Like Davy Jones_9
FOURTH SEASON
› BEATING HEARTS
TO GET THE WINDWARD OF
HIM, #01
Quando
riprese
conoscenza, la prima cosa che Zoro mise immediatamente a fuoco fu la
figura
massiccia di Chopper, riconoscendo solo in un secondo momento il tono
concitato
della sua voce. Era riuscito a trovare gli altri? Erano forse tornati
alla
nave? E, soprattutto... era riuscito ad arrivare in tempo? Non ne aveva
la
benché minima idea, e fu proprio all’orribile
pensiero di aver fallito che, con
un gemito doloroso, tentò di sollevarsi a mezzo busto,
avendo appena una fugace
visione dell’infermeria prima di ripiombare a peso morto
sulla brandina e
sentire una fitta al braccio. Nel voltarsi vide distintamente una
flebo, ma non
era ancora certo di aver fatto del tutto mente locale. Merda... si
sentiva
completamente rintronato e aveva come la sensazione che qualcuno avesse
poggiato un macigno sul suo petto e l’avesse abbandonato
lì, per niente
voglioso di tornare a riprenderselo per portarselo via. Che diavolo era
successo?
«Il cuoco»,
rantolò a mezza voce,
dovendo tossire un paio di volte per schiarirsi la gola. Quanto tempo
era
passato da quando era svenuto? «Dov’è il
cuoco?» chiese con tutta la fermezza
che riuscì a trovare, sforzandosi ancora una volta di
alzarsi da quel maledetto
letto; ma la grossa mano pelosa di Chopper glielo impedì,
schiacciandolo con la
schiena contro la branda prima di scusarsi nel sentirlo imprecare per
il
dolore.
«È meglio se resti
sdraiato ancora un
po’, Zoro», gli sussurrò in tono
tremendamente comprensivo, serrandogli il
cuore in una morsa. Ohi, ohi, un momento... perché Chopper
gli parlava come se
non volesse urtarlo in qualche modo? E perché diavolo non
aveva ancora risposto
alla sua domanda?
Lo spadaccino trasse un lungo respiro e
il solo farlo gli mandò i polmoni in fiamme, ma strinse i
denti e tenne duro,
alzando il viso per incontrare lo sguardo addolorato del dottore. Nay,
andiamo... Chopper stava scherzando, vero? Lo stava semplicemente
prendendo per
il culo, no? «Chopper»,
cominciò, e sul suo viso, oltre alla sofferenza
provocatagli dallo sforzo che gli costava parlare, si riusciva
benissimo a
leggere anche la rabbia che di lì a poco sarebbe esplosa.
«Dove cazzo è quel
fottuto cuoco di merda?» Pose quel quesito senza alterarsi e
senza minimamente
alzare la voce, certo, però fu proprio quella sua calma
così sottile a freddare
Chopper, che si sentì tremare dinanzi allo sguardo gelido
del Vice Capitano.
Allontanò la mano dal suo petto e tornò
alla sua forma originale,
guardandolo dabbasso e torcendosi gli zoccoli.
«Qui...
non c’è molto spazio, ma abbiamo tolto il tavolo e
sistemato un’altra branda
per farlo riposare meglio»,
rispose concitato. «Non è messo per niente bene,
Zoro. Ho fatto il possibile per farlo riprendere,
però...»
«Cosa? Diavolo, no!»
si alterò lo
spadaccino, e, ignorando il dolore al costato, si strappò la
flebo dal braccio
con rinnovato vigore, mosso dall’orribile presentimento che
quell’idiota
potesse rimetterci le penne anche dopo tutta la fatica che aveva fatto
per
riportarlo a casa. Non avrebbe mai accettato di veder morire qualcun
altro a
lui caro senza poter far niente per impedirlo, dannazione. Men che meno
uno dei
suoi compagni. «Il tuo possibile non è abbastanza,
Chopper». Cercò di
riacquistare un minimo di razionalità, ma ormai, visti i
nervi a fior di pelle,
era più facile a dirsi che a farsi. «Quel fottuto
idiota non può morire in
questo modo». Si premette una mano su un fianco e, con un
gemito, gettò i piedi
oltre il bordo della brandina per provare ad alzarsi, venendo oscurato
dall’ombra possente della renna, ritrasformatasi proprio per
bloccarlo.
«Non devi affaticarti, Zoro.
Anche tu
sei in pessime condizioni», lo redarguì,
osservandolo in viso con
un’espressione a dir poco severa. «Cerca di darti
una calmata e dimmi cos’è
successo».
«Prima voglio vedere il
cuoco», mise a
condizione lo spadaccino, allungando il collo verso la seconda branda,
e, per
quanto Chopper avesse tentato di fargli cambiare idea, la sua decisione
fu
irremovibile. Il dottore, con un sospiro, dovette quindi acconsentire,
capendo
che Zoro non si sarebbe messo l’anima in pace fino a che non
si fosse accertato
con i suoi stessi occhi delle condizioni di Sanji. Lo
aiutò lui stesso ad
alzarsi in piedi, stando attento a non toccare nessuna ferita ricucita
da poco
o qualche contusione. Un’impresa piuttosto ardua, a ben
vedere, poiché il Vice
Capitano era tutto un livido. Ancora si chiedeva come avesse fatto a
camminare
conciato in quel modo, ma forse avrebbe dovuto smetterla di farsi
quesiti così
idioti, conoscendo Zoro.
Chopper lo lasciò solo
quando, raggiunta
la branda del cuoco, gli impose di sedersi su uno sgabello che lui
stesso aveva
portato lì, prendendone poi un secondo per accomodarsi a sua
volta non appena
si ritrasformò. E non osò fiatare per tutto il
tempo in cui lo spadaccino tenne
gli occhi fissi sul viso di Sanji, come se lo vedesse per la prima
volta.
«Si
riprenderà?» domandò infine Zoro in
tono lieve, facendo vagare lo sguardo dal colorito cadaverico del viso
del
cuoco ai lividi violacei che gli segnavano il collo e lo scorcio di
petto che
riusciva ad intravedere al di sotto del lenzuolo. Il dottore si era
premurato
di lavargli via il sangue che gli aveva incrostato il volto e i
capelli, e in
parte era un bene, giacché avrebbe potuto credere che quello
fosse stato tutto
solo un fottuto incubo. Peccato che fosse la realtà,
maledizione. E se pensava
che quel Jones avrebbe anche potuto spezzargli il collo... cazzo, era
stato
fortunato ad essersela cavata solo con quelle contusioni.
«Se reagisce bene alle
medicine che gli
ho dato, in un paio di giorni dovrebbe tornare cosciente»,
spiegò Chopper, a
sua volta con lo sguardo puntato sul viso del biondo. «Sanji
è forte... il suo
organismo si riprende in fretta», aggiunse, forse nel
tentativo di provare a
convincere anche se stesso di quelle parole, ma si sforzò
comunque di sorridere
all’indirizzo di Zoro. «In fondo riesce a dare del
filo da torcere anche a te,
no?» Quel patetico tentativo di alleggerire la sgradevole
situazione che si era
venuta a creare parve funzionare, poiché anche lo spadaccino
sollevò un angolo della
bocca in una smorfia divertita.
«Proprio per questo
farà meglio a
riaprire gli occhi», asserì, allungando
fiaccamente un braccio verso Chopper
per carezzargli la delicata peluria che aveva sulla testa. «E
se non lo fa in
fretta, ci penso io a spedirlo all’altro mondo».
Rimasero in religioso silenzio, subito
dopo, entrambi con lo sguardo fisso sul capezzale del cuoco. Chopper
non aveva
fatto altro che ripetersi mentalmente che sarebbe andato tutto bene e
che Sanji
si sarebbe presto svegliato, e, per quanto all’inizio si
sarebbe potuto sentire
un po’ confuso a causa dei farmaci che gli aveva
somministrato, avrebbe
riacquistato a poco a poco le forze e sarebbe tornato quello di un
tempo, il
cuoco attivo ventiquattr’ore su ventiquattro e con tutti gli
arti funzionanti.
Ecco. Doveva convincersi proprio di questo. Sanji avrebbe aperto gli
occhi, la
sua caviglia e il braccio sarebbero guariti con il tempo e tutti loro
avrebbero
potuto riprendere a viaggiare per realizzare i propri sogni.
A quei suoi stessi pensieri, Chopper
sollevò il viso verso lo spadaccino, osservandolo con
attenzione. «Adesso puoi
dirmi cos’è successo?» riuscì
finalmente a chiedere, sicuro che quello che
attraversò il compagno fosse un brivido. Lo vide poi
scuotere il capo,
ingobbendosi e abbandonando i gomiti sulle ginocchia.
«Niente»,
replicò in tono schietto, ma
il medico sospirò.
«Mi avevi detto che me ne
avresti
parlato, se ti avessi lasciato vedere in che condizioni era
Sanji».
«Allora dammi la tua parola
che resterà
una cosa tra noi. Tra medico e paziente».
Chopper si accigliò,
incredulo. Perché
tutta quella segretezza? Cos’era accaduto su
quell’isola, se Zoro non voleva
che gli altri lo sapessero? «Zoro...
cos’è successo, esattamente?»
domandò in un soffio, venendo folgorato da un orribile
pensiero quando vide lo sguardo dello spadaccino indugiare sul viso del
cuoco,
come se si sentisse dannatamente in colpa per qualcosa.
«Non... non sarai stato
tu a
ridurre Sanji in questo modo,
vero?» pigolò, e bastarono quelle poche parole per
far sì che Zoro si voltasse
svelto verso di lui con la palpebra serrata.
«Non dire stronzate,
Chopper», sibilò,
però, per quanto il tono apparisse scontroso e aggressivo,
la renna trasse
comunque un breve sospiro di sollievo. Non avrebbe dovuto nemmeno
pensare una
cosa del genere, certo, ma quel senso di colpa e quel suo voler tenere
tutto
nascosto avevano inculcato in lui il tarlo del dubbio. Dubbio che era
stato
velocemente dissipato dallo spadaccino, fortunatamente. Non avrebbe
saputo come
reagire, altrimenti. «Però... se fossi stato
più forte, tutto questo non
sarebbe successo».
Chopper aggrottò la fronte e
gli si
avvicinò, battendogli delicatamente uno zoccolo su una
spalla con fare
comprensivo. Come aveva potuto dubitare in quel modo di Zoro,
l’uomo che avrebbe
dato la sua stessa vita per il bene comune della ciurma? Era stato un
vero
idiota. «Ci sono cose che non possono essere previste, Zoro.
Non devi sentirti
in colpa», provò a rassicurarlo, ma il Vice
Capitano scosse immediatamente il
capo.
«Ero con lui, Chopper. Avrei
dovuto fare
tutto il possibile per evitarlo. Non mi sono allenato per due anni solo
per
veder morire i miei compagni davanti ai miei occhi».
«Sei riuscito a portarlo alla
nave
nonostante tu fossi gravemente ferito, Zoro. Una persona normale
sarebbe morta».
Se fosse stato più lucido,
probabilmente
Zoro avrebbe di sicuro dato ragione al medico - ne aveva passate tante,
era
stato rattoppato alla bell’e meglio altrettante volte e
nonostante tutto il
sangue perduto non era mai crepato, cosa che un essere umano nella
media
avrebbe fatto prima ancora di raggiungere la Rotta Maggiore -, ma in
quel
momento non riusciva a fare a meno di pensare che avrebbe dovuto
allenarsi più
di quanto non avesse già fatto fino a quel momento, se non
voleva rischiare di
non possedere la forza necessaria per difendere i propri compagni.
Dannazione, più
di una volta aveva dimostrato a se stesso che sarebbe stato capace di
sacrificare la sua stessa vita pur di mettere tutti loro al sicuro.
«Davy Jones»,
dichiarò di punto in bianco, e Chopper lo osservò
come se non avesse realmente
compreso ciò che aveva appena detto.
«Cosa?»
«Me ne ha parlato il
cuoco», spiegò
senza mezzi termini. «L’ha chiamato
così. Davy
Jones. Un pirata maledetto, una leggenda vivente relegata
sulla sua nave
insieme alla sua ciurma, un demone del mare che reclama le anime dei
marinai
annegati... e quello stronzo era venuto a prendersi anche quella di
questo
dannato idiota». Il solo pensiero lo fece sorridere ironico,
sebbene sapesse
che non ci fosse assolutamente nulla di divertente, in quella maledetta
storia.
«Una fottuta leggenda si è presa il disturbo di
attirarci su quest’isola come
ha fatto con tante altre navi... ci crederesti?»
Gli occhi di Chopper brillarono per un
attimo alla sola idea che i due amici avessero incontrato un tipo del
genere,
tremando nell’immaginarselo come un uomo mostruoso munito dei
tratti tipici di
un Uomo Pesce, con tanto di occhi iniettati di sangue e incrostazioni
sul
carapace che componeva la sua schiena. Una figura oltremodo spaventosa,
quella
che si era affacciata nella sua giovane mente. Zoro e Sanji avevano
rischiato
grosso e si erano ritrovati ad affrontare un nemico simile, e il solo
pensiero
gli fece ammettere che erano stati decisamente fortunati a cavarsela;
però,
subito dopo, si lasciò sfuggire un sospiro accondiscendente.
«Faresti bene a
riposarti un po’, Zoro», provò a
spronarlo, rimediandoci uno sguardo duro dallo
spadaccino.
«Non sto delirando, se pensi
questo».
«Non ho mai detto una cosa del
genere»,
si affrettò a rassicurarlo, per quanto l’avesse
davvero assalito il dubbio che
i farmaci, uniti alle condizioni di Sanji e all’esperienza
vissuta su
quell’isola fatta di misteri ed illusioni, avessero alterato
in qualche modo la
fantasia dello spadaccino. A quei suoi stessi pensieri scosse il capo e
afferrò
il camice. «Devo cambiare le bende a Sanji, tu sdraiati
lì e non muoverti», gli
ordinò, indicandogli la branda con uno zoccolo. «E
non provare nemmeno a
toglierti le fasciature come tuo solito, capito?» lo
freddò immediatamente,
giacché lo spadaccino aveva portato prontamente una mano al
petto per
cominciare a disfarsi proprio delle bende che gli fasciavano il torace.
Accidenti a Chopper. Non gli sfuggiva mai nulla.
«Lo sai che non ne ho
bisogno», borbottò
Zoro per avere l’ultima parola, ma all’occhiataccia
del medico fece come gli
era stato detto, anche perché, e purtroppo doveva ammetterlo
a se stesso, si
sentiva maledettamente
stanco.
Forse Chopper aveva ragione. Un
po’ di
riposo avrebbe fatto bene anche a lui.
«Come
stanno?»
Non appena
Chopper aveva aperto la porta dell’infermeria, il resto della
ciurma non aveva
perso un attimo a porgli in simultanea quella domanda, preoccupati a
dir poco
per i loro amici. Il dottore si era infatti chiuso lì dentro
per oltre un’ora e
mezza e, ormai divorati dall’angoscia, i ragazzi non erano
più riusciti a
resistere dal togliersi quel peso dallo stomaco, senza dare al medico
nemmeno
un attimo per respirare o fare il punto della situazione.
Chopper si
richiuse silenziosamente la porta alle spalle, zampettando verso il
ponte con
un lungo sospiro. «Zoro si è ripreso, ora sta
riposando», informò, sfiorando
con lo zoccolo la punta del naso per grattarselo distrattamente.
«Chi mi
preoccupa di più è Sanji... adesso si
è stabilizzato, ma aveva il battito
debole e respirava a fatica. Se Zoro non fosse riuscito a portarlo
subito da
me, a quest’ora sarebbe...» non
continuò, lasciando la frase in sospeso.
Sembrava che il solo pensiero lo atterrisse, e come dargli torto?
Già una volta,
a causa delle sue emorragie, gli aveva fatto prendere un colpo del
genere e
aveva rischiato di rimetterci la pelle, quello scemo di Sanji. Per non
parlare
di Zoro, poi. A volte aveva come l’impressione che ad
entrambi facesse schifo
la vita, visti i guai in cui si cacciavano in continuazione.
«Ma adesso
cook-san sta bene?» gli domandò accorato Brook,
sorreggendo con due dita la
tazzina ricolma di the che Robin era stata così gentile da
preparare. Erano
stati tutti agitati fino a quel momento, dunque l’idea di
quella bevanda era
sembrata la migliore che sarebbe potuta venire in mente
all’archeologa.
«Fortunatamente
sono intervenuto in tempo, ma è ancora troppo presto per
essere sicuro che non
ci siano state conseguenze», rispose il medico, lasciandosi
cadere seduto sul
sostegno di legno circolare fissato all’albero maestro.
«Erano entrambi pieni
di ferite e contusioni... Zoro mi ha vagamente raccontato
qualcosa», e si
guardò bene dal dire cosa,
avendo
promesso che non ne avrebbe parlato con nessuno, «ma ho paura
che le medicine
che gli ho somministrato gli abbiano provocato qualche
allucinazione», asserì,
non riuscendo del tutto a credere alle parole dello spadaccino. Un
demone del
mare di nome Davy Jones?
Anche se all’inizio era diventato euforico al solo pensiero,
aveva poi
attribuito il tutto ad un effetto collaterale dovuto ai farmaci. A ben
rifletterci, però, da quando erano entrati nel Nuovo Mondo
di cose bizzarre ne
avevano viste, ma indagare oltre, ora come ora, sarebbe stato inutile.
«Avranno
incontrato quei mostri spaventosi,
illusioni o meno che fossero. In fin dei conti abbiamo appurato noi
stessi
quanto fossero pericolosi». La costatazione di Robin lo
distrasse dai suoi
pensieri, e, proprio come gli altri - per quanto riluttanti a loro
volta alla
sola idea di quella prospettiva -, annuì. Le cose non
potevano essere andata in
nessun altro modo, d’altronde. Quei due se ne davano
continuamente di santa
ragione, era vero, ma da qui ad ammazzarsi a vicenda... beh, ne correva
di
acqua sotto i ponti, dunque non si erano di certo feriti combattendo
fra loro.
In fin dei conti, per quanto non l’avessero mai ammesso
né a se stessi né al
resto del gruppo, si rispettavano e si volevano bene come amici, se non
come fratelli
in eterna competizione.
La ciurma passò poi
i successivi due giorni a riprendere le normali attività,
lasciando riposare i
due compagni com’era stato raccomandato loro da Chopper, per
quanto Rufy e
Usopp andassero di tanto in tanto a controllare come stessero passando
dall’infermeria alla cabina per tener d’occhio
l’uno e l’altro. Sanji non aveva
ancora ripreso conoscenza e se ne stava praticamente immobile nella
branda
dell’infermeria, mentre Zoro, di tanto in tanto, si girava su
un fianco e
imprecava chissà cosa fra sé e sé ogni
qual volta sbatteva contro la cuccetta o
le ferite strusciavano contro il materasso, per quanto avesse ancora la
fronte
sudata e sembrasse persino delirante.
Sotto diretto
ordine di Nami, inoltre, avevano tirato su l’ancora e,
innalzato il vessillo
sull’albero maestro, avevano sciolto i legacci e le cime
delle vele, lasciando
che il vento proveniente dall’oceano le gonfiasse per
allontanarsi il più
possibile da quella maledetta isola. Non avevano dovuto affrontare il
temporale
che li aveva improvvisamente colti all’inizio,
fortunatamente, per quanto il
mare ingrossato avesse reso comunque difficile e faticoso navigare in
quelle
acque e riuscire a manovrare il timone. Avevano potuto trarre un
sospiro di
sollievo solo quando la nebbia si era del tutto diradata e il sole li
aveva
quasi accecati, bagnando loro stessi e la Sunny con i suoi caldi e
confortevoli
raggi. E tuttora splendeva alto nel cielo, segnando mezzogiorno.
«Uffa, quando si
sveglia Sanji».
Afflosciato sulla polena della nave,
Rufy non faceva altro che guardare
il prato che ricopriva il ponte e
sbuffare, provando inutilmente ad ignorare gli insistenti brontolii del
suo stomaco. Si stava avvicinando l’ora di pranzo e lui non
metteva qualcosa
sotto i denti da più di un giorno, e bisognava ammettere
che, conoscendolo, era
decisamente un record. L’ansia per i suoi amici gli aveva
persino chiuso lo
stomaco, ma adesso che sembrava andare quasi tutto per il meglio aveva
ricominciato ad aver fame.
Robin, che in
quel momento si trovava sul castello di prua ad innaffiare i fiori,
gettò lui
una rapida occhiata e sorrise benevola, mormorando un «Dos Fleur»
per
far fiorire due mani proprio dinanzi al Capitano, che si riprese seduta
stante
nel vedere i pasticcini ordinatamente riposti sui palmi. «Non
saranno molto, ma
spero che ti piacciano, Capitano», gli disse. «Li
aveva preparati cook-san per
me, ma posso cederteli tranquillamente, se hai fame.
C’è anche del the», soggiunse,
per quanto fosse sicura che il ragazzo avesse unicamente visto i
pasticcini. E
glielo dimostrarono i suoi occhi, che scintillarono come quelli di un
bambino
che aveva appena ricevuto un nuovo giocattolo.
«Grazie, Robin!»
esultò, tirandosi a sedere per afferrare i dolcetti nel
momento stesso in cui
le mani che li trasportavano sparirono; se li mise in bocca senza
nemmeno
gustarseli, troppo affamato per farci anche solo un pensiero, e, per
quanto non
avessero per niente placato la sua fame smisurata, erano pur sempre
qualcosa. E
mentre era intento a leccarsi le dita tutto contento per ripulirle
dalla
cioccolata rimasta, dabbasso vide con la coda dell’occhio la
figura di Zoro,
seguito a ruota dal piccolo Chopper.
«Devi tornare a
letto!» strepitò il dottore, venendo bellamente
ignorato dallo spadaccino, che
si limitò a voltare lo sguardo in direzione del Capitano
nello scorgere il
gesto di saluto e il sorriso che gli aveva appena rivolto.
«Stai bene,
Zoro?» gli venne chiesto con voce gioiosa e una mezza risata,
e stavolta Zoro
sorrise a sua volta, sollevando un angolo della bocca con fare
sarcastico prima
di alzare un pugno a scopo dimostrativo.
«Mai stato
meglio, Capitano».
«Zoro!» lo
richiamò all’ordine Chopper, aggrappandosi alla
sua gamba destra. «Come medico
ti ordino di tornare a letto!» sbottò, riuscendo
finalmente a richiamare su di
sé l’attenzione dello spadaccino, che si
chinò verso di lui per afferrarlo
sotto le braccia e allontanarlo delicatamente da sé.
«Io sto bene,
Chopper», gli fece notare poi, pur portandosi debolmente una
mano al fianco che
si era ferito in battaglia. Ah, accidenti... doveva andarci piano, con
i
movimenti. «Pensa piuttosto a quello scemo d’un
cuoco».
«Ma hai perso
molto sangue!»
«E dove sarebbe
la novità?» tentò di sdrammatizzare, e
Chopper non si risparmiò dal saltargli
addosso per assestargli una zoccolata proprio in mezzo alla fronte,
lasciando
un bel segno rosso di quella forma.
«Proprio per
questo devi stare a letto», borbottò, senza dar
peso al mezzo lamento sfuggito
dalle labbra di Zoro. Secondo il suo parere di medico, stavolta se
l’era
proprio cercata. «Vado a prendere le erbe per Sanji, se
quando torno non ti
trovo in cabina ti somministro un sedativo per cavalli e ti ci porto io
trascinandoti per i piedi», soggiunse scontroso, riuscendo
comunque a strappare
al Vice Capitano un sorrisetto; lo vide poi trotterellare svelto verso
il
castello di prua, dove metteva spesso ad essiccare le sue erbe
medicinali, e
scosse il capo, venendo ben richiamato da un’altra risatina
di Rufy, che scese
dalla sua postazione per annullare la distanza che li separava.
«Forse dovresti
ascoltarlo»,
gli disse con un gran sorriso, e Zoro sbuffò ilare,
adocchiandolo di sfuggita.
«Ma sentilo...
non sei forse tu il primo a fare l’esatto contrario di
ciò che ti si dice?»
«Io sono il
Capitano, posso permettermelo», affermò divertito,
dandogli una poderosa pacca
su una spalla; lo spadaccino si accasciò in avanti e
imprecò a denti stretti
nel faticare a ricomporsi, tanto che Rufy allontanò
immediatamente la mano e si
grattò dietro il capo, facendo praticamente finta di niente.
«Scusa, Zoro! Ti
fa male?»
«Nah, sto alla
grande», ironizzò, per quanto non ci fosse nulla
di divertente in quella
situazione. Merda... si sentiva praticamente a pezzi, peggio di quella
volta a
Thriller Bark. Ma si sarebbe squarciato il ventre piuttosto che
ammettere una
cosa del genere. «Piuttosto, uhm... prova a tenere occupato
Chopper».
«Vai a trovare
Sanji?» Zoro, a quella domanda posta così a
bruciapelo, si accigliò. Accidenti,
quando voleva sapeva essere davvero perspicace, quello scemo di un
Capitano. Oppure
era lui ad essere letteralmente un libro aperto e ciò che
aveva intenzione di
fare gli si leggeva in faccia. Scosse il capo, adocchiando Rufy.
«Tu provaci e
basta... ti rimedio qualcosa da mangiare», se la
sbrogliò, sortendo l’effetto
sperato. Rufy difatti allargò il sorriso e si
lasciò sfuggire una grossa
risata, facendogli un cenno sbrigativo con una mano come a dargli via
libera;
lo spadaccino non se lo fece ripetere due volte, e, dopo aver gettato
una
rapida occhiata verso le piante di mandarini di Nami - dove si scorgeva
solo
vagamente il cappello di Chopper, chino a raccogliere le sue erbe -, si
affrettò a salire le scale per aggirare dal basso il
castello di prua e
raggiungere una volta per tutte l’infermeria, aprendo la
porta il più
silenziosamente possibile. Se tanto gli dava tanto, prima del ritorno
di
Chopper aveva una decina di minuti o poco più. Potevano
bastargli.
Non appena entrò
fu accolto dal lieve russare del cuoco, disteso sulla branda con una
coperta
che gli arrivava fin sotto al mento. Il viso era ancora un
po’ pallido - più di
quanto non lo fosse la sua carnagione normalmente, appuntò
nella sua mente lo
spadaccino - e aveva dei segni viola che gli contornavano gli occhi, ma
tutto
sommato sembrava star bene. Più di quando se l’era
ricaricato in spalla
sicuramente. «Brutto idiota», sussurrò
alla sua figura dormiente, resistendo
all’impulso di rifilargli un cazzotto sulla testa per vedere
se riusciva a
svegliarlo. «È la seconda volta che mi fai
prendere colpi del genere, vedi di
non farla diventare un’abitudine».
Subito dopo,
però, aggrottò la fronte nel soffermarsi
attentamente sul viso del compagno,
avendo avuto l’impressione che le sue labbra si fossero
piegate in un breve
sorriso. Scosse la testa e si diede dell’idiota, imputando
quella stupida
visione alla stanchezza che aveva accumulato in quel breve lasso di
tempo.
Secondo Chopper ci sarebbero voluti altri due o tre giorni prima che
quello scemo
d’un cuoco riprendesse del tutto conoscenza, dunque quel
movimento delle labbra
se l’era semplicemente sognato. Non poteva essere altrimenti.
Si guardò
comunque intorno con fare furtivo e, avvicinandosi piano al giaciglio
di Sanji,
gli sfiorò la fronte con due dita, in una lieve carezza
rozza. «Cerca di
riprenderti in fretta, ricciolo. Se lasciamo di nuovo i fornelli a
Nami,
finiremo tutti indebitati fino al collo», soggiunse in un
soffio vagamente
divertito.
E mentre si allontanava in direzione
della porta,
lasciandosi alle spalle la branda del cuoco, le palpebre di
quest’ultimo
tremarono lievemente, sollevandosi per una manciata di secondi solo per
catturare la fugace visione del pantalone nero di Zoro che spariva
oltre la
soglia.
_Note conclusive (E
inconcludenti) dell'autrice
Sono
schifosamente in ritardo, lo so. Volevo postarlo pian piano in attesa
dell'arrivo dei risultati del contest a cui sta partecipando, ma la
cosa andrà per le lunghe e far aspettare ancora per soli due
capitoli mi sembrava un tremendo azzardo. Dunque eccolo qui.
Comunque metto subito le mani avanti: lo so che può
sembrarlo, ma l'inizio di questo capitolo non è esattamente
ZoSan. Cioè, insomma, l'intenzione è quella, ma
volevo
premere più sul fatto che Zoro sarebbe capace di fare
ciò
che ha fatto per qualunque dei suoi compagni, non solo per Sanji. Ecco
il perché di tutto quel suo discorso sul non essere
abbastanza
forte e affini. Ehi, per quanto mi piaccia la coppia - e molti lo sanno
fin troppo bene, in un certo senso -, anche io so capire il bromance e
il nakamaship, su!
La seconda parte, invece, un pochino lo è. Ma soltanto un
po',
anche se persino Rufy ha subito capito che Zoro vuole andare da Sanji
per vedere come sta. Non è così stupido come
tutti
credono, il buon vecchio Capitano u_u e chi meglio di lui riesce a
capire quello zuccone dello spadaccino? Diciamo che si capiscono
entrambi, ecco
Sproloqui miei a parte, la storia sta arrivando alla sua conclusione e
il capitolo che posterò a breve - si spera - sarà
l'ultimo
Al prossimo! ♥
Messaggio No Profit
Dona l'8% del tuo tempo
alla causa pro-recensioni.
Farai felice milioni di
scrittori.
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