.
Con la sua fortuna,
ebbe appena il tempo di ringraziare che il cielo avesse smesso di
piovere quando la pioggia riprese a cadere.
Più che a
un'aquila, sotto la pioggia Ezio assomigliava a un pulcino bianco, che
per buona sorte non impiegò troppo a trovare un rifugio
all'asciutto.
Leonardo
abbandonò il progetto della macchina per corteo poco dopo il
tramonto. La sera gli aveva fatto venire in mente un'altra idea,
così, mentre la pioggia serale batteva sulle pareti della
bottega.
Che la vite di
Archimede si potesse usare per evitare il problema dell'acqua alta
lì, a Venezia? Forse, se avesse provato a costruirne una
abbastanza grande e robusta...! O se fosse riuscito ad automatizzare il
movimento della vite, avrebbe potuto creare una macchina che portava
acqua corrente!
Ah, ancora non
riusciva a capire se Venezia amasse Leonardo o meno. Quel luogo dava
troppe idee a un solo uomo!
Fu allora che qualcuno
bussò alla porta della sua bottega. Prima ancora che potesse
raggiungere la porta, il misterioso sconosciuto lì fuori
miagolò.
Che Icaro fosse
improvvisamente impazzito e avesse preso a testate la porta, beh,
Leonardo ne dubitava - certo, però, che sarebbe stato ottima
materia di studio, con il totale disaccordo del gatto, ovviamente.
In effetti, Icaro
c'era, e con lui Ezio - entrambi bagnati fradici.
«Due pulcini
al prezzo di uno.» Disse Leonardo, scuotendo la testa.
Icaro
miagolò il suo disappunto, e una volta entrato nella bottega
si sistemò sullo sgabello più vicino al camino.
«E come i
pulcini, Icaro ed io occuperemo poco spazio nella tua
bottega.»
Leonardo sorrise, come
un buon amico sorride quando è felice di vedere una persona
cara, ed è triste perché una notte di lavoro
sarà costantemente interrotta dai miagolii di uno o dal
russare dell'altro.
«Vado a
prenderti una coperta per asciugarti almeno i capelli.»
«Grazie,
Leonardo.»
«Per cosa
sono fatti gli amici, se non per costruire armi, tradurre pagine di un
Codice, coprire le spalle a un assassino quando le guardie lo stanno
cercando, e ospitare il suddetto assassino quando ce n'è
bisogno?»
Ezio alzò
le mani, in segno di colpa. «Mea culpa,
però così sembro più uno sfruttatore
che un amico.»
Leonardo scese le
scale, stando attento a non inciampare nella coperta che aveva in mano.
La porse ad Ezio, quindi si sedette al proprio tavolo da lavoro.
«Ho finito,
con questa pagina del Codice.»
Ezio si stava
togliendo gli spallacci per metterli poi ad asciugare vicino al camino
acceso. «Che ci dice, stavolta?»
«Altaïr
sapeva più di quanto si possa sperare,» disse
Leonardo, «il problema è che la sua conoscenza non
portava a risposte, ma solo ad altre più misteriose domande.
In questa pagina parla di coloro che vennero prima, una sorta
di...» Fece dei movimenti circolari con la mano, nel
tentativo di spiegarsi a gesti. «Come dire, una razza di
uomini, ma diversa dalla nostra.»
Ezio conosceva bene
quel tono di voce e quel continuo gesticolare: Leonardo era stato
catturato per l'ennesima volta da quel mondo di misteri del passato e
del futuro.
«Cos'altro
hai scoperto?» Gli chiese, pettinandosi i capelli ancora un
po' umidi con le mani - Leonardo, ora come ora, era troppo occupato con
la pagina del Codice per poter andare a prendergli un pettine.
«Insomma, qualcosa riguardo i Frutti, o qualche altra
informazione?»
Icaro stava ronfando
beatamente, quando Leonardo battè una mano sul tavolo da
lavoro, svegliando il micio di soprassalto. «Niente di
niente! Sembra che questa specie di antenati sia completamente
scomparsa. E anche Altaïr non conosceva il vero potere di
quegli oggetti. Ci sono solo domande.»
Dopo aver sistemato
almeno l'armatura in cuoio e il corpetto bianco e rosso accanto al
caminetto, Ezio si sedette e lesse la traduzione della pagina, mentre
Leonardo andò a prendergli un paio di calzoni e una camicia
- non era assolutamente sano per i dipinti e i progetti in giro abitare
insieme a un potenziale pericolo ambulante, e anche Icaro ringraziava.
Quando l'artista
tornò, si trovò davanti un assassino dalla fronte
corrugata. Appoggiò i vestiti sul tavolo, e gli si sedette
accanto. «Ti ho forse contagiato con la mia
curiosità, adesso?»
«No, no. O
meglio, più che curiosità, credo che sia... be',
è affascinante.»
«Una delle
tante facce della curiosità, amico mio.»
Ezio non sembrava
esattamente convinto, ma in ogni caso decise che ci avrebbe ragionato
ancora un po' solo dopo essersi messo degli abiti asciutti. Quindi
lasciò Leonardo ad analizzare la pagina del Codice, salendo
le scale per andare a cambiarsi.
Leonardo, d'altro
canto, quando cominciava a lavorare seriamente su un progetto - dopo
aver procrastinato per ore, o giorni, o anche per tempi ben
più lunghi -, si isolava dal mondo ed entrava nel proprio
regno, fatto di idee, colori, sensazioni, e riflessioni.
Il ragionamento era il
suo modo per esprimere se stesso, dopotutto. Forse le persone non ci
facevano caso - non lo trovavano importante, o neanche lo notavano -,
ma nei quadri che eseguiva Leonardo mescolava le emozioni e i pensieri
logici come se fossero i fili di un tappeto che lui intesseva con
precisione e passione. Forse avrebbe lasciato inconclusi molti lavori
durante tutta la propria vita, ma non lo faceva per indispettire i
committenti, tutt'altro: il solo pensiero che qualcuno, dopo la sua
morte, decidesse di riprendere in mano quei progetti incompiuti per
farne qualcosa di grande e di incredibile gli solleticava l'animo.
Perciò,
quando il suo stomaco gorgogliò un poco, non se ne accorse
nemmeno. Aveva tirato fuori una copia della cartina del mondo -
un'altra pagina del Codice di Altaïr -, con Ezio che scosse la
testa, rassegnato all'idea di dover aspettare ancora un po' prima di
potergli parlare.
Anche se, in fondo,
guardare Leonardo mentre lavorava era piuttosto divertente: quel
geniaccio gesticolava animatamente mentre ragionava sottovoce, e le sue
smorfie, che espressioni impagabili!
E
poi, chi ha voglia di uscire sotto la pioggia, quando il camino
è acceso?
Un po' di riposo, dopo
quell'esperienza con le avverse condizioni atmosferiche veneziane, non
gli sarebbe stato negato; anche se, come previsto da Leonardo, Ezio
cominciò a russare.
L'artista
lanciò un'occhiata fuori dalla finestra, poi
ravvivò un poco le fiamme nel camino. Era notte inoltrata,
con nuvole grigie ma senza più pioggia, che ne se stavano
andando trasportate dal vento. Quei due pulcini, là vicini
al fuoco, stavano dormendo da ore.
Ah, ma a Leonardo la
notte piaceva parecchio. Tutto ciò che di giorno non si vede
perché sono cose luminosissime, di notte risplendono come
tanti soli.
Quale momento della
giornata - e quale condizione psichica - migliore per provare quel
riflettore che aveva terminato di costruire la notte prima?
Era una scatola di
legno, con un cerchio di vetro su una delle pareti. All'interno c'era
una candela ancora intatta. Secondo i suoi calcoli, dal vetro la luce
avrebbe illuminato ampiamente l'esterno, e quindi anche il tavolo da
lavoro di Leonardo - dandogli così la possibilità
di lavorare bene anche di notte. Con una pietra focaia accese il cero,
e quando lo mise nella scatola e la chiuse, dal vetro uscì
un cono di luce che illuminava un paio di metri attorno.
Soddisfatto del
proprio lavoro, Leonardo pensò che gli uomini dovessero
essere più trasparenti e appassionati, più
curiosi e più attenti al mondo, perché potessero
vivere davvero. In pace, equilibrio, nel bello dell'arte che la natura
offre e che l'uomo può apprezzare, perché l'uomo
guarda verso le stelle e le desidera, con un profondo senso di
nostalgia - quando per aspera diventa più struggente di ad
astra.
La notte, la notte, la
ferita più dolce degli artisti che vivono con il cuore e il
cervello fusi come l'inchiostro è fuso alla carta. Il foglio
è necessario per scrivere ed esprimersi, ma il foglio
soltanto, senza parole o disegni, non è più
dell'uomo, non ha nulla di suo. L'anima della persona deve unire cuore
e cervello, e arrivare alla prima consapevolezza che c'è un
infinito, e che l'infinito è un'unione di tutto quello che
c'è nel mondo e tra le stelle.
Che quindi
c'è un infinito dove Leonardo e Venezia non furono in
conflitto, dove la sirena condivise con il marinaio i diamanti e la
polvere delle proprie canzoni.
«È
ancora notte fonda, Leonardo?»
L'artista
sobbalzò. Si girò, vide Ezio stropicciarsi gli
occhi (doveva sentirsi proprio a casa, visto che aveva dormito un sonno
pesante), Icaro coprirsi il muso con una zampina - Lasciatemi dormire, stupidi
bipedi!, avrebbe detto.
Leonardo
guardò fuori dalla finestra. «No, devono mancare
un paio d'ore all'alba, Ezio. Hai deciso di alzarti presto per andare a
strappare qualche manifesto?»
«In
realtà, amico mio, quella scatola che illumina mi ha dato
fastidio per qualche ora, finché non ha avuto la meglio sul
mio sonno.» Ezio sorrise, alzandosi dalla poltrona in cui era
un po' sprofondato.
«Mi spiace.
Non mi sono premurato dei miei due inattesi ospiti, in
effetti.»
«Eravamo
solo due pulcini, no?»
«Piuttosto
bagnati, ma sì, due pulcini.»
Ezio si
avvicinò al camino e raccolse i pezzi dell'armatura, poi
salì le scale per andare a cambiarsi. Nel frattempo Leonardo
aveva spento la candela dentro la scatola e s'era seduto dove
l'assassino aveva dormito - del calore doveva essersi impigliato nel
tessuto, e d'inverno il tepore era sempre benvenuto.
«Forza,
Leonardo, non vorrai perderti lo spettacolo!»
Cosa diavolo avrà
visto fuori dalla finestra? «Non vorrai portarmi
fuori al freddo, spero!»
«Come sei
perspicace, vecchio mio, tieni fede al tuo nome! Ora alzati, che non so
se tra dieci anni saremo ancora vivi o ancora qui a Venezia.»
Profezia dura, ma
assolutamente possibile; solo che il tono con cui Ezio la
pronunciò la fece suonare più serena, come se
dopo la morte si sarebbero ritrovati tutti insieme davanti a un
bicchiere di vin santo e qualche dolce secco.
Leonardo si
alzò, non esattamente volentieri. Aveva il tremendo sospetto
che Ezio l'avrebbe fatto salire sul tetto di qualche casa lì
vicino e, per quanto sarebbe stato interessante guardare il mondo
dall'alto, era un po' preoccupato dagli arcieri sempre in allerta.
«Non costringermi a correre sui tetti mentre una guardia
cerca di tirarci addosso tutte le frecce della faretra, Ezio,
ricordatelo. O potrai scordarti ulteriori traduzioni del
Codice.»
«So che ti
incuriosiscono troppo perché tu possa lasciar perdere quelle
pagine, ma prometto che non diventerai il bersaglio dei
soldati.» Sorrise l'assassino.
Ancora non proprio
convinto, Leonardo decise comunque di dargli una
possibilità. «D'accordo. Qual è la
nostra destinazione?»
«Un posto
vicino San Giacomo di Rialto.»
Così almeno
l'artista aveva eliminato il tetto della Basilica dei Frari tra le
opzioni su cui si sarebbe potuto arrampicare. Seguì l'amico
fuori dalla bottega, dando prima un'ultima occhiata a Icaro - Io me ne rimango qua,
tranquillo, bipede, avrebbe potuto dire il micio.
Il freddo mordeva la
gola e il vento raschiava le guance. Ezio sembrava non soffrire
particolarmente, mentre Leonardo mal sopportava tutto quel gelo.
Pensò che avrebbe trascorso tutto il giorno seguente davanti
al camino, nel tentativo di liberare le proprie gambe dal gelido
respiro dell'aria. In una città sul mare come Venezia ci
sarebbe dovuto essere un clima più mite, più
gradevole, eppure quel vento dannato proveniente da Nord congelava
perfino i capelli.
Attraversarono il
ponte senza fermarsi; lì, arrivati in città per
la prima volta, avevano osservato il Palazzo della Seta, ora Gilda dei
Ladri. Presto, a ben pensarci, sarebbero cominciate le celebrazioni per
il Carnevale.
«Mi auguro
almeno che non ci sia acqua alta quest'anno.»
«Come,
Ezio?»
L'assassino scosse la
testa. «Niente, niente, Leonardo.»
Accennò alla chiesa davanti a loro. «Siamo quasi
arrivati.»
L'orologio di San
Giacomo di Rialto era come una seconda più spenta luna,
perché rifletteva la scarsa luce delle lampade ad olio
appese sulle soglie di qualche abitazione. In un paio d'ore il sole si
sarebbe alzato in cielo, e allora il mercato si sarebbe riempito di
grida e odore di pesce fresco.
«Aspettami
qui.»
«Vuoi farmi
morire di freddo, Ezio?»
«Puoi sempre
metterti a correre in cerchio, vecchio mio.» Ezio
ridacchiò, arrampicandosi agilmente sul muro della chiesa.
Non che avesse davvero intenzione di far morire assiderato Leonardo, ma
giusto per divertirsi un po'. O forse per non fargli vedere quale fosse
il punto migliore, tra l'attaccatura del collo e la spalla, per
uccidere con un solo coltello una guardia.
Leonardo rimase con il
naso all'insù per un minuto. Quando Ezio si fece vedere,
là sul tetto dell'edificio, l'artista capì di
avere una sola possibilità per cui Ezio non si sarebbe
offeso: cioè salire la scala che l'altro gli aveva indicato,
proprio dietro la chiesa - in un vicolo poco raccomandabile, a dire il
vero -, fino a quando non si ritrovò davanti un Ezio
particolarmente contento.
A quel punto Leonardo
constatò che esseri umani e gatti avevano davvero qualcosa
in comune: l'espressione di Ezio era quella di un gatto soddisfatto per
cibo e coccole.
«Ancora
freddo?»
«Mi si gela
il sangue al pensiero di trovarmi a dieci metri da terra, ma a parte
questo sto meglio.»
«E io che
avevo sempre pensato che, costruendo macchine volanti, volessi un
giorno prendere il volo, Leonardo.»
«
Il che mi fa venire in mente... »
« Ehi, non
provare a farti venire in mente un'idea geniale ora. Pensaci dopo. Se
può servire, ora non pensare e basta, che ne dici?
»
«Non
garantisco nulla.» Disse Leonardo. «Comunque, hai
preparato qualcosa di speciale qua sopra, oppure posso guardarmi
attorno per conto mio?»
«È
uno spettacolo aperto a tutti, ogni notte,» rispose Ezio.
«La gente non vi presta molta attenzione, e in effetti, se
qualche giorno fa non mi fossi ritrovato a correre in giro per colpa
del freddo, non me ne sarei accorto nemmeno io.» Dando le
spalle al Canal Grande, si inchinò davanti a Leonardo, in
una sequenza di movimenti simile a quella di Alvise, quando aveva fatto
loro da guida il primo giorno a Venezia. «Messer Leonardo,
questo è il Canal Grande, e quelle là sono le
ultime stelle della notte.»
Leonardo decise che,
se proprio doveva congelare, l'avrebbe fatto godendo di un paesaggio e
un'atmosfera magnifici, perciò si sedette sul bordo del
tetto, guardando l'acqua del canale agitarsi un poco a causa della
bora. Proprio il vento aveva soffiato via le nuvole di pioggia; allora
non si vedeva la linea sottile dell'orizzonte, il cielo era blu come il
mare scuro ed era come cucito con stelle più o meno
luminose. Era una di quelle vedute che stringono il petto in una morsa.
Una bellezza tale da far male al fisico, oltre che all'anima. Era
l'infinito della natura e il finito dell'uomo, il cuore e il cervello
del genio, filtrati dall'occhio e dagli altri sensi.
Ezio attese, in
silenzio, alle spalle dell'amico. Aveva portato lì Leonardo
proprio perché aveva capito che c'era qualcosa che nessun
altro, nemmeno lui con il suo fiuto,
poteva afferrare.
Solo dopo dei lunghi
minuti al freddo, Leonardo si alzò, come se non soffrisse
più la morsa gelida della bora. «Senza di voi mi
sarei certamente perso, ser Ezio.» Disse, con un pizzico di
ironia. «Ma dunque, vi sono altri posti ad alta quota che
avete intenzione di mostrarmi?»
«Seguitemi,
messer Leonardo.»
Se non altro, in
quella notte Leonardo davvero capì perché Ezio
pranzava vivacemente appena il suo lavoro
glielo permetteva: fare l'assassino richiedeva talmente tante energie
che mai, mai Leonardo si sarebbe abituato. Ezio faceva sembrar facile
perfino saltare da un edificio a un altro adiacente, eppure era
tutt'altro che un piccolo
salto. O meglio, per quanto potesse essere corto, la paura
di poter cadere e sfracellarsi per terra era tanta.
Ma se la
curiosità uccide il gatto, la soddisfazione lo riporta in
vita, diceva un proverbio; e Leonardo, da bravo felino bipede, non
poteva resistere al proprio desiderio di conoscenza.
In qualche modo (che i
più considererebbero privo di senno) raggiunsero
l'imboccatura settentrionale del Canal Grande. Per amore di Leonardo,
che ricordò a lungo il percorso preciso compiuto come
sinonimo di paura costante, racconteremo con attenzione il loro piccolo
viaggio.
Una volta saliti sul
tetto della casa alle spalle della chiesa, la strada che Ezio aveva
intenzione di seguire portava sul tetto di un'altra casa, distante un
paio di metri dall'edificio su cui si trovavano. Leonardo
accettò malvolentieri di saltare da un tetto all'altro, ma
seguendo l'esempio di Ezio il primo balzo non comportò
né morti né feriti. Da lì, avrebbero
proseguito lungo tutta la superficie di mattoni fino al punto in cui
l'edificio si univa a un'altra casa più bassa. Solo allora,
tra il buio, il vento e la propria indisposizione, Leonardo decise che
no, non si sarebbe avventurato più avanti ad un'altezza simile;
l'assassino dovette rassegnarsi, e aiutare l'amico a scendere a terra.
«Mi chiedo
soltanto perché non vuoi proseguire con me,
lassù.»
«Non mi
sembra molto salutare né per me né per te, Ezio.
Dimmi dove incontrarci e farò in modo di trovarmi
lì.»
«Allora
facciamo una gara.»
Leonardo
sospirò. «Sentiamo.»
«Troviamoci
davanti all'entrata del Palazzo della Seta, dove si sono sistemati
Antonio e gli altri. Il primo che arriva vince, ovviamente.»
Non che ci volesse
molto per capire chi avrebbe vinto: tuttavia, in un paio di occasioni
Ezio rischiò di tuffarsi nella gelida acqua invernale.
Il Palazzo che fu di
Emilio Barbarigo era bianco come le mani di una matrona: senza il
consueto chiacchierare dei ladri, pareva una fortezza inespugnabile.
Leonardo lo aspettava ai piedi della scalinata, mentre si scaldava le
mani col respiro.
Proseguirono coi piedi
per terra, in silenzio. Uscirono dal ponte occidentale che collegava la
fortezza bianca al resto del sestiere; al bivio decisero di svoltare a
destra - da lì si poteva dare un primo sguardo alla laguna
-, rimanendo rasenti il muro, come se nel buio questo potesse essere di
conforto.
Il vicolo portava a
una modesta piazza con al centro un pozzo, contro cui Leonardo, che
probabilmente stava pensando a cosa avrebbe potuto sostituire le corde
di canapa per il tamburellatore, quasi inciampò. Raggiunsero
la piazzola su cui si apriva, di giorno, uno dei tanti buoni fabbri
veneziani - anche se l'artista si permise di suggerire il metallo
milanese come il migliore in Italia.
Superarono il rialzo
dove il banditore aveva annunciato la presenza di Franco Dandolo a un
evento mondano, e si avvicinarono al canale.
«Aspettami
qui, recupero una scala.»
Ezio ne
trovò presto una. L'odore di salsedine stava cominciando a
farsi sempre più forte in bocca, come il freddo era
più pungente sulle mani.
«E dove
vorresti farmi andare con quella scala, di grazia?»
«Comincia a
salire su quei barili e poi sull'impalcatura. Ti seguo.»
Camminare su quelle
assi di legno era pericoloso tanto quanto saltare da un palazzo
all'altro, soprattutto perché un bagno in mare in inverno
portava presto alla morte. Giunto sul bordo dell'impalcatura, Leonardo
attese che l'amico appoggiasse la scala tra la loro posizione e il lume
che c'era poco più avanti. Di malavoglia
proseguì, superando anche il lume successivo camminando
sulla scala.
Scala che, ovviamente,
con il freddo s'era indurita e s'era spaccata a metà quando
Ezio vi pose sopra il suo piede leggero. Non che per lui fosse un
problema saltare fino all'ultimo ponteggio: il guaio sarebbe stato dopo
per Leonardo.
Intanto, comunque,
avevano raggiunto la loro meta: da lì la vista sulla laguna
era ottima, e magnifico era il soggetto. Se a Leonardo fosse rimasto un
poco di fiato in gola per deglutire, in quel momento avrebbe saputo che
sapore ha quella precisa sfumatura della libertà.
«E questa,
messer Leonardo, è la laguna veneta di notte.»
L'artista
guardò verso le navi ormeggiate, che ondeggiavano
languidamente secondo il volere delle onde; al buio - e agli occhi di
un bambino - sarebbero sembrate enormi mostri neri, con braccia lunghe
e pance da riempire. La luna, che in poche notti sarebbe diventata
piena, riluceva nell'acqua, e il suo riflesso era come chi si butta nel
mare e comincia a tremolare per il freddo.
Le stelle, mosse
dall'amore degli angeli, ricordavano ad Ezio i tortelli dello stemma di
Lorenzo che portava sulla cappa e, di conseguenza, si
ricordò della propria famiglia. Dopo un profondo respiro,
decise di occuparsi di Leonardo, che stava beatamente osservando cielo
e mare, acqua e aria, e chissà a quale diavoleria stava
pensando.
Ezio credeva sempre
più fermamente che gli esseri umani vivono con un muro che
separa l'anima dalla mente - o, con termini più concreti, il
cuore dal cervello: alcuni uomini, però, demoliscono quella
parete nel corso della loro vita. E, per lui, Leonardo aveva abbattutto
il muro da anni, e aveva avuto perfino il tempo di buttarne via le
macerie.
Leonardo in quel
momento si sentì vuoto, come se gli fosse mancato un sesto
senso; solo poco dopo riuscì a riempire il proprio animo con
la vista, l'udito e il tatto. Era strano, sentirsi svuotato di tutto e
riempito di tutto nuovamente nel giro di un pensiero. Se avesse creduto
nella magia, avrebbe certamente pensato che sulla linea che divide il
mare dal cielo ci fosse un incantesimo.
«Piaciuta la
visita, amico mio?»
Leonardo si
alzò in piedi, e si coprì la bocca e il mento con
la sciarpa. Indicò Venere, la stella del mattino, poi gli
rispose. «Certamente! Ora però è il
caso di rientrare, Ezio. A breve sorgerà il sole.»
Tornare alla bottega
con la scala rotta fu più difficile, ma sono disavventure che'l tacere è bello,
quando fuori spira la bora che porta un freddo del diavolo. La scala
venne deposta dove Ezio l'aveva trovata, cioè sotto la volta
che portava alla piazza adiacente, dove lavoravano il sarto e il
medico. L'assassino rimase in silenzio un attimo, come a ricordare le
nobili virtù del legno che aveva sostenuto il passo di
Leonardo da Vinci nel corso di un'avventura.
Ad ogni modo,
percorsero lo stesso cammino che avevano intrapreso solo mezz'ora
prima: già si sentivano le grida dei commercianti al mercato
vicino al Ponte di Rialto, e la gente uscire dalle case per andare a
lavorare. Il fermento in città aumentava esponenzialmente
con l'avvicinarsi del Carnevale.
Quando arrivarono
nella piccola piazza della bottega di Leonardo, Ezio sorrise,
con l'aria furbetta di quando aveva diciassette anni e un futuro sia da
banchiere che da assassino.
«Dunque,
sono stato una guida migliore di Alvise, o no?»
Leonardo
sospirò, alzando gli occhi al cielo. «Non cambi
mai, eh, Ezio?»
«Sì
o no?»
«La prossima
volta cerca di non uccidere nessuna guardia.» Il tono con cui
aveva parlato era di sincera disapprovazione, ed Ezio
abbassò lo sguardo. Forse la volta successiva avrebbe ucciso
altri soldati, ma almeno ci avrebbe riflettuto su. «Sei stato
un'ottima guida, ma ho come l'impressione che ci fosse un secondo fine
dietro tutto questo.»
«E
sarebbe?»
«Come se
volessi dirmi "Vecchio e sempre chiuso nella tua bottega come sei,
dovresti fare esercizio per rimanere in salute"!»
«E-ehi! Non
è vero!»
Ma Leonardo, ridendo,
aveva già chiuso la porta della bottega e l'aveva lasciato
fuori, alla mercè di chi, passando lì vicino,
bisbigliava: «Certo che dire cose del genere a Leonardo da
Vinci...!»
Ezio, molti anni dopo,
vide il frutto di quella notte trascorsa sotto le sferzate della bora.
Era un telo di stoffa comune, a cui erano legate delle corde spesse.
«Di che si
tratta?»
«È
un congegno per planare da qualunque altezza. Non è come la
mia macchina per volare, lo puoi portare con te dovunque.»
Un attimo di silenzio.
«Mi
è venuto in mente quella volta che mi hai fatto salire sul
tetto di una casa, a Venezia, per guardare la laguna prima
dell'alba.»
Uno strumento ben
congegnato per tenere al sicuro le persone care, quel paracadute. Davvero
in Leonardo cuore e cervello lavoravano insieme, come fossero una cosa
sola.
Ah, e se Ezio avesse
saputo che quell'aggeggio sarebbe diventato indispensabile per salvare
il mondo, cinquecento anni dopo...!
Note:
La citazione
all'inizio della storia è di Oscar Wilde. Il titolo della
storia viene dall'omonima canzone di Giorgio Gaber.
I
camini erano il metodo per riscaldare gli ambienti che andava per la
maggiore, al tempo. Nei palazzi dei ricchi e dei nobili c'era un camino
per ogni stanza, per le case più modeste c'era solo in
cucina.
Ipotizzando che per la bottega di Leonardo non avessero badato a spese
(e chi lo sa, forse gli sarebbe potuto servire per qualche strano
congegno), mi sono presa una piccola licenza poetica e ho inserito un
camino nella bottega - che, in quanto tale, suppongo abbia un piano
superiore, cioè l'abitazione vera e propria dell'artista,
come per ogni
artigiano che si rispetti.
«Che 'l
tacere è bello» è una citazione da
Dante, Inferno, canto IV.
Per
quanto riguarda il sesto senso di cui "parla" Leonardo verso la fine
della storia: Giunone, in Brotherhood, dice che la Prima Civilizzazione
aveva sei sensi, di cui il sesto era il sapere. In altri momenti sembra
che Leonardo discenda - anche se molto alla lontana - da coloro che
vennero prima (mi pare ci sia un momento in cui non venga colpito dagli
effetti collaterali della Mela, ad esempio), per cui, non so, forse
è
solo una mia idea, ma mi attira un sacco.
La pagina del Codice
tradotta da Leonardo è la quinta, si trova nel distretto di
San Polo.
Tutti
i rimandi alle invenzioni di Leonardo non sono frutto di invenzione. In
gita a Firenze, sono andata a visitare il museo delle macchine di
Leonardo e c'erano le riproduzioni di tutte le invenzioni qui citate.
In una puntata di Superquark avevano poi affermato che Leonardo aveva
costruito una sorta di stilografica, ma questo lo dico solo
perché lo
trovo estremamente affascinante.
L'ultima
frase si riferisce a quando Desmond (in AC III) deve entrare in un
grattacielo a Manhattan per recuperare una batteria indispensabile per
entrare nel Tempio.
Note Autrice:
Nessuna
scala a pioli è stata maltrattata nel corso della stesura
della storia,
anche se sono state maltrattate nella
storia. Leonardo in qualche modo
doveva pur raggiungere le destinazioni previste.
Ezio
e Leonardo non sono di mia proprietà, e nemmeno Icaro,
perché nessuno
possiede i gatti, neanche chi procura loro del cibo e si autoproclama
loro padrone. Al massimo, siamo i loro compagni umani. C:
Questa storia partecipa al contest Le Lampade dei Valar
indetto da Silvar Tales sul forum di EFP. (EDIT: prima classificata al contest. Sono ancora in pieno brodo di giuggiole (?)!)
Spero vi sia piaciuto questo esperimento in un nuovo fandom! C:
claws_Jo
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